Capitolo 7
Esco dall'ultima classe, soddisfatto. E anche oggi ho aiutato dei ragazzini a capire meglio le loro materie.
Sto per dirigermi all'uscita e sto svoltando l'ultimo corridoio, ma arresto il passo. Davanti a me c'è lei.
La bambina. Quella bambina.
«Tu», sbotto.
Si indica, innocente. «Io?»
«No, tua mamma. Sì, tu. Vieni a scuola qui?»
«E tu sei uno studente?»
Mi cade la mascella. Colpo basso. «Non sono così nano, ho pure la barba. Comunque, l'ultima volta che ci siamo visti, mi hai rubato il portafoglio... e abbiamo fatto un incidente. Stai bene?»
«Sono viva, no?»
Ero così sarcastico anch'io alle medie?
Ho passato la giornata in mezzo a ragazzini urlanti, direi che per oggi ho dato. «Sai che c'è? Tienilo pure il portafoglio. Non mi serve».
Sono passati due anni, di sicuro l'avrà rivenduto.
La supero per andare al parcheggio, sono sfinito.
«Aspetta».
Mi volto. Ha gli occhi lucidi.
«Mi accompagni a casa?»
Sta scherzando, vero?
«E i tuoi genitori?»
«Lavorano».
«Prendi l'autobus allora».
«Non ho i soldi per il biglietto».
La ammiro. Vestiti vecchi, strappati e macchiati di vernice. I suoi capelli biondi e corti sono reduci da svariate tinte, come se un arcobaleno li avesse colpiti.
Passai indice e pollice contro gli occhi. «Ripetimi il tuo nome».
Si morde il labbro, insicura, come se se lo fosse dimenticato. «Rachel».
«È il tuo vero nome?»
Guarda altrove. Ovviamente no.
Be', devo solo accompagnarla a casa, no? Non è una mia studentessa.
«Va bene, andiamo».
La accompagno alla mia auto e la faccio salire al posto del passeggero, assicurandomi che stia bene e non sobbalzi.
Rivederla in macchina con me... Non mi provoca bei ricordi.
Mi dice dove andare un po' per volta e ci ritroviamo in un brutto quartiere. Quando mi dice che siamo arrivati, perdo un battito.
Non solo è una rimessa di roulette. È dove abitava Alden. Ed è lontano dalla civiltà.
Rachel è rossa in faccia. Si vergogna. Per tutto il tragitto, la sua pancia ha brontolato. Da quanto non mangia?
«Grazie...»
«Louis», le ricordo il mio nome.
«Giusto. Louis. Ciao».
Apre la portiera e c'è una voce nella mia mente che mi sgrida.
È una ragazzina. È magrissima. Harry non è a casa.
«Aspetta. Se i tuoi sono a lavoro, chi c'è a casa ad aspettarti?»
Raquel fa una strana espressione. Una di quelle di chi sa che i minorenni non dovrebbero stare a casa da soli.
Sono combattuto. Fortemente combattuto.
Lo faccio? No, non lo faccio. Ma non posso lasciarla andare là da sola.
La porterei a mangiare un hamburger da qualche parte, ma rischiamo di venir fotografati e non voglio che la gente mi riconosca costantemente.
«Senti, casa mia non è lontana. Ti preparo la cena e poi ti riporto qui. Che ne dici? Puoi avvertire i tuoi. Ce l'hai un telefono, sì?»
Mi mostra un cellulare vecchio. Almeno quello ce l'ha.
«Scrivi ai tuoi e dimmi che vuoi per cena». Rimetto in moto e guido fino a casa.
Harry non sarebbe d'accordo. Non è necessario dirglielo, giusto?
Mentre Rachel è incuriosita da casa nostra, io preparo un controfiletto e un'insalata. Sto molto attento a lei, sperando che stavolta non rubi alcunché.
Metto il cibo nei piatti e li servo, cominciando a tossire.
«Stai bene?»
Annuisco. Me l'ha chiesto con una vocina così dolce che mi ha fatto sciogliere il cuore.
Mi siedo, senza smettere coi colpi di tosse. È ufficiale, le medicine prescritte dal medico non funzionano.
«Vivi da solo?»
Taglio la carne e l'addento. «No. Con il mio ragazzo».
«Vi amate?»
«Certo».
«State insieme da molto?»
«Due anni».
«Avrete dei bambini?»
Cavolo, e io che pensavo che le mie sorelle fossero chiacchierone. Questa ragazzina non prende fiato tra una parola e l'altra, giuro.
«Non ne abbiamo ancora parlato».
«Perché fai il professore?»
«Perché amo la Letteratura e voglio insegnarla. Hai finito con le domande?»
Occhieggia il mio collo. «Cos'è quel segno?»
Oh oh.
«Quale segno?»
Invece di rispondermi, si concentra sul suo piatto. Finalmente. Mangia voracemente, affamata.
Sento un senso di allarme.
Anche se non insegnavo a lei, ero pur sempre un docente. Ero responsabile di lei. Dovevo chiamare i servizi sociali?
«Puoi farmi un favore?»
«Quale?»
«Non riportarmi a casa».
Lei non me lo chiede, me lo supplica.
I suoi occhioni azzurri, chiari e limpidi, diventano rosso e lucidi. Si sta trattenendo dal piangere.
Questo è troppo. Che diavolo le hanno fatto?
Poso le posate e mi alzo. «Ok, basta. Chiamo la polizia».
«No!», strilla e mi tira per l'orlo della maglietta. «Non farlo. Scusa. Non te lo chiedo più. Non chiamare la polizia, ti prego. Giuro che me ne vado, promesso», piagnucola.
Mi manca tanto così dal cadere in ginocchio e stringerla. La bimbetta furba che mi ha derubato due anni fa non c'è più, c'è solo questa creaturina disperata che chiede il mio aiuto.
Le metto le mani sulle spalle. «Rachel, calmati, non volevo chiamarla per te, ma per i tuoi genitori. Tesoro, i tuoi abiti, la tua fame sfrenata, persino i tuoi denti poco curati... Qualcosa non va in casa tua, lo capisci? I tuoi genitori ti vorranno bene, ma non sanno badare a te».
Piega le testa in giù e singhiozza. «Loro non mi vogliono bene».
«Ma certo che te ne vogliono».
«No, invece. Non farmi tornare a casa. Fammi restare. Loro non se ne accorgerebbe, neanche se stessi via un anno intero».
Sospiro, è una situazione difficile.
Che potrebbero farle in affidamento? Che potrebbero fare a me se pensassero che l'ho rapita?
Ho un grande bisogno di chiedere un consiglio a Evelyn.
Poi... mi viene un'idea. È stupida, ma è pur sempre un'idea.
«Facciamo così. Resti con me per un po', ok? E provo a contattare i tuoi per chiedere loro se gli va bene. D'accordo?»
E magari chiamo anche l'avvocato.
Acconsente e la sua stanchezza si fa sentire. Si abbandona in braccio a me e la porto di sopra, nella stanza degli ospiti. Le levo le scarpe da corsa e la lascio dormire.
Finirò in galera, sicuramente.
Tutto quello che voglio è che lei stia bene.
Per questo ho preso la mia decisione. Chiederò l'affido.
Prima però devo scoprire chi sia, dato che non vuole dirmi il suo nome.
Vado nella camera mia e di Harry e frugo nei suoi cassetti, cercando la chiave di riserva del suo ufficio. Spesso ci lavora Bailey e mi serve la sua esperienza.
Apro svariati cassetti, riconoscendo la calligrafia della mia amica. Cerco tra le sue cose qualcosa che possa tornarmi utile, magari ciò che ha utilizzato per dare alle mie sorelle maggiori la custodia delle più piccole.
La mia mano tocca inaspettatamente un oggetto dalla forma strana e lo tiro fuori. È un... test di gravidanza. Positivo.
Ho dei ricordi. La sua irritabilità. La sua stranezza. La sua stravaganza negli ultimi tempi.
Bailey... e Niall...
Oh, amico. Sei nei guai.
Trattengo la risata e l'urlo di gioia. Diventerò zio.
Mantengo per me questo segreto e cambio cassetti, cercando se per caso ha messo i documenti tra le cose di Harry.
Di nuovo, sbatto con le dita contro un oggetto.
Ok, se è un altro test di gravidanza, prendo il primo aereo e urlo in faccia al mio riccio preferito.
Estraggo ciò che ho preso dal fondo, era nascosto.
Una scatolina di velluto blu scuro.
Sgrano gli occhi. No, non è... Non può essere... O lo è?
La apro, lentamente, e trovo una fede di platino bianco con la scritta "Sposami" nella parte alta della scatolina.
Mi sa che devo smetterla di ficcanasare in giro.
Sì, Harry mi ucciderà. E avrà tutte le ragioni per farlo.
*-*-*
Ma ciao... :)
P
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Sempre Kitta_Angel
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