Capitolo 8: Quod oculus non videt, cor non desiderat.
Quod oculus non videt, cor non desiderat è una locuzione latina che significa letteralmente:
"ciò che l'occhio non vede, il cuor non desidera."
▲▲▲
⚠️Credo di dover definire questo capitolo leggermente lime⚠️
Quel mercoledì tre dicembre, c'erano solamente due luci ad illuminare una delle villette a schiera che adornavano uno dei quartieri più tranquilli della città metropolitana di Tokyo.
Una delle due era al piano inferiore e, data l'intermittenza dei colori, ora più chiaro, ora più luminoso e il momento dopo più tetro, doveva quasi certamente provenire da un televisore acceso: il padre di Y/N se ne stava comodamente sdraiato sul divano del salotto in compagnia di un thriller dalla trama intrigante e coinvolgente.
Era ben contento di aver trasmesso quella passione per i misteri irrisolti ai due figli: il maggiore, Daichi, aveva sempre sostenuto, fin da bambino, di voler intraprendere la strada delle forze dell'ordine proprio per poter partecipare anche lui, un giorno, alla risoluzione di un caso.
Y/N, invece, asseriva che risolvere rebus anatomici, ricercando la cura migliore per una patologia di qualche tipo, fosse nettamente più interessante dei gialli in cui, tuttavia, amava immergersi con la lettura.
Era proprio dalla camera da letto di quest'ultima, che proveniva la seconda luce: la stanza del piano superiore era rischiarata da una flebile lampada posta sulla scrivania, direzionata su un quaderno fitto di schemi e mappe concettuali riguardanti un periodo storico talmente lontano dal suo, che Y/N faceva fatica a figurarselo.
Aveva cenato in fretta e furia, accampando un paio di scuse verso suo padre, che inutilmente aveva cercato di intrattenere una conversazione con la figlia: da almeno un paio di mesi la sua dolce bambina era diventata meccanicamente schiva.
Le era sembrata così entusiasta, all'inizio dell'anno scolastico, soprattutto da quando era diventata la manager della squadra di pallavolo.
In quel periodo le serate venivano trascorse tra racconti e risate, con un entusiasmo tale da trasportarlo nuovamente in quelli che erano stati i suoi anni di liceo; mentre adesso la vedeva giusto il tempo del pasto, prima che corresse su per le scale come se ne dipendesse la sua stessa vita.
Non era intenzione di Y/N evitare così deliberatamente suo padre, ma da settembre il suo umore era andato via via in discesa: la causa principale era il brusco allontanamento da Kuroo, l'amore non corrisposto e non dichiarato che si ostinava a nascondere e che, quasi lo facessero apposta, tutti si premuravano di ricordarglielo.
«Quel ragazzo...Kuroo, come se la sta passando in vista dei nazionali?»
Neanche un mese prima suo padre aveva avuto l'accortezza di farle quella semplice domanda, noncurante che due giorni antecedenti lei avesse appreso della sua relazione con quella studentessa della Nohebi.
Così aveva sbuffato sonoramente, sbattuto le posate sul tavolo, ed era corsa in camera sua senza farsi vedere per almeno tre ore.
Da quel giorno il signor Sawamura aveva evitato totalmente di parlare del club di pallavolo: non ci voleva un genio per capire che tra sua figlia e il corvino dovesse essere successo qualcosa.
«Y/N-chan hai visto Kuroo?»
Questa, invece, era una domanda che purtroppo non poteva in alcun modo evitare: che fosse Lev, Taketora, il piccolo Yūki o il coach Nekomata, tutti sembravano essere convinti che lei e il suddetto capitano vivessero in una specie di simbiosi.
A quanto pareva, davano per scontato che lei dovesse sempre sapere dove diavolo si trovasse.
Il telefono vibrò dal comodino accanto al letto.
Y/N trovava rifugio nello studio e quella sera, più che mai, era decisa a finire il programma di quella parte di storia, nonostante il professore non avesse ancora terminato di spiegarlo in classe.
Mancava ormai un mese ai nazionali e lei sapeva bene che, una volta iniziate le vacanze natalizie, non avrebbe più avuto modo di recuperare lo studio.
Era già sommersa di compiti da svolgere e, inoltre, l'anziano Nekomata le aveva gentilmente chiesto di fare qualche approssimativa ricerca su alcune delle squadre che avrebbero partecipato al torneo.
Non era una richiesta assurda, anzi, era più che ragionevole, ma a volte pensava con invidia alla squadra della Fukurodani o della Karasuno, in cui le manager potevano dividersi i compiti.
Un'altra vibrazione le fece roteare gli occhi al soffitto.
Non che non sapesse chi fosse a mandarle incessantemente messaggi: se possibile, dopo aver dormito insieme, il capitano della Fukurodani era diventato ancora più insistente con le sue richieste.
Non aveva ancora smesso di chiederle, ogni mattina, di uscire insieme e, quando lei controbatteva dicendogli di aver già accettato quella richiesta il sabato passato, lui replicava sostenendo che un'uscita a quattro non poteva assolutamente valere.
Il giorno precedente l'aveva addirittura aspettata al di fuori della metro per poter stare con lei fino all'arrivo all'accademia: ormai aveva capito quale fosse la fermata alla quale la gatta aspettava il mezzo, perciò gli sarebbe bastato scendere per qualche secondo per intercettarla ed invitarla a salire sul suo stesso vagone.
Quello che Y/N aveva appena iniziato a capire, suo malgrado, era che dopo solo una settimana e mezzo, l'insistenza del gufo non le procurava più lo stesso fastidio di prima.
O meglio, non lo avrebbe mai ammesso, ma non erano più solamente i libri, scolastici e non, a distrarla dall'apatia in cui era affondata da mesi: una buona parte del merito era sicuramente da attribuire proprio a quel ragazzo con i capelli a punta.
Il display del telefono s'illuminó, stavolta, mentre le vibrazioni suggerivano che quello non era l'ennesimo messaggio della serata, ma bensì una chiamata.
La manager della Nekoma posò i piedi a terra, prima incrociati sulla sedia, motivo per cui si ritrovava con un mal di schiena terribile sette giorni su sette, poi sbuffò sonoramente, infilandosi la penna tra i capelli, raccogliendoli in un ciuffo disordinato, mentre si apprestava a prendere il cellulare.
Sullo schermo c'era, ovviamente, il nome dell'asso della Fukurodani, ma non era solo questo: la stava videochiamando.
Impiegò una decina di secondi, durante i quali sperò, forse non così intensamente come pensava, che quello riattaccasse, evitandole di dover decidere se rispondere o meno.
Chissà come, ad un certo punto, il suo dito indice si andò a posare sul tasto verde del display: il suo sistema nervoso doveva averlo fatto muovere senza il suo consenso, era ovvio.
«Y/N-chan!»
Molto probabilmente Bokuto Kōtarō non si aspettava una vera e propria risposta, dato che se ne stava agiatamente sdraiato su un letto sfatto e un pacchetto di patatine mezzo vuoto sul petto.
«Sono ore che non mi rispondi!»
In men che non si dica quel che rimaneva di quel poco salutare snack finì a terra, mentre il pallavolista si alzava a sedere, inquadrando la sua espressione dispiaciuta.
«Sarà al massimo un'ora.»
Y/N inarcò le sopracciglia, scettica: era strano vederlo in quel frangente, a quell'ora di sera.
«Perché mi hai videochiamata?»
Le uniche videochiamate che era abituata a fare erano quelle con suo fratello, o con Kaori, per il resto preferiva di gran lunga i messaggi: verba volant, sostenevano i latini.
«Volevo vederti.»
Aveva imparato a conoscerlo quel poco che bastava per dedurre, dalla sua espressione fiera e sorniona, che l'allenamento di quel pomeriggio, all'accademia Fukurodani, doveva essere andato bene.
Non era complicato notare i giorni in cui, al contrario, Bokuto dovesse aver avuto una brutta giornata: in quei frangenti i messaggi erano radi e monosillabici, il tono spento e affranto.
«Mi hai vista ieri!»
Quando lui sfoderava il suo smielato romanticismo e le sue spensierate carinerie, ecco che lei si metteva su una spinosa difensiva.
Era certa che la maggior parte dell'universo femminile avrebbe lanciato gridolini eccitati, di fronte al capitano della Fukurodani che affermava con fermezza di avere un'incontrollabile desiderio di vederle, ma lei non era decisamente come le altre.
Era arrossita anche lei, delle volte, aveva sorriso anche lei, internamente, davanti a quella spontaneità, ma non glielo avrebbe mai dato a vedere.
Che orrendo peccato, l'orgoglio.
«E ti sembra poco?!»
Bokuto aveva spalancato gli occhi già grandi, assumendo un'espressione esterrefatta, come se lei avesse appena detto qualcosa totalmente fuori di senno.
Y/N avrebbe voluto mantenere il cipiglio infastidito di chi è stato interrotto durante una pesante sessione di studio matto e disperatissimo, ma non poté fare a meno di scoppiare a ridere di fronte alla videocamera, seguita a ruota dall'altro.
«E poi Kaori mi ha detto che vi videochiamate spesso...»
Prima o poi, quella dannata corvina l'avrebbe uccisa, Sawamura Y/N ne era convintissima, e le avrebbero dato tutte le attenuanti del caso, per giunta!
«...non voglio perdere contro di lei.»
Era certa di aver scorto un velo di imbarazzo, sul volto del gufo: lui e Kaori avevano una specie di senso di competizione insito nel loro animo e, nonostante fossero amici da prima che la conoscesse, ogni scusa era buona per dare inizio ad una nuova sfida.
«Ci sono molte cose che faccio con Kaori e che con te non potrei fare.»
Con un lungo sospiro, la manager della Nekoma si era sdraiata a letto con un tonfo sordo, facendo rimbalzare sul materasso l'infinità di cuscini che adorava avere vicino durante il sonno: inutile sperare di riuscire a chiudere presto quella conversazione, tanto valeva mettersi comodi.
«Tipo?»
Il broncio impermalosito del pallavolista non cozzava per niente con il sorrisetto allusivo di Y/N: c'erano un'infinità di cose che avrebbe voluto elencare, ma si morse il labbro inferiore per impedirsi di farlo.
«Scambiarci i vestiti.»
Non che non fosse la verità, ma ciò a cui alludeva la gatta era il fatto di non avere nessun tipo di problema a cambiarsi di fronte all'altra, cosa che, forse, si sarebbe negata con lui.
«Hai la mia sciarpa.»
Evidentemente Bokuto non aveva colto ciò che si nascondeva dietro quell'affermazione, troppo impegnato a segnare i punti della gara con Kaori su un tabellone immaginario: per ora, erano a due pari.
La domenica precedente, il capitano della Fukurodani le aveva impedito categoricamente di restituirgli la sciarpa che le aveva dato sulla metro: gli piaceva l'idea che avesse qualcosa di suo, una cosa che le ricordasse costantemente della sua persona.
Così, era uscito dalla casa della manager con un sorriso a trentadue denti, la voce della gatta che gli intimava di riprendersi l'indumento e il telefono nella mano destra, pronto a chiamare il suo migliore amico e raccontargli di quella folle notte, impaziente di condividere la felicità di quelle piccole conquiste.
«Usare l'una i trucchi dell'altra.»
Mentre lui riviveva mentalmente l'abbraccio di quella domenica notte, Y/N aveva trovato qualcosa su cui l'altro non avrebbe mai potuto controbattere: poteva anche essere uno dei migliori assi della nazione, ma non avrebbe battuto il rapporto tra lei e Kaori.
«Y/N-chan non vale: io non uso trucchi!»
Come volevasi dimostrare, Bokuto aveva drizzato la schiena, colpito profondamente nell'orgoglio: quella era una gara totalmente sleale!
Insomma, non poteva certamente competere con una cosa come ombretti o rossetti!
«Sono certa che staresti benissimo!»
Scoppiarono di nuovo a ridere, entrambi.
Era incredibile come riuscisse a farlo così spensieratamente, lei, quando fino a poco tempo prima era a malapena capace di un timido sorriso.
«Non potrei neanche parlare male di te.»
Aveva appena ripreso fiato, eppure era certa che presto sarebbe tornata a ridere a crepapelle: vide la faccia di Bokuto contorcersi in un'espressione sconcertata, prima di inveire contro di lei un attimo dopo.
«Parlate male di me?!»
Costernato, in un misto di angoscia, tristezza e rabbia, l'asso aveva avvicinato così tanto la videocamera al volto, che Y/N avrebbe potuto addirittura contare il numero di muscoli facciali utilizzati per assumere quella smorfia addolorata.
«Sto scherzando, Bokuto.»
Rise ancora, divertita.
Lei e Kaori avevano parlato male, spesso e volentieri, di quanto fossero stati insensibili e sleali i loro ex ragazzi, li avevano presi in giro prendendosi una piccola rivincita su di loro, visto come erano andate a finire le cose.
Ma non avevano mai potuto scovare nessuna ingiustizia, né trovare un qualche tipo di colpa, verso i due membri della Fukurodani.
Le sarebbe piaciuto trovare un difetto in Bokuto Kōtarō, sarebbe stato molto più facile negare il fatto che, inevitabilmente, stesse cominciando ad attrarla.
«Faccio addirittura la doccia in chiamata con Kaori.»
Delle volte, capitava che le sue labbra si aprissero ancor prima che la mente potesse elaborare le parole che stavano per uscirle: quella, era una di quelle volte.
Lo sapeva a che cosa stava andando incontro: non c'era altro possibile risvolto se non quello che stava per sopraggiungere.
Il problema di fondo era che Y/N si divertiva da impazzire ad intrattenere conversazioni di quel tipo: le allusioni, i doppi sensi, i giochi di potere...
Tutto ciò, con la persona giusta, la elettrizzava in un modo talmente intenso da non potersi trattenere.
In una manciata di secondi i pensieri di Bokuto analizzarono veloci la frase della manager della Nekoma: era quasi certo che gli avesse appena lanciato una sfida.
Sicuramente la conversazione avuta la domenica precedente con Kaori e Akaashi, non lo aiutò per niente ad impedirsi di immaginarla sotto la doccia.
«In che senso avete dormito e basta?!»
La sbornia della sera precedente non l'aveva per niente indebolita, dato che Ukai Kaori aveva strappato di mano il telefono al suo ragazzo e si era piantata di fronte alla videocamera, inveendo contro il capitano della Fukurodani, così contento, fino ad un attimo prima, di raccontare la nottata.
«Kaori...»
Non aveva avuto il coraggio di replicare di fronte alle urla della corvina, ma fortunatamente, forse con troppa calma, Akaashi aveva tentato di richiamare la sua ragazza.
«Bokuto, dannazione! Non ti ho lasciato solo con la mia migliore amica per dormire e basta!»
Naturalmente lei non sembrava voler sentire ragione, troppo scioccata per ascoltare l'alzatore al suo fianco: non poteva crederci, era assurdo che Bokuto non avesse neanche cercato di approfondire il rapporto con Y/N, di toccarla, di...
«Kaori.»
Bokuto si sentiva in mezzo a due fuochi: da una parte Kaori che, furiosa, sbraitava contro di lui, dall'altra Akaashi, probabilmente infastidito sia dalla compagna che dal racconto del suo capitano.
«Era l'occasione perfetta per-»
Non riuscì a finire la frase, che Akaashi riprese prontamente il suo telefono: non che ci fosse bisogno di finirla, era palese ciò che volesse dire la corvina.
Lo sapeva benissimo anche da solo che sarebbe stata la serata perfetta per averla, ma sapeva anche che Y/N non era pronta e che, soprattutto, non gli sarebbe bastata una singola nottata: lui voleva di più.
«KAORI!»
Come un tuono, la voce dell'alzatore della Fukurodani rimbombò non solo nelle pareti della sua casa, ma anche nelle cuffiette di Bokuto, facendolo pentire di averlo chiamato.
«Che diavolo vuoi Keiji?!»
Almeno, quella sbottata servì per attirare l'attenzione di lei anche se, ancora furiosa, si voltò verso l'altro ancora più inviperita di prima.
Alla fine, quella telefonata, non era servita ad altro se non aumentare il desiderio, già notevole, che aveva nei riguardi di Sawamura Y/N ed ora, di fronte a quella provocazione, non poté fare altro che stare al gioco.
«Puoi farlo anche con me.»
Non l'avrebbe mai fatto veramente, figurarsi se avrebbe avuto il coraggio di spogliarsi e farsi la doccia mentre era in videochiamata con lui, ma provocarla a sua volta non avrebbe portato alcun male, giusto?
Quando la vide sorridere maliziosamente, però, un brivido di eccitazione gli percorse la schiena.
«D'accordo.»
Ormai era fatta, non si sarebbe tirata indietro: dopo tutto, le sarebbe davvero piaciuto vedere la reazione del gufo.
Y/N si alzò in piedi e sistemò il telefono su uno dei ripiani della libreria in modo tale da inquadrarla appena al di sopra del seno, sotto gli occhi sconcertati di Bokuto Kōtarō.
«Y/N-chan non-»
Dire che non se lo sarebbe mai aspettato sarebbe stato un eufemismo: da un lato avrebbe voluto spegnere il telefono per evitare di impazzire di fronte a quella che si spogliava e lui impossibilitato a goderne appieno, dall'altro non riusciva proprio a toglierle gli occhi di dosso, mentre la osservava rimuovere la penna dai capelli per far sì che ricadessero.
«L'hai voluto tu.»
Sorrideva vittoriosa, la gatta della Nekoma: si voltò dando le spalle al cellulare, cominciando a sfilarsi il gilet della divisa scolastica, poi, con lentezza, iniziò a sbottonare i bottoni della camicia bianca.
Ipnotizzato da quel sensuale spettacolo a cui stava assistendo, il capitano della Fukurodani la guardava allo stesso modo con cui avrebbe contemplato un'opera d'arte, anche se gli sarebbe piaciuto vederla dal vivo.
In tal caso non avrebbe avuto tutta quella pazienza, le avrebbe letteralmente strappato quella dannata camicetta di dosso, che proprio in quel momento le scivolava delicata dalle spalle.
Quando poi la vide abbassarsi le spalline del reggiseno, togliendolo con un gesto agile e lasciandole completamente la schiena scoperta, tutto il contegno che era riuscito a mantenere fino a quell'istante andò a farsi benedire.
«Che c'è Bokuto? Sei silenzioso.»
Si girò lentamente verso la telecamera, per assicurarsi che non inquadrasse le sue nudità, ora che si era completamente svestita, ma quando incrociò con lo sguardo il display, tutto ciò che vide fu il soffitto bianco e luminoso di una stanza.
«Bokuto...?»
Che si fosse arrabbiato per la troppa confidenza che si era presa? Aveva esagerato? Forse si era fatta prendere la mano, probabilmente lui non voleva-
Le fila dei suoi pensieri furono interrotte dall'immagine che le comparve davanti agli occhi.
«Hai, mi stavo svestendo.»
Il gufo aveva ritenuto ingiusto che solamente lei si potesse divertire, così si era precipitato in bagno, aveva appoggiato il cellulare sul ripiano del lavandino e si era tolto i vestiti in fretta e furia.
Chiaramente, Y/N aveva immaginato che Bokuto avesse un fisico scolpito, era un pallavolista professionista e, inoltre, aveva avuto modo di tastarlo anche la domenica passata, ma non pensava così tanto.
Aveva le spalle larghe, i muscoli delle braccia sembravano essere stati disegnati da uno scultore di talento, i pettorali e gli addominali allenati facevano da cornice in quel fisico scultoreo di cui lei, purtroppo e per fortuna, aveva una perfetta visuale.
«Sleale.»
Sperò di aver sussurrato e che, ancora più importante, lui non avesse notato il rossore che le si era creato sul volto, né il tremito che l'aveva scossa.
Giocava sporco, il ragazzo: lui aveva la libertà di inquadrarsi tutta la parte superiore del corpo, mentre lei doveva limitarsi alle spalle e una porzione del petto.
«Hai detto qualcosa, Y/N-chan?»
Aveva notato come lo guardava, aveva notato il modo in cui i suoi occhi felini avevano scandagliato ogni centimetro della sua pelle e aveva notato anche come aveva cercato strenuamente di nasconderlo.
Erano attratti, almeno fisicamente, l'uno dall'altra: questo non si poteva in alcun modo negare.
«Assolutamente niente.»
Stizzita, con un broncio tale e quale a quello di una bambina che è stata appena colta in flagrante, Y/N si era ricomposta in un attimo e si era avviata, anche lei, verso il bagno.
«Non dovresti aver fatto la doccia dopo gli allenamenti?»
Sarebbe stato più spassoso essere l'unica a godere delle reazioni imbarazzate, eccitate, ammaliate o incuriosite dell'altro, invece adesso doveva anche concentrarsi per non farsi beccare un'altra volta ad ammirare, sognante, il corpo dell'asso.
«Un'altra non mi farà male.»
Bastardo di un gufo, aveva perfettamente capito le sue intenzioni fin dall'inizio!
A metà tra il fastidio e il compiacimento per aver trovato un degno compagno di provocazioni, Y/N si era appoggiata allo stipite della doccia e aveva aperto il rubinetto dell'acqua: secondo il suo personalissimo parere, doveva essere al limite dell'ustionante, anche in piena estate.
«Che aspetti Y/N-chan?»
Dimostrandosi ancora una volta il suo esatto contrario, Bokuto riteneva che la temperatura dell'acqua dovesse, invece, essere fredda o al limite tiepida: così si era fiondato immediatamente all'interno della cabina.
«Che l'acqua diventi...»
Quando era tornata a rivolgere le sue attenzioni allo schermo, ciò che aveva visto le aveva fatto, di nuovo, avvampare le guance: il getto d'acqua aveva abbassato i capelli, di solito sempre all'insù, di lui, facendoli ricadere morbidi sulla fronte.
«...calda.»
Era rimasta, per la seconda volta, incantata di fronte alla videocamera: cazzo, era dannatamente erotico.
L'acqua gli scivolava sui muscoli delle spalle andando a scorrere sul petto e l'addome, qualche gocciolina ricadeva dai capelli bagnati accarezzandogli il viso, illuminato dai suoi grandi occhi gialli che, in quel momento, sembravano leggere alla perfezione tutte le fantasie che si stavano formando nella sua mente.
La più prepotente, tra tutte, la ritraeva nella sua stessa cabina doccia, con il suo corpo nudo e bagnato che aderiva perfettamente a quello di lui.
«Huh? Che c'è?»
Sorrise mellifluo, fingendo di non aver notato l'espressione di lei.
Lo sapeva benissimo di essere un bel ragazzo, di avere molto di quello che tutte le ragazze sognavano in un essere di sesso maschile, ma ogni volta che qualcuno lo guardava in quel modo non poteva fare a meno di riempirsi d'orgoglio e di accrescere il suo ego smisurato.
«Nulla.»
Fortunatamente Y/N aveva la strabiliante capacità di ricomporsi in un nanosecondo: ignorò il calore al basso ventre, scacciò via quei pensieri lussuriosi dalla testa e si gettò sotto l'acqua calda.
«Sicura?»
Tuttavia, ormai avrebbe dovuto averlo capito, Bokuto Kōtarō non era tipo da arrendersi così facilmente: sembrava un vero e proprio gufo, mentre ondeggiava la testa, curioso, di fronte alla telecamera.
«E' solo che non ti avevo mai visto con i capelli abbassati.»
Teneva gli occhi chiusi, mentre si massaggiava la cute bagnata dall'acqua caldissima, non solo per non far entrare l'acqua, ma anche, e soprattutto, per continuare mentalmente a calmarsi: se avesse continuato a guardarlo era sicura che non ci sarebbe riuscita così facilmente.
«Ti piacciono?»
Vanitoso, pieno di sé e tronfio come un pavone, altro che gufo, ecco che cos'era!
Lo ringraziò mentalmente per averla distratta dai suoi altri pensieri, prima di rispondergli per le rime.
«Chi lo sa.»
Lei per prima era una narcisista di prima categoria, sapeva perfettamente come abbattere il suo muro di egocentrismo.
Nell'attimo in cui lui, visibilmente infastidito, buttò indietro la testa per far ricadere lo shampoo dai capelli, Y/N approfittò per abbassare accidentalmente la webcam del telefono in modo tale da inquadrare il seno, coperto scaltramente con un braccio, fingendo di insaponarsi.
Gli attimi successivi di completo silenzio, incorniciato dallo scroscio d'acqua delle due docce, non lasciò alcun dubbio a Y/N: aveva ottenuto la sua rivincita.
«Bokuto?»
I suoi occhi gialli erano incollati sullo schermo del telefono e, più precisamente, fissavano qualcosa che si trovava sotto il viso di lei: non era difficile immaginare che cosa.
«Bo-ku-to.»
Sinceramente divertita, ancora con il braccio a coprirsi le parti più intime del suo seno, Y/N lo richiamò ancora una volta, scandagliando lentamente tutte le sillabe.
«Hai!»
Era scattato sul posto e, con chissà quale mirabolante forza di volontà, era riuscito a sollevare lo sguardo da ciò che lo aveva incantato.
«Cosa stavi guardando?»
Mentre lei sorrideva maliziosamente, le guance del capitano della Fukurodani si coloravano di un rosso acceso, i suoi occhi saettavano, probabilmente senza rendersene conto, dalla sua faccia al suo seno: adesso sapeva che cosa aveva provato lei.
«...Y/N-chan sei crudele!»
Era caduto dritto dritto tra gli artigli del gatto, ne era certo: lo vedeva chiaramente nel suo sorriso vittorioso, intanto che drizzava la schiena, come se non fosse già abbastanza evidente che cosa volesse mostrargli.
«Oh scusa! Deve essere scivolato il telefono mentre mi passavo il sapone sul seno e non me ne sono resa conto!»
Quelle scuse erano talmente false e teatralmente costruite che ormai era ovvio quanto si stesse divertendo a vederlo tormentarsi.
«Vedi, probabilmente ho fatto esattamente così e-»
Non le bastava, Y/N voleva contemplarlo mentre impazziva per lei: mimò un gesto innaturale del braccio destro, con il quale colpì leggermente il cellulare e, nel frattempo, si passava la mano sui seni, provocante.
«Y/N-chan...»
Era troppo, era decisamente troppo: Bokuto si portò una mano sul volto, coprendosi gli occhi e appoggiando la testa alle mattonelle fredde della doccia, mentre sentiva tutti i litri di sangue del suo corpo concentrarsi in mezzo alle sue gambe.
«Che c'è, Bokuto? Non dirmi che ti stai eccitando.»
Come ci fosse finita in quel gioco di potere, proprio non se ne capacitava: voleva solo divertirsi un po', come diavolo era arrivata a quel punto?
Eppure, per qualche bizzarro motivo, non le dispiaceva affatto, avrebbe potuto continuare per l'intera nottata a stuzzicarlo in quel modo.
«Vuoi controllare tu stessa?»
Quella fu una risposta che non si sarebbe mai aspettata: si sarebbe immaginata un Bokuto in uno dei suoi stati di abbattimento, dispiaciuto per essere stato messo con le spalle al muro e frustrato per non poterla toccare realmente.
Invece aveva afferrato il telefono e l'aveva avvicinato al viso, un sorriso sornione sulle labbra, e aveva cominciato, molto lentamente, ad abbassare l'inquadratura.
Furono attimi in cui, all'interno della doccia di lei, il caldo sembrò essere aumentato esponenzialmente: davvero stava per vedere il membro, sicuramente eretto, di Bokuto Kōtarō?
Perché non lo stava fermando? Perché la bocca era, improvvisamente, diventata così asciutta?
«Non osare.»
Fu l'ennesimo brivido d'eccitazione della serata che la risollevò da quei pensieri per niente casti: non poteva certo farsi prendere dalla lussuria, dalla voglia di sentire quelle mani grandi e forti su di sé, dal desiderio di avere-
«Che c'è, Y/N-chan? Non dirmi che ti stai eccitando.»
Ricalcando le stesse parole e lo stesso tono utilizzato da lei un attimo prima, il gufo aveva appena ribaltato i ruoli: Y/N deglutiva a vuoto ormai da qualche secondo e la sua titubanza nel fermarlo gli aveva fornito la risposta che cercava anche se, sicuramente, lei avrebbe negato.
«Hai, mi sto toccando mentre ti guardo.»
Aveva utilizzato la voce più sensuale, seducente e sexy che conoscesse, poi l'aveva guardato dritto negli occhi, provocante come non mai.
Bokuto sentiva il suo membro indurirsi, la salivazione aumentare e le immagini offuscarsi per sognare di averla lì con lui, nuda e bagnata alla sua mercé: cazzo, l'avrebbe fatta urlare.
Ebbe l'istinto di avvicinare la mano destra al suo membro, di dare sollievo a quella crudele tortura e masturbarsi di fronte a lei: se lo stava facendo anche lei, non c'era niente di sbagliato.
Dannazione, le avrebbe chiesto di inquadrarsi interamente, così avrebbe fatto lui e-
«Sto scherzando, Bokuto!»
In un lampo, i vaneggiamenti di entrambi scomparvero in una bolla di sapone: non seppero se essere sollevati o amareggiati, sapevano solo che quell'imprevista svolta nella telefonata stava diventando pericolosa.
Di una cosa, quando poco più tardi riattaccarono, furono tutti e due certissimi: se fossero stati nella stessa stanza, le cose sarebbero andate molto diversamente.
~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Quanto mi divertirò a lasciarvi insoddisfatti?
Un sacco, davvero, ma giuro che la lemon arriverà ◭,◭
Intanto, recensitemi, gentaccia.
VI AMO.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro