#10
·Eren ·
Levi guarda l'insegna con espressione annoiata, le mani nelle tasche della giacca in pelle, mentre io fremo d'impazienza.
L'ho convinto a proseguire la nostra passeggiata. Così dopo aver salutato Annie e Zeke, il quale ci ha gentilmente offerto le nostre consumazioni facendomi promettere di passare più spesso da quelle parti, siamo usciti dal Liberio Cafè.
Abbiamo appena parcheggiato la moto fuori l'edificio davanti a cui ci troviamo, dopo un viaggio relativamente breve.
Adoro andare in moto, mi piace da morire: forse mi piace così tanto perchè lo faccio con Levi? Non saprei...
«Allora, entriamo?» chiedo eccitato, devo avere un sorriso ebete stampato in faccia.
Lui si volta lentamente, puntando le sue iridi di ghiaccio su di me, con un sopracciglio inarcato in modo quasi canzonatorio.
«Sul serio?» ed indica con un cenno del capo il cartello che sovrasta l'ingresso della struttura «L'acquario? Non sei un pó troppo grande per queste cose?»
«Ci sei mai stato?» gli domando, quasi offeso.
«No.» replica con tono secco.
«Per questo la pensi così: non si é mai troppo grandi per queste cose.» sorrido afferrandogli una manica, le sue mani ancora nelle tasche, tirandolo verso il botteghino «Sará divertente, vedrai! Andiamo!»
Levi emette uno sbuffo mentre ci incamminiamo, arrendendosi.
━
I suoi occhi brillano, di una luce che non credevo potessero avere. Ammira incantato l'enorme vasca dinanzi a noi, nella quale nuotano pesci di ogni forma e colore. Le sue labbra sono leggermente schiuse, formando una piccola "o" di stupore, mentre osserva quello spettacolo variopinto.
«Che te ne pare?» gli chiedo, soddisfatto della sua reazione. So che il merito non è tutto mio, sarei presuntuoso nel pensare il contrario, ma avendo avuto io l'idea non riesco a non sentirmi quasi orgoglioso.
Lui sembra riscuotersi e chiude la bocca, con la coda dell'occhio mi guarda e borbotta un semplice «Non male.»
Ridacchio, divertito dal suo comportamento, ma da quel poco che conosco Levi so che non posso aspettarmi altro.
In silenzio proseguiamo verso le vasche successive, ognuna con esemplari diversi di fauna e flora marina, fino ad arrivare alla mia preferita: quella delle meduse.
Nel buio del corridoio, illuminato solo da piccoli fari che indicano il percorso da seguire, risaltano in tutto il loro splendore. Sembrano eteree, come se volassero, muovendosi quasi svogliatamente in quell'ambiente protetto. Le sfumature violacee che le ricoprono ne risaltano i contorni gelatinosi, mentre si spostano ognuna verso una meta diversa.
«Questa è la parte che preferisco.» dico ad alta voce, infrangendo il silenzio che ci circonda, riempito solo dai nostri respiri e dal gorgoglìo dell'acqua presente nell'enorme vasca.
Levi non parla, quasi ipnotizzato dal movimento lento e sinuoso di una medusa che nuota particolarmente vicino al vetro sul quale posa la mano, come a cercare un contatto con quella creatura.
Restiamo così per qualche minuto, ognuno assorto nei propri pensieri, quando lui sembra riscuotersi. Si volta verso di me: i suoi occhi riflettono la luce provienente dalla vasca.
«Avevi ragione.»
Lo guardo perplesso «Su cosa?»
«Non si è mai troppo grandi per queste cose.» un angolo della sua bocca, piccola ma perfetta, si solleva appena in un accenno di sorriso.
Io invece non riesco a trattenermi, emozionato e sorpreso dalla sua ammissione, e ridacchio felice.
«Vieni, ti mostro una cosa.»
Do le spalle all'ampia vetrata, dirigendomi verso una teca poco distante: Levi mi segue per poi superarmi di un passo, osservando ciò che vi è contenuto. È una raccolta di conchiglie, di ogni forma, dimensione e colore, adagiate su del morbido velluto rosso che ne evidenziano la bellezza e peculiaritá.
«Sai che quando avvicini una conchiglia all'orecchio, puoi udire le onde del mare?»
«Tch, certo che sì.»
«Sai anche il perché?» gli chiedo, subito dietro di lui, così vicino da poterlo quasi sfiorare «Si racconta di una conchiglia che venne raccolta da un collezionista, il quale la custodì con cura ed amore: la spolverava, lucidava, esponendola orgoglioso ad amici e conoscenti. La conchiglia si sentiva importante, realizzata, essendo fonte della loro gioia e dei loro sorrisi. Presto però si accorse che poco poteva fare per gli uomini nei loro momenti di sconforto, e che il vento, le onde, lo stesso mare le mancavano in modo straziante. Così convinse il piccolo figlio del collezionista a riportarla nel punto esatto in cui era stata raccolta. Raccontò ai suoi amici della sua avventura e della sua malinconia durante quella lontananza, ed il mare si commosse. Si dice quindi che il suono che si ode, quando le si porta all'orecchio, sia un dono fatto loro dal mare, per non farle sentire lontane da casa quando vengono raccolte e racchiuse in posti come questo.»
Levi si china lievemente per osservarle meglio, ed io imito il suo gesto cercando di capire se una in particolare ha catturato il suo interesse.
«Come sai quest-»
Accade tutto in un attimo.
Levi raddrizza la schiena, portando il suo viso alla stessa altezza in cui si trova ora il mio, e mentre sta per rivolgermi una domanda si volta nella mia direzione mentre io faccio lo stesso, richiamato dalla sua voce.
Siamo talmente vicini che distinguo chiaramente il contorno bluastro delle sue iridi, le sfumature grigio-azzurre così uniche che le caratterizzano.
Il suo respiro caldo sul mio viso, il suo naso che sfiora il mio, il suo odore di pulito e nicotina che mi stordisce.
Le sue labbra, morbide e dal sapore unico, sulle mie.
·Levi ·
Resto immobile.
Non riesco a pensare a nulla che sia minimamente coerente.
Come..?
Cosa..?
Perchè..?
Stavo per chiedergli come sapesse quelle cose, mi sono voltato, e lui era lì. Vicino, così vicino, troppo vicino. Non ho avuto tempo per capire che, inevitabilmente, quella distanza esigua si sarebbe polverizzata in un istante.
Eren ha gli occhi sgranati, scioccato quanto me.
Le sue iridi, luminose come smeraldi, sembrano riflettere i miei stessi pensieri confusi. I suoi capelli castani sfiorano la mia fronte, il suo respiro accarezza per un attimo la mia pelle prima di arrestarsi, troppo sorpreso da quell'improvviso contatto.
La sensazione delle sue labbra piene e vellutate annebbia la mia mente, riesco quasi a sentirne il sapore vagamente dolce.
Non so cosa fare, cosa pensare, cosa provare.
Ma quelli che mi sembrano attimi interminabili in realtá sono millesimi di secondo, prima che l'istinto militare abbia la meglio prendendo il controllo del mio corpo: con una mano afferro la sua spalla, tenendo la presa ben salda, mentre con la gamba do un colpo secco alle caviglie, cogliendolo alla sprovvista e facendogli perdere l'equilibrio. Il tonfo prodotto dal suo corpo che cade al suolo é nitido, seguito subito dopo da un rantolo di dolore, nella penombra quasi spettrale dell'acquario.
«Che cazzo fai?!» quasi grido, la mia voce rimbomba nel silenzio di quei corridoi desolati. Il moccioso resta immobile, stupito ed incredulo, forse non aspettandosi una reazione simile da parte mia.
Mi volto, dandogli le spalle dato che non ho la minima intenzione di ascoltare una sua possibile risposta, e cammino a grandi falcate verso l'ingresso. I miei passi svelti sono l'unico suono che riecheggia tra le pareti in vetro, dietro le quali i piccoli ospiti colorati continuano a nuotare indisturbati, ignari di ciò che é appena accaduto.
Nella semioscurità, finalmente, scorgo in lontananza la luce esterna, la mia via di fuga. L'uscita è sempre più vicina e quasi corro per raggiungerla. Varco la soglia e sento qualcosa trattenermi per un braccio.
«Aspetta Levi!!»
Ha il fiato corto, lo sento, ma non mi muovo guardando fisso davanti a me.
«Sparisci.» dico gelido.
«No.» Eren mi costringe a voltarmi, strattonandomi «Non me ne vado.»
Le sue emozioni si riflettono limpide sul suo viso, colpendomi come un ceffone: rammarico, confusione, tristezza, rabbia.
«Mi dispiace, ti assicuro che non volevo turbarti in questo modo.»
«Turbarmi? Turbarmi?! Cazzo, Eren, ma come ti salta in mente di baciarmi?!» gli urlo in faccia e lui si ritrae appena, per poi urlare a sua volta «Non l'ho fatto apposta!»
Non so per cosa sentirmi più infuriato: se per il fatto che mi abbia baciato, o perchè non fosse stato intenzionale.
Questo pensiero, così improvviso ed inaspettato, aggiunge ulteriore confusione nella mia testa già in tumulto.
«Perchè diamine eri così vicino allora?! Ascoltami bene: solo perchè sono una persona cortese, non vuol dire che ti abbia concesso tutta questa confidenza! Io non ti conosco, e tu non conosci me.» affermo duro, cercando di mantenere le distanze e mettere bene in chiaro le cose.
«Perdonami. Davvero, non so cos'altro dire, non avrei dovuto avvicinarmi così tanto, è vero, ma ti assicuro che le mie intenzioni non erano quelle. Però io...» si passa nervosamente le mani tra i capelli mettendoli ancora più in disordine, se possibile «Non so come tu ti sia sentito, ma questo è stato il mio primo bacio con un uomo, e...»
Si ferma, indeciso se proseguire o meno.
«Non l'ho odiato, ecco.» confessa, arrossendo lievemente.
Nemmeno io.
Quel pensiero mi fulmina. Sbagliato, è tutto sbagliato, io sono sbagliato!
«Buon per te, moccioso, ma non posso dire altrettanto.» mento spudoratamente e lui sussulta, colpito dalle mie parole che come un pugno lo spingono via: dal mio mondo, dai miei ricordi, dalle mie sofferenze, da tutto quello che potrebbe in qualche modo infettarlo, contaminarlo. Lo spingono via da me. Lentamente sposta la mano dalla mia spalla, lasciando ricadere il braccio sul fianco.
«Scusami...»
La sua voce è ridotta ad un flebile sussurro, mentre mi allontano da lui.
Raggiungo la moto, liberandola dal catenaccio, e recupero il casco sotto la sella. Lo indosso, salgo a bordo, metto in moto e parto. Do un'occhiata allo specchietto retrovisore e lui è lì, nell'esatto punto in cui l'ho lasciato. Sento la bocca dello stomaco stringersi in una morsa, mentre la sua figura diventa sempre più piccola ad ogni metro che percorro e secondo che passa.
Sono addestrato a combattere, ad affrontare il pericolo senza timore, compiere scelte in frazioni di secondo. E l'ho sempre fatto, senza domandarmi quale sarebbe stato il risultato, perché nessuno può prevedere l'esito finale degli eventi.
Ma quel giorno io avrei dovuto.
Avrei dovuto considerare ogni possibile scenario.
E non l'ho fatto.
Mi sembra di essere di nuovo lì: sento l'esplosione, lo stesso fischio nelle orecchie, i detriti volare, le urla di terrore, il sangue che impregna il terreno polveroso...
Solo adesso mi rendo conto che sto scappando, per la prima volta in vita mia. Il pensiero quasi mi sconvolge, ma mi sento troppo stordito per preoccuparmene davvero.
Nessun ripensamento, Levi.
Questa è l'unica cosa che mi ripeto, mentre accelero e fuggo via: da Eren, e da ciò che mai avrei dovuto provare.
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