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Capitolo 26: Amor otiosae causa sollicitudinis.

Amor otiosae causa sollicitudinis è una locuzione latina che significa letteralmente:
"l'amore è causa di inutile preoccupazione."
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Venerdì quattro gennaio era arrivato presto, prestissimo.
Sul calendario di ogni membro di ogni squadra coinvolta nel mondo della pallavolo giapponese quel giorno era contrassegnato da un simbolo: una croce, un cuore, una stella o una palla magari, oppure c'era semplicemente scritto il nome dell'evento tanto atteso.
Era il giorno prima dell'inizio dei Nazionali.

Tutti l'avevano atteso come un bambino aspetta il Natale, con quel misto di eccitazione e felicità, unito alla consapevolezza di doverselo godere minuto dopo minuto.
Per i giocatori, ovviamente, la vasta gamma di emozioni provate era composta anche da ansia, paura e sana preoccupazione.

Sawamura Y/N non era da meno: aveva passato l'intera settimana a fare, sfare e rifare la valigia, a riguardare i documenti, ad assicurarsi che tutti i pass fossero all'interno della borsa e che riportassero i nomi giusti di tutti i componenti della Nekoma.
Aveva stilato una lista delle cose da fare e da portare, l'aveva appesa sulla porta e aveva evidenziato le cose più importanti così che saltassero all'occhio.
A detta di suo padre, non sarebbe stata così agitata e ansiosa neanche il giorno del suo matrimonio.
Sempre che qualcuno avesse mai avuto il coraggio di sposarla, aveva aggiunto.
Chissà come mai, in quel momento, la mente di Y/N proiettò nel suo cervello l'immagine di un sorridente Bokuto che la attendeva all'altare.
Stava decisamente correndo troppo con la fantasia.

Quel venerdì si alzò straordinariamente presto: alle sette in punto la sveglia aveva iniziato a strillare proprio alla destra del suo orecchio, facendo vibrare tutto il comodino e amplificando il suo rumore insopportabile, ma invece di imprecare come al suo solito, spegnerla e maledire quel modo orrendo di interrompere i suoi sogni, la gatta della Nekoma fuoriuscì dalle coperte in un lampo.
C'erano troppe cose da fare per rimanere a letto come avrebbe desiderato qualsiasi altro giorno dell'anno.

Il coach Nekomata aveva ordinato alla squadra di presentarsi alle quattordici in punto di fronte ai cancelli dell'istituto, in modo tale da arrivare con calma alla struttura dove avrebbero alloggiato per tutta la durata dei nazionali e poi dirigersi al palazzetto per la cerimonia d'apertura.
Quando aveva comunicato loro l'orario, i suoi occhi felini si erano assottigliati puntando dritti dritti verso di lei: stavolta non le avrebbe perdonato l'ennesimo ritardo, Y/N ne era certa.
Soprattutto per quel motivo, alzarsi ben sette ore prima della partenza non era stato così difficile.

Tra i preparativi di lei e gli ultimi, importantissimi, allenamenti di lui, Bokuto e Y/N non avevano avuto alcun modo di vedersi dopo Capodanno.
Ovviamente chi ne aveva risentito di più era stato proprio il capitano della Fukurodani, lamentandosi e piagnucolando ogni sera al telefono, pregandola di andare a dormire da lui o di lasciare che lui andasse a trovare lei.
La gatta, naturalmente, era stata irremovibile: la loro relazione doveva rimanere in secondo piano fino alla fine del torneo.
 
Il suo proposito era riuscito alla perfezione, si era dedicata con così tanto zelo al suo ruolo di manager che non vedere il suo ragazzo era risultato straordinariamente semplice.
Questo, tuttavia, evitò di dirglielo: conoscendolo, sarebbe entrato in uno dei suoi famosi stati depressi e deprimenti.
Eppure, anche se si era distratta a dovere pur di non pensarlo eccessivamente, mentre usciva di casa ripassando mentalmente la lista di cose da non dimenticare, sentiva anche di essere felice di poter rivedere, finalmente, quell'idiota di un gufo.

Tutti sull'autobus erano agitatissimi.
Taketora aveva già chiamato due volte sua sorella minore per supplicarla di portargli un paio di pantaloncini di ricambio che aveva scordato di prendere e le urla squillanti della piccola Akane erano rimbombate fino all'ultima fila.
Tamahiko aveva minacciato di rimettere pranzo e colazione facendosi venire conati di vomito che avevano scatenato, a loro volta, quelli che Yūki amava definire come "conati di riflesso": a suo dire, ogni qualvolta qualcuno fosse sul punto di vomitare nelle sue immediate vicinanze, lo stesso stimolo lo avvertiva lui stesso.
Il coach aveva dovuto fermare il mezzo per ben due volte.
Lev era pericolosamente calmo, se ne stava raggomitolato sul sedile -per quanto possibile, con quelle gambe chilometriche che si ritrovava- senza dire una sola parola.
Kuroo, troppo impegnato com'era a stilare schemi, cancellarli e finire con lo strappare la pagina del quaderno con rabbia, non aveva ancora rimproverato il loro biondo alzatore per non aver minimamente alzato lo sguardo dalla sua console portatile.
Yaku e Nobuyuki, probabilmente per distrarsi dal nervosismo che senza dubbio aveva assalito anche loro, stavano tentando di insegnare una stupida canzoncina a Inuoka, che aveva tutta l'aria di un bambino di tre anni al massimo che batteva le mani felice.
Alla fine era stato Kenma a sbottare: dopo aver minacciato di assassinare l'intera squadra durante la notte, tutti si erano ammutoliti.
Solo Y/N aveva riso, una risata che, però, più che divertita era sembrata isterica e al limite dell'esaurimento nervoso: quando incontrò gli occhi omicidi del suo migliore amico si zittì anche lei.
Il tutto era avvenuto solo nei primi venti minuti: sarebbe stata una lunghissima giornata.

Una volta arrivati in hotel la situazione non era migliorata: c'erano stati litigi per posizionare i futon all'interno dell'ampia stanza riservata ai ragazzi, litigi per la divisa da indossare, se quella rossa e bianca o la classica rossa e nera, litigi per l'ordine con cui sarebbero sfilati all'imminente cerimonia d'apertura.

Il vecchio coach Nekomata aveva tentato di riportare ordine, ma dopo due o tre richiami aveva dato forfait e se l'era filata, probabilmente diretto al piano bar dell'albergo.
Quella era un'opzione che Y/N non si sentì di scartare del tutto: forse, più tardi, ci avrebbe fatto un salto anche lei.
Prima di darsi all'alcol, però, pensò di assicurarsi che almeno il suo ragazzo fosse in condizioni migliori dei membri della Nekoma.

Mentre componeva il numero di Bokuto sul telefono, Y/N sperò con tutto il cuore che rispondesse il prima possibile, così da non dover essere lei ad intervenire per separare quelle due prime donne che si stavano di nuovo battibeccando.

«Io sono il capitano e io devo entrare per primo.»
Kuroo, con i suoi centottantasette centimetri di altezza, sovrastava la figura di Yaku puntandosi un dito sul petto, con il naso arricciato all'insù tipico di quando era in disaccordo su qualcosa o arrabbiato con qualcuno.

«Ma io sono il giocatore più forte.»
Il libero, da parte sua, compensava quei venti centimetri di statura che gli mancavano per parlare faccia a faccia con il capitano, con un ego smisurato.
Non che avesse torto: tutti sapevano che Morisuke Yaku era la colonna portante della squadra.

«Se vuoi entrare per primo indosseremo la divisa classica.»
Fortunatamente, prima di sentirli discutere a proposito del colore che stava meglio all'uno o all'altro o che evidenziava la tonalità degli occhi o chissà quale altra diavoleria, dall'altro capo del telefono Y/N sentì, finalmente, qualche segno di vita.

«Kota-»
Era così impaziente di distrarsi per qualche minuto da quella giungla che era la squadra della Nekoma, che non attese neanche di sentire la voce di Bokuto, iniziando a parlare per prima.

«Akaashi desu
Di certo non si aspettava di sentire la voce calma dell'alzatore della Fukurodani al posto di quella squillante del loro asso.

«Ah.»
Era rimasta per un attimo senza parole, con un sopracciglio alzato e le labbra ancora semiaperte: staccò il telefono dall'orecchio destro per controllare che avesse chiamato il numero giusto.

«Dov'è Kōtarō?»
Sì, quello era senza dubbio il numero di Bokuto.
La domanda ora era: perché aveva risposto il suo vice?

Nella struttura riservata alla squadra dei gufi, Akaashi Keiji si guardò attorno prima di rispondere: il loro capitano si era rannicchiato sotto un tavolo e, attorno al suo corpo, era come se arieggiasse un alone scuro, demoralizzato e afflitto.
Accovacciata accanto a lui Yukie stava tentando di attirarlo fuori dal suo nido sventolandogli davanti agli occhi quello che sembrava il rimasuglio di un panino mezzo mangiucchiato.
Con cosa pensava di aver a che fare, esattamente? Un cane?
Poco più in là Suzumeda rimproverava un amareggiatissimo Konoha.

«Non è in grado di parlare al momento.»
Il corvino aveva sospirato pesantemente: era provato, molto provato.
Durante l'intera settimana Bokuto aveva fatto credere a tutti che fosse cresciuto e che, almeno stavolta, non ci sarebbe stato alcun problema ai nazionali: era così felice, ogni giorno, che sembrava impossibile potesse deprimersi.
Ovviamente non era così.

«Che è successo?»
La voce affranta di Akaashi non prometteva niente di buono.
L'aveva fatta preoccupare così tanto che si era portata una mano sopra il cuore immaginando il peggio: che si fosse fatto male? O poteva essergli venuta la febbre, oppure-

«Konoha gli ha detto che in tv sembra più basso.»
Stava andando tutto a meraviglia prima che il loro compagno di squadra rovinasse tutto: fin dalla partenza Bokuto era stato di ottimo umore, felice di poter essere sotto i riflettori come asso e capitano della Fukurodani e raggiante in previsione di rivedere la sua ragazza di cui, tra l'altro, aveva parlato continuamente.
Poi erano arrivati in albergo e il coach aveva mostrato loro dei filmati dell'anno precedente per ricordare gli errori in modo tale da non ripeterli: allora, Konoha aveva combinato il disastro.

Y/N imprecò sottovoce: da una parte era sollevata che non fosse niente di grave, dall'altra si rese conto di dover rinunciare alla tanto agognata chiacchierata rilassante con il suo ragazzo.
Stette in silenzio per qualche secondo, indecisa se chiedere ad Akaashi di passarle in ogni caso quel gufo problematico, oppure riattaccare.

«Hai notizie di Kaori? Non mi risponde da un po' ai messaggi.»
Fu lui a riprendere la parola, con un tono lievemente preoccupato.
Y/N scoppiò in una risata nervosa.

«Penso sia occupata con il numero dieci del Karasuno, che poco fa ha mandato un messaggio a Kenma riferendogli per filo e per segno tutto quello che aveva vomitato.»
Anche la faccia che aveva fatto il suo migliore amico leggendo quel poema disgustoso l'aveva fatta ridere, anche se l'ansia minacciava seriamente di far vomitare anche lei.

«Fantastico...»
Akaashi aveva le labbra increspate che davano il giusto tocco di ribrezzo al suo bel viso.
Anche lui, esattamente come Y/N, aveva pensato che una bella chiacchierata con la sua dolce metà lo avrebbe distratto da quel disastro che era la sua squadra ma, a quanto pareva, avrebbe dovuto rimandare.

«Beh, ci vediamo tra poco Sawamura.»
Alla fine non aveva potuto fare altro che alzare le spalle e inspirare profondamente: la cerimonia d'apertura sarebbe iniziata entro poche ore e lui doveva ancora trovare il modo di far uscire Bokuto da sotto il tavolo.

«Jaa ne
Quando Y/N riattaccò chiuse gli occhi per qualche secondo pregando che, una volta riaperti, si ritrovasse nella baita in cui era stata con gli altri tre prima delle vacanze natalizie.
Sfortunatamente quando sollevò le palpebre si ritrovò a dover affrontare l'ennesima minaccia di Kenma di sterminare ogni membro della Nekoma.
Forse avrebbe raggiunto davvero il coach al piano bar.

☆☆☆

Da quando erano arrivati al palazzetto, nel tardo pomeriggio, la situazione era decisamente più distesa.
C'erano le migliori squadre di tutto il Giappone, c'erano le telecamere e i giornalisti, migliaia di spettatori, appassionati o semplici curiosi, c'erano le famiglie a sostenere i propri figli e studenti pronti a fare il tifo per i loro compagni.
E, naturalmente, c'erano schiere di ragazze.

«Sono l'asso migliore del torneo!»
Taketora Yamamoto aveva adocchiato un gruppetto di studentesse almeno di due anni più piccole di lui, timide e aggraziate, che sembravano essere cadute alla perfezione nella trappola del gatto: era incredibile come riuscisse ad essere tanto sicuro di sé solo con persone più immature di lui.
Se ne stava di fronte a loro, tronfio e con un dito puntato sul suo stesso petto, dandosi tante di quelle arie da sembrare ridicolo.

«Ma non sa neanche srotolarsi il futon da solo.»
La sua amata manager gli si era avvicinata silenziosa e con nonchalance, gli aveva infilato il pass del torneo attorno al collo e aveva fatto un occhiolino a quelle povere vittime, ignare del bambinone che gli stava davanti.

«Y/N-CHAN!»
Dopo averle viste ridere tra loro l'asso della Nekoma era diventato dello stesso identico colore della tuta che indossava, allontanandosi immediatamente e rincorrendo la guastafeste che aveva rovinato la sua messinscena.

«Gomen, non ho resistito.»
Y/N stava ancora ridendo quando Tora la raggiunse, anche se tentava di nascondere il divertimento nascondendosi dietro il suo immancabile quaderno.

«Eri gelosa perché stavo dando attenzioni ad altre ragazze, dì la verità.»
Forse era una prerogativa degli assi essere così dannatamente superbi: la guardava con un sorrisetto furbo, le mani poggiate sui fianchi e lo sguardo acceso ma, sotto sotto, stava ridendo anche lui.

«Per tua informazione-»
Era già bell'e pronta ad elencare tutti i motivi per cui avrebbe dovuto essere considerata un'eroina per aver salvato quelle ragazze da un dongiovanni come lui, dando il via ad uno scherzoso dibattito che si sarebbe concluso con l'ennesima richiesta di matrimonio da parte di Tora, ma venne interrotta prima ancora di iniziare.

«Può essere gelosa solo del suo ragazzo.»
Due braccia forti, avvolte in un giaccone bianco candido, l'avevano afferrata da dietro cingendola in un abbraccio: Y/N non aveva bisogno di voltarsi per capire chi fosse stato ad aver appena marcato il territorio.

«Bokuto-san!»
Taketora aveva una sorta di reverenziale ammirazione per Bokuto Kōtarō, perciò non fu una sorpresa vederlo mettersi sull'attenti come se stesse salutando l'imperatore in persona.
Era l'unico motivo per cui non fosse letteralmente impazzito il giorno in cui aveva scoperto della sua relazione con Y/N.
Ai ragazzi era stato categoricamente proibito di domandare, parlare o anche solo nominare il capitano della Fukurodani se non per aspetti riguardanti la pallavolo.
L'unica volta in cui l'asso della Nekoma aveva accennato alla cosa era per dire che se proprio qualcuno doveva rubargli la moglie, allora gli stava bene che fosse Bokuto.

«Vedo che ti sei ripreso.»
La manager lanciò uno sguardo d'intesa al vice dei gufi che, come sempre al fianco del suo capitano, roteò gli occhi al cielo sorridendo appena.
Chissà come era riuscito a tirarlo su di morale stavolta: avrebbe dovuto prendere delle lezioni, prima o poi.

Bokuto squadrò prima l'una e poi l'altro con le sopracciglia inarcate, ma decise di sorvolare evitando di rovinare quella magnifica intesa che si stava finalmente creando tra la sua ragazza e il suo fedele compagno di squadra.

«Ti sono mancato?»
Si era abbassato fino a sussurrarle sensualmente all'orecchio, accarezzandole intanto i fianchi con la mano.
A lui, ovviamente, era mancata  come l'aria.

Y/N sollevò il mento incontrando i suoi occhi luminosi: certo che le era mancato, ma di alimentare il suo ego smisurato proprio non le andava.

«Neanche un po'.» 
Gli sorrise e gli fece un occhiolino, dispettosa.

A guardarli pareva si fossero isolati dal mondo, non erano più all'interno del palazzetto stracolmo di gente, non c'erano Akaashi e Taketora ad osservarli con un sorriso imbarazzato sul volto, c'erano loro e basta, in un alone di solitudine in cui riuscivano a completarsi.

«Allora io vado eh...»
L'asso della Nekoma era lievemente arrossito: a dire la verità sentiva di provare della genuina gelosia nei confronti di quei due, chiedendosi che se mai avrebbe potuto esserci lui, al posto del gufo, se solo avesse insistito di più con la sua manager.
Lei posò per un attimo lo sguardo su di lui, sorridendogli appena per salutarlo e tornando poi a guardare il ragazzo che la stringeva tra le braccia.
Quando Taketora Yamamoto voltò le spalle a quei due rise tra sé e sé: era felice per Y/N, lo era tutta la squadra.

«Davvero non ti sono mancato?»
Solo dopo qualche secondo Bokuto sembrò rendersi conto della risposta che gli era stata rifilata: i suoi occhi, in un lampo, erano diventati languidi e dispiaciuti.
Y/N si voltò completamente verso di lui, gli prese il volto tra le mani e gli sorrise prima di stampargli un lungo e appassionato bacio sulle labbra.

Poco importava se Akaashi si era rivolto dall'altra parte fingendo di non conoscerli, se qualche anziano l'aveva guardati torvo e se alcune ragazze avevano scagliato contro Y/N maledizioni e anatemi per aver soffiato dalla piazza uno dei migliori assi della nazione.
Avrebbero potuto continuare a baciarsi all'infinito, se il peggior incubo di Bokuto non si fosse materializzato proprio di fronte a loro.

«Bokuto, che piacere rivederti.»
Daichi aveva un tempismo perfetto, questo Y/N dovette riconoscerglielo: chissà se sarebbe sbucato fuori, un giorno o l'altro, anche in camera da letto.
Forse aveva un sensore nel cervello che si accendeva quando sua sorella minore si avvicinava a qualsiasi essere di sesso maschile e con Bokuto sembrava funzionare meglio che con chiunque altro.

«Sawamura-san!»
Bokuto sollevò il viso da quello di lei così in fretta che per poco rischiò di romperle il naso.
La gatta si limitò a sbuffare, era già tanto che non l'avesse spinta via come aveva fatto l'ultima volta che Daichi li aveva interrotti: dopo la ramanzina che gli aveva fatto almeno aveva imparato qualcosa.

«Come stai? E' andato bene il viaggio? Dove alloggerete? Se hai bisogno di-»
Prevedibile, il capitano della Fukurodani era andato nel panico nel momento in cui aveva visto gli occhi iniettati di sangue del corvo e aveva, al solito, iniziato a straparlare.

Mentre Bokuto recitava la sua parte da idiota, Y/N si promise di chiamare Tendō il giorno seguente per chiedergli come avesse osato perdere contro la Karasuno: avrebbe preferito di gran lunga rivedere il volto di pietra di Ushijima piuttosto che avere suo fratello alle calcagna in una situazione già stressante come era quella del torneo.

«Ho bisogno che tu tenga le mani lontane da mia-»
L'espressione del maggiore era inquietante: sorrideva, ma quel sorriso era più minaccioso che mai.
Per un momento sembrò essere sul punto di saltare addosso a Bokuto per liberare la sorella dalle sue grinfie ma, fortunatamente, alle sue spalle comparve la celestiale figura del vice dei corvi.

«Daichi, finiscila.»
Sugawara Kōshi era un angelo per tutti, ma quando dava degli ordini diventava più terrificante dello stesso Daichi: il moro si zittì immediatamente.

«Y/N-chan, come sempre sei uno splendore!»
E un attimo dopo eccolo tornato dolce e puro come sempre.
Y/N gli voleva bene dal profondo del cuore: lo aveva sempre considerato come un secondo fratello maggiore, conoscendolo fin dall'infanzia.

«E siete una bellissima coppia.»
Lui e Bokuto non si conoscevano bene, si erano scambiati solo qualche parola durante i ritiri estivi, eppure il vicecapitano della Karasuno aveva avuto una parola gentile anche per lui: bastò quello affinché Sugawara entrasse nel grande cuore del gufo.
Inoltre Bokuto pensò che se già due persone della sua famiglia, Sugawara e suo padre, l'avevano accettato era fatta: poteva anche sposarla.

«Arigatō, Suga.»
Y/N gli rivolse uno di quei rari sorrisi caldi e gentili che erano riservati a pochissimi, accoccolandosi ancora di più tra le braccia del suo ragazzo.

«Non è vero, Daichi?»
La mano di Sugawara era appoggiata sulla spalla del suo capitano da quando era entrato in scena e, in quel momento, lo videro fare una certa pressione su di essa, anche se sul volto rimaneva la sua tipica espressione serafica.

«Meravigliosi.»
Non si può dire di no a Sugawara Kōshi, questo Daichi lo sapeva bene, perciò, anche se a denti strettissimi, concordò con il suo migliore amico sforzandosi di sorridere.

«Andiamo.»
Con quell'ultimo ordine e un saluto dato di fretta i due corvi si allontanarono, lasciando Y/N ridere spensierata: più che due fratelli maggiori sembravano un padre geloso e una madre apprensiva.

«Mi odia.»
Bokuto aveva sospirato, sconfitto: forse non c'era modo di piacere a Daichi e avrebbe solo dovuto arrendersi

«Gli piaci, conosco mio fratello.»
Il gufo stava per replicare, per chiederle perché la pensasse così, magari le aveva confessato qualcosa che lui non sapeva e, allora, c'era una speranza, ma fu interrotto da una pacca sulla spalla.

Y/N sentì il suo ragazzo perdere lievemente l'equilibrio sporgendosi in avanti: quando si voltò per capire chi l'avesse salutato in quel modo senza dire una parola vide una folta chioma di capelli neri sorpassarli in silenzio.

«Oh, Kuroo!»
Diamine, era da almeno mezz'ora che lo cercava!
Si era raccomandata di rimanere nei paraggi per poter andare insieme a firmare i fogli necessari a svolgere tutte le pratiche del torneo dato che spettava a loro come capitano e manager.

Lei e il centrale della Nekoma non avevano più parlato di quello che era successo dopo l'amichevole con la Fukurodani, anzi, per un paio di settimane non avevano parlato affatto.
Le cose erano cambiate dopo le vacanze natalizie e soprattutto dopo Capodanno: non era stata una cosa premeditata, semplicemente Y/N si accorse, durante un allenamento, che guardare Kuroo non le faceva più male e che parlargli come se non fosse accaduto nulla era facile come bere un bicchier d'acqua.
Era diventato...irrilevante.

Quando Y/N si allontanò senza neanche salutare per la fretta e parlando vivacemente con Kuroo, Akaashi fu il solo in grado di accorgersi del brusco cambiamento di luce negli occhi del suo capitano: Bokuto si era fatto serissimo.
E Akaashi Keiji capì.

La gelosia non è per forza un sentimento scaturito dalla sfiducia verso un'altra persona, che essa sia un genitore, un amico o un partner.
Il più delle volte è dovuta alla mancanza sì di fiducia, ma in sé stessi.
Si trasforma allora in un qualcosa di egoistico, da risolvere unicamente da soli prima di coinvolgere qualcun altro e ferirlo.
Probabilmente è una gelosia molto più pericolosa di quella rivolta al prossimo, perché in quel caso si può chiedere aiuto, lavorare in due su uno stesso obiettivo e arrivare alla risoluzione del problema insieme.
Ma quando si è da soli con sé stessi le cose si fanno più complicate, molto più complicate.
E nel caso di Bokuto Kōtarō si trattava proprio di sé: che fosse lunatico era risaputo, ma che quel tratto del carattere lo portasse a provare una profonda insicurezza era un segreto che forse solo la squadra conosceva.
Era un lato del loro capitano che veniva fuori raramente, ma che li spaventava più dei suoi stati depressivi, perché andava, per l'appunto, a coinvolgere anche quelli attorno a lui.

«Bokuto-san.»
Non appena lo chiamò sembrò ridestarsi da pensieri oscuri, voltandosi verso di lui con un sorriso stirato.

«Hai, Akaashi?»
Fu anche quel tentativo di nascondere ciò che provava a far preoccupare l'alzatore della Fukurodani: di solito era sempre pronto ad esternare, fin troppo in effetti, i suoi sentimenti.

«E' normale che Y/N passi del tempo con Kuroo-san: è la manager della sua squadra, dopo tutto.»
Era la prima volta che la difendeva, non lo fece per senso di colpa o compassione, lui non era quel genere di persona: lo fece perché lo pensava davvero.
Sawamura Y/N non provava più niente per Kuroo, ne era sicurissimo.
Ma era sicuro anche di un'altra cosa: se non fosse intervenuto immediatamente, la gelosia di Bokuto sarebbe diventata pericolosa.

«Lo so Akaashi!»
Scoppiò in una risata fin troppo grossolana per essere spontanea: non sarebbe mai riuscito ad ingannare lui.

«Cosa credi, che sia geloso?»
Gli appoggiò una mano sulla spalla guardandolo poi negli occhi, solo fingendo di essere allegro e tranquillo: Bokuto Kōtarō aveva molte qualità, ma non sapeva mentire.

«Tsukki! Hey, Tsukki!»
Si allontanò saltellando con le braccia in aria verso il quattrocchi della Karasuno, lasciando il suo vice ad osservarlo mentre si allontanava.

Era il principio di un qualcosa che non sarebbe andato a finire bene, Akaashi se lo sentiva fin dentro alle ossa.

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Hola ◔◡◔
Sì, oggi mi sento spagnoleggiante.
Capitolo leggero, tranne per il finale: si preannuncia l'ultimo dramma, ve lo giuro che è l'ultimo!
Il punto è che mi sono stancata del solito perfettissimo Bokuto, ogni tanto lasciamo che sia lui il problema e non la protagonista.

Vi mando abbraccini dolcini, più grandini se mi commentatINI ◭,◭

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