Capitolo 27: Humanum amare est, humanum autem ignoscere est.
Humanum amare est, humanum autem ignoscere est è una locuzione latina che significa letteralmente:
"E' umano amare, ed è ancor più umano il perdonare."
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I primi quattro giorni del torneo erano volati e, per ogni squadra, era andata come doveva andare.
Y/N aveva visto molti ragazzi piangere, altrettanti ridere, alcuni abbracciarsi e altri lanciare la felpa della divisa a terra con rabbia; aveva avuto parole di conforto per il capitano di una squadra femminile che aveva trovato in lacrime nel bagno del palazzetto, aveva abbracciato Kaori quando entrambe ne avevano avuto bisogno e aveva, ovviamente, sostenuto sempre e comunque i suoi amati compagni di squadra.
Le cose da fare erano ancora tante e nonostante il sonno arretrato, lo stress, la stanchezza sia fisica che mentale, lei trovava ancora il tempo di preoccuparsi di come si sentisse il suo ragazzo.
Si erano chiamati ogni sera raccontandosi di quello che era successo durante la giornata, dato che non sempre era possibile che andassero a vedere le partite delle rispettive squadre, avevano avuto modo di sfogarsi e consolarsi nei momenti in cui lo sconforto aveva preso il sopravvento, ma non era certo come stare insieme fisicamente.
Era paradossale, ma vedersi di sfuggita come accadeva dall'inizio dei nazionali, senza più che un bacio fugace o un abbraccio dato di fretta, era ancora peggio che non vedersi affatto.
Avvertivano l'ardente bisogno di stare insieme davvero: accoccolati per ore a letto in compagnia di un vecchio thriller, punzecchiandosi a vicenda per finire poi a fare l'amore, mangiare cibo spazzatura e addormentarsi con l'odore dell'altro addosso.
I momenti peggiori, poi, erano quelli in cui sapevano che una delle due squadre stava giocando e loro non potevano essere presenti a confortare il proprio partner in caso di sconfitta.
In quel preciso istante, sugli spalti della struttura principale, la manager della Nekoma stava attraversando proprio uno di quei momenti ed era un unico fascio di nervi.
Tutta la squadra era attentissima ad osservare i corvi che, nel campo centrale, lottavano strenuamente per la vittoria: Inuoka, al solito, strillava ogni volta che il piccolo numero dieci faceva una delle sue azioni strabilianti, Yaku borbottava qualcosa a proposito della bravura del libero e Fukunaga, di tanto in tanto, riprendeva qualche servizio dell'alzatore prodigio con il cellulare.
Lei, invece, era stata attenta sì e no solo i primi dieci minuti, aveva applaudito per un salvataggio miracoloso di suo fratello maggiore e aveva salutato con la mano Kaori quando l'aveva vista seduta sulla panchina accanto al coach Ukai.
Dopodiché non aveva fatto altro che guardare l'orario sullo schermo del suo telefono: l'aveva sbloccato e ribloccato così tante volte che Kenma, seduto di fianco a lei, aveva perso il conto e tutto quell'accendi-spegni gli stava per far venire un gran mal di testa.
Inoltre, se avesse continuato a tamburellare nervosamente i piedi sul pavimento in quel modo frenetico per un solo altro minuto, il biondo alzatore giurò tra sé e sé che sarebbe andato ad osservare il match dall'ultima fila.
La partita della Fukurodani nell'altro palazzetto sarebbe iniziata di lì a pochi minuti e lei non poteva andare ad assistere.
La Nekoma non avrebbe giocato, questo era vero, ma se qualcuno avesse avuto bisogno di lei? Se uno dei primini si fosse perso, lei come avrebbe giustificato la sua assenza? Dicendo che aveva preferito andare a fare il tifo per il suo ragazzo?
Impensabile: aveva promesso di mettere la sua squadra prima di tutto e di tutti, anche davanti ai suoi interessi personali.
No, non poteva andare a meno che qualcuno non le avesse proposto di farlo.
Così se ne stava là, sbuffando e sospirando di continuo, non rendendosi conto che, in quel modo, non avrebbe aiutato nessuno in ogni caso.
Stava riflettendo sul fatto che avrebbe potuto mandare almeno un messaggio di buona fortuna a Bokuto, o andare a salutarlo di sfuggita prima di seguire la Nekoma sugli spalti, o magari tranquillizzarlo di più la sera precedente, quando i suoi pensieri furono interrotti da una voce profonda alle sue spalle.
«Y/N.»
Kuroo Tetsurō era stato alle sue spalle, seduto proprio dietro di lei per tutto quel tempo e non se n'era minimamente accorta, troppo impegnata com'era a mangiucchiarsi le unghie per l'angoscia: se non fosse intervenuto, era sicurissimo che di quelle bellissime unghie curate non ne sarebbe rimasta neanche l'ombra.
«Mh?»
Era così distratta dai suoi stessi pensieri che anche quel mugolio non sembrava provenire davvero da lei, pareva piuttosto un meccanismo di difesa messo in atto dal suo cervello solo per far credere al resto del mondo che fosse sempre sull'attenti, un modo per dire "ci sono, anche se non sembra", nonostante fosse palese la sua disattenzione.
Il capitano della Nekoma emise un lungo sospiro, prima di raccogliere la sua borsa da terra e caricarsela in spalla, alzandosi di scatto.
«Andiamo.»
Solo quando le fu davanti agli occhi la gatta parve realizzare la sua effettiva presenza: la vide sbattere le palpebre una mezza dozzina di volte, puntando quei grandi occhi e/c dritti nelle iridi dorate di lui.
Al fianco di Y/N, Kenma notò che il loro capitano aveva deglutito un paio di volte, nervoso.
«Eh? Dove?»
Non si era resa veramente conto che fosse stato Kuroo a chiamarla, pensava semmai che fosse stato Inuoka, o magari Kenma che la rimproverava di nuovo per la sua incapacità di stare ferma immobile a godersi la partita dei corvi.
Anche il corvino in piedi di fronte a lei aveva un'aria di rimprovero: che diavolo si era dimenticata di fare, stavolta? Si era scordata di segnare qualche azione importante nell'ultima partita? Oppure non si era ricordata di firmare la loro presenza alla reception? O addirittura-
«Ti accompagno al palazzetto secondario.»
Quello era il via libera: la partita della Fukurodani si sarebbe tenuta proprio nella struttura retrostante l'edificio dove si trovavano loro e Kuroo si era appena proposto di portarcela.
Per poco Y/N non precipitò giù dagli spalti, tanta fu la fretta con cui, tutta sorridente, si infilò il pesante giaccone della divisa e mise la borsa a tracolla: in un lampo aveva superato il corvino e si era avviata salterellando verso l'uscita.
Kenma aveva notato un'altra cosa prima ancora che quell'uragano della sua migliore amica lo investisse in pieno con una manica del giacchetto: quando lei aveva sorriso, Kuroo si era voltato dall'altra parte.
Gennaio non era neanche arrivato alla metà della sua comparsata annuale, l'inverno era nel pieno delle sue forze, ma nonostante tutto c'era un gran bel sole che splendeva alto nel cielo sopra Tokyo.
La temperatura e l'aria gelida, però, ricordavano ai pochi individui fuori dal palazzetto dello sport della città in che periodo dell'anno si trovavano.
Y/N camminava spedita qualche passo di fronte a lui, la folta pelliccia sintetica del giaccone della Nekoma si confondeva con i suoi capelli e/c raccolti in una coda disordinata.
Kuroo la osservava mentre gli occhi di lei puntavano, allegri ed elettrizzati, sul palazzetto secondario che si ergeva in lontananza davanti a loro.
La manager sembrava felice, felice come non la vedeva da tantissimo tempo.
Fino a poco più di un mese prima non avrebbe avuto neanche il coraggio di rivolgerle la parola, dato che ogni volta che si ritrovavano obbligatoriamente a parlare -per questioni prettamente riguardanti la squadra- lei non alzava lo sguardo da terra, oppure, quando per puro caso i loro occhi si incrociavano, Kuroo scorgeva sempre un'immensa rabbia all'interno dei suoi, un rancore e un astio che nessuno aveva mai avuto nei suoi confronti.
Era ovvio che quel malcontento generale, quel viso sempre imbronciato e l'atteggiamento schivo anche nei confronti della squadra, che non le si addiceva per niente, fosse dovuto solo e unicamente a quello che era successo tra loro.
Poi Y/N aveva smesso, da una decina di giorni, di trattarlo in quel modo: era tornata quella di sempre e la sola persona che avrebbe dovuto ringraziare per quel cambiamento era Bokuto Kōtarō.
Anche Kuroo era stato arrabbiato con lei, arrabbiatissimo.
Lo era stato proprio per il suo comportamento: era stata lei a chiudere il loro rapporto, lei ad allontanarlo senza troppe cerimonie, lei a cominciare ad uscire con il suo migliore amico.
E pensava anche di poter fare l'offesa? Lei?
Poi Kuroo aveva capito: lo aveva fatto il giorno dell'amichevole con la Fukurodani, quando Bokuto gli aveva chiesto di lasciarla andare, di lasciarla libera, quando aveva parlato di amore e di sbagli, di ferite che non si era mai reso conto di averle inferto.
Quella stessa sera era tornato a casa e si era seduto sul letto matrimoniale di camera sua, aveva appoggiato i gomiti sulle ginocchia e affondato il volto tra le mani: avrebbe voluto tanto urlare.
Si maledisse per il suo carattere impulsivo, per quella gelosia malata che aveva provato nei confronti di una delle persone a cui teneva di più al mondo e che si era reso conto solo quel giorno di amare, imprecò ripensando a cosa le aveva detto, a cosa aveva fatto tutti quei mesi.
Si rese conto che di tutte le cose che avrebbe potuto fare, aveva fatto la più terribile per sé stesso e per lei: non aveva fatto niente.
Avrebbe potuto parlarle e chiederle il motivo del suo allontanamento, avrebbe potuto insistere e magari sarebbero tornati come prima, invece aveva preferito abbracciare il suo orgoglio e tentare di dimenticarla con Mika.
Come molte volte nella sua dannatissima vita, Kuroo si era accorto di tutto troppo tardi.
Aveva fatto una sola cosa giusta dopo quel pomeriggio: aveva rinunciato a lei.
E vederla di fronte a sé, impaziente di andare dal suo ragazzo, raggiante e luminosa più del sole sopra di loro, ne era la conferma.
Rimaneva solo una questione in sospeso.
«Non ti ho mai chiesto scusa.»
Fu letteralmente come un fulmine a ciel sereno.
Non c'era bisogno che Kuroo Tetsurō aggiungesse altro, Y/N sapeva a che cosa si stava riferendo.
Il cuore cessò di battere per qualche frazione di secondo e lei si fermò, così come il capitano si era fermato dietro di lei.
Quando riprese a battere lo fece più velocemente del normale: non avevano mai parlato di loro, non lo avevano fatto prima, durante e dopo i ritiri estivi, neanche quando avevano fatto sesso, si erano baciati e le miriadi di volte che avevano discusso.
Quella sensazione dentro di lei non era la solita di due mesi prima, le farfalle nello stomaco di una persona innamorata e delusa allo stesso tempo, Y/N aveva solo paura di ciò che avrebbe comportato quel confronto che non era sicura di essere pronta ad affrontare.
Non adesso che andava tutto bene.
«Intendi per-»
Trovò chissà dove la forza di ruotare il corpo verso di lui, ma non il coraggio di guardarlo negli occhi.
Aveva il timore di diverse cose, prima tra tutte riaprire vecchie ferite, rivangare ricordi che era finalmente riuscita ad accantonare e che forse un giorno avrebbe dimenticato.
«Tutto.»
La voce del corvino era ferma, ma se Y/N avesse sollevato lo sguardo avrebbe notato le sue pupille tremare: aveva il terrore di sbagliare, ce l'aveva sempre avuto con lei e aveva sbagliato già troppe volte.
«Non ce n'è bisogno, è passato.»
Scosse la testa accennando un lieve sorriso che non era neanche certa lui potesse vedere, per poi voltargli di nuovo le spalle.
Stava per fare un passo in avanti proseguendo per la sua strada, ma si sentì fermare prima di poterlo fare.
«No.»
Le aveva afferrato il polso, neanche troppo gentilmente: Y/N stava di nuovo cercando di scappare da lui, con gli occhi rivolti verso il basso come aveva fatto durante tutta l'estate.
Non poteva permetterglielo.
«Voglio farlo.»
L'aveva mollata un attimo dopo, appoggiando entrambe le mani sulle spalle di lei e aveva atteso.
Erano mesi che le mani di Kuroo non si posavano sul suo corpo: quando sentì la loro presa attraverso il tessuto della giacca il respiro si fermò a metà.
Durò solo un secondo: non era lo stesso tocco dell'amante che le aveva fatto provare emozioni nuove, belle e orribili, avvolgenti e calde un giorno, dolorose e pungenti quello dopo.
Era il gesto disperato di chi si stava aggrappando all'ultima possibilità e speranza di essere perdonato.
Y/N chiuse le palpebre e annuì appena, quando le riaprì i suoi occhi erano riflessi in quelli di lui.
«Scusami.»
Lo perdonò subito, senza nessuna esitazione.
C'era un rimorso così profondo nei suoi occhi dorati, un dispiacere così sincero nella sua voce, una fermezza così autoritaria nei suoi modi e c'era inoltre qualcos'altro nella sua espressione, che gli perdonò ogni cosa.
Forse lo aveva già fatto tempo prima in fondo al suo cuore, probabilmente non ce l'aveva mai avuta davvero con lui, ma con sé stessa per avergli permesso di fare tutto ciò che aveva fatto e nonostante questo non era mai riuscita ad odiarlo.
Sentì di essersi tolta un enorme peso dal petto: gli sorrise.
Kuroo Tetsurō tirò un lunghissimo sospiro di sollievo, ritirando le mani dalle sue spalle per poi sorriderle di rimando: ce l'aveva fatta, aveva ottenuto il suo perdono.
«Lo so che non lo pensavi.»
Avevano ripreso a camminare da neanche un minuto quando la gatta ricominciò a parlare: non seppe di preciso perché sentì il bisogno di dirglielo, ma si accorse che corrispondeva alla pura verità.
«Ti stai riferendo a quello che ti ho detto dopo l'amichevole?»
Il centrale della Nekoma arrossì lievemente, molto probabilmente quella era la cosa di cui si vergognava e si pentiva di più: le aveva dato della puttana senza motivo, l'aveva ferita con il solo scopo di farle del male solo per quella folle possessività nei suoi confronti.
Era grato che avesse capito che non lo aveva mai pensato veramente.
«Hai.»
Le guance di lui si infiammarono notevolmente, tanto che fu costretto a fingere di osservare un passante al suo fianco affinché la manager non lo notasse: si era appena ricordato della discussione che aveva avuto con Bokuto fuori dalla palestra quel giorno.
«Bokuto te l'ha detto...»
Non aveva confessato al gufo i suoi sentimenti per Y/N, ma non aveva nemmeno negato tutto quello che l'altro aveva presupposto, e il silenzio, a volte, vale davvero più di mille parole.
Chissà che diavolo di romanticherie le aveva riferito, quel maledetto rapace.
«Bokuto?»
Y/N era confusa: che diamine c'entrava Bokuto? Che cosa avrebbe dovuto dirle? Le aveva solo assicurato che tra lui e Kuroo fosse tutto a posto e questo le era bastato.
«L'ho capito da sola.»
Kuroo sollevò il mento verso il cielo: aveva voglia di ridere.
Bokuto non le aveva riferito nulla di quello che aveva detto a lui quel tardo pomeriggio di dicembre, non le aveva parlato di come avesse rinunciato a lei nonostante fosse chiaro che la amasse, solo per la sua felicità: il capitano della Fukurodani aveva deliberatamente evitato di raccontarle tutto.
«Che c'è?»
Di tutto si sarebbe aspettata fuorché si mettesse a ridere in quel modo: cosa c'era di tanto divertente?
«Niente.»
Andava bene così, aveva affidato Y/N a Bokuto e se il gufo aveva deciso che fosse meglio tacere su quella conversazione allora si sarebbe adeguato: lui non si sarebbe messo in mezzo, non ora che la ragazza che amava era riuscita ad essere felice.
Dopo tutto, Bokuto aveva dimostrato di capirla meglio di lui, di essere migliore di lui in tutto.
«Promettimi solo una cosa, Kuroo.»
Il capitano della Nekoma aveva smesso di ridere e si era rimesso le mani in tasca, superandola di due o tre passi, mentre lei era rimasta ferma, seria.
«Qualsiasi cosa.»
Le doveva veramente qualunque cosa le avesse voluto chiedere, e avrebbe mantenuto quella promessa anche se avesse dovuto rinunciare al suo ruolo di capitano.
«Non ripetere gli stessi errori che hai commesso con me.»
Kuroo aveva sbagliato tanto, era inutile negarlo anche se alla fine l'aveva capito, le aveva chiesto scusa e lei lo aveva perdonato: l'aveva fatta stare male come nessuno prima, come neanche Wakatoshi ci era riuscito.
«Non far soffrire Mika.»
Aveva smesso di detestare Yamaka Mika quando aveva iniziato ad uscire con Bokuto: si era resa conto che avere qualcuno al proprio fianco con cui sfogarsi, con cui essere superficiali, giocare e ridere non era qualcosa da condannare.
Bokuto l'aveva salvata da sé stessa, le aveva fatto dimenticare Kuroo e risanato ferite profonde, così aveva pensato che Mika dovesse essere per Kuroo quello che Bokuto era per lei: un'ancora di salvezza.
Aveva imparato a volerle bene e, sotto sotto, l'aveva tacitamente ringraziata per rendere felice la persona che aveva amato.
«Io e Mika ci siamo lasciati.»
Kuroo aveva un sopracciglio alzato e l'espressione estremamente confusa: com'era possibile che non lo sapesse?
«Eh?!»
Y/N spalancò gli occhi, oltre che la bocca ed entrambe le braccia: dov'era finito tutto lo scenario che si era immaginata, dove lui e Mika erano una coppia affiatata e radiosa?!
«Come?! Quando?!»
Non se ne era accorta, ma aveva urlato quelle due domande e adesso c'erano un paio di mamme che tiravano con forza il braccio dei loro bambini per allontanarli da quella pazza.
«Il giorno dell'amichevole.»
Lui al contrario era calmissimo: aveva ancora le mani nelle tasche della tuta e si era limitato ad un'alzata di spalle, come se la fine di una relazione fosse una cosa normalissima.
«Non avrà saputo-»
La manager si era portata entrambe le mani sulla bocca: che Mika avesse sentito la loro discussione nello sgabuzzino? Che qualcuno avesse scoperto il passato tra lei e Kuroo e glielo avesse raccontato? Oppure era stato lo stesso capitano a rivelarglielo?
Non poteva accettare di essere il motivo della loro rottura, si sarebbe sentita ancora più in colpa di quanto già non si sentisse nei confronti di quella ragazza.
«No, è stata una decisione presa di comune accordo.»
La bloccò prima che potesse farsi venire una delle sue solite paranoie: si erano allontanati per mesi, era vero, ma la conosceva ancora come le sue tasche.
«Capisco.»
Y/N aveva annuito, riprendendo a camminare al fianco del capitano, anche se non sembrava del tutto convinta: Kuroo lo capì quando la vide arricciare lievemente le labbra.
«E' venuta a vedere la partita, il primo giorno.»
Sperava di rassicurarla, di farle capire che i rapporti con Mika erano rimasti eccellenti, senza rancori o astio: aveva voluto bene alla studentessa della Nohebi, ma niente più di questo.
Yamaka Mika era stata la sua facciata più riuscita, tutti erano stati convinti che fossero una coppia perfetta: lei di un'eleganza di altri tempi, una bontà tale da restare spiazzati, con quel suo modo di fare aggraziato e fine che non cozzava per niente con il classico ragazzaccio impersonato da Kuroo Tetsurō.
Non se l'erano mai detto esplicitamente, ma entrambi sapevano fin dall'inizio che la loro fosse la tipica relazione da chiodo schiaccia chiodo.
«Con Daishō.»
E allo stesso modo voleva bene al capitano delle serpi: nonostante la rivalità sul campo erano sempre stati amici.
Vederli di nuovo insieme, dopo solo una settimana dalla loro rottura, era stato un sollievo.
«Sono tornati insieme?»
Y/N sorrise, sinceramente contenta: ricordava ancora il dolore negli occhi del capitano della Nohebi il giorno in cui avevano parlato dopo le semifinali, quando avevano avuto quella sciocca idea di far ingelosire la nuova coppia.
Sarebbe voluta sprofondare lì su due piedi, a quel ricordo.
«Esatto.»
Anche lui era felice per loro, ma Y/N parve non capirlo: si accigliò di nuovo, continuando a camminare a testa bassa.
«Mi dispiace.»
Diamine, quanto era stata stupida a sorridere!
Le aveva appena confessato di essersi lasciato e di aver visto la sua ex ragazza con un altro e lei cosa aveva fatto? Aveva sorriso.
Era irrecuperabile.
«Sto bene.»
Kuroo ridacchiò tra sé e sé quando capì il motivo dello sguardo basso di lei: sarebbe rimasta, sempre e per sempre, una bambina troppo cresciuta.
Forse la guardò un po' troppo, forse osservarla imbronciata e con le guance rosse dall'imbarazzo gli ricordarono il motivo per cui si era innamorato di lei, con quel carattere infantile e duro solo all'apparenza e la corazza che si ostinava a mostrare a chiunque e che lui, probabilmente, non era mai riuscito ad abbattere se non in rarissimi momenti, momenti che avrebbe sempre amato.
Forse fu per quello che gli sfuggì quella mezza dichiarazione un attimo dopo.
«Era inutile stare insieme quando sapevamo entrambi di essere innamorati di altre persone.»
Quella frase fu uno squarcio nell'anima di Sawamura Y/N.
Uno o due mesi prima di quella fredda giornata di gennaio, senza dubbio sarebbe esplosa in lacrime di gioia: Kuroo Tetsurō le aveva praticamente detto di essere innamorato di lei.
Non lo aveva fatto con quelle esatte parole, ma lei lo aveva capito dal modo in cui trattenne il respiro un secondo dopo, da come le sue guance presero colore e dal movimento degli occhi come se cercassero una via di fuga.
Ma invece di essere felice, di saltargli addosso circondandogli il collo con le braccia come avrebbe fatto tempo addietro, Y/N si sentì invasa da una profonda tristezza.
Era stata la prima a sperimentare il significato dell'amore, a provare sulla sua pelle il dolore di un sentimento non corrisposto, a vedere la persona amata con un qualcuno che non era lei.
E Y/N sapeva che tutto ciò lo avrebbe provato Kuroo da quel momento in avanti, perché si rese conto in quel preciso istante di non amarlo più, di amare profondamente, irreversibilmente, un certo individuo dagli occhi grandi e l'energia di un uragano.
Lei amava Bokuto Kōtarō.
«Kuroo-»
Si bloccò di colpo, con il cuore pesante come un macigno e gli occhi carichi di lacrime di dispiacere, alzando lo sguardo su di lui e pregando gli dèi di aiutarla a trovare le parole giuste, affinché il male che era toccato a lei non colpisse anche lui.
«Lo so.»
Non c'era bisogno che glielo spiegasse, Kuroo non era mai stato un sognatore, si limitava ad analizzare razionalmente la realtà dei fatti.
E la verità era che si era accorto del sentimento di Y/N nei confronti di Bokuto ancora prima di lei.
«Non preoccuparti, va bene così.»
Faceva male, inutile negarlo, ma avrebbe imparato a conviverci e ad accettarlo, con il tempo: era stato lui a decidere di arrendersi, si sarebbe assunto ogni responsabilità e conseguenza.
Vederla felice e sapere che era il suo migliore amico a farla sorridere era il suo orgoglio più grande: gli bastava questo.
«Non c'è bisogno che ti dica che se quel bastardo di un gufo ti farà soffrire ci penserò io, perché so che non lo farà: stiamo parlando di Bokuto, dopo tutto.»
Si grattò nervosamente il retro del collo con la mano destra, ridacchiando: l'ironia era sempre stata la sua miglior difesa, ma era anche la pura verità.
«Pensi che sarebbe effettivamente capace di far del male a qualcuno o ha qualche deficit comportamentale?»
Y/N aveva imparato un'altra cosa in quei mesi di sofferenza: a volte la cosa migliore da fare è semplicemente riderci su, Kuroo l'aveva capito prima di lei.
Perciò non infierì ulteriormente, seguendolo in quella conversazione spiritosa.
«Quella che ha deficit sei tu che ci stai insieme.»
La sua immancabile risposta pronta le era mancata da morire: scoppiarono a ridere insieme, come non facevano da molto, troppo tempo.
«Ehi!»
Gli diede una leggera spintarella facendogli perdere l'equilibrio: erano tornati ad essere quelli di sempre, quelli che erano stati prima dei drammi e delle litigate, semplicemente loro.
Senza neanche accorgersene erano arrivati di fronte alla porta laterale del palazzetto secondario, Kuroo le aprì la porticina facendo il meno rumore possibile: era, solitamente, riservata alle squadre in campo.
«Fai il tifo anche da parte mia, chibi-chan.»
La salutò sulla soglia, scompigliandole i capelli e rivolgendole un sorriso sincero, un sorriso che nascondeva tutto quello che provava per lei e quanto gli fosse mancata.
«Promesso, taichou.»
Era stato il suo capitano e anche se non lo amava più, lo sarebbe sempre stato.
Sono le circostanze e le coincidenze che fregano le persone, che creano fraintendimenti e malintesi.
Y/N aveva appena risolto una questione che si trascinava dietro da mesi e che le aveva fatto male, malissimo, ma chiudendosi alle spalle quella porta in metallo aveva lasciato dietro di sé la sua storia con Kuroo Tetsurō: aveva chiuso un capitolo.
Dall'altra parte del campo, invece, la squadra della Fukurodani faceva il suo ingresso trionfale aprendo il capitolo di una nuovo partita.
Fu una circostanza, una coincidenza, che portò gli occhi del capitano dei gufi a posarsi proprio sulle due figure che si salutavano, felici, di fronte a uno degli ingressi.
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Per chi ha letto l'ultimo capitolo della mia prima storia sa che scrivere questo è stato un parto, letteralmente.
Però penso di aver espresso al meglio quello che voglio trasmettere: Kuroo e Y/N sarebbero una coppia da favola, sono la prima ad essere innamorata di quella storia, ma siamo tutti d'accordo che è abbastanza inverosimile, vero?👁️👄👁️
Cioè, immaginate questi due a litigare: sono troppo orgogliosi per risolverla, ci vorrebbe davvero un miracolo e un impegno disumano da parte di entrambi.
Ci vuole sempre qualcuno che abbozza, ecco, e né Kuroo né Y/N cederebbero.
Inoltre, personalmente, non so se avrei avuto la forza di perdonare Kuroo🤔
Ultima cosa: Y/N qui non ha capito per niente di aver sbagliato anche lei, quindi ha riversato tutta la colpa su Kuroo. Insomma, un disastro.
DRAMMA IN ARRIVO
Ps. Non ho voluto fare spoiler riguardo i nazionali e ho lasciato tutto molto vago appositamente :)))
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