Capitolo 29: Vim vi repellere licet.
Vim vi repellere licet è una locuzione latina che significa letteralmente:
"è lecito respingere la violenza con la violenza."
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Le persone arrabbiate dicono tante di quelle cose.
Cose che non pensano, cose che pensano ma normalmente non ammetterebbero mai, cose che neanche immagino ma, chissà come, con la rabbia nelle vene vengono fuori lo stesso.
Le persone arrabbiate e ubriache, poi, ne dicono ancora di più.
Quando era uscita dal palazzetto secondario del polo sport di Tokyo, Sawamura Y/N aveva le lacrime agli occhi che minacciavano di esondare come il Sumida-gawa nella stagione delle piogge.
Le palpebre le bruciavano quasi quanto i palmi delle mani nei quali aveva affondato le unghie feline, ma non aveva pianto alla fine.
Ripeté nella sua testa la sua versione dei fatti: Bokuto Kōtarō era un idiota geloso che aveva frainteso tutto quanto, non le aveva dato la possibilità di spiegarsi ed era andato dritto dritto per la sua strada, ma si sarebbe accorto di tutta la sua esagerazione e pessima condotta entro un'ora o due e si sarebbe scusato per il suo comportamento.
O almeno così sperava.
Insomma, non poteva pretendere che fosse lei a farlo.
La cosa più grave, ovviamente, era che non le aveva dato la possibilità di confessargli quel tanto atteso ti amo che lo avrebbe reso l'uomo più felice della terra e gli avrebbe fatto dimenticare tutti i maledettissimi gatti della Nekoma e il loro capitano.
Lei, per orgoglio, si promise di rimandare quella dichiarazione di almeno una settimana: ben gli stava.
Tentò strenuamente di immaginare il momento della riappacificazione, il modo in cui si sarebbe mostrata offesa e impermalosita giusto per fargliela pagare un po', mentre quello stupido gufo si disperava per farsi perdonare, sbattendo quegli occhioni enormi come un cucciolo in cerca di coccole.
Perché sarebbe andata a finire così, giusto?
Era solo una litigata passeggera, niente di cui preoccuparsi, niente di grave.
"...sei sempre stata un'egoista."
"Non toccarmi!"
"Vattene ho detto!"
Quando però le tornò in mente il modo in cui l'aveva cacciata via una lacrima furtiva le era scivolata su una guancia.
Se l'era asciugata con così tanta forza con il palmo della mano che era sicurissima di essersi arrossata il punto in cui aveva sfregato.
Non se le meritava le sue lacrime, quell'idiota, tantomeno per una discussione così sciocca e priva di senso.
Cercava di convincersene, ma le urla, le parole taglienti come coltelli, gli sguardi furiosi, delusi e imperturbabili di lui le tornavano in mente con insistente prepotenza.
Un'altra lacrima.
Ne sarebbero certamente seguite delle altre se non fosse quasi andata a sbattere contro la penultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento, appena fuori dalla struttura alberghiera in cui la squadra della Nekoma alloggiava.
"Penultima" in quanto l'ultima in assoluto era Bokuto, naturalmente.
Quante volte aveva alzato gli occhi al cielo, nella sua vita, chiedendo mentalmente agli dei perché ce l'avessero tanto con lei?
Non era particolarmente devota, d'accordo, ma quell'accanimento le sembrava un tantino esagerato.
E chi avrebbe mai potuto trovarsi di fronte, se non la causa del litigio con il suo ragazzo?
Non aveva voglia di dare spiegazioni a nessuno, di tediare qualcuno con la penosa storia di come, poverina, era stata trattata dal suo ragazzo dopo la svolta dei Nazionali, o peggio ancora di scatenare l'ira di Kuroo che, ne era sicura, sarebbe corso dal gufo pretendendo delle spiegazioni.
O minacciandolo di morte, direttamente.
Com'è che aveva detto, solo poche ore prima?
"Non c'è bisogno che ti dica che se quel bastardo di un gufo ti farà soffrire ci penserò io, perché so che non lo farà: stiamo parlando di Bokuto, dopo tutto."
Indovina un po', taichou, il tuo migliore amico è riuscito ad essere stronzo quanto te.
Non avrebbe potuto dirglielo, lo sapeva, ci mancava solo l'ennesima lite tra quei due, sarebbe proprio stata la ciliegina sulla torta.
Ma lo pensò così intensamente che quasi sperò le leggesse nel pensiero.
«Y/N?»
Quando la manager riprese contatto con la realtà Kuroo la guardava con un'espressione alquanto interrogativa.
Doveva averle detto qualcosa, ma lei era stata troppo impegnata a dirigere uno dei suoi soliti film mentali per prestargli attenzioni: di quest'ultimo in particolare era eccezionalmente soddisfatta delle risposte a tono.
Peccato non poter far sì che si avverasse.
«Scusa, dicevi?»
Tirò su con il naso stringendosi nel giaccone rosso e bianco della squadra, sperando di ingannare il corvino facendogli credere che fosse solamente infreddolita dall'aria pungente di gennaio.
«Com'è andata la partita?»
Il capitano della Nekoma finì la domanda quasi bisbigliando: non ci voleva un genio per capire che la vittoria non era stata della Fukurodani, o Y/N non sarebbe stata lì, ma a festeggiare con il suo ragazzo.
Conoscendo Bokuto, invece, doveva essersi accoccolato tra le braccia dei suoi compagni piagnucolando e lamentandosi di quanto doveva aver deluso la squadra.
Non che lo biasimasse: se non fosse stato per il suo orgoglio e il suo ostinarsi a fare sempre il duro della situazione lo avrebbe fatto volentieri anche lui.
Nonostante non ce lo vedesse proprio quel demone di Yaku, a consolarlo.
«Male.»
Semplice, indolore.
Non c'era altro da dire o, in ogni caso, non aveva voglia di aggiungere ulteriori commenti.
Sfilò accanto a Kuroo verso l'ingresso dell'hotel: l'unica cosa che sentiva di voler fare era raggiungere il più in fretta possibile la sua stanza.
Kuroo Tetsurō aveva imparato a conoscerla non abbastanza da non ferirla, era vero, ma sufficientemente per poter affermare che quello non era il momento giusto per assalirla di domande.
La seguì a ruota dentro l'edificio e quando entrarono, senza farsi vedere, mimò all'intera squadra di non proferire parola: obbedirono.
Era naturale che volessero conoscere anche loro l'esito della partita della Fukurodani, non solo per spalleggiare la loro manager, ma anche e soprattutto perché i gufi, prima di essere avversari, erano loro amici.
Y/N non era una completa idiota, o quantomeno non così tanto da non essere capace di intuire che fosse stato il capitano ad impedire agli altri di rivolgerle la parola.
Qualcuno, quel giorno, aveva finalmente fatto qualcosa giusto.
Chiusasi la porta alle spalle, la manager della Nekoma sbarrò gli occhi e tirò un profondissimo sospiro.
Non avrebbe potuto compiere gesto più sbagliato: fu come se tutta la frustrazione accumulata fino a quel momento la travolgesse in pieno, senza via di scampo.
La tensione della partita, la preoccupazione per il morale di Bokuto, la loro litigata.
Sentiva le membra pesanti, le spalle schiacciate da un enorme macigno che gravava tanto da farle venire mal di testa.
Riaprì gli occhi all'istante: erano così colmi di lacrime da rendere le pareti della stanza tremolanti e sbiadite.
Si accasciò a terra, la schiena appoggiata alla porta e l'intero corpo scosso da brividi.
Quando si portò le braccia attorno al petto si rese conto che non era il freddo a scuoterla, ma un'agitazione prepotente, abissale e incolmabile.
Capì di non poter restare da sola quella sera, di non poter reggere ulteriormente i suoi pensieri, la voce di lui che le rimbombava in testa, il dubbio che fosse finita l'avrebbe distrutta.
La gatta della Nekoma si alzò in un lampo, si sfilò la tuta rossa e indossò un cambio senza farci troppo caso, mentre i respiri affannati scandivano il tempo come una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all'altro.
Qualche minuto dopo camminava a passo svelto verso un'altra stanza, gli occhi erano stanchi ma truccatissimi, le emozioni nascoste sotto uno spesso strato di rossetto rosso fiamma.
Due colpi alla porta, diversi sguardi curiosi.
«Chi ha voglia di uscire a sbronzarsi?»
☆☆☆
Quando Y/N se n'era andata, Bokuto Kōtarō aveva sbattuto il pugno della sua mano destra con così tanta forza contro l'armadietto degli spogliatoi, che il rumore era rimbombato per l'intera struttura e gli addetti alle pulizie erano sobbalzati per lo spavento.
Il capitano della Fukurodani era furioso, su questo non c'era alcun dubbio, eppure qualcosa dentro di sé, mentre guardava le mattonelle di quell'anonimo pavimento, gli diceva che la sua rabbia non giustificava il comportamento appena avuto.
Era una sensazione strana, come se non potesse farci niente se si era arrabbiato tanto, ma allo stesso tempo un nodo allo stomaco gli suggeriva un senso di colpa che non comprendeva.
Perché si sentiva in colpa lui, se era lei ad aver sbagliato?
L'aveva tradito, era ovvio.
Bokuto strinse forte le palpebre reprimendo lacrime che non voleva versare, poi con uno scatto agitato raccolse la borsa da terra e se la mise sulle spalle, lasciando quel posto e legandolo, inevitabilmente, a uno dei ricordi più orribili che avrebbe mai avuto in tutta la sua vita.
Akaashi Keiji e Ukai Kaori erano già da tempo seduti sulla vecchia panchina posta appena fuori l'uscita posteriore dell'hotel che ospitava la Fukurodani, quando lo stridio della porta di servizio li fece sciogliere da quell'abbraccio consolatorio in cui si erano rifugiati.
Non era stata una giornata facile neanche per loro, perciò quando videro spuntare i capelli nero-argentei di Bokuto Kōtarō furono sollevati di poter condividere e superare quel malumore tutti insieme.
Peccato, però, che il loro sollievo svanì quando capirono che il capitano era solo.
«Bokuto?»
In qualche modo durante quella breve passeggiata nell'aria pungente della metropoli, aveva raggiunto una sorta di equilibrio, si era chiuso in una specie di bolla immaginaria in cui non era successo niente, era una giornata come le altre.
Fu solo quando sentì chiamare il suo nome con tono confuso, che si accorse della presenza del suo vice e la sua ragazza.
«Oh, gomen.»
Forse li aveva disturbati in un momento privato, anche loro dovevano essersi appartati lì per non essere infastiditi.
«Aspetta, Bokuto!»
Lui e Kaori si conoscevano da anni, ormai: era quasi sicura di conoscerlo da più tempo di Akaashi.
Eppure era sicurissima di non averlo mai visto in quello stato.
Il gufo aveva i capelli ancora umidi per via della doccia che gli ricadevano sulla fronte, gli occhi non erano quelli allegri ed esuberanti di sempre, ma spenti e vuoti, la testa immersa in pensieri che dovevano turbarlo a tal punto da impedirgli perfino di scoppiare a piangere come invece aveva fatto in passato dopo ogni sconfitta.
Si alzò di scatto, raggiungendolo appena prima che aprisse la porta per tornare dentro.
«Dov'è Y/N?»
Sperava di sbagliarsi, pregò gli dei che ci fosse qualcun altro dietro quell'aria distrutta, ma era chiaro che ci fosse la sua migliore amica dietro tutto questo.
«Non lo so.»
Sentire il suo nome l'aveva fatto scuotere dal torpore in cui si era rintanato, la rabbia aveva ricominciato ad avvelenargli il cuore, i polmoni, il respiro stesso.
Strinse i pugni continuando a camminare dritto di fronte a sé, senza degnare la corvina di uno sguardo: se l'avesse fatto, avrebbe ceduto.
«Cosa significa che non lo sai?»
Quella risposta fredda l'aveva infastidita, ma si impose di mantenere la calma: non era il caso di tormentare una persona già così evidentemente tormentata.
Silenzio, passi verso la porta dell'edificio: Bokuto non aveva intenzione di risponderle.
Era risaputo che Ukai Kaori non avesse un benché minimo briciolo di pazienza, infatti, un attimo dopo, l'aveva afferrato per un braccio.
«Dov'è?!»
Aveva alzato la voce, nonostante un attimo prima si era promessa di non farlo.
Ma come avrebbe potuto essere tranquilla se il suo migliore amico era in quello stato e la sua ragazza, nonché sua migliore amica, ne era quasi sicuramente la causa?
«Non lo so, Kaori!»
Si era rigirato come una furia.
«Non ho idea di dove cazzo sia, o con chi cazzo sia!»
Gli occhi sembravano ancora più grandi del solito mentre guardavano la corvina iniettati di una rabbia fredda e atroce, la voce che echeggiava nel cortile deserto.
«E non mi interessa saperlo.»
Poi, di colpo, lo sguardo era tornato buono come quello di sempre, le parole pronunciate quasi in un sussurro, e il grande e grosso capitano della Fukurodani si era lasciato cadere a terra, con le spalle lungo la parete dell'edificio e un mare di lacrime che cominciava a inondargli le ginocchia.
«Cos'è successo?»
Il tono di Kaori era fermo, gli occhi ambrati tremolanti sotto la luce del lampione che li illuminava, mentre brividi le percorrevano la schiena: brividi che non erano di freddo, ma di tensione.
«L'ho vista con Kuroo prima della partita.»
Le fu sufficiente sentire il nome di quel bastardo per perdere definitivamente la pazienza: Ukai Kaori aveva sentito abbastanza.
«Poi è venuta negli spogliatoi e...»
La voce del suo migliore amico era già lontanissima dai suoi pensieri, ormai focalizzati su un'unica immagine: Y/N e Kuroo.
«...abbiamo discusso.»
Lanciò un'ultima occhiata a Bokuto, seduto là a terra con le mani tra i folti capelli di solito sempre dritti, con la voce spezzata da un pianto che non accennava a finire.
«Insomma, si comportava come nulla fosse e io mi sono sentito-»
tradito, preso in giro.
Così come si sentiva lei.
Neanche un attimo dopo la corvina aveva aperto con forza l'anta della porta in vetro, richiudendosela con un forte tonfo alle spalle, mentre la voce del suo ragazzo a malapena la raggiungeva.
Non avrebbe ascoltato nessuno, non si sarebbe fermata per alcun motivo al mondo: il suo unico obiettivo, adesso, era trovare Y/N.
«Kaori!»
Akaashi era rimasto in disparte per tutto quel tempo, osservando il suo capitano e studiandone il comportamento.
Era stato un grosso errore non prestare attenzione, invece, a quello della sua ragazza: avrebbe dovuto già imparare a conoscere la sua impulsività, no?
Sbuffò, arrendendosi al fatto che, ormai, non l'avrebbe mai raggiunta: adesso aveva un'altra questione da risolvere.
«Dovevo saperlo che sarebbe andata a finire così, ne Akaashi?»
A spezzare il silenzio che si era appena creato fu la voce affranta di Bokuto, che ora guardava un punto indefinito al di là delle siepi perimetrali.
«A finire così, come?»
Akaashi Keiji non si arrabbiava quasi mai, ed era fiero di poter dire di aver affrontato gli anni da vice senza mai perdere la pazienza nonostante dovesse interfacciarsi con un ingestibile capitano come quello dei gufi.
Eppure, quella sera di gennaio, gli rispose in un tono al limite della calma.
«Le ho detto di andarsene.»
Gli passarono davanti le immagini di quella litigata, il tentativo di lei di avvicinare la mano.
«L'ho cacciata via.»
Il modo in cui lui l'aveva brutalmente respinta.
«Avrei dovuto darti retta, avrei dovuto farlo molto tempo fa.»
Gli occhi gialli di Bokuto si assottigliarono, mentre i pugni si stringevano ancora una volta su loro stessi.
«Che cosa hai visto esattamente prima della partita, Bokuto-san?»
C'era qualcosa di tremendamente sbagliato nella rabbia del formidabile asso, qualcosa che non filava con tutto quello che era accaduto fino a quel momento tra lui e la gatta della Nekoma.
Akaashi sapeva alla perfezione che persona poteva diventare il suo capitano dopo una sconfitta, a che cosa poteva portare il suo essere lunatico, quante volte aveva ringhiato contro i suoi stessi compagni, il loro coach, lui perfino.
«Li ho visti arrivare insieme da una delle porte riservate solitamente alle squadre.»
Già solo il fatto di vederli arrivare insieme gli aveva dato fastidio, lo stomaco gli si era contorto fino a fargli venire la nausea.
«Lui le scompigliava i capelli, lei rideva.»
Ma quello era stato il vero colpo al cuore: i loro sorrisi sinceri.
Prima di iniziare la storia con lui stesso, Y/N non rideva mai.
Era una cosa che Bokuto aveva notato fin dall'ultimo ritiro estivo, nelle rare occasioni in cui l'aveva vista tra amichevoli e partite ufficiali, fino alla sera del compleanno di Kuroo, quando tutto era cominciato.
Si era convinto di essere stato lui a farle tornare il sorriso, che ora sentiva quasi appartenergli.
«Poi si sono salutati e lei è rimasta.»
E in uno dei giorni più importanti per la sua carriera, per la sua vita, lei che cosa aveva fatto?
Aveva condiviso quel sorriso con Kuroo, lo stesso ragazzo per cui le si erano sempre illuminati gli occhi al solo sentirlo nominare.
«Solo questo?»
Il vicecapitano aveva atteso qualche momento prima di porgli quella domanda, impegnandosi ad analizzare attentamente ogni parte di quel breve racconto.
«Lei che cosa ti ha detto?»
Era abbastanza certo di aver intuito alla perfezione quello che era successo, aveva solo bisogno di un'ultima conferma.
«Ha farfugliato qualcosa come "abbiamo solo parlato", "mi è servito"...»
Stronzate.
Tutte stronzate.
La bile riiniziò a farsi sentire nelle viscere, ripensando al modo in cui l'aveva ingannato per tutto quel tempo.
«Non lo so, non avevo intenzione di sentire altre menzogne.»
Con un'espressione dura a incorniciargli il volto si passò la manica della felpa sugli occhi arrossati, a cancellare le ultime tracce di quelle lacrime indegne.
«Quindi le hai urlato contro senza farla finire di parlare.»
Il corvino aveva le braccia incrociate al petto, gli occhi piantati dentro un'immagine nella sua testa: poteva vedere chiaramente come erano andate le cose, anche se non era stato fisicamente presente.
E la cosa, a dire la verità, non lo sorprendeva per niente.
«Non-»
Per la prima volta da quando erano lì da soli a parlare, Bokuto aveva sollevato la testa verso il ragazzo accanto a lui, con gli occhi spalancati di stupore.
«Su che prova sospetti ti abbia tradito con Kuroo?»
Furono i suoi occhi chiari a trafiggerlo così duramente come avrebbe fatto una scheggia di ghiaccio? Oppure furono le parole usate?
«Perché è questo che pensi, vero Bokuto-san?»
Le iridi blu-verdi di Akaashi non erano mai stati così taglienti come quella sera, quando si incrociarono con le sue in una mal celata accusa.
«E' ovvio che sia così!»
Era scattato in piedi in un lampo, fronteggiando l'altro faccia a faccia, mentre il muro che si era creato, insieme a tutte le sue illusioni, la rabbia, i sospetti, cominciava a sgretolarsi.
«Su che basi?»
"Basi?"
Di che basi parlava, adesso? Non gli bastava quello che aveva appena detto? Non bastava il fatto di averli visti insieme?
«Quante volte hai riso e scherzato con le nostre manager?»
Y/N era la manager della Nekoma, prima di qualsiasi altra cosa.
Prima della sua storia con Kuroo, prima di essere la sua ragazza, lei era la loro manager.
Ma no, era diverso.
Lui non aveva avuto un passato con le manager della Fukurodani, Y/N e Kuroo erano stati qualcosa.
«Quante volte hai scompigliato i capelli a Yukie? Quante altre avete riso fino alle lacrime?»
Le parole di Akaashi avevano dato il via ad un altro litigio, quel giorno, nella mente di Bokuto: la parte della cieca gelosia che non vedeva altro che la meschinità dietro il sorriso di Y/N e Kuroo, e quella della ragione, che suggeriva ci fosse un'innegabile verità dietro le parole del vice.
«L'hai aggredita perché eri frustrato e deluso per la partita.»
Mai avrebbe pensato di difendere Sawamura Y/N.
Era stato il primo a sospettare di lei, a spingere Bokuto perché la lasciasse perdere, ad infuriarsi quando anche Kaori si era messa in mezzo spingendo per far sì che formassero una coppia.
Si era opposto con tutte le sue forze, ma alla fine si trovava a spalleggiare lei, piuttosto che il suo capitano.
«Hai riversato tutto su di lei, e per cosa?»
Di preciso non lo sapeva il perché lo stesse facendo, ma era pronto a giurare che la gatta fosse nel giusto.
Una cosa aveva imparato su Y/N: non aveva mai mentito.
Aveva omesso, talvolta, ma era sempre stata sincera se messa di fronte all'evidenza.
Era innocente, la sua unica colpa era quella di essersi avvicinata al suo ragazzo inconsapevole della persona che poteva diventare quando era deluso non da qualcun altro, ma da sé stesso.
Lui, al contrario, lo sapeva troppo bene.
«Pensa a quello che le hai fatto stasera, Bokuto-san.»
Le spalle del suo più fidato amico erano già dietro la porta a vetri quando riprese coscienza di sé, quando capì a pieno il significato di quello che gli aveva detto.
Y/N non aveva fatto proprio un bel niente.
Non c'era stato alcun tradimento, se non quello avvenuto nella sua mente avvelenata dalla gelosia.
Lei era andata a vederlo giocare la sua partita più importante, era rimasta sugli spalti fino all'ultimo ed aveva applaudito con le lacrime agli occhi cercandolo con lo sguardo, che lui aveva in ogni modo evitato.
Era entrata in punta di piedi nello spogliatoio per consolarlo, gli aveva rivolto parole dolci, comprensione e non compassione, lo avrebbe abbracciato, baciato, gli sarebbe stata accanto come poteva.
«Akaashi!»
E lui, invece, che cosa aveva fatto?
L'aveva attaccata senza pietà.
«AKAASHI!»
Non si era fidato di lei, non le aveva dato modo di parlare, di dirgli qualcosa che, ne era sicuro, doveva essere importante.
Akaashi non si fermò neanche un secondo, non lo avrebbe aiutato stavolta.
Non spettava a lui rimediare a quel madornale errore: doveva capire da solo.
Cosa aveva fatto?
Che cosa avrebbe dovuto fare, adesso?
☆☆☆
Dovevano esserci uno o due gradi massimo sopra lo zero, quella sera di gennaio.
Eppure Ukai Kaori non sentiva il minimo freddo sulla pelle, solo un'irrefrenabile agitazione.
Si era lasciata alle spalle l'hotel in cui alloggiava la Fukurodani come un tornado, immergendosi nelle strade innevate di quel quartiere di Tokyo con una sola immagine nella mente: il suo migliore amico a terra, sommerso dai suoi stessi singhiozzi.
Non glielo aveva mai detto, ma aveva sempre considerato Bokuto Kōtarō come un secondo fratello e, come tale, lo avrebbe protetto sempre, contro tutto e tutti.
Eppure, nonostante il bene incommensurabile che gli voleva, nonostante la tacita promessa di fare in modo che non dovesse soffrire mai, a ferirlo era stata una persona che, allo stesso modo, aveva considerato una sorella acquisita: Sawamura Y/N.
Lei, per Y/N, c'era sempre stata.
Si conoscevano da quanto? Meno di un anno.
Ma Kaori aveva sempre sostenuto che il legame tra due persone non si misurasse con il tempo trascorso insieme: andava al di là di questo, se era vero e profondo.
Aveva creduto che con Y/N fosse così, una di quelle amicizie rare e speciali che niente avrebbe potuto spezzare, anche se avevano due caratteri completamente opposti e si facevano dispetti a non finire.
L'aveva vista cadere con Kuroo e l'aveva aiutata a rialzarsi, mettendola tra le mani di Bokuto.
Lei era la sua migliore amica, lui il suo migliore amico: era perfetto, aveva pensato, niente sarebbe mai potuto andare storto.
Si fidava dell'una e dell'altro, non si sarebbero mai fatti del male.
Ci aveva sperato davvero, aveva vissuto quell'idilliaco sogno senza dubitare che sarebbe finita in quel modo, ma era successo.
Y/N l'aveva tradito.
Aveva tradito la loro amicizia, aveva tradito lei.
Quando la vide brindare sotto la luce al neon di un affollato locale di periferia assieme a un primino della sua squadra, tutta la rabbia, il rancore, la stanchezza e la frustrazione di quell'interminabile giornata venne a galla.
«Vedo che ti stai divertendo, ora che hai ottenuto quello che volevi.»
Y/N aveva bevuto tanto, forse troppo considerando che non aveva neanche cenato, ma le andava benissimo così: annebbiare i sensi e i pensieri era l'unica cosa a cui aveva mirato da quando era uscita in compagnia di Tora, Inuoka e Lev, tutti e tre più ubriachi di lei.
Ciò nonostante era ancora in grado di capire che quella voce che arrivava da lontano, appartenente ad una figura che ancora non riusciva a mettere a fuoco, era rivolta proprio a lei.
«Kaori...?»
Solo quando fu ad un metro scarso di distanza, capì che si trattava nientedimeno che della corvina della Karasuno.
«Lui dov'è?»
Y/N barcollava, il drink che teneva nella mano destra ondeggiava pericolosamente verso il suo compagno di squadra, già di per sé in pessimo stato.
«Lui...?»
Stava scherzando, vero?
Era venuta a prenderla per aiutarla, giusto? Per trascinarla via da lì e rimproverarla per essere sparita, mentre lei, Akaashi e Bokuto la cercavano per tutta la città in modo che lui potesse scusarsi a dovere!
Chi diamine era quel lui che stava cercando?
«Non prendermi per il culo Y/N.»
Il tono duro e gli occhi feroci come quelli di una tigre sembrarono scuotere la sua razionalità: Kaori ce l'aveva con lei.
La gatta si avvicinò all'orecchio del moro sussurrandogli qualcosa che non riuscì a capire, vedendo solo l'altro ridere per poi rifugiarsi all'interno del pub con una certa fretta.
Astuta, doveva averlo allontanato per non fargli sentire la conversazione.
«Dov'è Kuroo?»
Per Y/N fu l'ultimo, fatale, colpo al cuore.
Bokuto doveva averle raccontato tutto, o quantomeno la sua versione dei fatti.
Questo spiegava il suo sguardo spietato e accusatorio, la sua battuta d'entrata, il suo accennare a Kuroo.
Era la sua migliore amica, avrebbe dovuto essere dalla sua parte.
Invece le stava puntando anche lei il dito contro senza neanche chiedere una spiegazione, senza darle modo di difendersi.
Colpevole agli occhi delle persone a cui teneva di più al mondo, ma senza avere una vera colpa.
D'accordo, se volevano dipingerla come il mostro che non era, sarebbe stata il più spregevole mostro di quella favola senza lieto fine.
«A prendere da bere.»
Kuroo non era uscito con loro, era rimasto a leccarsi le ferite in hotel insieme agli altri della squadra.
Ma perché dirle la verità, se tanto le piaceva quella menzogna?
Avrebbe recitato la parte che le avevano dato: quella dell'antagonista.
«Come hai potuto farlo?»
Kaori rimase con il fiato sospeso a metà e un nodo alla gola che presagiva un pianto di risentimento che non avrebbe tardato ad arrivare.
Come poteva stare lì di fronte a lei ad ammettere il suo tradimento come se nulla fosse?
Tutto quello che c'era stato con Bokuto era stato finzione?
La loro amicizia, allora, che cos'era?
«Sei stata tu a presentarmi Bokuto, io non l'ho mai voluto.»
Era l'alcol a parlare per lei, era l'amarezza di non essere stata creduta, la solitudine che provava sapendo che neanche Kaori era dalla sua parte.
«L'ho fatto per te!»
La voce spezzata della corvina echeggiò per l'intero stradone costeggiato dai locali più disparati, squarciando i fiocchi di neve che avevano iniziato a cadere.
«Ed è andato tutto secondo i tuoi piani, vero?!»
Anche Y/N aveva alzato la voce, sbraitando con così tanta forza le braccia da rovesciare il resto del drink sull'asfalto.
«Se tu non avessi-»
Erano faccia a faccia, una tigre e un leone pronti a sbranarsi.
«Io che cosa?!»
Era stanca di sentirsi dare la colpa, stanca di doversi sempre giustificare.
«Cosa non avrei dovuto fare?»
Stanca di sentirsi dire cosa avrebbe dovuto o potuto dire o fare.
Voleva solo che tutto quello finisse.
«Smetti di intrometterti nella vita degli altri!»
Kaori indietreggiò di uno o due passi, gli occhi che perdevano secondo dopo secondo la loro luce battagliera.
Si era fatta in quattro per Y/N, le aveva dato tutto quello che poteva.
E questo era il ringraziamento per il suo altruismo?
«Se non fosse stato per te non sarebbe successo niente di tutto questo! Io non avrei mai conosciuto Bokuto, non lo avrei-»
...amato. Non avrei sofferto ancora.
Anche la gatta indietreggiò, innalzando un muro tra lei e quella che era stata la sua ancora di salvezza per un tempo che le era sembrato tanto, tantissimo.
«Buonanotte, Kaori.»
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Avevo promesso di pubblicare entro la fine della settimana, ci sono quaaaasi riuscita.
Insomma, mezzanotte è passata solo da venti minuti 🌚
Ho amato scriverlo, penso si capisca dall'infinita lunghezza (perdonatemi).
Mi è piaciuto raccontare il modo opposto ma anche simile in cui Bokuto e Y/N affrontano la cosa, e di come allo stesso modo fanno Akaashi e Kaori.
Spero, come sempre, di avervi fatto provare qualche minima emozioncina 👀
Recensitemi, amati lettori.
See u soon con l'ultimo capitolo di questa storia❤️
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