#05
·Eren·
«Svolta qui, è il primo palazzo sulla destra.»
Levi lentamente accosta la moto al marciapiede. Smonto agilmente dalla sella, restituendogli il casco che lui appoggia sul serbatoio lucido.
«Grazie per il giro, Levi. Sei stato davvero gentile, avevo proprio bisogno di distrarmi.» lo guardo riconoscente.
«Ti sei praticamente autoinvitato.» afferma monotono, guardandomi con i suoi occhi gelidi e dal colore unico.
«Non è affatto vero, e comunque la prossima volta offro io!»
Lui inarca un sopracciglio.
«La prossima volta?»
«Esatto, la prossima volta.» gli rispondo sorridendo, mani in tasca «Mi piace la tua compagnia.»
Forse sono stato troppo sfacciato..?
Beh, non me ne pento, ho solo detto la verità: ho realmente trovato la sua compagnia piacevole, nonostante il carattere pungente ed introverso.
Non c'è stato un solo istante in cui mi sia sentito a disagio oppure troppo infastidito dai suoi modi bruschi o le sue battute taglienti. Abbiamo chiacchierato di argomenti banali, punzecchiandoci in continuazione, parlando del più e del meno senza fare domande troppo personali.
Levi è una persona schiva, riservata, dalla risposta sempre pronta e senza peli sulla lingua, anche a rischio di risultare antipatico alla massa. Ma so che dietro il suo carattere scostante c'è molto di più. Lo sento.
Infatti sono già pronto ad incassare un suo eventuale rifiuto (che non accetterei, sia chiaro), o una replica velenosa su quanto invece la mia, di compagnia, gli risulti noiosa: invece mi stupisce positivamente.
«Tch, come preferisci. Mi aspetto un caffè decente, sappilo.» dice infilandosi il casco, inserendo la prima col piede.
«Conosco il posto adatto, tranquillo. Allora ciao, Levi.»
Lui parte senza rispondere ma prima di girare l'angolo lo vedo fare un cenno con la mano, che non faccio in tempo a ricambiare.
Resto così sul marciapiede con questa sensazione strana nello stomaco, come se fossi 'sospeso', in attesa di qualcosa.
La prossima volta...
Spalanco gli occhi, passandomi esasperato una mano sul viso, rendendomi conto che non ho il suo numero di telefono.
━
Mi alzo, ancora mezzo rincoglionito dal sonno, barcollando verso la porta d'ingresso, alla quale qualcuno ha appena bussato.
«Chi è..?» biascico sbadigliando, grattandomi il braccio sinistro.
«Eren, sono Armin.»
Sentendo la sua voce apro senza guardare dallo spioncino, certo che non sarei riuscito comunque a mettere a fuoco proprio niente.
«Armin, che ci fai qui a quest'ora-» le parole mi muoiono in gola quando al suo fianco vedo Mikasa. Lei arrossisce nel vedermi, coprendosi velocemente gli occhi con le mani, mentre io corro verso la camera da letto lasciando i miei amici all'ingresso, sperando che durante il tragitto il pavimento si divida come le acque del Mar Rosso e mi inghiotta completamente.
«Cazzo Armin, potevi dirmelo che non eri solo!! Sai benissimo che non sopporto dormire in pigiama!» urlo in preda all'imbarazzo più totale, cercando un paio di calzoncini da indossare sopra la biancheria.
«Scusa scusa scusa, non credevo fossi ancora a letto.» lo sento chiudere la porta di casa, mentre infilo scompostamente una t-shirt.
«Cosa volevi che facessi di Domenica mattina?» borbotto raggiungendo i miei amici, che nel frattempo si sono accomodati sul divano.
Armin mi guarda stranito, per poi iniziare a ridere «Eren, sono le quattro del pomeriggio!»
«Eh?! Davvero?!»
«Sì, davvero.» mi sorride divertito. Poi il suo sguardo cambia, ed intuisco la domanda che vorrebbe farmi ma che esita a pormi, data la presenza di Mikasa.
«Ho fatto tardi ieri sera.» spiego con calma, rivolgendo poi la mia attenzione alla ragazza, che nel frattempo gioca distrattamente con la sciarpa che porta al collo. Mi guarda intensamente, leggo nei suoi occhi grigi la stessa curiosità di Armin, mista a qualcos'altro che non saprei definire.
«Mi dispiace non aver avvisato nessuno che non sarei venuto al "Marley", ma non ero dell'umore adatto.» pronuncio questa frase senza distogliere lo sguardo da quello della ragazza che invece abbassa prontamente il suo, capendo benissimo a cosa era dovuto il mio malumore.
«Eren, per ieri io-»
«Mikasa» la mia voce è dura, il mio tono fermo «di questa cosa ne abbiamo giá parlato. Sono un uomo, sono adulto, e sono indipendente. Non ho bisogno di una balia, o che qualcuno prenda le mie difese in una qualsivoglia circostanza. Me la cavo benissimo da solo.»
Lei incassa senza emettere alcun suono, annuisce soltanto, nascondendo parte del viso nel tessuto rosso della sciarpa.
«Volete un caffè?» senza aggiungere altro, mi dirigo in cucina. Con quella domanda, considero il discorso chiuso.
«Sì, grazie Eren.» risponde Armin, accarezzando ritmicamente la spalla della corvina. Io nel frattempo, messa la moka sul fuoco, rovisto nella credenza in cerca di qualcosa di commestibile da offrire ai miei inattesi ospiti. Trovo una scatola blu poco familiare, non ricordo di averla mai vista. Sul coperchio c'è scritto "Danish Cookies".
Mamma, sei un genio!
Apro la confezione di biscotti, infilandone uno in bocca: ho una fame..!
Il caffé nel frattempo é salito, aggiungo lo zucchero e lo verso in tre tazzine, che poggio ordinatamente su un vassoietto insieme ad un piatto con dentro i biscotti danesi, e porto il tutto nel salottino.
«Allora» inizio «cosa avete fatto ieri alla fine?»
«In realtà siamo rimasti al "Marley". Abbiamo parlato del più e del meno, tra gli sproloqui di Connie e Sasha ed il racconto di Ymir e Christa su dove hanno trascorso il loro anniversario.» risponde Armin, sgranocchiando un biscotto al burro «A quanto pare le terme sono un vero toccasana: erano così rilassate che persino il caratteraccio di Ymir é stato decisamente sopportabile.»
Mikasa non parla, lo sguardo perso fuori chissà dove, mentre sorseggia il caffè.
«Ah, Jean si è ubriacato! Era così malmesso che ha toccato il sedere di una ragazza, la quale per sua sfortuna era lì in compagnia del fidanzato, e si è beccato un bel cazzotto che lo ha mandato dritto dritto nel mondo dei sogni!» ridacchia il biondo.
«Noooo, sul serio?! Quel cavallo non si smentisce mai!» mi unisco alla sua risata, immaginando la scena da Oscar a cui avrei voluto assistere.
«Pensa che Connie ha dovuto prestare l'auto a Marco per riportarlo a casa, mentre lui accompagnava Sasha col motorino. Tu, invece..?» chiede il mio amico.
Sa bene che non sono rimasto a casa, e sa altrettanto bene che sono una persona sincera e che non mi sono mai nascosto dietro un dito. Per cui rispondo con tono tranquillo.
«Ho fatto un giro in moto.» affermo, sorridendo.
«In moto?» ride il biondo, a metà tra il divertito e l'incredulo, mentre Mikasa si irrigidisce indagandomi con lo sguardo.
«Esatto. Ho incontrato un amico, se così possiamo dire.»
«Chi è?» il tono di Mikasa è severo, il suo sembra un interrogatorio. La fulmino con lo sguardo: odio ripetermi.
«Insomma, lo conosciamo..?» chiede più remissiva, stavolta.
«Armin non credo proprio, tu sì invece.»
I due aspettano, curiosi ed impazienti, che io finisca il mio caffè, posando la tazzina.
«Ho fatto un giro con tuo cugino Levi.»
Quasi non ho il tempo di finire la frase che la ragazza dai capelli corvini sbatte i palmi sul tavolinetto con forza, sporgendosi in avanti, facendo tintinnare la ceramica e sobbalzare me ed Armin all'unisono.
Il suo viso è livido per la rabbia, cosa che mi preoccupa ed irrita al tempo stesso, lasciandomi basito e confuso.
«Tu non sai con chi hai a che fare!!» urla, alzandosi poi in piedi, come a voler troneggiare sulla mia persona «Te lo proibisco!»
«Mikasa, calmat-» dice pacatamente il mio migliore amico nel tentativo di smorzare i toni, ma è già troppo tardi.
«Fuori.»
I due si voltano verso di me, sorpresi dal mio tono estremamente calmo, mentre tengo lo sguardo basso cercando di non esplodere.
«Cos-»
Interrompo Mikasa prima che possa dire altro.
«Ho detto fuori!» sibilo a denti stretti.
La mia amica d'infanzia mi guarda, rendendosi finalmente conto di aver superato il confine, e quando parla le trema la voce e gli occhi le si inumidiscono.
«Eren, posso spiegare, lui-»
«Tu non hai alcun diritto di decidere della mia vita!» mi alzo a mia volta, con lo sguardo in fiamme «Ho sempre vissuto a modo mio seguendo il mio istinto, i miei desideri, il mio bisogno di libertà. E tu non sei nessuno per vietarmi alcunché. Per cui: fuori-da-casa-mia!»
·Levi·
Poggio le chiavi della moto sulla consolle accanto la porta d'ingresso. L'orologio alla parete indica le 6:20 del mattino, ho praticamente trascorso l'intera notte fuori. Non è la prima volta, ovviamente, soprattutto in questo periodo. Ma é la prima volta che mi capita di avere compagnia.
Mi libero della giacca mentre mi dirigo verso il bagno, bisognoso di una doccia. La sensazione di sporco tra i capelli, con tutto il vento preso in autostrada senza il casco, é davvero sgradevole. Sono un maniaco del pulito, di certo non per mia scelta o divertimento. È una conseguenza di ciò che ero, di ciò che ho visto, di ciò che ho fatto. Conseguenza di quello che ho perso.
Apro il getto d'acqua, e mi giro verso lo specchio, sovrappensiero.
Mi irrigidisco, alla vista della mia immagine.
Allungo le dita verso la superficie liscia, che inizia ad appannarsi per i vapori che si innalzano dalla cabina doccia, sfiorando il mio riflesso leggermente sfocato. Ma non abbastanza da non mostrare il sangue che impregna i miei abiti, che macchia le mie mani, che gocciola dai miei capelli, che ricopre il mio viso.
Un mostro.
È questo ciò che sono.
Questo è Levi Ackerman.
━
Lentamente riprendo i sensi, riacquisendo padronanza del mio corpo. La sensazione di stordimento è qualcosa a cui non mi sono ancora abituato, e che sinceramente non sopporto, ma se voglio dormire almeno qualche ora devo imparare a conviverci.
Mi passo una mano sugli occhi, cercando di mettere meglio a fuoco la stanza. Sono nella mia camera da letto, anche se non ricordo come ci sono arrivato, ma anche questo é uno degli effetti collaterali.
La sveglia digitale sul comodino segna le 17:45.
È stato un sonno senza sogni, come tutte le volte che prendo quelle dannate pillole.
Mi alzo dirigendomi in cucina, intenzionato a prepararmi un caffè e mandare giù qualcosa di commestibile, ma non sono sicuro di quando sia stata l'ultima volta in cui ho fatto la spesa. Infatti il frigo è vuoto. Apro le ante della credenza, e l'unica parvenza di cibo è un pacco di biscotti al cioccolato che tengo per le rare occasioni in cui Hanji viene a trovarmi, e quindi aperto chissà quanto tempo prima. Storco il naso all'idea di mangiarne anche solo una briciola.
Sento qualcosa vibrare sul tavolino in salotto, sicuramente il cellulare.
Quell'aggeggio infernale è solo una gran rottura di cazzo. Possiedo uno smartphone di ultima generazione, uno degli ultimi omaggi del governo, ma sinceramente mi pare abbia qualunque tipo di funzione tranne quella per cui è stato progettato: telefonare. Ci sono talmente tante icone che a volte fatico a trovare quella maledetta cornetta verde (non che me ne importi poi molto, è un evento più unico che raro che io telefoni qualcuno).
Sospiro scocciato, andando a recuperarlo dopo aver messo la moka sul fuoco, e sblocco lo schermo.
Ci sono delle notifiche Whatsapp. Maledetta quattrocchi ed il giorno in cui mi sono lasciato convincere a darle il cellulare in mano per "stare al passo coi tempi"...
Ed infatti, parli del diavolo e spuntano le corna.
Hanji:
<Oggi inizia il Triduo della Vergine Maria di Fatima. È miracolosa. Quando si riceve questo messaggio si dice un Ave Maria e si fa una richiesta speciale. [..]>
Resto a fissare il display come un ebete per almeno un minuto.
Mi rifiuto di crederci.
Inizio a cercare freneticamente tra le funzioni dell'applicazione qualcosa che le impedisca di inviarmi qualche altra stronzata, un tasto di blocco, qualunque cosa. Trovato!
Al passo coi tempi un cazzo. Le catene di Sant'Antonio, tch..!
Controllo chi sia l'altro scocciatore. Mi acciglio, è un messaggio di mia cugina Mikasa. Non mi scrive mai.
Mikasa:
<Devo parlarti>
Mentre verso in una tazzina il caffè, che nel frattempo è salito, non posso fare a meno di chiedermi quale sia l'oggetto della discussione. Arrovellarmi non mi dará certo la risposta, nè ho intenzione di chiamarla, anche perchè se fosse una cosa importante lo avrebbe fatto lei.
Dopo aver bevuto la mia dose giornaliera di caffeina ed essermi cambiato mi dirigo all'ingresso, intenzionato ad andare al supermercato, afferrando la giacca che avevo lasciato sul divano quella mattina.
Un profumo sconosciuto, ma tremendamente familiare, mi invade le narici. Ci metto qualche secondo per realizzare che proviene dalla stoffa della giacca, e solo un attimo per capire a chi appartiene.
Eren.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro