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Parte 1

Nella Sala Comune dei Wampus, quella mattina, non era rimasto proprio nessuno. Nessun giovane vestito in blu e rosso scorrazzava per i corridoi che portavano ai dormitori, si accasciava stanco sul divano o davanti al caminetto.

Le lezioni della giornata sarebbero iniziate a breve e di solito gli studenti accorrevano in forte anticipo per conquistare i posti migliori, come se quest'ultimi fossero un grosso e luccicante premio a cui non si poteva rinunciare.

La calma piatta fra quelle stanze era, quindi, una piacevole routine che gli studenti rispettavano come fosse una regola, lasciando i dormitori custoditi da un paio di topolini domestici che gironzolavano, rosicchiando le gambe del tavolo situato nel centro della stanza, e da un gattone rosso il quale dormiva beato sul davanzale dal caminetto spento.

Da una finestra aperta entrava la luce del giorno e un venticello fresco, che sventolava una pesante tenda in ciniglia rossa carminio, creando un macello di fogli che volavano e oggetti che rotolavano sul pavimento, ostacolando il via vai dei due topolini; sul tavolo in legno massiccio a causa del caos non era rimasto niente, oltre un rospo burbero e gracidante.

Il rumore del portone dorato che veniva spalancato dall'esterno sovrastò di poco il frusciare del vento e, in un respiro sconsolato, una ragazzina sgusciò nella sala, richiudendo l'uscio subito dopo. Il vento l'avvolse nella sua danza birichina, spettinandole i lisci capelli corvini, e alzandole la gonna della divisa. La strega, con uno sbuffo, si mosse di qua e di là per la stanza, facendo lo slalom tra gli animaletti dei suoi concasati, con lo scopo di fermare il ciclone che le stava rovinando l'acconciatura.

Troppo bassa per raggiungere la maniglia, la strega fu costretta ad arrampicarsi su uno dei tre divani a due posti che erano poggiati al muro, si mise in punta dei piedi e raggiunse la manopola della finestra, emettendo un sospiro consolato quando l'ordine venne ristabilito e le cartacce si afflosciarono sul pavimento, come sull'erba le foglie in autunno.

La ragazzina scrutò il disastro causato dal vento con due piccoli occhietti verdi. Con un balzo scese dal divano per atterrare sul parquet scricchiolante e, osservando il grande orologio a pendolo accanto all'ingresso, si rese conto che quel giorno avrebbe partecipato alla lezione di Pozioni dall'ultimo banco in fondo alla classe.

Un'espressione annoiata le si dipinse sul volto pallido; odiava arrivare tardi a lezione, ma per sua sfortuna si era resa conto troppo tardi di aver dimenticato qualcosa di fondamentale, un oggetto senza il quale non avrebbe avuto senso raggiungere una qualunque classe.

Così, ormai rinunciataria a guardare la lavagna con il binocolo, si affiancò alla porticina ad arco che conduceva ai dormitori, percorse il solito corridoio lungo e stretto osservando le pareti rivestite da numerosi grandi quadri con raffigurati uomini e donne di spicco provenienti dalla casa dei Wampus. Svoltò a destra, poi a sinistra, perdendo l'orientamento fra i cunicoli stretti e illuminati solo da qualche candela appesa al muro, fino a giungere a un vicolo cieco, costeggiato da un ampio finestrone che affacciava sul verde e spazioso cortile della scuola.

La ragazzina guardò giù, ingoiò della saliva pervasa dal senso di vertigini e poi svoltò a destra, dove una scala conduceva a due porticine, nascoste dalla supremazia della vetrata, una la gemella dell'altra: entrambe fatte con la quercia rossa, basse tanto da costringere la maggior parte degli studenti a chinare la testa per entrare, con intagliata la creatura a sei zampe che rappresentava la casa e un pomello bagnato nell'oro con su inciso un piccolo nodo gordiano.

La strega aprì la porta del dormitorio delle ragazze, girando la maniglia che fece due scatti, si trovò di fronte a una stanza enorme con numerosi letti a castello disposti in due file: una appoggiata al muro di sinistra e una a quello di destra. Qualche candela accesa illuminava lieve la stanza, ma viste le sue dimensioni rimaneva lo stesso cupa e troppo fredda. A parer suo i dormitori erano un luogo piacevole solo nelle ore notturne, durante il giorno avrebbe volentieri evitato di entrarci.

Il parquet scricchiolava a ogni passo che la strega muoveva all'interno della stanza, che era talmente vuota da creare un eco da mettere i brividi. Da lontano intravedeva il grande finestrone che permetteva l'ingresso di qualche spiraglio di luce e si consolò quando notò che almeno esso era chiuso, già immaginando che fine avrebbero fatto in caso contrario le divise che poggiavano disordinate sui bauli delle ragazze.

Raggiunse il suo letto, situato proprio nel centro della stanza, di fronte a un bel tappeto carminio; anch'esso aveva inciso un Wampus. Sbuffò e allungò la mano verso il comodino. La sua bacchetta era lì, ferma, in attesa che lei la prendesse per portarla con sé e così fece.

Osservò il suo catalizzatore, ricordando il giorno dello smistamento e il momento in cui le era stato dato in dono.

Legno di tiglio argentato, corda di cuore di Alastridente, flessibile e lunga dieci pollici.

«Wow» aveva detto lei, stringendola per la prima volta fra le mani. Era proprio una ragazzina, non che ora fosse una donna, ma erano passati ormai tre anni da quella celebrazione e sperava di aver vissuto qualcosa in più rispetto alla bambina di undici anni che aveva visto l'intaglio di legno del Wampus ruggire per lei. Quel giorno il suo cuore aveva perso un battito all'idea di sentirsi una guerriera.

Scosse la testa, per tornare con i piedi per terra e concentrarsi sul ritardo a cui ormai non poteva rimediare. «Tutta colpa tua!» maledisse la sua bacchetta.

Con un sospiro profondo tornò sui suoi passi, socchiuse la porta del dormitorio e percorse il tragitto apparentemente infinito verso l'uscita.

Tornata al suo punto di partenza, la Sala Comune, alzò lo sguardo verso il grande orologio, ingoiò della saliva e strinse gli occhi, quasi non volesse crederci di avere ben dieci minuti di ritardo.

«Audrey!» esordì una voce amica, mentre una nuca castana sbucava da sotto il tavolo, la bocca spalancata dallo stupore e delle lentiggini sbarazzine che gli tappezzavano il naso, «ma si può sapere cosa ti dice la testa? Mi sono voltato un attimo per prendere del succo d'arancia ed eri sparita... Sono andato nell'aula di Pozioni e non eri neanche lì, pensavo ti avesse rapita uno di quei burberi Magicospini!»

Alla giovane uscì spontanea una risata, mentre si avvicinava al compagno per offrirgli una mano e aiutarlo ad alzarsi dalla scomoda posizione a carponi in cui si trovava.

«Non serviva preoccuparsi, Ed. Avevo dimenticato questa» disse lei, alzando con la mancina la bacchetta e sorridendo per l'apprensione, mentre l'amico stringeva il suo palmo destro per mettersi di nuovo in piedi.

Edward sorrise e si ripulì la divisa blu e rossa da una polvere leggera, soffiando poi verso chioma castana che gli ricadeva disordinata su due piccoli occhietti marroni.

«Avresti potuto avvisarmi, almeno uno di noi due non avrebbe fatto ritardo» borbottò lui. Eppure Audrey era convinta che il ragazzo fosse più felice all'idea di fare tardi con lei, che lasciarla sorbirsi da sola un rimprovero. Era il suo migliore amico e fin dai loro primi momenti a Ilvermorny erano sempre stati insieme, come due fratelli. Lei sentiva che fossero uno la forza dell'altra.

Un secondo sguardo di lei al grande orologio convinse entrambi ad affrettare il passo, non potevano permettersi altre chiacchiere, il castello era enorme e l'aula di Pozioni, sfortunatamente, non era proprio dietro l'angolo.

Senza ulteriori moine, Edward strinse la mano di Audrey e la trascinò fuori dalla stanza. La ragazza, talmente non se lo aspettava, che inciampò sui suoi stessi piedi e quasi finì a terra, ma chissà come riuscì a mantenere l'equilibrio.

Chiusero la porta della Sala Comune e oltrepassarono l'arco su cui erano intagliati tre Wampus e in numeri romani vi era scritta sotto la data di nascita e di morte di Webster Boot, il fondatore della casa. Poco oltre, un imponente e bellissimo affresco sul soffitto raccontava la storia di Ilvermorny dalle origini di Isotta Sayre, fino alla sepoltura della bacchetta di Serpeverde. Audrey si era più volte fermata fuori della Sala Comune a osservare quei maestosi dipinti, narrandosi da sola quelle splendide avventure.

Sotto l'affresco vi era una balconata che affacciava su una bellissima scala di marmo. I due ragazzi scesero quegli scalini due a due, troppo frettolosi per poggiare le mani sul corrimano placcato in oro, e quando Ed giunse agli ultimi due scalini fece un salto e atterrò in piedi.

Audrey lo guardò sbuffando, mentre lui sembrava entusiasta del proprio balzo. Senza perdere altro tempo gli voltò le spalle e sgattaiolò per il corridoio che sembrava non avere fine. Passò davanti a numerose porte, alcune erano aule che conosceva come le proprie tasche, altre erano chiuse da incantesimi che non potevano essere spezzati da un semplice Alohomora. In fondo al corridoio vi era una tenda in seta dorata, attaccata a un arco in legno, che nascondeva una seconda piccola scala, stavolta a chiocciola e di metallo.

Audrey ed Edward iniziarono a scendere ancora più in basso, stavolta i loro movimenti rimbombarono per l'intero stretto passaggio e a ogni passo, più rumoroso del precedente, i due stringevano i denti e ingoiavano della saliva.

Camminarono quatti quatti, evitando anche il più piccolo dei rumori, perché se fossero stati scoperti non sarebbe stato affatto facile giustificare il loro ritardo davanti alla preside, mentre Audrey era certa che la professoressa, nonostante fosse anche lei un osso duro, avrebbe avuto pietà dei due.

Ormai in fondo alla scala, la strega rivolse uno sguardo in su, costretta a strizzare gli occhi per scorgere il soffitto che era lontanissimo.

«Non c'è tempo da perdere» disse Ed con una voce piccola e quasi femminile, afferrandole il braccio e guardandola con gli occhi di chi implorava.

Percorsero un tunnel di pietra, privo di porte laterali o finestre, l'aria puzzava di zolfo e i loro passi rimbombavano per tutto il corridoio; concentrandosi avrebbero potuto udire il rumore dell'acqua che passeggiava nelle tubature sopra di loro.

«Non c'era un'altra strada?» domandò Audrey, conoscendo già la risposta.

«Che ci evitasse di esser visti da spillati e professori? No» rispose categorico Edward.

Lei tornò a guardare in basso, gli si accostò e camminarono spalla contro spalla, senza rivolgersi alcuna parola. La strega iniziò a pensare che Ed fosse arrabbiato con lei, ma continuava a convincersi che fosse impossibile, visto che fino a quel momento non avevano mai litigato e che in confronto ai trascorsi quel piccolo incidente era una sciocchezza.

Durante il tragitto la studentessa venne distratta da una goccia che le cadde sulla testa, si bloccò alzando gli occhi verso l'alto e una nuova scintilla di acqua fresca e cristallina le bagnò la punta del naso, si pulì velocemente con l'indice, ignorando il problema che si accorse essere degenerato in una pozza d'acqua che le bagnava le suole delle scarpe.

«Mi sa che questa perdita non l'ha notata nessuno» disse sbuffando, indagando con lo sguardo. Le sue parole risuonarono per il tunnel ed Edward la ignorò visibilmente.

«Qualcuno sì!» A rispondere fu una voce grossa e burbera, che fece accapponare la pelle a entrambi i ragazzini che d'istinto sobbalzarono.

L'eco trascinò le parole della figura sconosciuta fino in fondo al corridoio e Audrey guardò Ed con due occhi piccoli e imploranti perdono. Sarebbero sicuramente stati puniti.

«Qualcuno sì» ripeté la voce, stavolta più vicina e più umana.

Audrey vide l'ombra piccola e ricurva avvicinarsi, finché la forma sconosciuta non prese le sembianze di un Magicospino nervoso e rosso di rabbia che teneva le braccia incrociate al petto.

I due erano abituati alla vista delle creature dal viso grigio e le due orecchie enormi, ma non sarebbero mai riusciti a familiarizzare con il loro odio nei confronti degli umani, e degli studenti in particolare.

«Mi scusi, non volevamo disturbarla. Stiamo andando via» disse balbettando Edward con la stessa voce alterata e femminile con cui si era rivolto prima all'amica.

«Via?» chiese sospettoso, grattandosi il mento con la zampa destra. I maghetti annuirono. «Non credo proprio. Adesso voi andrete a prendere degli stracci per pulire, mentre io riparo la falla» disse senza permettere obiezioni.

«Ma... non servono, abbiamo queste» rispose confusa Audrey, che realmente non capiva il bisogno degli stracci in quella situazione, vista l'esistenza delle bacchette e della magia.

«E a me non frega un piffero dei vostri bastoncini! Su, veloci, o ne avrò da ridire con la preside» esclamò alterandosi il Magicospino.

La ragazza guardò l'amico, che, appena incrociò la sua occhiata confusa, sibilò: «zitta, che se questo qui va fuori di testa non ci arriviamo più in classe.»

Per reazione Audrey strinse i pugni ed evitò di sbuffare, insieme a Ed percorse il tunnel al contrario. Salendo per la scala a chiocciola e scostando la tenda dorata, tornò nel salone principesco. Lì c'era uno stanzino, riconoscibile da una porta in legno scheggiata e poco frivola rispetto alle altre.

La ragazza attese fuori, lasciando entrare Edward, mentre sentiva il cuore battere forte per paura che qualcuno la vedesse lì durante l'orario destinato alle lezioni. La sua giustificazione, ovvero il prestare aiuto al Magicospino, sapeva tanto di pretesto per scorrazzare libera per il castello.

Ed uscì dallo stanzino impolverato dalla testa ai piedi e con un paio di ragnatele attaccate alla divisa, un secchio con dentro delle pezze vecchie e bucate nella mano destra e la bacchetta stretta nella sinistra.

«Non posso crederci che lo stiamo facendo veramente» sospirò lui, mentre fiondava il secchio in direzione di Audrey. Lei lo strinse con entrambe le mani per attutire un colpo fin troppo forte.

«Nemmeno io» rispose la ragazza. Si rese conto nel mentre che Ed non le stava più di fronte, ma si era ormai incamminato verso la scala a chiocciola che portava nel tunnel, ignorando volutamente Audrey, la quale iniziava a convincersi di dover affrontare il suo muso lungo prima o poi.

I maghetti tornarono dal Magicospino, che li attendeva fischiettando appoggiato alla parete in pietra. Audrey notò che la perdita sopra al soffitto era stata riparata e tra sé e sé commentò il fatto che l'esseraccio antipatico avesse usato la magia.

Posò il secchio a terra e sbuffò sotto lo sguardo indagatore della creatura, poi si chinò di fronte a esso per raccogliere uno straccio, le ginocchia poggiate sulla pietra le dolevano come chiodi che perforavano le ossa e la poca luce la costrinse a battere gli occhi due volte per assicurarsi di aver visto bene.

Dove una volta vi era una pozzanghera traboccante d'acqua, adesso non era rimasto altro che sassolini e un po' di polvere. Audrey toccò il terreno e non lo sentì neanche umido. Ed accanto a lei era altrettanto stupito.

«Ci hai presi in giro!» esclamò il ragazzo che in un secondo era già in piedi e puntava l'indice contro il Magicospino.

La creatura rise beffarda con un'enfasi fastidiosa. Esclamò: «Proprio stupidi, voi umani» e senza smettere di sbellicarsi si lanciò a terra tenendosi la pancia.

I giovani si guardarono, Audrey confusa e annoiata fece un sospiro profondono ed Edward digrignò i denti, riducendo gli occhi a due fessure che convinsero la ragazza ad afferrarlo per la mano e continuare il tragitto verso la classe, prima che facesse qualcosa di cui si sarebbe pentito di sicuro.

I due continuarono a camminare in silenzio, le risate del Magicospino li seguirono come un eco fino a fuori dalla galleria, che terminava con una seconda tenda dorata che affacciava sul pianterreno.

Il corridoio era deserto, sembrava che quel giorno Ilvermorny fosse rimasta ferma fra le lenzuola e gli unici a non saperlo fossero Audrey ed Edward.

La ragazza fece capolino da dietro la tenda, il cuore le batteva forte nel petto per paura che qualche adulto potesse sorprenderla proprio in quel momento, a pochi metri dalla sua destinazione.

Fece cenno di via libera a Edward e si nascose dietro una colonna in marmo, adocchiando un'uscita secondaria. Le braccia e le gambe le tremavano come non mai e il fiato sembrava essersi bloccato in gola, non riuscì a proferire alcuna parola, neanche a sussurrarla.

Contò fino a tre, poi si voltò verso il suo obbiettivo, raggiungendo la porticina in legno che affacciava sul cortile.

Venne investita dall'aria fresca della mattina, il mese di novembre era freddo e noioso, con foglie giallognole che sporcavano il prato e rose smunte che si rovinavano sul pavimento, ma Audrey adorava la luce del giorno e si godé quella frescura per il breve tempo che Ed impiegò a raggiungerla.

Attraversarono il giardino a testa bassa, con una fretta non indifferente, ignorando alcuni studenti che si trastullavano lì intorno, ridendo e giocando tra di loro con i cumuli di foglie secche.

Raggiunsero un'ampia vetrata dalle finestre oscurate, poco distante vi era la porta dell'aula di pozioni. La studentessa camminò spalla contro spalla con il suo compagno, trattenendo il respiro mentre il cuore le batteva forte nel petto.

Meravigliati si rivolsero uno sguardo confuso, quando raggiunsero l'ingresso e trovarono la porta spalancata e, buttando un'occhiata all'interno, l'aula totalmente vuota.

I due giovani sembrarono capirsi, mentre un misto di paure sconosciute si diffusero per i loro corpi e Audrey notò la fronte di Ed aggrottarsi e la sua carnagione pallida colorarsi di un rosso porpora che metteva i brividi. Sembrava una bomba pronta a esplodere.

Audrey fece un passo per oltrepassare l'ingresso ed Edward la trattenne. Mimò con l'indice di fare silenzio e si schiarì la voce. «C'è nessuno?» domandò il ragazzo con un tono piccolo e tremante.

Non udirono alcuna risposta. Audrey allungò il collo per scorgere un qualunque viso familiare o qualche penna poggiata su un banco – il che avrebbe almeno dimostrato la presenza dei compagni -, ma non vide niente.

I due sospirarono, l'orologio segnava le ore nove e quarantacinque, la lezione sarebbe terminata tra non meno di quindici minuti.

Un po' consolata e altrettanto confusa la ragazza varcò l'uscio meno agitata di quanto fosse qualche attimo prima, ritrovandosi in una stanza cupa, buia e deserta, Ed la seguì nell'incerto. Non capiva proprio cosa stesse succedendo. Entrambi si accomodarono su uno dei tanti banchi vuoti.

Audrey prese la cartella e la poggiò accanto alla sua sedia di legno, afferrò la bacchetta pronta per metterla sul banco e, tempo che concluse quella solita routine, si ritrovò di fronte la minuta insegnate di Pozioni.

Un viso di rughe e piaghe, un paio di occhiali squadrati e un abbigliamento decoroso e adulto, fatto di camicia a quadri e gonna di lana, coronato da un paio di mocassini verdi e blu.

Audrey alzò lo sguardo, osservò con la coda dell'occhio Edward, bianco come un lenzuolo, proferire il solito: «Buongiorno, professoressa Kaitwall!» con un tono che tremava quanto il suo smilzo amico.

Aspettandosi un altrettanto caloroso saluto, lei sorrise appena, lasciando che la penna d'oca e la pergamena riversate sul banco parlassero anche per sé.

«Buongiorno anche a voi, dormiglioni» rispose la professoressa con la voce gracchiante da anziana, allargando le labbra in un sorriso fin troppo amichevole.

Audrey iniziò pian piano ad avvampare di vergogna; seduta con le gambe strette e la schiena dritta, le sue mani che sporgevano di poco da sotto il banco, si sentì come un topo in trappola, mentre la Kaitwall continuava a sorridergli e spostarsi da dietro la cattedra a passi veloci, in direzione dei due ragazzi.

«Quasi non ci avevo fatto caso alla vostra assenza,» li guardò con gli stessi occhi di una nonna sorpresa dal figlio nel donare qualche galeone al nipotino, «ma ormai siete qui...» sospirò, «e già che siete qui vi lascio i compiti, sì» concluse.

Edward annuì, sembrava aver perso la parola e la ragazza non era da meno. L'insegnate non sembrava troppo arrabbiata, ma, in fondo, alla sua veneranda età la voglia di litigare con ogni studente scivolava via come la cera di una candela accesa.

A piccoli passi si mosse al di là della cattedra, Audrey nel mentre voltò il suo sguardo verso Ed che non accennò a un minimo di confidenza nei suoi confronti, poi vide la Kaitwall tornare e si riposizionò rigida com'era.

«Ecco qua.»

Consegnò un paio di fogli di pergamena, accovacciandosi un po' per appoggiarli sul banco occupato e disse: «Questi sono per giovedì, gli stessi che ho dato ai vostri compagni... I compagni che proprio ora sono qui fuori, in cortile, e che hanno assistito alla lezione, svegliandosi in orario al contrario di voi.» Li rimproverò con lo sguardo. «Per questa volta non avrete alcuna punizione, ma alla prossima marachella, che potrebbe anche essere un'insufficienza proprio in questi compiti qui, sarete puniti.»

Così li congedò, lasciandoli fra i banchi da soli, a guardare segni e lettere che capivano a malapena.

Audrey osservò quel foglio di pergamena inquieta, pozioni era una materia in cui trovava parecchie difficoltà... Già assistendo alle lezioni non riusciva ad andare oltre alla A di Accettabile, non riusciva a immaginare quale sarebbe stato il suo esito riguardo l'indice di Assuefazione e la Tossicità.

Il silenzio si fece spazio tra i loro sospiri, entrambi i giovani erano rimasti seduti sul banco a osservare quello che sarebbe stato un biglietto di sola andata per la punizione appena scampata. Audrey guardò Edward e gli sorrise appena, mentre con una voce piccola piccola gli propose: «Li possiamo fare insieme, così ci aiutiamo a vicenda.»

Lui si alzò dalla sedia, fece cenno di no con la testa e, rivolgendole uno sguardo vuoto di ogni compassione, disse: «Studierò da solo. Non la voglio proprio una punizione per colpa tua.» Il suo tono era vuoto, quasi annoiato, fece un sospiro profondo e raccolse la sua cartella, infilò pergamena e penna d'oca dentro quest'ultima, prima di lasciare l'aula senza neanche salutare la ragazza.

Audrey sentì il mondo caderle addosso, il suo unico amico la odiava per quella che lei credeva una sciocchezza e un compito difficilissimo le pendeva dalle mani. Avrebbe tanto voluto non esser tornata in Sala Comune per prendere la bacchetta.

Qualche minuto prima delle nove, raccolse tutte le sue cose, mentre malinconica pensava al comportamento di Edward; uscì dalla classe, accostando la porta, e nel cortile non trovò nessuno oltre qualche civetta poggiata sui tronchi di un albero.

Si avviò verso la seconda lezione della giornata, Incantesimi; almeno quella volta, forse, non sarebbe arrivata in ritardo.

***

Tra dubbi e incertezze, sì e no, il desiderio di strappare i compiti e quello di imparare l'intero libro di Pozioni Avanzate a memoria, Audrey si sentiva impazzire.

Aveva passato tre interi pomeriggi sdraiata sul suo letto nel dormitorio delle ragazze, con il manuale di Pozioni poggiato sul viso, come a volersi stampare tutte quelle formule e parole nella mente senza fare alcuna fatica, oltre quella di sbuffare e sospirare.

Il tempo stringeva e le rimaneva solo qualche ora prima di dover affrontare l'insegnante e la sua probabile punizione. Si sentiva afflitta all'idea dell'umiliazione che avrebbe ricevuto davanti l'intera classe, formata da ragazzi del terzo anno appartenenti ai Wampus e alla casa di Serpecorno... praticamente metà dei suoi coetanei l'avrebbe vista rossa in viso dalla vergogna.

A questo pensava Audrey durante la colazione, mentre affondava la forchetta nei dolci pancake con lo sciroppo d'acero, sbuffando, con un braccio poggiato sul tavolo che le reggeva la testa e gli occhi semichiusi, ancora nel mondo dei sogni, ignoravano studenti grandi e piccoli accanto a lei.

Lasciò metà della sua pietanza nel piatto, giocando con le posate per far sembrare che avesse mangiato di più di quanto avesse realmente fatto e, annoiata, rivolse lo sguardo oltre il suo tavolo, notando un Edward seduto agli estremi della sala che si ingozzava di ciambelle con la glassa. Sembrava meno turbato di lei e questo la rese ancora più triste.

Con una flemma insolita si alzò da tavola prima dei suoi compagni. Il refettorio, osservato da sopra le nuche degli altri studenti, sembrava più piccolo e meno sfarzoso di quanto realmente fosse. Pareti bianche e marmo avorio dominavano la sala, sulla quale pendeva un lampadario a sei punte di cristallo color champagne, diversi piccoli tavoli rotondi, con posizionate otto tovagliette americane per ognuno, giravano attorno a un nodo gorgogliano su cui era posizionato il tavolo degli insegnanti. Anch'esso apparecchiato da tovagliette, più un calice per ogni coperto.

I suoi compagni seduti nei tavoli da otto mangiavano tutti insieme. A Ilvermorny funzionava così, non c'era alcuna distinzione tra studenti di case diverse e ciò non sembrava creare alcun contrasto.

Audrey sbuffò insolitamente forte e si incamminò oltre le chiacchiere, le uova e le pancette, aprendo e poi socchiudendo la porta della sala da pranzo.

Percorse a testa bassa la strada che la divideva dal cortile e si accasciò sugli scalini dell'ingresso. Talmente rancorosa ignorò un Magicospino che proprio accanto a lei stava lucidando la statua della co-fondatrice Isotta e si perse fra i sospiri.

Rimase lì, seduta sugli scalini per un po', osservando il tempo scivolarle via e la sua condanna giungere con prepotenza; la cartella poggiata distrattamente accanto, come unica compagna. Un sole debole faceva capolino da dietro qualche nuvola scura, anch'esso solo e all'apparenza malinconico. L'erba vicina sembrava fin troppo alta, un paio di uccellini scorrazzavano nei dintorni e si poggiavano sui tronchi degli alberi, evitando volutamente il maestoso rettilegno.

Sospirò e si perse nell'immagine perfetta che si trovava davanti, un momento che avrebbe apprezzato sicuramente di più in un giorno migliore.

La sua pace venne interrotta da una voce roca che le parve di riconoscere. «Quante cavolate! Ovvio che il volume di una dose efficace non è lo stesso per ogni pozione...»

Audrey si voltò verso l'interlocutore, lo stesso Magicospino burbero che stava lucidando la statua e che riconobbe essere la creatura che le aveva dato filo da torcere qualche mattinata prima. La ragazza sospirò, notando che quest'ultimo stringeva fra le dita i suoi compiti, mentre con sguardo saccente leggeva ogni quesito. Probabile avesse sfilato il foglio dalla sua cartella che, rivolgendole uno sguardo, notò aperta.

«Non è semplice come sembra» disse lei, ancora soprappensiero.

«No, infatti lo è molto di più. Queste cose sono elementari, cara. Io le so da quando sono nato.» Sembrò volerla rimproverare. «Davvero fate queste sciocchezze a lezione?» stavolta parlò quasi divertito.

Audrey lo guardò con la stessa noia di poco prima, finché non le passò per la mente un'idea che lì per lì le sembrò geniale. «Potresti farli tu al posto mio, sempre se davvero le credi sciocchezze...» gli disse a quel punto, con tono provocatorio e un sorriso a trentadue denti sul volto.

Il Magicospino strinse il compito della ragazza al petto e sorrise sotto i baffi. «Finalmente, qualcosa con cui divertirsi!» esclamò, agitando le braccia.

Lei prese la penna d'oca che aveva poggiato distrattamente nella cartella di cuoio e, sorridendo, la porse alla creatura.

Lui la strinse con prepotenza e, sfidando la ragazza, iniziò a segnare le crocette. Lei, osservandolo, pensò che stesse agendo un po' a caso e ingoiò della saliva nella speranza di risparmiarsi l'insufficienza.

Il magicospino impiegò pochi minuti per completare tutti i compiti e riconsegnare il foglio di pergamena alla sua proprietaria.

Lei sorrise e lo ringraziò. «Mi hai salvato la vita» disse, stringendo la creatura fra le braccia piccole e ossute. Lui, soffocato dalla stretta, rispose: «Più piano, però. Più piano» con un tono infastidito, mentre con le zampe tentava di liberarsi.

Il sole sembrava esser tornato a splendere nei sogni di Audrey, addirittura pensare a Ed non sembrava poterla più ferire. Il suo unico pensiero era l'espressione dell'amico una volta che i suoi compiti fossero stati corretti. Lei già vedeva una grande e grossa E sul fondo della pagina, coronata dall'espressione sbalordita del compagno.

Persa in questi desideri, Audrey raggiunse l'aula di Storia della Magia, lezione antecedente a Pozioni.

L'intera ora fu un susseguirsi di sbadigli e lamenti da parte della classe. Audrey si sedette accanto a una studentessa di Tuono Alato con cui non aveva mai parlato e che le parve fin troppo noiosa.

Osservò l'orologio per tre quarti dell'ora, per la parte restante si concentrò nell'osservare Ed, seduto in fondo alla classe, annoiato quanto lei.

Al termine della lezione, Audrey sembrò compiacersi nello scoprire che la battaglia di Hogwarts si era conclusa con la vincita di Harry Potter su Voldemort, ma ancora di più nel sentire l'anziano insegnante paffuto dire: «... e con questo è tutto, nella prossima lezione parleremo delle conseguenze delle azioni di Voldemort a livello internazionale. Mi dispiace per chi sperava di anticiparsi, ma non troverete niente riguardo a ciò sul vostro libro.»

L'insegnante di Storia della Magia era un fanatico, fissato con gli eventi che avevano scosso il Regno Unito una decina di anni prima, noioso quanto bastava da far addormentare un caffè-dipendente, ma almeno non esigeva granché.

Audrey fece un ultimo sbadiglio, preoccupandosi di nasconderlo dietro la mano destra, prima di raccogliere le sue cose e indirizzarsi insieme ai compagni di casa verso il cortile.

Le porte dell'aula di Pozioni erano spalancate, davanti a quest'ultime un cartello con una fiammeggiante freccia rossa indirizzava verso un cestino di legno. "Compiti qui" diceva il cartello, Audrey arrotolò la pergamena e la gettò fra le sue fauci, ingoiando della saliva.

Alzò lo sguardo dalla cesta e notò che anche Edward sembrava piuttosto preoccupato. In quel momento trovò il coraggio di dirgli: «Andrà bene, stai tranquillo.»

Lui sembrò stupito di quelle parole, ma sorrise e rispose con l'espressione cupa: «speriamo.»

I due raggiunsero i banchi insieme e Audrey senza pensarci poggiò la sua cartella accanto a quella di Ed. Lui sorrise appena e la lasciò fare, mentre si accomodava al posto accanto.

La ragazza alzò lo sguardo verso l'insegnate che, con la schiena ricurva e la bacchetta in mano, sfogliava le pergamene una per una, mentre un grande segnapunti posto sopra la sua testa aggiungeva una T, una S, una A, una O o una E ogni volta che lei alzava il catalizzatore verso esso. La tensione era alta in classe.

«Se finirai in punizione, ti darò una mano» le disse Ed sottovoce.

«Vale lo stesso per me» rispose lei, sorridendo.

In quel momento le importò poco della sufficienza, le bastava sapere di non essere più sola.

***

Parole: 4995

DamaDiGhiaccio
fiumidiinchiostro
Ark_Gabriel_Jackson
MartaMoro10

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