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One Hundred Kinds of Styles - Il corvo nero mancato: Prologo

Se c'è una cosa che odio di prima mattina è la mia fastidiosa sveglia.
Quando si sta in mezzo a delle coperte morbide e ad un soffice materasso è normale voler dormire anche tutto il giorno, ma c'è sempre quel rumore assordante e acuto che ti rompe finché non muovi il culo e ti alzi per un' altra giornata.
Ma, ovviamente, io ho peggio della sveglia normale con pulsanti e con la quale puoi regolare il volume: i miei coinquilini.
Niall Horan e Lacy Hanson, cugini di secondo grado, avevano bisogno di un terzo coinquilino per pagare le bollette e le spese quando hanno conosciuto me ad uno dei corsi del college, due anni fa.
Da allora, la mia vita è diventata più vivace. Certo, non dico tanto, ma quei due tornado mi strappano sempre un sorriso quando torniamo a casa a fine corsi. Anche se mi svegliano loro la mattina con urla e schiamazzi, alla fine è un bene. Non ho mai fatto tardi. E, spesso, li ricambio con la stessa moneta.
Quando siamo andati a vivere insieme, abbiamo fatto un patto. Per un mese intero, uno di noi deve tenere in camera propria l' unica sveglia della casa e svegliare gli altri due. Per me è meglio quando la tiene Lacy. Mi sveglia gentilmente. Al contrario di Niall, che si diverte sempre a svegliarmi con una mossa degna da wrestler.
Ahimè, mi sono scordato che la sveglia ce l' ha lui.
La porta si apre di scatto e Niall urla come un indemoniato, saltando a piedi nudi su di me e sul mio letto. Meno male che abitiamo nella periferia di New York. In caso contrario, se il nostro vicino di casa assomigliava anche lontanamente a quello dei miei genitori, Mr. Coge, avrei preso il primo volo per l' Olanda.
Non ci penso due volte ad alzarmi di scatto e far cadere Niall sul pavimento, per poi buttarmi su di lui. Lo giro a pancia in giù e gli blocco una gamba e un braccio dietro la schiena. Con quattro sorelle di varie età, uno impara qualcosa.
-Ti arrendi?- gli chiedo, tirandogli più forti gli arti.
-Ahi, ahi! Sì, sì, va bene, scusa!- si agita lui, tentando di liberarsi. Lo lascio andare e mi alzo in piedi, aiutandolo a sua volta. -Mi dimentico tutte le volte della tua forza. Ecco perché sei il più forte a fare boxe.- ride leggermente, dandomi un colpetto sulla spalla.
Non posso fare a meno di ghignare. Già, sono bravo a fare a botte. A difendermi. A mostrare la mia forza a chiunque mi stia tra i piedi.
-La colazione è pronta. Ti ricordi che oggi hai quel colloquio?- mi domanda, mentre esce da camera mia. -Ovvio.- gli urlo dietro, ben consapevole che anche Lacy è sveglia, dato il rumore della tv in cucina.
Chiudo la porta a chiave e prendo il pennarello rosso per fare un' altra x sul calendario.
Oggi è il gran giorno e sono felice di non essere rimasto sul letto a poltrire. Ho da qualche mese scoperto che in città è tornato Harry Edward Styles, uomo d' affari e grande imprenditore, che ha studiato nel mio stesso college e nei miei stessi corsi.
Sono sicuro che, con qualche suo consiglio, riuscirò a migliorare ulteriormente e a raggiungere il mio scopo: la UCL.
Ovviamente, non è un problema per me trasferirmi a Londra. Non ho niente qui a New York che mi faccia rimanere, come un' ancora. E anche se ci fosse, non avrebbe importanza. Come mi diceva sempre mio padre, lo studio prima di tutto. Io l' ho capito.
Apro l'armadio e vedo cosa potrei indossare per un intervista così importante.
Sono grato al college per averlo convinto a farsi intervistare da me per scopi personali. Non è roba di tutti i giorni. Ma non ho intenzione di chiedergli del suo lavoro. Voglio sapere su di lui, su quali fossero i suoi obbiettivi finali e come li abbia raggiunti.
Decido per una camicia bianca leggera, una cravatta nera abbinata a pantaloni e scarpe e una giacca di cashmere grigia. Mi pettino i capelli corti e castani lasciandoli sparati in aria come sono di solito, prima di lavarmi la faccia e i denti con cura finché non li vedo bianchi. Decido di non tagliarmi la leggera barba che mi ritrovo, visto che mi da un' aria più da adulto che da giovane uomo.
Quando ho fatto ricerche su Mr. Styles, ho visto che lui ha venticinque anni, a differenza mia che ne ho venti. Non voglio che mi veda come un ragazzino.
Me ne sbatto altamente del suo potere e dei suoi soldi, che non si permetta di trattarmi come se fossi inferiore a lui.
Prendo l' orologio di pelle che apparteneva a mio nonno e me lo metto al polso sinistro. Da sopra l' armadio, tiro fuori la mia valigetta e ci metto dentro il mio taccuino degli appunti, il piccolo quaderno con all' interno le domande e nella quale scriverò le sue risposte e l' astuccio con all' interno le penne.
Provai fastidio nel vedere la penna rossa sistemata dopo la penna nera, così la rimisi al suo giusto posto. Forse, nella fretta che avevo di andare al mio corso di studio privato in biblioteca, l' altro giorno dopo le lezioni, devo essermi distratto e non mi sono accorto del mio errore.
Guardo l' orologio. Sette meno un quarto.
Sorrido. Adoro i numeri che finiscono con zero o cinque. Mi danno un senso di completezza.
Con tutto l' occorrente, scendo le scale e mi dirigo in cucina. Mi fermo quando sono sulla soglia. Niall e Lacy stanno facendo colazione con latte e cereali e io, sinceramente, non capisco come mai siano svegli alle sette di mattina il sabato.
Prendo fuori il mio taccuino, alla quale tengo molto, e cerco gli appunti che mi ero segnato per oggi.

Ore 9:35, intervista con Styles. Nota: Niall e Lacy, weekend in famiglia.

Mi dò dello stupido quando ricordo. I loro genitori avevano programmato di incontrarsi e fare una cena di famiglia. Peccato, però, che è a Mullingar, in Irlanda, la città natale di Niall. Tradotto: passerò il weekend da solo.
-Buongiorno, Lacy.- borbotto, prendendo una mela rossa dal cesto della frutta che si trova al centro del tavolo.
Lei mi sorride in modo dolce, mentre i suoi occhi color del cielo brillano. -Buongiorno, Lou. Pronto per incontrare il famoso Harry Styles?- ghigna come una che la sa lunga.
Alzo gli occhi al cielo e mordo la mela. -Sono nervoso. Molto nervoso.-
-Andrai benissimo.- mi sorride Niall. Lui è solito scherzare, ma leggo nei suoi occhi azzurri simili ai miei che è sincero.
Sorrido e prendo le chiavi della mia macchina. -Ci vediamo domenica sera. Ciao, ragazzi.-
-Ciao, Lou!- mi salutano in coro, poco prima che mi chiuda la porta alle spalle.
Mi metto in strada verso la città con la mia Fiat, tamburellando qualche volta con le dita sul volante. Sono l' ansia vivente. Neanche prendere respiri profondi mi aiuta granché.
Quando vedo che sono vicino al grattacielo della Styles Lives & Co, parcheggio in un parco lì vicino.
Prego fra me e me di non fare figuracce e mi dirigo all' entrata. Ad aprirmi, c'è un uomo in divisa che mi saluta cordialmente.
Ricambio e mi dirigo verso quella che deve essere la segretaria. È una donna mora, con la coda di cavallo alta e gli occhiali da vista viola.
È carina. Mi ricorda una delle ragazze con la quale sono uscito tempo addietro. Mindy? Mandy? Boh.
Attiro la sua attenzione con un colpo di tosse e mi sorride, però sembra più un sorriso da robot.
-Salve. Posso aiutarla?-
-Buongiorno. Sono Louis Tomlinson, del Queens College. Sono qui per intervistare Mr. Styles.- tento di non balbettare per il nervoso e mi batterei il cinque da solo, se potessi.
Mrs. Robot annuisce. -Certo, aspetti solo un secondo.- prende un telefono fisso dalla propria scrivania e le basta premere due pulsanti per chiamare chissà chi.
-Mr. Styles? Scusi se la disturbo, c'è qui Mr. Tomlinson per intervistarla.- la sua voce si fa più formale e sembra quasi spaventata. Strano.
-Perfetto. Glielo mando subito.- sembra stranamente rincuorata quando torna a guardarmi. -È libero, può riceverla. Le basta prendere l'ascensore, ultimo piano.- con un gesto della mano, mi indica l' ascensore da prendere e premo il pulsante di chiamata non appena lo raggiungo.
All' interno, quando le porte si chiudono e sono finalmente da solo, sento come se i battiti del mio cuore facessero l' eco nel quadrato in cui mi trovo.
Cosa diavolo era quel "è libero, può riceverla"? Ho appuntamento con lui a quest' ora! Voleva dire che, se era impegnato, sarei dovuto tornare a casa a mani vuote?
Oh, no, caro mio. Proprio no.
Cos' ho detto stamane? Ah, sì! Me ne sbatto altamente dei suoi soldi.
Una volta che le porte si aprono di nuovo, rischio un infarto nel trovarmi davanti una ragazza bruna, anche lei con la coda alta e gli occhiali da vista, però neri, che mi sorride in stile robot come la collega.
-Buongiorno, Mr. Tomlinson. Samantha mi aveva avvisata che stava salendo. Io sono Bailey. La porterò direttamente da Mr. Styles. Prego, mi segua.- senza capire se le ho dato retta, mi dà le spalle e inizia a camminare.
Io, ovviamente, non posso che seguirla.
L' ultimo piano ha come pareti dei vetri e io rimango a bocca aperta alla vista di New York. È stupenda. Scommetto che il paesaggio è migliore se viene visto al tramonto.
Bailey, l' altra ragazza robot, bussa ad una delle porte ed entra con solo metà corpo senza permesso. -Mr. Styles? Mr. Tomlinson è qui.- non sento risposta, perciò deduco che abbia fatto un segno di assenso.
Bailey mi sorride di nuovo, stavolta in modo inquietante, e mi fa segno di entrare.
-Prego.- dice solamente.
Entro lentamente nell' ufficio, l' unica vetrata si trova dietro la scrivania, e un profumo delizioso mi invade i sensi.
Cos'è? Tabacco e... limone?
Bailey chiude la porta e io mi sento solo in quella stanza, anche se so che sulla sedia girevole c'è seduto lui che mi dà le spalle, guardando una parte di New York.
Come so che lui è lì? Semplice.
Vedo del fumo provenire dal davanti della sedia e sento il rumore di un piede che batte ritmicamente per terra.
Assurdo. Sono qui da circa due minuti e non mi ha neanche guardato. O parlato.
-Si sieda, Mr. Tomlinson.-
Buongiorno anche a lei!
Sospiro pesantemente e mi siedo sull' unica sedia in questa stanza: di fronte alla sua scrivania. Poggio la valigetta a terra, dopo aver tirato fuori il piccolo quadernetto e una penna nera. Mai penna blu.
Apro alla pagina con la data di oggi e mi metto dritto sullo schienale. Alzo lo sguardo e tento di regolarizzare la voce per non essere troppo maleducato con lui. -Posso iniziare a farle le domande, Mr. Styles?- mi maledico quando capisco di essere sembrato scocciato.
Anche se è vero.
-Certo. Inizi pure.- la sua voce è calma, rispetto alla mia, e allunga il braccio per raggiungere il posacenere e spegnere la sigaretta.
Ok, ora mi incazzo.
-Le sarei grato se si voltasse.- questa volta l' ho detto di proposito con acidità.
La sedia ruota e, in pochi secondi, la mia sicurezza si distrugge come il muro che avevo appena finito di costruire tra di noi.
Chi diavolo sei tu?
Quando ho visto le sue foto su internet, non l' ho trovato questo granché di uomo. Ma ora, dal vivo...
I boccoli di cioccolato gli ricadono elegantemente sulle spalle, la giacca nera risalta la pelle leggermente abbronzata, le labbra mi ricordarono i petali di rosa e gli occhi sono due gemme verdi selvagge, incastonate in un viso squadrato e sbarbato.
Mi fissa negli occhi, come se tentasse di scoprire i miei segreti più oscuri, e mi guarda senza ritegno o vergogna.
Classe. Quest' uomo ha classe.
Sgrano gli occhi quando sento il mio amichetto là sotto agitarsi.
Che diavolo?
Non capisco. Ho di fronte a me un uomo, non una donna.
Stringo le gambe e lo vedo sorridere in modo sfacciato. -Va meglio così?- oddio, era così profonda anche prima la sua voce?
-S-sì, grazie.-
No, merda! Perché ho balbettato?!
-Perfetto. Mi chieda pure tutto quello che vuole.- la sua voce rallenta poco a poco ad ogni parola.
Perché mi guarda in quel modo?
Perché cazzo mi sta guardando in quel modo?
Smettila di guardarmi in quel modo!
Tento di non andare nel panico, ricordandomi che non corro pericolo. L' uomo qui presente è etero fino al midollo, perciò non mi salterebbe mai addosso. Ma allora perché mi sta guardando le labbra?
Senza volerlo, ci passo sopra la lingua e torno a fissare il mio quaderno. -Allora... Mr. Styles, quali erano i suoi obbiettivi a inizio studi nel Queens College?-
-Sinceramente? Non avevo neanche un obbiettivo. Volevo solo allontanarmi dalla mia famiglia e il Queens College era perfetto.- ok, questo non mi aiuterà molto.
-Si aspettava tutto questo successo nella sua vita?-
-Ovvio che no. Non con mio padre che mi diceva sempre quanto perdente io fossi.- un moto di compassione mi costringe a guardarlo di nuovo negli occhi. Si vede dallo sguardo quanto sia triste.
-Mi dispiace.-
-E il suo?-
-Il mio cosa?-
-Suo padre. Le ha detto niente quando lei si è iscritto al Queens College?- perché stiamo parlando di me?
Deglutisco e scuoto leggermente la testa. -Mio padre è morto quest' inverno. Insufficienza renale di quarto stadio.-
-Mi dispiace.- sembra mi faccia eco, ma capisco che è sincero.
Mi schiarisco la voce e spero di non essere arrossito. Quest' uomo mi mette in soggezione. -Deve a qualcuno tutta questa sua fortuna? Si è fatto aiutare?-
-Diciamo che ho avuto una mano in affari all' inizio assieme a mia sorella Gemma come socia. Poi lei è diventata stilista di alta moda e ha lasciato tutto in mano a me, sapendo che me la sarei cavata.- si sporge in avanti facendomi vedere meglio il suo completo da lavoro, l' ultima frase suona un po' presuntuosa.
Il mio corpo ha un fremito e ho la voglia improvvisa di avvicinarmi di più, come ha appena fatto lui.
Questa situazione non mi piace. Voglio andarmene. Ma voglio anche restare.
Che mi sta succedendo?!
Il mio sguardo cade sull' unico anello che ha. È di oro bianco ed è a forma di testa di leone. Lo tiene al medio della mano destra.
Capisce dove sono finiti i miei occhi e si toglie l' anello per mostrarmelo. Dio, è imbarazzante.
-Le piace? È nella mia famiglia da generazioni. Sa perché lo tengo proprio in quel dito?- la voce sembra più roca, più graffiante, come se gli piaccia vedermi in difficoltà.
È ufficiale, sono di sicuro arrossito. E non era mai successo.
Ho paura nel rispondergli.
-La mano sinistra è la mano del cuore. Per tanto, anche dei sentimenti, dell' intuizione e dell' arte. Mentre la mano destra è la mano dell' azione, della razionalità e della logica. Il dito medio corrisponde al pianeta Saturno, un pianeta oscuro e malinconico, che infonde le sue tristi caratteristiche. È il dito dei prudenti, dell' intelligenza e delle persone pazienti. Chi porta più anelli al medio della mano destra, come me, è una persona seria, affidabile, forse eccessivamente meticolosa, ricercatrice, spesso rigida e intollerante. Conta molto anche il materiale dell' anello, sa? Indossa un anello di oro bianco come il mio, o di platino, chi è ambizioso, forse un po' freddo, chi spesso attribuisce molta più importanza all' esteriorità che alla sostanza. Denota intelligenza e talento per gli studi e gli affari. Perciò, in sintesi, per capire chi è lei veramente, mi basta guardare di che materiale sono la maggior parte dei suoi anelli, in quale mano li indossa e in quale dito se li mette. Non è straordinario, Mr. Tomlinson?-
Perché, all' improvviso, mi sento stupido?
-Ehm... sì, davvero straordinario...- mormoro, sotto pressione.
Fa caldo. Ho fottutamente caldo. Mentre parlava, anche se era leggermente noioso, io l' ho ascoltato tutto il tempo. Mi piaceva il suono della sua voce. E gli ho fissato le labbra. Tutto il tempo. Non perdendo neanche un singolo movimento.
Non va bene. Non va affatto bene.
-Gradisce da bere?- mi domanda, forse ha capito di avermi gettato in trans.
Tossisco leggermente e annuisco con enfasi. Devo distrarmi. -Sì, la ringrazio.- sospiro, guardandolo in modo sicuro. Poco sicuro.
Mi imbarazzo veramente quando mi accorgo che ci sono una caraffa e due bicchieri all' angolo della sua scrivania. Non li avevo visti. Di solito non mi sfugge niente.
Già, ma non se c'è Mr. Occhi di Ferro che mi guarda come se fossi una bambola con la quale può giocare.
Occhi di Ferro perché il suo sguardo brucia sulla mia pelle. Come ferro rovente sul fuoco.
Mi versa dell' acqua in uno dei due bicchieri e me lo porge. Una scossa mi riscuote quando gli tocco le dita.
Oddio.
Che diamine, neanche con le ragazze!
Bevo un sorso generoso e finalmente mi sembra di avere di nuovo l' ossigeno nei polmoni.
È inutile negarlo.
È bello. È tremendamente bello.
Non mi ricordo neanche più il motivo per cui sono qui.
-Lei lo sa il motto del Queens College, Mr. Tomlinson?-
-Io... non...-
-"Discimus ut serviamus". È latino. Significa "Impariamo per servire". L' ho sempre trovato molto... corretto. Adatto, se posso dire.- ghigna leggermente, i suoi occhi mi scrutano e la lingua passa ladra e furtiva fra le labbra.
Tutto di me, ogni singola cellula, mi ordina di alzare il culo e andarmene.
Mi guardo l' orologio al polso e tiro un respiro di sollievo. -Si è fatto tardi. Ho perso i miei studi personali mattutini per venire qui. Non vorrei perdere anche quelli pomeridiani.- mi alzo in fretta e metto penna e quaderno dentro la valigetta senza neanche guardare.
-È stato un piacere conoscerla, Mr. Styles. Buona giornata.- dico velocemente e quando sto per voltarmi e andare via, una mano stringe forte la mia.
Mi giro di scatto verso di lui. Mi sta stringendo la mano in modo cordiale, come da copione, e la sua stretta è ferrea. Sembra non voglia lasciarmi.
-Buona giornata anche a lei, Mr. Tomlinson. Spero di rivederla presto.- mi sorride in modo furbo, come se sapesse già che ci incontreremo di nuovo.
Non contarci, Mr. Occhi di Ferro.
Annuisco solo per cortesia e cammino a passo svelto fuori da quell' ufficio e dal grattacielo.
Una volta a casa, non so che cosa fare. Non riesco a studiare, né a mangiare né a dormire. La mia mente è invasa da Mr. Occhi di Ferro, dalla sua voce, dai suoi occhi, dai suoi gesti e dal suo profumo.
Che diavolo mi sta succedendo?

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