Capitolo 7: Omnia cum tempore.
Omnia cum tempore è una locuzione latina che significa letteralmente:
"ogni cosa a suo tempo."
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Una brava donnina di casa, lei non lo era proprio mai stata.
Ci aveva provato, sua madre, ad educarla come si confà ad una signorina della sua età, o così aveva affermato lei, ma Y/N era dell'idea che passare le giornate a giocare ai videogiochi o a leggere i suoi amatissimi libri, fosse senz'altro più divertente e, soprattutto, istruttivo.
Si potevano imparare così tante cose, leggendo, si potevano vivere così tante vite e avventure, che perdere tempo dietro alle buone maniere le sembrava decisamente un atto di egoismo verso la sua stessa persona.
Che cosa se ne faceva di sapere come dovrebbe essere accolto un ospite in casa? Non poteva, più semplicemente, guardarsi intorno e capire da solo dove fossero collocate le varie stanze?
Il mondo sarebbe stato un posto più felice, se tutti si fossero limitati, come Sawamura Y/N, ad illustrare il minimo indispensabile, senza bisogno di tante cerimonie.
Nel suo stato di evidente ubriachezza poi, fece addirittura fatica ad elencare le poche cose che si sentì in obbligo di dire al gufo: fortunatamente Bokuto era alla mano quanto lei.
«Cucina e sala da pranzo.»
Y/N indicò con l'indice della mano destra la stanza che si intravedeva dall'ingresso, togliendosi nel frattempo le scarpe, barcollando pericolosamente.
«Quella porta che vedi è il bagno.»
Mimò con un cenno della testa la porta di legno bianco in fondo a sinistra, imprecando quando, per togliersi lo stivaletto di destra, perse nuovamente l'equilibrio: fortunatamente, il capitano della Fukurodani era pronto a riprenderla.
«Arigatō.»
Stava iniziando a piacergli, il fatto che Y/N fosse talmente ubriaca da non essere in grado di reggersi su una gamba sola senza rischiare di cadere: era un ottimo modo per avere maggior contatto fisico con lei.
Avrebbe potuto, e voluto, continuare a cingerle la vita per l'intera notte, pur di sentire il suo corpo così vicino al suo.
L'unica preoccupazione di Bokuto era, dal profondo del suo cuore, l'effetto che quello stesso corpo avrebbe potuto provocargli, a lungo andare, in mezzo alle gambe.
A quello, quando si era catapultato fuori dalla macchina del suo vice, non aveva minimamente pensato: poteva essere potenzialmente un problema, dato che avrebbe dovuto passare con lei tutta la notte.
Non aveva certamente intenzione di passare per un depravato, non l'avrebbe toccata neanche con un dito senza il suo consenso, ma inevitabilmente la sua mente aveva cominciato a fantasticare su di lei già una settimana prima, dopo averci ballato insieme.
Era stata fin troppo provocante, quella notte, aveva strusciato il suo corpo troppo sensualmente contro quello di lui, Bokuto aveva accarezzato le sue forme e adesso gli sembrava impossibile dimenticarla, impossibile frenare pensieri poco casti ogni qualvolta se la trovasse vicina.
In quel momento, mentre la teneva saldamente per la vita, con il fondoschiena a pochi centimetri dal suo inguine, avrebbe solamente voluto tirarla bruscamente a sé, sollevarle il mento con una mano per baciarla con foga, e contemporaneamente infilare l'altra nei suoi pantaloni.
Cazzo, quando gli sarebbe piaciuto vedere quella gatta miagolare per lui.
«Bokuto-san, puoi lasciarmi adesso.»
Come una bolla di sapone, i suoi desideri svanirono nella sua testa, riportandolo alla realtà: la mollò immediatamente, sperando che non si fosse accorta del fatto che avesse appena iniziato ad avere un'erezione.
«Gomen, mi stavo addormentando in piedi.»
Tentando di sdrammatizzare e nascondere il suo problemino, Bokuto scoppiò in una delle sue fragorose risate, grattandosi nervosamente il collo.
Y/N lo guardò sorridendogli dolcemente: doveva essere l'una passata e certamente il quantitativo di vino che avevano bevuto non aiutava, entrambi, a rimanere svegli e vigili.
«La mia camera è al piano superiore, se preferisci dormire in quella di-»
Improvvisamente Y/N si rese conto che Bokuto Kōtarō sarebbe stato il primo ragazzo, oltre suo fratello, ad entrare nella sua camera e, per di più, nel suo letto.
Non le era venuto in mente, quando gli aveva aperto la porta e l'aveva invitato ad entrare: le era sembrata una cosa innocente, sarebbe stato come dormire con Kenma, o con Tendo al massimo.
Nulla di più che una nottata tra amici, ecco.
Il problema era, Y/N se ne accorse solo in quell'istante, che lei e il capitano della Fukurodani non erano amici, erano...che cos'erano?
Rimandò quella fastidiosa domanda all'indomani mattina, dato che non aveva assolutamente intenzione di pensarci e, quasi d'istinto, le parve opportuno proporgli la camera di suo padre, ma lui la bloccò prima che potesse farlo.
«Voglio dormire con te, Y/N-chan.»
Forse fu per la sicurezza con cui le parlò, oppure per la sincerità che gli lesse in quegli occhi sempre spensierati, o per il fatto che desiderasse ancora avvicinarsi al suo corpo, Y/N non sapeva dirlo con precisione, ma tutti i suoi dubbi sparirono: gli sorrise, sinceramente felice che fosse rimasto con lei.
Non c'erano secondi fini nascosti dietro le sue parole, solo la spontanea volontà di rimanerle accanto a farle compagnia: si era talmente abituata a passare le notti in solitudine, che le sembrò quasi surreale.
Quando salirono le scale in silenzio, Bokuto si guardò attorno cercando qualcosa che gli parlasse di lei, ma solo quando varcò la porta di quella che doveva essere la sua stanza, tutto gli sembrò chiaro e lineare.
La camera di Y/N descriveva minuziosamente ogni lato della sua personalità: il letto era sfatto, l'ingombrante piumone invernale ricadeva sparpagliato sul pavimento, simbolo di notti e sogni agitati e sconclusionati, una scarpa col tacco faceva capolino da sotto la base, mentre la divisa scolastica rimaneva abbandonata sulla sedia della scrivania.
Su quest'ultima era aperto un libro di storia, accanto ad un quaderno pieno zeppo di formule chimiche, una penna senza tappo aveva macchiato d'inchiostro la pagina scritta a metà.
Una parete era completamente occupata da un'enorme libreria, in cui i libri erano perfettamente ordinati per genere e autore, su quella opposta l'armadio era spalancato a mostrare abbigliamento di ogni tipo.
«Gomen, la mia camera è un disastro.»
Se avesse saputo che avrebbe avuto visite, quella notte, avrebbe almeno riordinato prima di uscire, ma era così abituata al disordine che, ormai, non ci faceva neanche caso quando si chiudeva la porta alle spalle.
Se ci fosse stata sua madre avrebbe dato di matto: non tanto per aver invitato un ragazzo a dormire, quanto più per quell'indescrivibile caos.
«Lo dici perché non hai ancora visto la mia.»
Al capitano della Fukurodani probabilmente non sembrò di aver detto niente di ché, ma la sua affermazione presupponeva che, prima o poi, lei sarebbe stata a casa sua e, più precisamente, nella sua camera da letto.
Y/N era sempre stata una di quelle persone che alle parole dava moltissimo peso.
A volte impiegava decine di secondi prima di aprir bocca, proprio per quel motivo: ponderava ogni singola lettera con l'attenzione di un equilibrista su una corda appesa sopra ad un dirupo, tanto si preoccupava di essere capita e non fraintesa.
Avrebbe potuto dirle semplicemente "lo dici perché non hai visto la mia", ma era quell' "ancora" che la disturbava.
Non si poté impedire in alcun modo di immaginare la camera del gufo, di come le avrebbe sorriso felice mostrandole quelli che, ne era certa, erano i numerosi trofei appesi nella sua stanza.
O di come avrebbe potuto sbattersi la porta alle spalle con impazienza, per poi prenderla per i fianchi e avvicinarla a sé come aveva fatto una settimana prima in quel locale, magari stavolta non sarebbero stati interrotti da nessuno e lui, smanioso come non mai, si sarebbe fiondato sulle sue labbra bisognose.
Y/N trattenne il fiato tutto a un tratto, si sentiva il viso letteralmente andare a fuoco: la sua mente, al solito, aveva corso decisamente più di lei.
«Vado a cambiarmi.»
Dette ancora una volta la colpa all'alcol, quando fu costretta a fuggire verso il bagno, pigiama alla mano, sperando che lui non si accorgesse del colorito che avevano preso le sue guance.
In men che non si dica aveva chiuso la porta del bagno e si era fiondata di fronte allo specchio, con il viso rosso e uno strano sfarfallio nell'addome: aveva decisamente bevuto troppo.
Bokuto Kotaro era rimasto, per due minuti buoni, inebetito ad osservare la porta del bagno, che in un lampo era stata chiusa con non troppa delicatezza.
Scrollò le spalle, riprendendo ad ispezionare la stanza: questa volta i suoi occhi si posarono sulle numerose fotografie presenti, contornate da eleganti cornici oppure attaccate semplicemente sul muro.
Una di queste raffigurava la manager da bambina, seduta tra le gambe di suo fratello maggiore, che la abbracciava di fianco ad un pupazzo di neve due volte più grande di loro; un'altra doveva essere risalente al periodo delle medie, quel viso ancora da bambina, con il corpo di una donna appena sbocciata lo fece sorridere.
Tra le molte appese sopra la scrivania, Bokuto si soffermò su due fotografie più recenti, una di fianco all'altra: nella prima Y/N si trovava al centro della squadra di pallavolo della Nekoma, Kuroo le cingeva le spalle in un abbraccio e aveva il mento appoggiato sulla testa di lei, entrambi sorridevano felici; la seconda, invece, era stata fatta chiaramente durante uno dei ritiri estivi, il gufo riconobbe quello come il giorno del barbecue: Y/N e Kuroo erano diametralmente distanti, il sorriso sui loro volti sembrava spento e falso.
Negli occhi di lei c'era lo stesso mare agitato di emozioni inspiegabili che non era riuscito a decifrare la settimana precedente, quella stessa espressione che l'aveva portato ad interessarsi a lei, che l'aveva convinto, a dispetto dei pregiudizi del suo fedele vicecapitano, che lei non era altro che la vittima di sé stessa.
Aveva voglia di sapere, aveva voglia di chiederle tutto, come fosse andata la sua storia con il capitano della Nekoma, il motivo per cui fosse finita, la ragione dietro quel suo costante chiudersi a riccio senza dare la possibilità a nessuno di aiutarla, di conoscerla, il perché preferisse mostrarsi come una persona che non era, facendo credere al mondo intero di essere l'antagonista di una favola per bambini.
Un lungo sbadiglio lo colse alla sprovvista, annebbiando i pensieri già torbidi che aveva in testa.
«Y/N-chan posso aspettarti a letto?»
Non aveva neanche aspettato la sua risposta, che aveva già cominciato a spogliarsi: glielo aveva detto giocando all'interno del locale che lui dormiva senza vestiti, perciò non doveva essere un problema.
«H-hai!»
Probabilmente intenta a lavarsi i denti, la manager della Nekoma aveva mugugnato una risposta affermativa urlando dal bagno stesso.
Il letto di Y/N era comodo, il materasso non era così morbido da sprofondarci dentro, ma neanche troppo rigido da svegliarsi con un terribile mal di schiena, le federe erano di raso chiaro, le coperte calde e pesanti.
Bokuto sbadigliò un'altra volta: aveva tutta l'intenzione di aspettarla, di darle la buonanotte e, magari, di accoccolarsi vicino a lei, intrecciando le gambe con le sue.
Inspirò profondamente con il naso contro il cuscino, sentiva il suo profumo, chiuse gli occhi per concentrarsi di più su quell'odore, imprimendoselo nella mente; voleva riposare le palpebre solo un attimo, giusto il tempo di riprendersi, ma un secondo dopo l'unica cosa che vide fu il buio più totale: il sonno era giunto prima che potesse rendersene completamente conto.
Dopo quelli che furono alcuni dei minuti più complicati della sua vita, Y/N riuscì a placare i suoi pensieri decisamente poco casti e riuscì ad uscire dal bagno con un colorito quantomeno normale.
«Bokuto-san vuoi per caso-»
Ad interromperla fu il silenzio della camera, spezzato solamente da un rumore cupo intermittente, in corrispondenza dei respiri profondi del ragazzo disteso a pancia in giù nel suo letto, con la bocca spalancata contro il cuscino: stava russando, maledizione.
«...dei vestiti.»
Non voleva neanche pensarci al fatto che quasi sicuramente stesse dormendo con solo i boxer indosso, sperò solo di stare immaginando i vestiti gettati alla rinfusa sopra la sedia della scrivania e che, invece, avesse optato per tenerli tutta la notte.
Ormai, in ogni caso, non poteva farci niente.
Sospirò, avvicinandosi al letto facendo attenzione a non fare rumore: si sistemò al lato opposto del materasso a due piazze; sotto le coperte, il calore del corpo di Bokuto aveva già riscaldato entrambi i lati e lei, che aveva sempre e costantemente freddo, non poté fare a meno che essere di nuovo felice che fosse lì con lei.
«Oyasumi, Bokuto.»
Fu un sussurro, il segreto del suo cuore che le suggeriva di aver fatto la scelta giusta, che non era stato uno sbaglio dettato dall'euforia dell'alcol, che essere nel suo letto, con quel ragazzo, fosse l'inizio di un cambiamento che aveva faticato ad arrivare, ma che sarebbe sbocciato nel migliore dei modi, prima o poi.
Le palpebre erano pesanti, gli occhi si coprirono di una coltre scura e ben presto, anche Sawamura Y/N entrò in una notte senza sogni.
☆☆☆
Quattro e quarantadue: l'ora segnata sul display del suo telefono.
Chissà cos'era stato a svegliarlo di soprassalto: non si ricordava di aver sognato, né di aver fatto un brutto incubo, si era solo destato con l'impressione di aver dimenticato qualcosa, come quando si spegne la sveglia e poi, di colpo, ci si rende conto di essersi riaddormentati per ore, perdendo metà giornata o, addirittura, l'intera mattinata scolastica.
La stanza era buia, i rumori della città scomparsi nel freddo della notte, solamente una moto sfrecciava lontano, lasciando dietro di sé l'eco di una scia rumorosa.
Dentro una camera da letto che non era la sua, Bokuto, ancora in dormiveglia e confuso da quell'inaspettato e brusco risveglio, distingueva solo i respiri profondi e regolari della ragazza rannicchiata di profilo, con il corpo rivolto verso di lui.
Aveva il piumone fin sopra la punta del naso, nonostante sotto le coperte non facesse per niente freddo.
Per un momento, giusto il tempo affinché i suoi neuroni cominciassero a trasmettere il segnale alla giusta frequenza, si era dimenticato della memorabile serata trascorsa e di come, inaspettatamente, era finito a dormire con la manager della Nekoma.
Si era addormentato velocemente, come al solito, senza neanche rendersi conto che le palpebre avevano cominciato a chiudersi da sole: avrebbe voluto aspettarla a letto, vedere la sua reazione nel momento in cui lo avesse scoperto senza né maglia né pantaloni, magari scambiare due chiacchiere innocenti e chissà, vederla arrossire.
Quella sì che sarebbe stata una conquista preziosa.
Invece era sprofondato, in men che non si dica, in un sonno profondissimo, perdendosi tutte quelle fantasticherie.
Sbadigliò ampiamente e a bocca aperta, allargando le braccia verso l'alto il più silenziosamente possibile.
Poi, di soppiatto, ebbe il coraggio di fare una cosa che, forse, alla luce del giorno non sarebbe riuscito a fare: si avvicinò lentamente al corpo accanto al suo, centimetro dopo centimetro i battiti del suo cuore acceleravano, finché le sue braccia nude non avvertirono il tessuto del pigiama di lei.
La cinse in un abbraccio forte ma assonnato, avvicinandola a sé: era un abbraccio spontaneo, pulito, che non lasciava spazio al beneficio del dubbio, uno di quelli che trasmettono sicurezza e protezione.
Lei, ne era sicuro, aveva bisogno di tutto quello: sembrava così piccola, in confronto a lui.
Inspirò profondamente, il capitano della Fukurodani: forse non era totalmente sveglio, forse al mattino non si sarebbe neanche ricordato di aver dormito con le gambe intrecciate a quelle di lei e, probabilmente, lei non ne sarebbe mai venuta a conoscenza.
Innalzava così tanti muri durante la luce del giorno, così tante barriere, che sarebbe stato impossibile distruggerle tutte, ma di notte è tutta un'altra cosa: la notte è quel momento ultraterreno in cui le sbarre vengono abbassate, in cui le paure più recondite vengono a trovarci e noi siamo completamente indifesi.
Non gli interessava il fatto che lei non potesse rendersi conto di quel gesto, a lui bastava così, aveva bisogno lui stesso della conferma di essersi, almeno un minimo, avvicinato a lei.
Immerso nella magia di una notte velata, non ebbe minimamente il pensiero di preoccuparsi di nient'altro: in un lampo, immergendosi nei suoi capelli h/c, era tornato a tuffarsi in chissà quali bizzarri sogni.
☆☆☆
Quando Y/N si era svegliata, quella domenica mattina, le era sembrato che le mancasse qualcosa.
Aveva dormito a lungo e profondamente, la testa non le faceva neanche troppo male, considerando l'ingente numero di bicchieri di vino che aveva consumato la sera precedente, inoltre si sentiva estremamente, e stranamente, riposata.
Eppure, qualcosa la disturbava, qualcosa non le tornava, le sfuggiva un particolare che non riusciva proprio a cogliere.
Ripassò mentalmente gli impegni che poteva aver dimenticato: a meno che non avesse dormito più di ventiquattro ore, cosa che non si sentiva di escludere totalmente, data la sua natura pigra, era domenica, perciò non aveva sicuramente saltato la scuola.
Inoltre era quasi certa di non aver dimenticato compleanni: oltre il dannatissimo capitano della Nekoma, non conosceva nessun altro nato a Novembre.
Forse aveva scordato un allenamento straordinario della squadra: ultimamente il coach Nekomata sembrava divertirsi come un matto ad organizzare amichevoli di domenica, cosa di cui lei, puntualmente, veniva a sapere all'ultimo momento.
Aprì gli occhi sbuffando sonoramente: non seppe decidere se la cosa peggiore sarebbe stata ricevere la ramanzina per aver saltato l'impegno, oppure scoprire che era ancora presto e poteva arrivare in orario, dovendo rimanere attenta e vigile per tutto il tempo, dopo una serata come quella.
Dopo un paio di tentativi di afferrare il telefono sul comodino andando a tentoni con la mano sinistra, Y/N si sporse verso il bordo del materasso per cercare di trovare quel maledetto aggeggio: il buio della stanza le impediva categoricamente di vedere a un palmo dal suo naso.
Lo schermo del cellulare segnava le dodici e trentaquattro minuti: fuori doveva essere pieno giorno, ma le imposte delle finestre, serrate minuziosamente per evitare anche solo il minimo spiraglio di luce, non permettevano di scorgere niente al di fuori dell'oscurità e del silenzio della stanza.
Odiava svegliarsi con i raggi del sole sulla faccia: Daichi aveva sempre sostenuto che sua sorella, in realtà, fosse una servitrice delle tenebre mandata sulla Terra per punirlo, a causa di chissà quale peccato commesso.
Il calendario del dispositivo non segnava alcun impegno fissato per quella domenica e il gruppo della Nekoma era silenzioso: gli ultimi messaggi risalivano alle tre del mattino, quando uno sbronzissimo Tora aveva inviato loro un selfie con Inuoka addormentato nei sedili posteriori di un taxi.
Solo Kenma aveva risposto, dato che naturalmente era l'unico sveglio a quell'ora della notte, impegnato sicuramente nell'ennesima partita online: le mancavano terribilmente quelle nottate con il suo migliore amico, ma ultimamente erano state sempre più rade, col fine di evitare domande scomode a proposito del loro capitano.
I suoi impegni come manager, dunque, erano da depennare, ma la sensazione di essersi persa un dettaglio importante di quella mattinata non era affatto scomparsa.
Stiracchiò pigramente le braccia verso l'alto, ripose il telefono sul comodino e tornò a rannicchiarsi con le ginocchia al petto: era ancora presto, per i suoi standard, avrebbe potuto dormire almeno altre due ore.
Quando si rigirò su sé stessa, verso la parte sinistra del letto, accadde qualcosa che non si aspettava per niente: le sue gambe, coperte solo per metà dai pantaloni del pigiama, che durante la notte si erano arrotolati sulle cosce, toccarono qualcosa di caldo.
Dopo un breve sussulto per la sorpresa e un attimo di panico dovuto ai documentari di cronaca nera che si ostinava a guardare durante le serate libere, nella mente di Y/N cominciò a prendere forma il ricordo del capitano della Fukurodani che, la notte precedente, si apprestava ad entrare in camera sua.
Ecco spiegato il motivo di quello strano presentimento: era della sua presenza, che si era dimenticata.
Inevitabilmente, un silenzioso sospiro di sollievo le sfuggì dalle labbra asciutte, ma un secondo dopo era già nata un'altra preoccupazione, tra i suoi pensieri assonnati: per quale assurdo motivo la sua gamba aveva avvertito della pelle nuda? Quell'idiota aveva davvero dormito senza vestiti?
Tremolante, nel bel mezzo di una lunga lista di preghiere affinché non l'avesse seriamente fatto, Y/N allungò una mano verso il corpo di lui e, quando avvertì il suo bicipite allenato, sobbalzò impercettibilmente, anche se le fu impossibile staccare la mano da lui.
Quando le sue dita si mossero sulla spalla e poi si abbassarono senza fretta sui pettorali torniti, la manager della Nekoma pensò di non riuscire a smettere solo per accertarsi fino a che punto avesse deciso di svestirsi.
Solamente per pura curiosità, ecco tutto.
«Mhn...Y/N-chan...»
Come se si fosse appena ustionata, Y/N ritirò immediatamente la mano dal petto di lui, non appena lo sentì mugugnare con la voce ancora impastata dal sonno e lo intravide allungare le braccia muscolose verso l'alto.
Era avvampata, poteva sentire chiaramente le sue guance andare a fuoco: che cosa diavolo le era saltato in testa?!
Sperò solamente che lui non si fosse realmente reso conto del fatto che lo stesse letteralmente accarezzando su tutta la superficie superiore del corpo e che, anche se non lo avrebbe mai ammesso neanche a sé stessa, quel contatto le aveva provocato un familiare calore nel basso ventre.
Era passato davvero troppo tempo, dall'ultima volta in cui era stata a letto con qualcuno, quella era l'unica spiegazione plausibile.
Quello, meditò Bokuto, fu uno dei migliori risvegli che avesse mai avuto in tutta la sua vita: il suo sonno ristoratore era stato interrotto quando l'aveva sentita prendere il cellulare dal comodino ma, ancora troppo poco vigile per aprire gli occhi, li aveva tenuti chiusi finché non aveva sentito una mano posarsi sul suo braccio.
L'aveva lasciata fare, beandosi di quelle carezze gentili e curiose, fin quando le sue dita erano arrivate all'altezza degli addominali: se fosse scesa ancora più in basso, non sarebbe stato più in grado di trattenersi.
Aveva sorriso, anche se lei non poteva vederlo, quando aveva ritratto la mano nel momento in cui aveva sussurrato il suo nome: colta sul fatto, era certo che qualora le avesse chiesto che cosa stesse facendo, lei avrebbe negato tutto.
Si era rigirato in fretta sul fianco, allungando il braccio sinistro verso la gatta e, proprio come aveva fatto durante la notte, attirò a sé il suo corpo, intrappolandola contro il suo petto.
«Se vuoi toccarmi dovresti farlo più da vicino...»
L'aveva sentita subito irrigidirsi, tutte le sue membra paralizzate da quell'abbraccio che certamente non si aspettava, poi aveva avvicinato le labbra all'orecchio di lei, parlandole a bassa voce e si era completamente sciolta, per un attimo.
Quella voce roca, sensuale, il fiato caldo che le sfiorò il lobo dell'orecchio destro, unito al fatto che era appiccicata al suo corpo in modo tale da avvertire ogni singolo muscolo, non aiutò per niente la scarica elettrica che le percorse la schiena, fino a giungere nel bel mezzo delle sue gambe: se le avesse detto un'altra sola, singola parola, Y/N non ci avrebbe pensato due volte a pregarlo di farla sua.
In un barlume di lucidità, prima che potesse succedere l'irreparabile, la gatta afferrò il cuscino dietro la testa e, con un colpo vigoroso, lo spedì dritto dritto sulla faccia del gufo, allontanandosi da lui.
«Idiota d'un gufo.»
Si precipitò fuori dal letto, afferrò velocemente dei vestiti comodi dall'armadio e si avviò in fretta e furia verso il bagno: per la seconda volta, in meno di ventiquattro ore, fu costretta a fuggire per evitare che lui si accorgesse dell'effetto che le faceva dopo solo una settimana.
«AH?! Perché Y/N-chan?!»
Sconvolto, contrariato, sbigottito, l'asso dell'accademia Fukurodani si era sollevato a sedere cercando, nel buio della stanza, la figura femminile che, ormai, gli era scivolata via dalle braccia con un colpo da maestro.
«VESTITI!»
Fu l'unica risposta che ottenne, con un tono indiscutibilmente autoritario, da parte della manager: la cosa lo fece nuovamente sorridere, oltre che lusingarlo.
Quella reazione aveva un'unica spiegazione: non solo le piaceva il suo corpo, ma le aveva sicuramente provocato qualcosa che sperava di aver nascosto.
Avrebbe voluto dirle che anche a lui suscitava gli stessi desideri erotici, ma qualcosa gli diceva che non era ancora il momento.
«Non sembravi così scontrosa stanotte.»
Si limitò a sfidarla, ad osservare la sua prossima mossa: non era certo che si fosse resa conto di aver dormito, per una buona parte della nottata, a strettissimo contatto con il suo corpo, ma qualora ne fosse stata al corrente, avrebbe voluto dire che aveva accettato di buon grado quel contatto, ma che era solo troppo orgogliosa per ammetterlo.
«Non so di cosa tu stia parlando.»
Sbattendo con decisione la porta del bagno, Sawamura Y/N lasciò il capitano della Fukurodani con un ghigno soddisfatto sul volto: lo sapeva benissimo, invece.
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Sono tornata, bambini miei.
Mi siete mancati, spero di essere mancata un pochino anche a voi. ➳♥
La sessione purtroppo non è finita e ho ancora altri due esami da sostenere, ma meno pesanti di questo che, ve lo confesso con estrema gioia, sono riuscita finalmente a passare.
Questo per dirvi che forse sarò ancora lenta con gli aggiornamenti, ma sicuramente meno stressata.
Ma adesso torniamo al capitolo: vi aspettavate una lemon, dite la verità.
E invece sono stata crudele, non l'ho ancora concessa perché secondo me è presto: l'attrazione fisica c'è, la tensione sessuale alle stelle, ma Y/N è ancora frenata.
Che dite?
Love u. ◭,◭
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