Capitolo 6: Nihil inimicus quam sibi ipse.
Nihil inimicus quam sibi ipse è una locuzione latina che significa letteralmente:
"Non vi è niente di più nemico che se stessi."
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Le lancette dell'antico orologio a pendolo del locale sfioravano la mezzanotte, i tavoli si erano quasi totalmente svuotati e i dipendenti avevano cominciato a guardare, con un sincero sentimento d'invidia, quei quattro giovani ragazzi che avevano trascorso l'intera serata a bere, scherzare e ridere.
«Non ho mai picchiato nessuno.»
Quanti giri avevano già fatto, da quando avevano iniziato?
Potevano essere stati dieci, quindici o venti: nessuno di loro aveva tenuto il conto, nemmeno Akaashi.
Che l'avesse capito o meno, quella serata si era rivelata divertente anche per lui: il tempo era volato e, se all'inizio aveva sperato che finisse al più presto, adesso aveva addirittura smesso di controllare che ore fossero.
Era persino riuscito a ridere due o tre volte: quando Bokuto aveva raccontato di quella volta in cui era rimasto chiuso nell'ascensore per aver premuto erroneamente il tasto di emergenza, quando avevano ricordato insieme il giorno in cui si erano persi per le strade di Kobe, seguendo coraggiosamente le indicazioni di un sicurissimo Bokuto che, a suo dire, ci era già stato almeno un milione di volte, per poi scoprire che non era stato a Kobe, ma a Kyoto.
«Vale averlo fatto nella propria mente?»
L'unica nota stonata di quel sabato notte era la manager della Nekoma: in realtà Sawamura Y/N non era stata una compagna poi così malvagia, anzi, a tratti poteva essergli sembrata piacevole e simpatica, ma si sa che quando la prima impressione su una persona è stata negativa, si finisce col vedere tutto ciò che dice o che fa, allo stesso pessimo modo.
«Se valesse davvero saremmo tutti condannati.»
A Kaori era stato categoricamente proibito di toccare o anche solo pensare di bere altro vino quando aveva iniziato ad elencare alcuni dei più sconvolgenti sogni erotici delle sue amiche: Y/N aveva finalmente concordato con Akaashi, sottraendole il calice dalle mani, quando era stata sul punto di raccontare qualcosa anche su di lei.
Da quell'istante in poi la corvina aveva affondato il volto tra le braccia, offesa, ma di tanto in tanto lo risollevava per intervenire nella conversazione.
«Touché.»
Ovviamente la persona che più aveva immaginato di malmenare, da ormai qualche tempo, era sicuramente Kuroo: Y/N afferrò il calice di vino portandoselo alle labbra, brindando mentalmente alla sua capacità di mantenere il lume della ragione.
«Y/N-chan quello è il mio bicchie-»
Quando Bokuto allungò una mano verso di lei, la ragazza si affrettò a tirare giù una lunga sorsata, prima di restituirglielo e sorridergli maliziosamente.
«Una settimana fa stavi per baciarmi e adesso non posso bere dal tuo bicchiere?»
Avrebbe dovuto tacere o, quantomeno, dire qualcos'altro, qualsiasi cosa diversa dalla domanda ironica che gli aveva appena posto: il capitano della Fukurodani spalancò in un primo momento gli occhi gialli, per poi ricambiare il suo sorriso sornione.
Per lui, quella domanda, era stato un motivo di orgoglio: significava che lei si ricordava perfettamente che cosa fosse successo quella notte, le mani di lui che vagavano sul suo corpo tirandolo a sé, i loro volti vicini, le sue labbra vicinissime al collo di lei.
E se Y/N se lo ricordava, voleva dire che ci aveva pensato: questo gli bastava, per il momento.
Per lei, invece, era stata l'ennesima cazzata dettata dall'alcol che, per fortuna o per disgrazia, stava cominciando a fare effetto.
«Non ho mai avuto una relazione seria.»
Col fine di evitare approfondimenti su quell'argomento, la studentessa della Nekoma si affrettò a continuare il gioco anche se, ancora una volta, aveva scelto la cosa sbagliata da dire: perché diavolo si stava esponendo in quel modo? Perché, tutto a un tratto, aveva dovuto tirar fuori una cosa così senza senso? Che cosa stava tentando di dirle, il suo subconscio?
Lei stava bene da sola, non aveva bisogno di nessuno, tantomeno di un ragazzo: aveva Kaori, Kenma, suo fratello. Loro erano abbastanza.
In più, aveva sé stessa: lei era più che abbastanza.
Naturalmente vide Akaashi bere la sua acqua, rigorosamente naturale, cosa che avrebbe certamente fatto anche Kaori, se non si fosse appena mezza addormentata sul tavolino.
Quello che, invece, la sorprese, fu il fatto che ragazzo dai capelli a punta che, da ormai una settimana, era prepotentemente entrato a far parte della sua routine, non sfiorò il suo calice di vino neanche per sbaglio: Bokuto Kōtarō era, senza ombra di dubbio, affascinante, bello, divertente e atletico, com'era possibile che non avesse mai avuto una relazione stabile?
«Che c'è Y/N-chan? Vuoi essere tu la mia ragazza?»
Un'altra cosa di cui Y/N non si rendeva minimamente conto quando beveva, oltre parlare a sproposito, era fissare il soggetto dei suoi pensieri, chiunque esso fosse: il gufo alla sua sinistra aveva un'espressione divertita sul volto, accortosi probabilmente dello sguardo confuso di lei.
«Ti piacerebbe.»
Aveva sempre la risposta pronta per ogni evenienza, anche se era in evidente stato di ebbrezza: era una delle poche cose di cui andava sinceramente fiera.
«Sì.»
Non aveva mai avuto problemi nell'esprimere candidamente la sua opinione: per lui era questa, una delle tante cose di cui andava fiero.
«Tocca a te.»
Tentando invano di nascondere il suo imbarazzo e le sue gote rosse, Y/N fece deliberatamente finta di non aver sentito la sua risposta: non aveva minimamente intenzione di soffermarsi a pensare al perché avesse sentito il suo volto accaldarsi in quel modo.
Sicuramente era colpa dell'alcol.
«Non ho mai avuto rimorsi.»
Bokuto aveva lo sguardo di sfida di chi era perfettamente consapevole del fatto che quell'affermazione avrebbe suscitato notevole sbigottimento.
«Questo è impossibile!»
Ancora presa dalla recentissima, mezza, dichiarazione di quell'esuberante ragazzo dai capelli a punta, Y/N ci aveva messo qualche secondo per realizzare l'assurdità di quella frase: aveva appena appoggiò automaticamente il bicchiere alle labbra, quando lo riappoggió rumorosamente sul tavolo.
«Solo perché tu non fai mai quello che vorresti realmente e fai, invece, tutto il contrario, non significa che è così anche per il resto del genere umano.»
La voce della sua coscienza, personificata nella figura di una poco sobria Ukai Kaori, aveva appena espresso la sua sentenza acida, risollevandosi dal suo stato comatoso.
«Ma tu non stavi dormendo?!»
Come diavolo facesse a rimanere ancora cosciente, per di più nei momenti meno opportuni, era, per Y/N, un irrisolvibile mistero che non sarebbe mai riuscita a svelare.
«Il mio cervello non dorme mai.»
La sua migliore amica era incredibilmente scaltra, questo dovette riconoscerglielo, ma si limitò ad alzare un sopracciglio e lanciarle un'occhiata scettica.
«Keiji?»
Se si fosse trovata al posto del corvino, la manager sarebbe trasalita: il tono della sua ragazza non presagiva niente di buono.
«Hai?»
Naturalmente lui non sembrava averlo capito, visto il suo tono neutrale: uomini, tutti uguali.
«A che rimorso hai pensato, esattamente?»
Kaori si era voltata verso di lui con un sorriso inquietante ad incorniciarle la faccia: ecco svelato il motivo dietro quel suo tono aspro, chissà a cosa pensava, ubriaca com'era.
«Averti fatta bere.»
Akaashi Keiji rispose con una tale prontezza e naturalezza che nessuno, Kaori per prima, ebbe alcunché da ridire.
In realtà c'erano parecchie cose di cui l'alzatore si era pentito, sicuramente la prima era aver lasciato che la sua ragazza si ubriacasse, ma subito dopo seguiva il fatto di non essere riuscito a trovare una scusa per quell'assurda serata, di non aver lasciato il suo capitano in mezzo alla strada, di non aver bevuto anche lui in modo dale da non ricordare nulla la mattina seguente: quella sì, che sarebbe stata una grazia divina.
Ma il rimorso più grande era quello di non aver impedito prima a Bokuto di interessarsi a quella ragazza: lei aveva qualcosa di sbagliato, una situazione sicuramente irrisolta alle spalle, una relazione ancora poco chiara con Kuroo Tetsurō, quel suo costante nascondersi dietro una maschera fin troppo evidente.
Lui aveva il dovere di smascherarla ed ora, complice quello sciocco gioco e l'aiuto dell'alcol, era giunto il momento di farle ammettere almeno una delle tante verità che voleva celare.
«Non ho mai usato un'altra persona per dimenticare qualcuno.»
Aveva sganciato la bomba, il vicecapitano della Fukurodani: Akaashi alzò lo sguardo per piantarlo direttamente nelle iridi e/c di Sawamura Y/N.
Fu come una ventata di aria gelida che la riproiettó violentemente sulla Terra ferma: Y/N sentiva il suono del suo battito accelerato, dei suoi respiri e dei suoi pensieri sconclusionati.
Lo scopo del gioco era quello di essere sinceri al cento per cento, lo aveva detto lei stessa quando l'aveva proposto.
Tutto si sarebbe immaginata, fuorché dover affrontare i suoi sensi di colpa di fronte ad altre persone, soprattutto se si trattava di due semi-sconosciuti e della sua migliore amica, con la quale non aveva avuto il coraggio di farlo prima.
Avrebbe preferito ammettere tutte le sue esperienze più imbarazzanti, le sciocchezze che aveva fatto in passato, le bravate dei sabato sera: tutto, ad eccezione di quell'argomento.
Il corvino l'aveva lasciata senza parole, senza una via di fuga, i suoi occhi chiari ferivano come l'acciaio di una spada ben affilata che le aveva appena trafitto lo stomaco senza pietà.
Era riuscita ad accantonare il senso di colpa fino a quel momento, fingendo di trovarsi ad una semplice uscita tra amici e non accanto al ragazzo che aveva tentato di ingannare e che, al contrario, aveva provato a starle accanto, a modo suo.
Non provava rabbia per Akaashi, né risentimento, solo comprensione: aveva ragione lui, non c'era altro da dire.
Era solo difficile ammetterlo, lo era sempre stato: una cosa era colpevolizzarsi e piangere in solitudine, un'altra era svestirsi dell'orgoglio che l'aveva sempre caratterizzata di fronte al diretto interessato.
Si sentiva uno schifo, si faceva pena da sola, a ripensare a ciò che gli aveva fatto e gli stava facendo: non aveva più provato a chiarirsi con lui, approfittando della sua vicinanza per sentirsi un po' meno sola.
Anche in quel momento sentiva di essere nel torto, non avrebbe dovuto trovarsi lì, non avrebbe dovuto aver accettato quell'invito, non avrebbe dovuto rispondere ai suoi messaggi.
Le sembrò un'entità di tempo infinta, quella che passò guardando negli occhi Akaaahi Keiji: nonostante tutto quello che provasse dentro di sé, nonostante tutta la consapevolezza di essere nel torto, Y/N la avvertiva chiaramente, l'ombra del suo stesso orgoglio velarle gli occhi.
Visti dall'esterno, dovevano sembrare due predatori in procinto di azzuffarsi, ma il gufo, dall'alto della sua saggezza e nobiltà d'animo, sapeva di avere il gatto alla portata dei suoi artigli rapaci.
Alla fine, tutto quello che lei riuscì a fare, fu alzarsi in silenzio, distogliere lo sguardo da quello del corvino e avviarsi, bicchiere alla mano, verso il bancone del locale: con l'eleganza di un vero e proprio felino, sarebbe andata a leccarsi le ferite lontana da occhi indiscreti.
Gli angoli della bocca di Akaashi si alzarono quasi impercettibilmente, quando la vide portarsi il calice alle labbra: lei si era arresa e lui aveva appena vinto il gioco.
«Ne, Akaashi.»
Bokuto stava ancora guardando il profilo di lei allontanarsi dal tavolo, quando richiamò il suo vice: per un momento aveva visto, negli occhi felini della gatta, lo stesso disordinato gomitolo di sentimenti contrastanti che aveva scorto una settimana prima.
In mezzo a quell'accozzaglia di emozioni, l'unica cosa che gli era risultata chiara era il senso di colpa che l'aveva pervasa, portandola ad allontanarsi di nuovo da lui.
«Hai, Bokuto-san?»
Quando si sentì chiamare dal suo capitano, il corvino si ridestò dai suoi pensieri, ricomponendosi, pronto a fornirgli qualsiasi spiegazione gli avrebbe chiesto: sarebbe stato pronto a rivelargli la verità.
«So che Y/N non ti piace, ma sii più gentile con lei, d'accordo?»
Non era arrabbiato con Akaashi, non avrebbe mai potuto esserlo: lui stava solo cercando di proteggerlo, come aveva sempre fatto, aveva sempre voluto il meglio per lui, sia come suo vicecapitano, che come suo amico.
Tuttavia, a volte, tendeva a pensare fin troppo razionalmente, finendo col giungere a conclusioni troppo affrettate e, per questo motivo, sbagliate: si basava sui fatti così com'erano, senza cercare di capire, senza soffermarsi su dettagli che gli avrebbero sicuramente fatto cambiare idea.
Era una persona molto più intelligente di lui, questo Bokuto lo sapeva bene, ma spesso, con i sentimenti, non ci sapeva proprio fare e la logica, per definizione, non tiene conto della morale.
L'alzatore della Fukurodani rimase, come gli era capitato pochissime volte in vita sua, senza parole, rimanendo a guardare le spalle larghe del suo capitano dirigersi verso una figura femminile seduta al bancone del bar.
Bokuto gli aveva fatto uno di quei sorrisi che gli rivolgeva, solitamente, quando lo ringraziava per aver tentato di risollevargli il morale dopo una partita andata male: gli era grato, sinceramente riconoscente, ma gli stava anche intimando che, ormai, era cosa fatta.
Akaashi aveva imparato, in quei due anni nella squadra, che quando Bokuto Kōtarō prendeva una decisione, niente e nessuno sarebbe riuscito a fargli cambiare idea: anche se poteva essere una scelta totalmente sbagliata, che l'avrebbe portato ad uno stato pietoso per chissà quante settimane, il capitano della Fukurodani doveva e voleva commettere quello sbaglio da solo.
Sospirò, il corvino.
Ci aveva provato, adesso avrebbe fatto un passo indietro e sarebbe stato pronto a stargli accanto, quando sarebbe arrivato il momento: non gli avrebbe certamente voltato le spalle, né ora, né mai.
«Keiji...»
Intanto, Kaori aveva rialzato la testa, sbadigliando sonoramente e stropicciandosi gli occhi: fortunatamente, era solo leggermente truccata.
«Dove sono Bokuto e Y/N?»
Con la voce impastata dal vino e dal sonno, la sua ragazza doveva essersi addormentata davvero per qualche minuto, stavolta.
«Al bar, adesso tornano.»
Più la guardava, più si sentiva fortunato ad averla trovata: anche se era fin troppo ubriaca, era felice che non fosse problematica come la sua migliore amica.
«Keiji...»
L'aveva chiamato di nuovo, appoggiando la testa sulla sua spalla, con gli occhi chiusi.
«Hai?»
Le accarezzò dolcemente i capelli neri come la notte, approfittando del fatto che non potesse rimproverarlo per ciò che era appena accaduto, non essendosi accorta di niente: era certo che, se l'avesse scoperto, l'avrebbe atteso una gran bella litigata.
«Ho sonno.»
D'accordo, forse un po' problematica lo era anche lei.
Il bancone del bar era di un legno scuro, liscio e senza neanche un alone di sporco, appannato o bagnato: sembrava il set di un film anni venti, peccato che lei, di quell'eleganza e vitalità propria dei ruggenti anni venti, in cui biondissime ballerine ammaliavano gli uomini a passi di Charleston, non aveva proprio un bel niente.
Ordinò due shots di rum: magari, se avesse bevuto un altro po', si sarebbe davvero ritrovata in un vestitino striminzito pieno di fronzoli e delle piume nei capelli, ballando al ritmo di quella musica movimentata.
E forse, sarebbe sparito anche quel sentimento intollerabile e schiacciante, che la dilaniava: il senso di colpa.
«Non vale bere da soli, Y/N-chan.»
Non era sicuro su che cosa sarebbe stato più giusto dirle: ammettere di essere perfettamente consapevole del fatto che avesse, la notte del compleanno di Kuroo, cercato di usarlo era fuori discussione, si sarebbe sentita ancora più colpevole; dirle che non gli importava l'avrebbe sicuramente fatta arrabbiare, visto il carattere fumino che già aveva imparato a conoscere, chiederle il motivo per cui l'avesse fatto era ancora più assurdo.
Se, e quando, avesse voluto, gli avrebbe raccontato tutto di sua spontanea volontà.
Per il momento, Bokuto si sarebbe limitato a infonderle fiducia e coraggio: era certo che se avesse osato di più, lei si sarebbe allontanata.
Per poco non aveva rovesciato quei preziosissimi millilitri di rum a terra, quando aveva visto una mano grande quasi il doppio della sua afferrarle, da sotto il naso, il secondo bicchierino di vetro.
Quando aveva sollevato lo sguardo, Bokuto era in piedi davanti a lei, con un sorriso smagliante e lo shot che le aveva rubato nella mano destra: o era incredibilmente ottuso e non aveva capito ancora a che cosa si fosse riferito poco prima il suo vice, oppure era già a conoscenza di tutto e faceva finta di niente.
In ogni caso non era quello il momento per pensarci, la testa era già abbastanza affollata di pensieri e svariati bicchieri di vino.
Trangugiò il rum senza neanche brindare con il gufo di fronte a lei: dentro quel caos, un po' di rum non le avrebbe fatto che bene.
«Andiamo? Kaori si sta seriamente addormentando sul tavolo.»
Dovevano essersi messi d'accordo, i due pallavolisti, per averla fatta sussultare in quel modo a neanche due minuti di distanza l'uno dall'altro: Akaashi era spuntato da chissà dove, rischiando di far finire il bicchiere sul pavimento; perlomeno sarebbe stato vuoto, stavolta.
«Hai, chiamo il taxi.»
Aveva già cominciato a cercare freneticamente il telefono all'interno della piccola pochette che si era portata, quando Akaashi la interruppe di nuovo: perché mai più minuscola era la borsa, più difficile era trovare le cose al suo interno?
«Ti riaccompagno.»
Non la guardava neanche negli occhi, sembrava parlare più con il suo capitano, che con lei.
«Non c'è biso-»
Si era pentito di quello che le aveva detto pochi minuti prima? Non aveva bisogno della compassione di Akaashi Keiji, lui aveva ragione, perché mai avrebbe dovuto "rimediare" riportandola a casa?
Eppure, era come se non l'avesse neanche sentita controbattere.
«Bokuto-san, aspettatemi in macchina.»
Aveva lanciato le chiavi all'asso e gli aveva voltato velocemente le spalle, dirigendosi verso la sua ragazza, ormai spaparanzata sul legno del tavolo, in balia di chissà quale idilliaco sogno.
Fu silenzioso, il breve tragitto che li portò alla vettura di Akaashi, esattamente come furono silenziosi i primi minuti in cui entrambi, seduti sui sedili posteriori, non trovarono niente da dirsi.
Bokuto aveva sperato semplicemente di passare sopra quello spiacevole episodio senza aver bisogno di dire nulla, ma a quanto pare, la manager della Nekoma era stata colpita troppo nel profondo per poterci ridere su.
Y/N si era raggomitolata vicinissima alla portiera di destra, aveva incrociato le braccia e vi aveva appoggiato sopra la testa, osservando il parcheggio mezzo vuoto fuori dal finestrino.
Non che stesse riflettendo un granché, in realtà: l'alcol le annebbiava la mente impedendole di sprofondare nel baratro di una discussione con sé stessa, che sarebbe certamente arrivata l'indomani mattina, ma non era abbastanza ubriaca da negarle la consapevolezza di essere nel torto e consentirle, invece, di concludere la serata con la stessa spensieratezza di prima.
Forse inconsciamente, o forse di proposito, tutto il suo corpo era orientato verso l'esterno dell'auto, il più lontano possibile da quello di Bokuto: sperava che, non toccandolo, non guardandolo, neppure respirando la sua stessa aria, sarebbe riuscita a non ferirlo ulteriormente, a non scombussolare oltre la sua vita.
Mentre guardava il riflesso dei suoi occhi nel vetro del finestrino, le sue pupille che saettavano al di fuori, in cerca di qualcosa che non gli era concesso conoscere, Bokuto pensò che probabilmente il problema di quella ragazza era proprio il suo costante silenzio.
C'era così tanto, dentro quelle iridi, così tante parole che si imponeva di trattenere, così tante emozioni che avrebbero finito col distruggerla, quando sarebbe bastato parlare: lui era lì, l'avrebbe ascoltata.
«Non hai gli occhi di qualcuno che sarebbe capace di usare una persona.»
Non ce l'aveva più fatta a rimanere in silenzio, lui non era nato per contenersi, per aspettare pazientemente il momento giusto: ciò non voleva dire che avrebbe preteso delle spiegazioni da lei, non era un egoista, voleva solo farle sapere che cosa pensava, voleva almeno tentare di farle capire che non era il mostro che si ostinava a far credere a sé stessa e al mondo intero.
Y/N voltò la testa di scatto, come se qualcuno le avesse appena gridato qualcosa di orribile, lui stava solo cercando di tirarla su di morale, ma aveva ottenuto l'effetto opposto: l'aveva appena fatta arrabbiare.
Come poteva avere la presunzione di dirle che cosa fosse o non fosse in grado di fare? Che cosa ne poteva sapere, lui, dopo solo una settimana?
Odiava, odiava e odiava con tutta sé stessa, essere compatita.
«Non puoi saperlo.»
Si sforzò incredibilmente di non inveirgli contro, limitandosi ad assottigliare gli occhi e serrare le labbra in un'espressione dura.
«Ne sono certo.»
Bokuto l'aveva capito fin troppo chiaramente, che lei si stesse inalberando, ma se aveva sperato di trovarlo pronto, con le armi cariche, ad un'accesa discussione, si sbagliava di grosso.
Non si era mai adirato veramente con nessuno in tutta la sua vita, piuttosto preferiva farsi da parte, ma evitava il litigio come la peste: lui, alla rabbia, rispondeva con la gentilezza.
«Come-»
Adesso perché mai le sorrideva? Perché addirittura supponeva di avere la certezza? Non aveva senso, Bokuto Kōtarō non aveva alcun tipo di senso: adesso era sicura che lui avesse capito le sue intenzioni alla festa di Kuroo, che avesse perfettamente compreso l'allusione di Akaashi, eppure continuava ad asserire che lei fosse una brava persona.
«Avresti potuto già farlo in mille modi diversi questa settimana, questa sera. ma non l'hai fatto.»
Quando l'aveva interrotta di nuovo per spiegarle il motivo principale per cui era certo che non avesse mai avuto veramente intenzione di approfittare di lui, l'aveva vista cambiare totalmente espressione, e ne era stato felice.
Y/N sentì, in quel preciso istante, tutta la rabbia sciogliersi e scaldarla da dentro: non ci aveva mai pensato, all'altro lato della medaglia.
La maggior parte delle persone tendeva ad evidenziare i suoi lati migliori, elogiandosi anche quando non ce n'era motivo, facendo esibizione e mostra di sé in continuazione, deliberatamente nascondendo quelli che, invece, sono i difetti peggiori.
Lei era una di quei rari individui che, al contrario, non vedevano altro che i lati negativi del loro essere, finendo con lo scoraggiarsi e chiudersi in una gabbia di colpevolezza.
Quello che il capitano della Fukurodani aveva fatto, quella sera, era stato semplicemente scostare la sua visuale un po' più in là, permettendole di rendersi conto che bastava voltarsi di pochissimo, per vedere che c'era del buono, in lei: tutti sbagliano, l'importante è saper imparare dai propri errori.
E lei, lo aveva fatto fin dall'inizio: si era scusata un momento dopo aver sbagliato e poi, per l'intera settimana, aveva fatto di tutto per non ricadere nello stesso errore.
Era stato davvero così semplice, toglierle quel peso dal cuore?
Persa nei suoi pensieri, molto più leggeri di prima, non si era neanche accorta che Akaashi aveva fatto ritorno con Kaori che, ancora in dormiveglia, si era presto riaddormentata sul sedile per tutta la durata del viaggio di ritorno.
Si era resa conto di non essere più nel parcheggio solo quando il vicecapitano le aveva chiesto il suo indirizzo e lei, sbattendo un paio di volte le palpebre, glielo aveva borbottato distrattamente, per poi rituffarsi nel mare di luci di Tokyo, fuori dal finestrino.
«Arigatō, Akaashi.»
Era quasi l'una del mattino, quando Y/N ringraziò Akaashi per il passaggio, sussurrando per non svegliare la corvina sul sedile anteriore.
«Oyasumi!»
Attenta a non fare troppo rumore neanche quando aprì la portiera della macchina, salutò i due pallavolisti, soffermandosi per un attimo in più su Bokuto, al quale sorrise dolcemente.
I due ragazzi, dall'interno dell'auto, decisero di aspettare che entrasse all'interno dell'abitazione, prima di ripartire: l'avevano vista barcollare animatamente, doveva essere ancora ubriaca, anche se con molto più contegno di Kaori.
«Bokuto.»
A proposito dell'amica, Ukai Kaori li fece sobbalzare quando, con una voce che sembrava provenire dall'oltretomba, chiamò il capitano.
«Kaori-chan sei sveglia!»
Con una mano sulla parte sinistra del petto per lo spavento, Bokuto si era sentito alquanto sollevato, quando si era reso conto che non era stata un'entità paranormale a chiamarlo: cazzo, era decisamente ubriaco anche lui.
«Quella è la camera di Y/N.»
Lei aveva appoggiato una guancia sul vetro freddo del finestrino e aveva indicato una finestra al piano superiore dell'abitazione di fronte a loro.
Bokuto e Akaashi si erano scambiati un'occhiata interrogativa tramite lo specchietto retrovisore.
«Sai perché tiene la luce accesa anche se non c'è nessuno in casa?»
Effettivamente si poteva scorgere una flebile luce provenire da quella stanza, ma il motivo per cui avrebbe dovuto suscitare interesse, per entrambi i gufi era sconosciuto: probabilmente erano solo vani discorsi di una sbronza.
«Per far credere che invece qualcuno ci sia...?»
Era stato Akaashi a rispondere alla sua ragazza, lievemente preoccupato che stesse dando di matto; si pentì subito di quel pensiero quando la vide fulminarlo con lo sguardo: la domanda non era stata posta a lui, dannazione.
A volte, pensò Kaori, il suo ragazzo era più ottuso del suo stesso capitano: possibile non capisse dove stava cercando di arrivare?
«Ha paura del buio, così quando arriva a casa e deve salire le scale vede un po' di luce.»
Sbuffando spazientita, marcò deliberatamente le prime parole della frase, sperando che almeno Bokuto giungesse allo scopo di quella conversazione: non era già stata abbastanza chiara?
Maledizione, gli aveva appena detto che Y/N sarebbe stata sola tutta la notte e che aveva paura del buio!
«La tiene accesa anche quando dorme e la spegne solo se qualcuno dorme con lei.»
Dopo questo non avrebbe saputo più che cos'altro dire, si sarebbe arresa e avrebbe sconsigliato persino a Y/N di uscire con quell'idiota, rimangiandosi tutta l'insistenza di quella settimana.
Fortunatamente, Bokuto sembrò colto da un'illuminazione paradisiaca e si scaraventò fuori dall'auto ringraziando velocemente gli altri due.
Akaashi, nel frattempo, elencava tutti i possibili modi per occultare il cadavere della sua ragazza: aveva accettato di rimanere accanto a Bokuto in quella folle impresa per conquistare il cuore della gatta, ma addirittura spingerlo nelle braccia del diavolo, di questo poteva essere capace solamente Kaori.
Dopo quella che le sembrò un'ora, passata ad inveire contro le dannatissime chiavi che parevano essersi volatilizzate dalla sua borsa, finalmente le trovò e, non senza ulteriori difficoltà, riuscì ad inserirle nella serratura.
Lo sforzo di chiudere contemporaneamente la pochette e infilare le chiavi, sommato al vino nel suo circolo sanguigno, le fece perdere l'equilibrio, facendola barcollare all'indietro: si scontrò con qualcosa di caldo, alle sue spalle.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
Quando si sentì cingere la vita da dietro, probabilmente nel tentativo di sorreggerla, sollevò la testa, incontrando gli occhi grandi del capitano della Fukurodani.
«Dormire con te.»
Non si era staccato minimamente da lei neanche quando aveva riacquistato l'equilibrio e, sorprendentemente, la cosa non le dispiaceva.
Ci stava bene, così vicina al suo corpo: anche se c'erano strati di indumenti invernali a separarli, a Y/N sembrò di sentire il calore emanato dal corpo muscoloso di lui, per non parlare poi del profumo, identico a quello impregnato nella sciarpa che le aveva dato.
A proposito di sciarpa, sarebbe stata una buona occasione per restituirgliela.
«Russi?»
Dopo una manciata di secondi di silenzio, la manager della Nekoma alzo un sopracciglio, guardandolo negli occhi.
«No.»
Bokuto sperò sinceramente che il buio della notte nascondesse il rossore del suo viso: un po' per l'ubriachezza, un po' per la menzogna appena detta, ma soprattutto per il fatto di averla così vicina a sé, doveva essere letteralmente bordeaux.
«Prego.»
Quando si divincolò dalle sue braccia e gli fece segno di seguirla all'interno dell'abitazione, uno spiraglio di sobrietà le attraversò la mente: doveva essere impazzita.
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Avete presente quei periodi del cazzo in cui non c'è una sacrosanta cosa che va per il verso giusto?
Ecco, per me giugno è sempre stato quel periodo del cazzo, sarà che è il mese dei Gemelli.
Sorry Gemelli, vi amo tantissimo, ma siete un po' lunatici e, a volte, fate girare il cazzo, proprio come Giugno.
MA, parliamo del capitolo: che ne pensate, amori miei? ◭,◭
Vi voglio bene ➳♥
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