One day.
Le macchie che costellano il soffitto di camera sua, Manuel ne è certo, potrebbe ormai descriverle a memoria.
Si tormenta steso sul letto, il pigiama ancora buttato sulla sedia e il freddo che lo assale, che poi diventa caldo, che infine diventa impazienza assoluta e pure il cuscino vola per aria assieme alle coperte.
La verità è che non riuscirebbe a prendere sonno nemmeno volendo, non dopo la serata appena trascorsa e il senso di colpa che lo logora dall'interno come un tarlo e che, appena chiude gli occhi, gli materializza davanti la faccia dispiaciuta, forse pure mortificata, di Simone.
Si, ma è stato lui a insistere – gli ricorda il cervello a un certo punto – cosa cazzo vuole da me?
Manuel avrebbe volentieri fatto altro, magari optato, come proposto da un alticcio Matteo, per il classico sette minuti in paradiso, ma no!, Simone aveva dovuto incaponirsi con la scemenza delle domande sul futuro suggerita dal quel maledetto collega di facoltà che gli stava sempre appiccicato.
"Sembra divertente" – biascicava con occhi lucidi dall'alcol – "dai, facciamolo Manu".
E Manu, intanto che sentiva le sinapsi bruciare per quel tono così lamentoso, alla fine accettava e si lasciava trascinare suo malgrado nel gioco.
Che vuoi che succeda?, si diceva ingenuamente, e poi, manco un'ora dopo, si ritrovava con l'attenzione di mezza casa addosso e la gola secca per l'incapacità di rispondere a quesiti all'apparenza banali che spaziavano da «dove ti vedi tra dieci anni?» a «vorresti una famiglia tutta tua?»
Non lo capiva perché ad una stupida festa tra universitari depressi avrebbe dovuto ragionare su come immaginava la vita nella prossima decade, ma probabilmente era un problema solo suo, poiché gli altri parevano essere prontissimi con le loro analisi accurate di ambizioni future che, ancora una volta, lo facevano sentire come l'unico nella stanza incapace di stare al mondo.
Persino Simone, da cui si aspettava più incertezza o almeno qualche tentennamento, era invece convintissimo delle proprie parole, una visione talmente nitida da renderla quasi palpabile anche a chi lo ascoltava.
Gli ritorna il mal di pancia se pensa a come il più piccolo era tranquillo nel dire che "si, io una famiglia la vorrei...qualcuno da cui tornare a casa la sera e di cui sentire la mancanza per tutto il tempo che non siamo assieme" e avverte le mani prudere mentre rivede la faccia di quel coglione del suo amico chiedere se tali desideri fossero nati per caso o immaginando qualcosa di preciso.
"No io– io ho proprio un'idea chiara in testa" bofonchiava il più piccolo col capo chino e improvvisamente paonazzo in viso, tanto che Manuel, forse anche prevedendo ciò che tutti si aspettavano da lui, non perdeva occasione per prenderlo in giro.
E sarebbe stato meglio ricordarselo che la più grande abilità di Simone era sempre – anche se attuata senza realmente volerlo – quella di annullare ogni proposito bellicoso dietro il quale potesse nascondersi, portargli via le armi con un'innocenza che contribuiva paradossalmente ad infervorarlo ancora di più.
Per questo, in risposta al suo strafottente "c'hai vent'anni Simo', come cazzo è possibile che stai già a pensa' ste cose", il lapidario "io veramente ci penso da quando ne ho sedici di anni, Manu.", arrivava come un colpo secco a sconvolgerlo e ammutolirlo per la successiva mezz'ora.
Non che poi avesse granché da dire ogni volta che veniva interpellato.
Alla fine Manuel si era sempre ritenuto il tipo che vive giorno per giorno, senza programmare, che tanto a farlo, seppure con impegno e precisione, viene fuori che al minimo ostacolo bisogna ricominciare daccapo e, tutto il tempo perso a organizzarsi prima, non è servito a niente.
Preferisce piuttosto vedere la vita come un teatro e lui come un attore che non ha mai copioni in mano per leggere battute, ma solo tante scene nelle quali improvvisare e sperare che vada bene.
O questo almeno gli piace raccontarsi.
Che ammettere di temere più di ogni altra cosa il futuro, e l'ignoto che porta con sé, sarebbe troppo complicato, lo esporrebbe ad altri pensieri, ben peggiori e troppo profondi da affrontare, o – dio non voglia – ad un'autoanalisi, il cui esito non è tanto certo di voler conoscere.
Se ne stava in silenzio dunque a sopportare le risposte, talvolta sognanti, talaltra spaventose nella loro puntualità, date dagli amici e avvertiva intanto crescere in sé la familiare sensazione di essere l'ultimo della classe, quello che, mentre gli altri attorno vanno avanti con criterio, rimane indietro a cercare di capire come fare per emularli.
Simone riusciva anche lì a dimostrarsi il più sicuro di tutti, le idee chiare su così tante cose che Manuel iniziava davvero a figurarselo questo Balestra trentenne con la giacca inamidata, la vita risolta e il sorriso sempre stampato in faccia.
La versione adulta di se stesso, invece, non la immaginava per nulla così.
Un fallito o, nella migliore delle ipotesi, un miracolato, se avesse mai finito gli studi e preso un posto – ovviamente come precario – in qualche scuola serale, dove insegnare a gente che a colpo d'occhio ne avrebbe saputo anche più di lui.
Nemmeno nelle fantasie riesco a farmi decente, pensava allora rassegnato e portando gli occhi su Simone che nel frattempo confabulava qualcosa all'orecchio del solito collega.
Non avevano fatto altro che stare appiccati tutta la sera, e Manuel, per quanto il bellimbusto gli provocasse conati di vomito e travasi di bile, non poteva biasimarli.
Anche visti da fuori sembravano perfetti assieme, tanto che pure Giulio, evidentemente incapace di farsi i fattacci suoi, lo aveva fatto presente per ben due volte, guardandolo di sbieco e sperando forse in una reazione che, almeno al di fuori, non aveva mostrato.
Che poi dentro avesse sentito le fiamme degli inferi ardergli lo stomaco e in quello stesso fuoco ci avrebbe volentieri rovesciato Palmieri fino a carbonizzarlo, era un'altra storia.
Simone comunque, per inspiegabile sollievo suo, non lasciava margini di dubbio, ma anzi si premurava di chiarire che erano solo amici e pareva quasi annunciarlo alla tavolata, affannarsi per essere sentito, come se l'informazione non riguardasse solo lui e il tipo in questione, ma fosse necessario condividerla con tutti gli altri.
Sorride pensando ai toni pacati, però fermi, del piccolo, e subito dopo si maledice per non aver saputo cogliere quel momento di vulnerabilità mostrato volontariamente.
Non lo fa apposta Manuel, non c'è un motivo macchinato dietro certi comportamenti, è solo una reazione di autodifesa che scatta in automatico ogni qualvolta sente un'eccessiva pressione addosso.
E durante la serata – con le battutine poco velate di Matteo a ricordargli che con Simone già vivevano assieme da qualche anno e che "da coinquilini a conviventi è n'attimo Manuelì" – di quella pressione ne aveva sopportata pure troppa, al punto che, quando era stato chiamato a rispondere alle stesse domande su futuro ed eventuale famiglia, si era prodotto in una performance di freddezza e distacco poco credibile pure ai suoi stessi occhi.
"E tu Manu come ti vedi fra dieci anni?" domandava Simone con estrema dolcezza e lui, guardando ovunque meno che difronte a sé "di certo non qua dentro" replicava granitico.
"...No?"
"Beh Simò non penserai mica che tra dieci anni io stia ancora appresso a te, no?"
Stringe gli occhi, avvertendo quasi dolore fisico al pensiero di quanto detto poche ore prima, che l'espressione ferita di Simone, quel "no... certo che no" sussurrato a mezza bocca e il mutismo in cui si chiudeva per il resto del tempo, ancora lo tormentano.
La festa di lì a poco pareva spegnersi, come se il rabbuiarsi del più piccolo avesse travolto tutta la casa e pure gli invitati che piano piano iniziavano ad andarsene, fortunati loro a poter scappare da quella situazione scomoda.
Manuel, invece, nel guaio da lui stesso causato, vie di fuga non ne aveva ed era in impacciato silenzio che prendeva a ripulire alla meglio il soggiorno, cercando un contatto anche breve con Simone che però si negava, prima rifugiandosi sull'uscio di casa con il maledetto collega che non smetteva di abbracciarlo – o almeno così gli sembrava di intravedere dalle persiane semichiuse del salotto – dopo intrattenendosi con Giulio, ultimo ad andare via insieme a Monica, e infine, mormorando con un piede nella sua stessa stanza che poi si chiudeva alle spalle "lascia stare... domani finisco io di pulire, Manuel."
Ecco, a pensarci ora, realizza che non gli piace per niente quando l'altro usa il suo nome completo, soprattutto se sembra quasi logorato dal livore, come se con Manuel stesse in realtà dicendo stronzo, coglione, imbecille e altri epiteti che probabilmente al momento merita pure.
E' tanto meglio quando lo chiama Manu, con quel modo tutto suo di pronunciarlo, dove con una parola sottintende sempre altro – tipo ti perdono pure questa volta, si, anche se sei il solito stronzo, coglione, eccetera – e non fa in tempo a sentirselo nella testa, la voce dolce e arrendevole, che un altro suono, quello sgradevole del campanello di casa, arriva a ridestarlo.
Le porte delle rispettive stanze si aprono in simbiosi, così come "l'aspetti qualcuno?" che entrambi pronunciano guardandosi stupiti.
Uno nega, l'altro pure, e sono entrambi assonnati, lui ancora con i vestiti della serata a sgualcirsi addosso e il piccolo con una felpa beige a fargli da pigiama e renderlo ancora più adorabile di quello che già è.
Manuel vorrebbe dire qualcosa, l'istinto di scusarsi lo pervade sempre in modo irruente quando ha quegli occhioni da cerbiatto davanti, ma poi il citofono insiste ancora e il momento di stasi in cui avrebbe potuto farlo è subito passato.
Si precipita all'ingresso a grandi falcate e più avanza più rabbia gli monta dentro, non fosse altro che sono le tre di notte e il mio Simone– il mio coinquilino Simone, si corregge, stava chiaramente dormendo.
Non importa se sull'uscio ci sono ladri o amici che hanno dimenticato qualcosa, in ogni caso gliel'hanno svegliato, e Manuel – "ma lo sapete che cazzo di ore sono o no?" – sbraita furioso spalancando l'anta, salvo poi fermarsi di colpo, sgranare gli occhi e al "ciao piccolé" che riceve dall'altro lato, precipitare a terra svenuto.
Sono delle carezze sul viso e un richiamo sottovoce a farlo rinvenire qualche minuto dopo.
Simone, stretto ancora nella sua tuta morbida, lo guarda preoccupato dall'alto e lui, steso sul divano con le gambe molli e la testa confusa, cerca subito di rimettere in ordine i pensieri prima di parlare.
"Simo" dice come se non lo vedesse da secoli "oddio Simo, non hai idea di che cazzo ho sognato!"
E il piccolo però, mentre "va tutto bene Manu" lo conforta, sembra proprio saperlo, a giudicare dal modo in cui annuisce consapevole e dallo sguardo che fa saettare dal suo viso all'altro divanetto da dove proviene un vociare indistinto.
Manuel ci mette un attimo a tirarsi su, quasi spaccando la testa dell'amico, e a puntare gli occhi verso i due soggetti che, con espressione divertita, già lo stanno osservando di rimando.
"Piccolé, sei tornato tra noi" ripete uno dei due e Manuel, a sentirlo, gradirebbe tanto svenire ancora, o scoprire di star sognando, o qualsiasi cosa insomma gli permetta di capire perché un uomo identico a Simone, solo con abiti eleganti e viso più scolpito, continua a sorridergli estasiato, mentre l'altro tizio, quello che pare lui invecchiato di qualche anno, non smette di ammiccare alla volta del suo imbarazzatissimo coinquilino.
Vorrebbe pure dire una frase di senso compiuto, chiedere almeno chi sono e cosa vogliono da loro queste losche figure – che se cercano soldi hanno sbagliato casa, e se invece è uno scherzo di qualche amico, allora è ben riuscito perché lui si sta davvero cacando sotto – ma tutto quello che riesce a fare è rimanere a bocca aperta e cercare aiuto in Simone, il suo Simone, il quale non si mostra affatto teso, ma anzi, come fosse una cazzo di cosa normale, "vi posso offrire un caffè?", domanda ai due che annuiscono tranquilli.
"Simo'" lo richiama allora a bassa voce mentre lo vede raggiungere la cucina "Si-mo-ne" insiste "dove cazzo vai?, non lasciarmi solo con questi!"
"Ao! Guarda che questi ti sentono!" replica stizzito quello dei due che più gli somiglia e "ma non devi avere paura" aggiunge dolcemente il sosia di Simone "non siamo qui per farvi del male."
E solo a vederlo, con quegli occhi di miele che lo osservano inteneriti, Manuel si rasserena, una familiare sensazione di pace lo avvolge e placa, rendendolo finalmente in grado di rivolgersi a entrambi per – "allora perché siete qui? Chi siete?" – indagare.
"Se ci ragioni un po', lo sai chi siamo Manu."
E in effetti, già dal modo in cui il suo nome viene pronunciato, Manu lo sa.
Che quella dolcezza e premura nel dirlo, come se ogni volta, in una parola, fosse racchiuso tutto il bene possibile, può appartenere solo ad una persona.
"...Simo?"
"Proprio io" gli sorride l'altro e le fossette sono le stesse di sempre e le farfalle nello stomaco mentre lui lo guarda, pure.
"Ma con dieci anni in più, come stavamo dicendo al piccolo Simone" interviene l'uomo al suo fianco che non può che essere il se stesso del futuro.
Manuel rimane per un attimo senza parole.
Già la situazione in generale appare incredibile, via media tra un'esperienza onirica e un'allucinazione da oppiacei, ma è l'immagine di questo adulto identico a lui ciò che più lo sconvolge, lasciando un solo pensiero a rimbalzargli in testa come una biglia impazzita.
Allora non sono un fallito.
Non sono un fallito.
Non sono un fallito.
"Certo che non lo siamo."
Che?
"Che?"
"L'hai detto ad alta voce Manu" ridacchia Simone posando un palmo sulla gamba dell'altro Manuel e lasciandolo lì "che se proprio vuoi saperlo, sei il più giovane docente della tua facoltà, altro che fallito!"
E non riesce nemmeno a ragionare sulla meravigliosa informazione appena ricevuta – o su quanto domestica e giusta sembri la scena del sé adulto a proprio agio nel ricevere quel contatto così intimo – che già Simone, il suo, riappare dalla cucina con un vassoio in mano che poi adagia sul tavolino in mezzo a loro, prima di sedersi.
Non vuole ammetterlo, però vedere gli altri due così appiccati e loro invece mantenere una certa distanza, con il piccolo che si raggomitola sul bracciolo opposto del divano, gli provoca non poco fastidio.
Anche i caffè diventano poi motivo di confronto, quando Simone adulto senza fare una piega rovescia mezzo cucchiaino di zucchero in quello del compagno che lo ringrazia con un schiocco sulla guancia, e lui – per una sorta di stupida competizione autoproclamata – pensa bene di ricambiare il favore al coinquilino, ma ignorando completamente il fatto che quello il caffè lo beva amaro.
E ciò che lo manda più ai matti, è che a dirglielo non sia nemmeno uno dei due Simone, ma la sua versione adulta e, a quanto pare, pure terribilmente antipatica, che con tono saccente e mano ferma, gli blocca il polso e "statte fermo!" lo rimprovera "Simo lo prende senza niente!"
Manuel non ha mai desiderato così tanto darsi un pugno in faccia.
Da lì comincia a guardarlo in cagnesco, affinché l'altro sappia bene cosa sta cercando di comunicargli e porta pure le braccia al petto, un broncio evidente ad incupirne il viso e gli occhi rivolti al più piccolo, il quale nel frattempo si è alzato per accomodarsi vicino allo stronzo che dal futuro è tornato indietro solo per fargli fare la figura dello stupido.
"Lo so cosa stai pensando... ma non è così, te lo assicuro" sente mormorare prima di ritrovarsi faccia a faccia con un Simone solo all'apparenza identico al suo.
Che Manuel non riesce a togliergli gli occhi di dosso da quando è arrivato e se n'è accorto subito di come, del ragazzino insicuro con cui si menava al liceo, o del giovane adulto a volte bisognoso di conferme che vive con lui, è rimasto davvero poco.
E' una persona matura, che ha trovato il suo posto nel mondo, quella che con dolcezza e pazienza gli parla adesso, una che soprattutto non si vergogna di essere ciò che è, né – stando al modo in cui scambia sguardi furtivi e sorrisi complici con l'uomo dal lato opposto del salotto – di amare chi ama.
La rivelazione non lo stravolge più di quanto dovrebbe.
Certo, anche lui vorrebbe guardare il suo Simone in identica maniera, e sebbene sappia che con buone probabilità troverebbe l'altro già pronto a ricambiare, non riesce comunque a sollevare gli occhi dalle sue stesse mani che tortura ansioso.
Un Manuel come quello del futuro, uno realizzato nel lavoro e sereno nella vita, è esattamente il compagno che l'altro meriterebbe.
E lui al momento non è nulla di tutto ciò.
"Mi ero quasi dimenticato di tutte le paranoie che ti facevi a vent'anni, piccolé" mormora ancora Simone prima di lasciargli una carezza sul viso che lo fa avvampare.
"E tu che ne sai?"
"Io ti conosco meglio di chiunque altro" continua prendendogli una mano "anche se al te di ora questa cosa pare stare proprio sul cazzo..."
Non c'è accusa nel tono, né tantomeno rabbia, tuttavia Manuel avverte comunque l'istinto irrefrenabile di non dargli un dispiacere, scuotere la testa e "non è così, te lo giuro!" dire, che gli occhioni apprensivi di Simone sono sempre gli stessi, anche dieci anni dopo, e lui per quelli capitolerà sempre.
"Non è così" gli fa eco l'altro "però stasera ci sono ben due me che ti guardano come fossi la cosa più preziosa del mondo e tu stai ignorando entrambi."
Oh.
Solo allora, alzando lo sguardo finalmente verso il divano opposto, si accorge che il suo Simone – sebbene abbia posato la testa sulle spalle di un Manuel che lo osserva in totale adorazione – non smette di saettare gli occhi anche verso di lui.
Gli sorride pure, in quel solito modo incerto, come se non volesse sbagliare e aspettasse sempre la sua reazione per capire se può continuare o deve scontrarsi con l'indifferenza a cui è ormai abituato.
Qualcosa di simile ad un petardo gli scoppia tra cuore e stomaco pensando a quante volte ha fatto sentire Simone inadatto e quante invece l'altro ha cercato di metterlo a suo agio.
Che l'unica cosa che potrebbe rincuorarlo al momento è vedere come la sua versione adulta sia certamente più capace, per niente spaventata dal contatto con il piccolo, ma anzi propenso a riceverlo e soprattutto a cercarlo, considerando anche la tranquillità disarmante con cui se lo stringe al petto e i "non preoccuparti Simo" che gli rivolge quando lo vede irrigidirsi nel timore di essere allontanato.
Eppure, nonostante sappia sia da pazzi, davanti a quella scena riesce a provare solo gelosia mista ad un illogico complesso di inferiorità, come se i "come sono felice, Manu" mormorati da Simone fossero rivolti a qualcuno che non sia letteralmente lui stesso.
Nemmeno se ne accorge di star borbottando una nenia di "ce dovrei sta io vicino a te a farti felice", fin quando l'altro Simone intreccia le dita con le sue e "ci sei tu!" attesta "possibile che anche davanti all'evidenza non ti rendi conto che il problema non è la mia di felicità?"
E Manuel, per la prima volta in quell'assurda serata ai limiti del paranormale, si scopre davvero terrorizzato da ciò che sta succedendo sotto i suoi occhi.
"Perché siete qui?" insorge cercando di non attirare l'attenzione degli altri due "cosa volevate dimostrare? Che in futuro esisterà un Manuel che ti vuole? Ti sei fatto sto viaggio nel tempo solo per sbattermi in faccia questo, Simo'?"
E, come sempre, quando pensa di averlo messo in difficoltà, quando si illude di averlo ferito abbastanza da allontanarlo – che Manuel ci prova, ma non può proprio credere che una persona come Simone possa volere uno stronzo come lui e allora deve agire in difesa – l'altro gli dimostra, ancora e ancora, che semplicemente si sbaglia.
Non traspare nessun dolore dagli occhi che lo guardano, né rabbia covata pronta ad esplodere, solo una serenità quasi arrendevole che lo angoscia ancora di più.
"Noi non veniamo mica da un futuro certo, Manu" scandisce piano Simone, come se volesse accertarsi che il più piccolo capisca "siamo soltanto quello che i voi di ora potrebbero diventare."
Ci impiega un attimo Manuel a ragionare, a mettere in funzione il suo stupido cervello e reagire.
"Quindi- quindi non è sicuro che saremo così?" mormora stringendo, in un moto di inspiegabile panico, la mano che Simone non gli ha mai lasciato.
"Beh, non è detto... ci sono un'infinità di versioni di te e me che possono realizzarsi, questa è solo una delle tante."
"Ma noi due finiremo comunque insieme, vero?"
Il silenzio che segue gli gela il sangue nelle vene.
Vorrebbe dire tante cose, che sente la testa sovraffollata di pensieri, uno peggiore dell'altro, ma le parole non vengono fuori, schiacciate anche loro dal peso sul petto che pare soffocarlo.
Simone gli carezza il viso con la mano libera, "certe volte mi mancano tantissimo i tuoi ricci" dice con un'affezione nel tono che lo logora ancora di più "che quando credevo non potessi essere più bello di così, ti sei presentato a casa con quei capelli corti, un'espressione insicura in volto e io ho capito di essere veramente fottuto."
"Perché mi stai dicendo queste cose?"
"Perché non so se mi ricapiterà di poterlo fare..."
"Simo' io–"
"Piccolé, ascoltami" lo interrompe perentorio "noi non siamo venuti qui per convincerti a fare qualcosa che non vuoi. Quello che sappiamo io e il mio Manu è esattamente quello che sapete anche tu e il tuo Simone... noi siamo solo ciò che voi potreste voler diventare, ma non siete mica costretti... tu Manu non sei costretto. Magari noi non ne abbiamo idea, ma da qualche parte potrebbe esistere una versione di te più felice con qualcun altro" sussurra a bassa voce "è possibile, no?"
E lui si ritrova a scuotere il capo prima ancora di accorgersene, una lacrima che sfugge e la mano di Simone che quasi fracassa mentre la stringe al petto.
"No, no, no" ripete agitato "non è possibile."
"Non puoi saperlo Manu" insiste l'altro asciugandogli il viso con il pollice "e, per quanto io possa volerlo, non ti obbligherei mai a stare con me."
Tanto basta, nello sconvolgimento di questa semplice dichiarazione, a fargli realizzare ciò che poi avrebbe sempre dovuto sapere.
In qualsiasi tempo o universo – pensa con occhi sgranati – ci sarà sempre un Simone pronto ad amarmi, se solo glielo lascerò fare.
"Non mi importa" scalpita allora con l'urgenza a mangiargli le parole "non mi importa di altre persone, Simo'. Io non sarò mai felice con nessun altro come potrei esserlo con te, di questo ne sono sicuro."
L'altro gli sorride e, nel farlo, appaiono un paio di rughette attorno agli occhi che Manuel prima non aveva notato.
"Lo sai che non sono io la persona a cui devi dirlo..." accenna con la testa al suo Simone che nel frattempo sta bombardando di domande il Manuel adulto.
Sono quesiti molto blandi quelli del piccolo, in realtà, interessato solo a godersi l'interazione pacifica senza ragionare troppo su ciò che viene detto.
Annuisce soprappensiero ad ogni risposta, poi posa la testa sulle gambe dell'altro e, infine, inizia pure a giocherellare con i vari anelli che gli adornano le dita.
"Monica e Giulio?" chiede sfilandone uno per indossarlo "stanno ancora insieme, vero?"
"Certo!, se so pure sposati un paio di mesi fa..."
"Ah, allora avevamo ragione a dire che sarebbero stati i primi della classe a farlo."
E mentre il piccolo sorride, e il suo Manuel pure – che nonostante gli screzi, a quel tonto di Palmieri un po' di bene gliene vuole – l'altro già riprende a parlare e, con una mano a bloccare la sua ancora intenta a giocare con l'anello, "i secondi" chiarisce, carezzandogli poi l'anulare "Monica e Giulio sono stati i secondi, piccolé."
Simone sente il cervello esplodere, tanto che rimane per qualche secondo paralizzato, la fascia d'oro ferma tra le dita e gli occhi che si stringono per mettere a fuoco l'incisione all'interno.
La legge dieci volte, forse venti, ma le parole non cambiano.
Ti amo. Tuo, Simone.
Così recita la scritta accanto alla data e, anche se il cuore gli batta all'impazzata e sa che dovrebbe essere contento, appagato come mai nulla nella vita potrà renderlo, non riesce proprio a smettere di tormentarsi.
Che sembra tutto troppo bello, pensa terrorizzato, e mentre io vorrei solo scoppiare di felicità e urlare, Manuel dall'altra parte mi dirà–
"Amore mio"
Oh?
"Oh?"
"Nel tuo anello" chiarisce il suo Manuel con la fede dell'altro Simone in mano "io nel tuo anello ho fatto aggiungere amore mio."
Non sembra nervoso, né spaventato dall'informazione, piuttosto continua a muovere gli occhi da lui alla fascetta d'oro come se guardasse la stessa cosa.
E Simone, intanto che prova a far rallentare il suo povero cuore impazzito, vorrebbe chiedergli se ha preso una botta in testa o un tranquillante per cavallo, ma, quando va per parlare, l'altro Manuel lo precede, spostandolo con delicatezza dalle sue gambe e annunciando dispiaciuto che adesso devono proprio andare via.
"Siamo stati pure più del possibile" dice rimettendosi in piedi e recuperando la fede che il piccolo rende controvoglia prima di stringersi a lui come non ha mai fatto con nessuno.
Anche salutare il se stesso del futuro diventa poi un'esperienza alquanto commovente, nella quale riceve le scuse di Simone per essere stato troppo severo negli anni passati e le rassicurazioni sul rapporto con Dante che è – giura – più solido che mai.
Scoppia in lacrime infine vedendo il Manuel adulto trascinare in un abbraccio l'altro più diffidente solo per offrirgli, in cinque minuti, tutto l'affetto che in vent'anni di vita non s'era saputo dare.
Gli parla come se non fosse lui stesso il destinatario delle cose che dice, ripetendogli decine di volte che non è un fallito, che non lo è mai stato e che "con uno come noi, ci vuole solo più amore."
Simone poi li accompagna all'uscita a malincuore e continua a guardarli dispiaciuto tanto che Manuel "non me fa sti occhioni Simo'" implora "so quindici anni che me fregano."
Annuisce quindi con rassegnazione piegando il viso verso il basso.
"Allora ciao Manu..." pigola triste, ma sente poi il cuore esplodere quando il più grande glielo risolleva solo per depositare un tenero bacio in fronte.
"Ciao amore mio, ci vediamo presto."
E non lo può sapere, non mentre ancora contempla il vuoto lasciato da quei due, che il presto di cui prima è così tanto vicino nel tempo e pure nello spazio.
Un attimo prima stava cercando qualsiasi scusa per rimanere ancora un po' sull'uscio e fantasticare su un futuro forse impossibile – che già le immagina le mille scuse del coinquilino pur di non parlare nemmeno di un evento come quello appena capitato – il successivo si ritrova dentro casa e sbattuto contro la porta da Manuel, che lo stringe e "ma che cazzo facevi ancora la fuori Simo'?" gli mormora ad un centimetro dalla bocca.
"Magari speravo che l'altro Manuel tornasse indietro a prendermi..."
"Quello deve stare al posto suo" ed è talmente assurda la reazione di gelosia, così come il destinatario della stessa, che Simone non può fare a meno di scoppiare a ridere incredulo.
"Simo' non c'è niente de divertente qua, se non stava quel modello del marito, lui ce provava davvero..."
"Anzitutto lui eri tu" gli fa presente mettendo un po' di spazio fra i loro corpi "e poi pure che fosse?" continua alzando appena la voce "Almeno così ho scoperto che tra i migliaia di universi possibili ce n'è uno in cui tu mi vuoi! Mo neppure questo ti va bene? Manco sto conforto posso avere?"
E non era così che si era immaginato la scena Manuel – che per una volta avrebbe voluto dimostrarsi delicato, o certamente meno impaziente – ma Simone sto viziaccio di straparlare non se lo vuole proprio togliere, e allora può soltanto "ao e mo m'hai rotto il cazzo!" sbraitare, prima di afferrarlo per il colletto del pigiama e far collidere le loro labbra.
Simone ci mette qualche secondo a capire, gli occhi sgranati che pian piano socchiude e i mugolii sorpresi con cui accoglie la lingua calda dell'altro, fino a quando non è lui stesso a condurre il bacio.
"Manu" annaspa dopo un po' "ma che cazzo fai?"
"Te faccio vede' come ti voglio pure in questo universo..." replica Manuel strofinando il naso col suo "se a te vado bene Simo', io ti voglio pure ora."
"E- e quella storia del dover stare appresso a me anche fra dieci anni? L'hai detto tu prima che non dovevo pensarlo..."
"Infatti... volevo dire che dieci sono troppi pochi."
"Si?"
"Si... pensane almeno cento, amore mio."
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nota dell'autrice:
in primis vorrei chiarire che, sebbene possa sembrare, non c'è stato alcun consumo di sostanze allucinogene durante la stesura di questa os.
Ci tengo davvero tanto a ribadire che non do mai, mai, mai per scontato tutto l'affetto ♥️
P.s: il titolo viene da un brano dei Pink Floyd.
Ciao!🧚♀️
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