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Capitolo 21: Usque ad finem.

Usque ad finem è una locuzione latina che significa letteralmente:
"fino alla fine."
▲▲▲

Nella camera duecento trentasette di quell'hotel di montagna avrebbe dovuto fare caldo.
Tutto l'ambiente avrebbe dovuto trasmettere calore: il soffitto era in legno di cedro color cioccolato, con le travi in vista che davano quel non so che di retrò, il pavimento era di un parquet di una tonalità leggermente più chiara e le pareti erano dipinte di un bel crema intenso.

Ma Sawamura Y/N si sentiva penetrare dal freddo, un freddo strano che pareva accarezzarle l'anima, oltre che le ossa.
Bokuto era sdraiato a letto, l'unica luce della stanza proveniva dal comodino al suo fianco su cui era accesa una lampada da tavolo e dal suo cellulare che gli illuminava il volto distorto da un misto di sentimenti che lei, ubriaca, non riuscì ad interpretare del tutto.
Era naturale che fosse arrabbiato per ciò che gli aveva detto, rabbia che probabilmente era aumentata quando l'aveva vista così alticcia da non riuscire neanche ad aprire la porta, ma quello che Y/N non fu in grado di scorgere, fu la delusione.

Sarebbe bastata una spiegazione qualunque per quell'orrenda frase che gli aveva propinato e lui le avrebbe creduto, l'avrebbe abbracciata e si sarebbero messi a dormire l'uno nelle braccia dell'altro seduta stante.
Bokuto Kōtarō non era una persona fatta per lunghi silenzi, le discussioni le odiava come nessun'altra cosa al mondo e, fosse stato per lui, avrebbe ricucito i diverbi con una semplice scusa e una promessa fatta con il mignolo di non fare mai più lo stesso sbaglio.
Era solo un bambino mai cresciuto e, come tutti i bambini, i litigi lo facevano stare male da morire.

Nascosto dallo schermo del telefono, il capitano della Fukurodani la guardava di sottecchi sperando in un gesto qualsiasi: gli sarebbe bastato pochissimo per fargli tornare la speranza che fosse possibile una relazione con lei, allo stesso modo in cui gli sarebbe bastato pochissimo per farlo arrendere definitivamente.
La stava aspettando, nelle mani della gatta della Nekoma, nella sua prossima parola o azione c'era il suo futuro: con lui o senza di lui, dipendeva solo da lei.

Le dispiaceva di avergli detto quelle cose, non lo pensava affatto e, anzi, Bokuto stava diventando così tanto per lei da farle paura, una paura tremenda che la metteva in guardia: più si tiene a qualcuno, più si rischia di venire feriti.
E lei, di ferite, ne aveva già abbastanza.

Sentiva che la cosa migliore da fare fosse dirgli la verità, fosse confessargli che il sentimento per lui stava crescendo, che forse non era ancora amore, ma che sarebbe potuto diventare presto, prima del previsto e contro ogni aspettativa: Y/N sapeva dal profondo del suo cuore che si sarebbe innamorata di Bokuto Kotaro e che, se fosse andata male, stavolta sarebbe stata l'ultima.
Ma c'era quel tarlo nella sua testa che le impediva di liberarsi di quei pensieri, che l'aveva frenata dal chiedergli il motivo di tutti quei baci mancati e che la stava bloccando, anche in quel momento, dall'aprirsi a quel ragazzo che se lo meritava più di chiunque altro.

Avrebbe potuto cominciare dicendogli che le dispiaceva sinceramente: sarebbe stato semplice, no?
Però nessuno glielo aveva mai insegnato come appianare i diverbi in una relazione, né Ushijima né Kuroo, le avevano mai parlato troppo, chiesto scusa, interessati di ciò che poteva averla offesa o mortificata: si erano limitati a farle capire che quando c'era un problema, rimaneva una sola cosa da fare.
Giusta o sbagliata che fosse, lei non ne aveva idea: era solo stata abituata in quel modo.

Si tolse la giacca pesante con lentezza, barcollando fino all'appendiabiti alla sinistra dell'ingresso; Bokuto la teneva d'occhio pensando, tra sé e sé, che quasi certamente non sarebbe stata in grado di mettere due parole in fila fino alla mattina successiva, tanto doveva aver bevuto.
Forse era meglio così, furioso com'era rischiava solo di peggiorare la situazione e poi, magari, durante la notte lei si sarebbe avvicinata a lui abbracciandolo: l'avrebbe perdonata immediatamente.

Ma quando rialzò lo sguardo su di lei, l'irritazione tornò a farsi sentire prepotentemente: Y/N si stava spogliando, le era rimasto ormai solo l'intimo addosso e Bokuto poteva solamente immaginare cosa diavolo avesse in mente. 

«Che cosa stai facendo, Y/N?»
La voce dell'asso della Fukurodani era stanca, i suoi occhi la supplicavano di smettere e la sua testa scuoteva a destra e sinistra in segno di negazione.
Fino ad un istante prima aveva sperato e creduto davvero che le cose potessero aggiustarsi, che lei fosse recuperabile e che, un giorno, avrebbero potuto avere una relazione vera in cui le litigate c'erano, ma subito dopo arrivavano i chiarimenti, gli abbracci, i baci affannati che sapevano di perdono.

«Secondo te cosa sto facendo?»
Y/N era come una predatrice spietata: sorrideva maliziosa mentre avanzava con passo felpato verso il lato del letto dove era sdraiato il gufo, le anche ondeggiavano esaltando le sue forme, i suoi occhi e/c parevano affamatissimi di lussuria.
L'aveva visto il modo in cui lui aveva deglutito quando i suoi occhi gialli erano caduti sulla sua scollatura coperta solo da un misero reggiseno, che la nascondeva ben poco; aveva notato come aveva stretto tra i pugni le lenzuola quando era salita a cavalcioni su di lui facendo combaciare i loro bacini.
Bokuto Kōtarō non era diverso da tutti gli altri: bastava il corpo di una donna per fargli dimenticare il passato, per quanto spiacevole potesse essere.

L'aveva sempre trovata bella e sensuale.
Che indossasse la divisa scolastica, un vestito attillato e provocante o il pigiama, Bokuto l'avrebbe ogni volta ritenuta eccitante e irresistibile, ma non quella notte.
Nonostante non l'avesse mai vista così tanto scoperta, seppur consapevole che avrebbe potuto farla finalmente sua con un nonnulla, il gufo non sentiva alcun desiderio sessuale per quella ragazza seduta sopra di lui che ora sembrava irriconoscibile.

Quella non era la stessa Sawamura Y/N di cui si era innamorato, la ragazza che aveva avuto paura persino di gemere tra le sue braccia e che si era addirittura vergognata di cambiarsi di fronte a lui benché avessero condiviso un orgasmo insieme.
Quella che si stava sporgendo per baciarlo era la maschera che avrebbe voluto ingannarlo solo per una vendetta nei confronti di Kuroo quel lontano diciassette novembre, una maschera che Y/N aveva tolto immediatamente e gli aveva chiesto scusa senza neanche conoscerlo, la stessa maschera che Bokuto aveva pregato di non rivedere mai più.
Invece era tornata, viva di fronte a lui e più crudele che mai.
Forse la vera maschera della manager della Nekoma era quella indossata con lui nel mese passato e la sua vera natura, invece, era proprio quella di una ragazza senza scrupoli, senza pentimento, senza cuore.
Forse si era sbagliato, si era innamorato di un'illusione creata dalla sua mente.

Quando Y/N si sentì afferrare per la vita ebbe la certezza di averlo in pugno: il sesso era l'unico metodo di riconciliazione che conosceva, perché avrebbe dovuto sbagliarsi?
Era ad un soffio dalle sue labbra carnose, ma Bokuto non l'aveva presa per possederla: la sollevò con facilità, adagiandola non troppo gentilmente sul materasso.

L'aveva rifiutata di nuovo.
Chissà perché invece di provare dolore dentro al petto la cosa la fece ridere: lo vide alzarsi e infilarsi le scarpe, evidentemente stava per andarsene, ma lei rise ugualmente.

«Ma come? Non basta scopare per far tornare tutto come prima?»
Il sorriso sulle labbra di Y/N era un sorriso amaro e sarcastico: lo sapeva perfettamente che non era così, l'aveva imparato a sue spese.
Allora perché l'aveva fatto lo stesso? Perché aveva rischiato di essere usata ancora una volta, proprio come le era già successo fin troppe volte?
O forse era lei che stava per usare Bokuto? 

«Pensi che sarei capace di fare qualcosa del genere?!»
Si era voltato di scatto verso di lei come una furia, i pugni stretti nei palmi delle mani, il respiro agitato dalla rabbia e gli occhi iniettati di incredulità, di frustrazione, di tristezza.

L'aveva guardata per qualche secondo cercando di cogliere un segnale qualunque nel suo volto, qualsiasi cosa pur di perdonarla per ciò che gli aveva appena fatto paragonandolo a una bestia che l'avrebbe solamente sfruttata per il suo piacere personale.
Lui non era così, gli sembrava di aver fatto tutto il possibile per dimostrarle quanto fosse diverso dagli altri, ma lei lo aveva ripagato in quel modo, con la sfiducia.
A che cosa erano serviti tutti i suoi sforzi, allora?

Aveva cercato di aiutarla, di farle tornare un briciolo di speranza verso il prossimo e darle la possibilità di essere felice, si era comportato con dolcezza e semplicità provandole che non era per gioco, che non erano solo parole buttate al vento ma che lei era speciale, non una delle tante.
Aveva creduto che fosse l'unica, una rarità solo per pochi, solo per lui; e per questo aveva scavato strade di fiducia dove farla camminare.
Ma lei aveva preso un'altra via, nonostante tutti i suoi sforzi.

Bokuto strinse forte le palpebre serrando anche le labbra, inspirò profondamente e si avviò verso la porta, non poteva sopportare di rimanere lì un altro minuto: il mondo gli era crollato addosso perché nonostante tutto, niente era bastato.

Era la prima volta che Bokuto alzava la voce con lei o la aggrediva in quel modo.
A dire la verità era la prima volta che lo vedeva farlo con chiunque, non pensava che fosse una cosa possibile.
Non lo aveva visto arrabbiato neanche dopo alcune sconfitte ai ritiri estivi, nemmeno dopo la partita persa contro l'Itachiyama alle selezioni per i Nazionali e neppure dopo tutti i suoi rifiuti, capricci e bambinate.
Era arrivato al limite e, a portarcelo, era stato il suo stupido orgoglio.

Le sembrò come se all'improvviso tutto il quantitativo di alcolici che le circolava nelle vene fosse evaporato e l'avesse lasciata sobria, mezza nuda sulle coperte bordeaux e in preda ad un senso di colpa profondo che le opprimeva il torace fino a mozzarle il respiro.
Le spalle larghe di Bokuto erano ormai a due passi dalla porta, la sua figura nella penombra della stanza le sembrava ancora più imponente e irraggiungibile mentre lei se ne stava seduta sulle ginocchia ad osservarlo andare via.

Fu come rivivere il ricordo di alcuni mesi prima, in una calda e stellata notte di luglio in cui i suoi occhi si erano riempiti di lacrime e un altro individuo che aveva amato le aveva voltato le spalle uscendo da una camera di circostanza e abbandonandola a sé stessa.
Per un attimo rivide di fronte a sé la schiena più slanciata di Kuroo, i suoi capelli più neri della notte svolazzare al vento della finestra aperta mentre non si voltava neanche a salutarla, lasciandola da sola ad asciugarsi le palpebre e soffocare i singhiozzi.
Quella sera, mentre giurava di non fidarsi mai più di nessuno, aveva pregato silenziosamente il capitano della Nekoma di restare con lei, aveva premuto le unghie nella carne per impedirsi di alzarsi e fermarlo, nonostante il cuore le urlasse di farlo.
Non l'aveva fatto per il suo orgoglio e, da quel momento, non aveva fatto altro che continuare a farsi del male, a perdere fiducia in tutti e tutto, a soffrire.

Lasciare che Bokuto se ne andasse avrebbe significato perderlo completamente, la porta chiusa sarebbe equivalsa ad un addio che non era pronta a dare.
Era davvero disposta a vedere tutto quello che avevano condiviso dissolversi? Valeva sul serio la pena far prevalere l'orgoglio anche questa volta?
No, Y/N era cambiata, lui l'aveva cambiata.

Sentì la maniglia della porta in legno abbassarsi e un fascio di luce proveniente dal corridoio ben illuminato la investì in pieno.
Forse era troppo tardi, ma si alzò comunque: doveva almeno provarci.

«Non te ne andare.»
Bokuto aveva già metà del corpo fuori dalla loro stanza quando lei gli afferrò la manica del maglione.
Non era nemmeno certa che l'avesse sentita, il volume della sua voce era stato così basso che fece fatica anche lei.
Eppure lui si fermò, anche se non si voltò a guardarla.

«Lasciami.»
Uscì solo quell'ordine gelido dalle labbra di lui: lei obbedì.

Y/N ritrasse la mano in un lampo e la accarezzò con l'altra come se l'avesse pugnalata e le avesse fatto del male proprio lì, dove le sue dita si erano attorcigliate attorno alla lana del suo indumento.
Doveva aspettarselo, se l'era detto anche quando si era alzata per fermarlo che probabilmente sarebbe stato tardi: era quello che si meritava e ora lui, finalmente, non sarebbe stato più macchiato da lei.

Ma chissà come mai mentre si ripeteva di dover essere forte e incassare il colpo, mentre ripercorreva i suoi sbagli e tutto quello che Bokuto aveva fatto per lei constatando che la sua decisione era corretta, Y/N sentì le gambe che tremavano sotto il peso di quei pensieri.
Era giusto che se ne andasse, era giusto che lei soffrisse, ma le gambe cedettero lo stesso.

«Onegai, Bokuto.»
Y/N si ritrovò con le ginocchia sul parquet e un macigno sul cuore che la spingeva sempre più in basso, che lo spremeva fino a far uscire un mare di lacrime dai suoi occhi, che cadevano sul pavimento spargendosi in aloni che lo facevano apparire allo stesso tempo lucido e macchiato.

«Lo so che non lo faresti, non sei come loro
Le lacrime le strozzavano le parole in gola, il loro sapore salato aveva un retrogusto anche amaro, dovuto al dolore che stava provando, al pentimento che avvertiva in ogni centimetro della sua pelle infreddolita.
Non c'era alcun rumore attorno a lei se non quello dei suoi singhiozzi, delle gocce che si schiantavano sul legno.
La vista era completamente appannata, non sapeva neanche se stesse parlando da sola ormai, non aveva sentito chiudere la porta ma non vedeva più la luce del corridoio, se non un flebile spiraglio che poteva provenire anche da sotto.
Probabilmente se n'era andato.

Ciò che fermò Bokuto dal chiudersi la porta alle spalle fu sentirla pregare il suo nome disperatamente, con la voce tremante e impastata dal pianto; ma quello che lo fece rimanere là fuori nel corridoio, ancora con la mano a tenere la porta socchiusa fu sentirle dire che non era come "loro".
Era la prima volta che Y/N si sbilanciava azzardandosi a menzionare qualcun altro, il suo passato e quelli che, evidentemente, l'avevano portata ad essere ciò che era.
Il capitano della Fukurodani realizzò, in quell'istante e con il cuore che sembrava volergli uscire dal petto per quanto forte batteva, che i suoi sforzi non erano stati vani: Y/N aveva bisogno di lui ed era pronta ad aprirsi.

Riaprì la porta più deciso che mai: Y/N aveva abbandonato la sua corazza, aveva smesso di essere sulla difensiva anche se le aveva fatto male, si era liberata della sua mente calcolatrice e aveva rischiato, si era esposta e si era resa vulnerabile per lui, a terra su quel pavimento in legno.

«Alza le braccia.»
Non lo aveva neanche sentito rientrare, nemmeno aveva visto la porta riaprirsi e richiudersi con il tipico scatto della serratura automatica, Y/N si era accorta di lui solo quando aveva sentito la sua voce torreggiare sui suoi singhiozzi.

Quando aveva sollevato lo sguardo verso l'alto e l'aveva visto sfilarsi il maglione era rimasta confusa e con le labbra semi aperte.

«Boku-»
Non era neanche certa di cosa volesse dirgli, se ringraziarlo per essere rimasto, se continuare a piangere urlandogli quanto le dispiacesse e quanto fosse stata incredibilmente stupida e bugiarda, o chiedergli semplicemente cosa stesse facendo.
Ma la interruppe prima di poter formulare qualsiasi pensiero, infilandole l'indumento e scompigliandole i capelli: la stava coprendo per paura che avesse freddo, mezza nuda com'era.
Lei l'aveva trattato in quel modo e lui si stava preoccupando per lei: questo era Bokuto Kōtarō.

Era così felice che fosse tornato da lei, così grata di aver ricevuto un'altra possibilità, ma allo stesso tempo si sentiva così in colpa per ciò che gli aveva detto e per il modo in cui si era comportata, che una volta indossato il maglione dovette ricominciare a scacciare le lacrime che le cadevano copiose sulle guance.

Bokuto la raccolse da terra quasi fosse stata un cucciolo abbandonato e se la mise tra le braccia forti e muscolose, stringendola a sé fino a quando raggiunse il letto e si sdraiò accanto a lei, coprendo entrambi con le lenzuola.

«Gomen nasai
Y/N si scusò con lui tra una lacrima e l'altra, aggrappata al suo corpo come se non avesse intenzione di lasciarlo per nessun motivo al mondo, ora che se l'era ripreso.
Promise a sé stessa, in quel momento, che l'unico motivo per cui se si fosse, ipoteticamente, allontanata da lui in futuro, sarebbe stato unicamente per una sua esplicita richiesta.
Lei, di sua spontanea volontà, non lo avrebbe mai fatto.

Pianse ancora un po', ma rimase anche sorpresa nel constatare quanto in fretta riuscì a smettere: era così facile finire di soffrire, tra le braccia di Bokuto?
Nel mezzo di quei muscoli fin troppo torniti la gatta della Nekoma aveva ripreso colore, il vuoto che aveva avvertito fino a poco prima si era riempito e, circondata dal suo profumo, si era lasciata trasportare in quella sensazione che somigliava tanto alla felicità.
Pensò che, se lasciarsi andare ai sentimenti significava quello, avrebbe dovuto farlo più spesso.

«Avete bevuto parecchio, eh?»
Fu lui ad interrompere la culla dei suoi respiri profondi e tornati finalmente regolari, sorridendole dolcemente mentre le accarezzava i capelli.

«Non abbastanza.»
Sapeva che le aveva fatto quella domanda ironica solo per farle tornare il buonumore, ma Y/N sapeva anche che, di lì a poco, sarebbe arrivato il momento di spiegarsi, di parlare.
La cosa strana era che aveva voglia di farlo.

Il solo fatto che fossero lì su quel letto, insieme e avvinghiati l'uno all'altra, bastava per far credere a Bokuto di non aver mai sbagliato a volerla così intensamente, vederla sorridere era sufficiente per ripagarlo dei suoi sforzi, ma c'era ancora una questione in sospeso.

«Cosa intendevi dicendo che non sono come "loro"?»
Bokuto aveva bisogno di sapere, aveva voglia di conoscere tutto di lei, anche se era piena di difetti, di ansie, di questioni irrisolte e di un passato di cui sicuramente anche lei stessa era colpevole: voleva amarla a trecentosessanta gradi. 

«Sai che...mmh...»
Y/N prese un grosso respiro gonfiando il petto: non sapeva da dove iniziare a raccontare quella storia penosa, il motivo per cui era diventata così schiva verso il mondo.
Si vergognava, da una parte, per come aveva lasciato che le persone si approfittassero di lei, ma la cosa che la spaventava di più era che lui cominciasse a compatirla.
La compassione si avvicinava tanto alla pena, nel suo cinico modo di pensare, e lei non aveva intenzione di fare pena a nessuno.

«...ho frequentato Ushijima, no?»
Fece in modo di sembrare il più rilassata possibile: alla fine parlare di Ushijima Wakatoshi le risultava sicuramente più facile di ciò che avrebbe dovuto confessare dopo quella parte della storia.

«Hai
Si era domandato spesso come una persona imperturbabile come l'asso della Shiratorizawa potesse aver avuto una relazione con la stessa ragazza che ora se ne stava accoccolata tra le sue braccia e ogni volta che ci pensava avvertiva una spiacevole sensazione fastidiosa.
Forse era perché da sempre Bokuto provava una sorta di rivalità verso quell'individuo, o forse perché non gli aveva mai ispirato simpatia, oppure per una più semplice gelosia nei confronti di Y/N: lei era sua, adesso, e pensare che fosse stata con un altro non lo rendeva un granché felice.

«Ricordi quando ho detto di ritenerti migliore di lui?»
Era la loro prima uscita insieme a Kaori ed Akaashi, nonostante anche in quell'occasione Y/N avesse bevuto si ricordava perfettamente di quello che aveva detto al gufo: la sua opinione, da allora, non era affatto cambiata.

«Si, ma non mi offendo se lo ripeti.»
Bokuto Kōtarō aveva un sorrisetto furbo sulle labbra: quel presuntuoso non l'aveva solo interrotta quando non aveva ancora finito di parlare, ma avrebbe voluto essere persino lusingato!

«Ahi!»
Gli diede un pizzicotto sul braccio facendolo sobbalzare, ridendo subito dopo insieme a lui.
Beh, se l'era meritato.

«Wakatoshi è stato il mio primo ragazzo.»
Y/N riprese a parlare seriamente e con calma, Bokuto al suo fianco era pronto ad ascoltarla.

«E allo stesso tempo non lo è mai stato.»
Gli raccontò del modo in cui si erano conosciuti, di quella coincidenza prima di una partita di suo fratello maggiore in cui proprio uno dei migliori assi della nazione le era andato a finire addosso facendola quasi cadere e di come, da quel momento, era iniziata la loro-quasi-relazione.
Si era soffermata sul fatto che avrebbe dovuto essere lei meno bambina e rimanere con i piedi per terra, aveva descritto come fosse grata per l'amicizia con Tendō e di come, a volte, le mancasse da morire.

Bokuto l'aveva ascoltata senza dire una parola, annuendo di tanto in tanto o stringendola più forte quando aveva capito dei numerosi tradimenti di Ushijima, del modo in cui doveva essersi sentita quando l'aveva colto sul fatto e di quanto avesse influito quella sua prima, traumatica relazione, sulla persona che era diventata.

«Non mi è mai stato simpatico, ma dopo questo lo odio di più.»
Fu l'unico commento che riuscì a fare il capitano della Fukurodani alla fine del racconto, il resto delle ingiurie verso quel pezzo di ghiaccio lo tenne per sé: non era il caso di infierire, sicuramente Y/N aveva già sofferto abbastanza, imparando ad odiarlo a sua volta.

Ma contro ogni sua aspettativa, lei lo sorprese: sorrise, un sorriso amaro e malinconico.

«Penso che Wakatoshi sia così e basta, non voleva farmi del male.»
Era naturale che una persona come Bokuto non fosse in grado di capire Ushijima: erano opposti in tutto e per tutto, ma Y/N era fermamente convinta che chi soffrisse più di tutti per quel carattere così freddo fosse Wakatoshi stesso.
Non era colpa sua se era stato cresciuto in una famiglia apatica, senza amore se non quello di un padre troppo lontano per compensare alle mancanze degli altri membri: quando Tendō le aveva raccontato quella storia, Y/N si era sentita un po' più vicina a lui e, col tempo, aveva imparato ad accettarlo.
Chi era arrivato dopo di lui, invece, non aveva scusanti.

Bokuto non fece in tempo a replicare, avrebbe voluto dirle che non era giustificabile, che il suo carattere non era una motivazione valida per usare le altre persone come se fossero tutti tali e quali a lui, che gli altri hanno dei sentimenti e che Y/N, anche se non se ne rendeva conto, era stata cambiata da Ushijima Wakatoshi.
Ma lo interruppe prima che potesse parlare.

«Al contrario di Kuroo.»
Il sorriso che prima le decorava il viso era scomparso, al suo posto c'erano due occhi che lanciavano scintille: era lui che odiava.

«Ero innamorata di lui.»
Le faceva male pronunciare quel nome che le era stato così caro, le si stringeva il cuore ripensando a quello che avrebbero potuto essere, ma ormai era finita.

Bokuto non poté fare a meno di chiedersi, nel frattempo che la vedeva indurire lo sguardo, se si fosse resa conto di aver usato il tempo passato: non era più innamorata di Kuroo?

Gli rivelò ogni cosa su di loro, senza tralasciare alcun dettaglio se non quelli a sfondo sessuale: voleva che Bokuto capisse, che comprendesse chi fosse veramente il suo migliore amico, chi si nascondeva dietro il capitano sempre spiritoso della squadra di pallavolo della Nekoma.
Gli descrisse del modo in cui l'aveva ingannata facendole credere che fossero perfetti l'uno per l'altra, della complicità che non aveva mai avuto con nessun altro, di come le loro parole e gesti, nel primo periodo, si completavano a vicenda.
Le scorte delle sue lacrime dovevano essersi esaurite, perché in caso contrario era certa che avrebbe pianto di nuovo, ricordando quei capitoli idilliaci in cui le loro vite si erano incastrate fin troppo bene.

Il gufo, osservandola e non perdendosi una sola parola, si rese conto di una cosa al contempo importante e pericolosa: sentirla parlare di Kuroo con quell'enfasi, quella passione, nonostante si celasse un odio profondo dietro le sue parole, lo stava facendo infuriare.

Kuroo Tetsurō era il suo amico più caro, come un fratello per lui e, proprio come un fratello, delle volte l'aveva invidiato da morire: era sempre stato più intelligente, più intrigante, quello con il maggiore successo con le ragazze e dalla battuta sempre a portata di mano, era quell'aria misteriosa che stregava chiunque, una qualità che Bokuto non aveva mai avuto.
Y/N parlava proprio di quella capacità di attrarre le persone, del suo modo di fare scherzoso e provocante che l'avevano fatta innamorare e soffrire così tanto.

E ad un certo punto a Bokuto parve come se nel cuore di Y/N ci fosse spazio solo per un amore tanto grande; nel suo animo si insinuò il serpente del dubbio: non avrebbe mai raggiunto Kuroo.

Quando ebbe finito di parlare, il capitano della Fukurodani si accorse di un'altra cosa: quella era solo la parte del racconto di Y/N, ma di sicuro c'era qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che lei non sapeva o che non aveva capito di aver fatto, qualcosa che aveva allontanato Kuroo.
Il corvino la amava, Bokuto lo sapeva: avrebbe potuto raccontarle del giorno dell'amichevole, il giorno in cui Kuroo gli aveva praticamente confessato di essere innamorato di lei e di essersi pentito di tutto ciò che non era riuscito a fare, raccomandandosi a lui di renderla felice.
Avrebbe potuto dirle tutto e cancellare quell'odio insensato, farle capire che non era mai stata usata, Kuroo non era quel tipo di persona.
Avrebbe potuto farle aprire gli occhi e farle cambiare idea sul suo migliore amico.

Ma non lo fece, non le disse niente di tutto ciò.

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Bentornati miei bellissimissimi readers.

Non so se è chiaro tutto ciò che ho scritto, ho avuto molta difficoltà ad esprimerlo: Bokuto è deluso e arrabbiato perché lei non si fida dopo tutto quello che le ha dimostrato.
Ma questo perché non sa quello che è successo con Kuroo, il modo in cui lei si era fidata e buttata in una relazione che poi l'ha fatta star male, e ancora prima con Ushigushi.
Se avesse raccontato tutto a Bokuto fin dall'inizio, lui avrebbe capito che la sua diffidenza era in qualche modo normale anche se non giustificata.
Quindi insomma, come sempre nelle mie storie, non c'è mai un solo colpevole.

Passando subito alla parte finale, finalmente viene fuori quello che secondo me è il difetto più grande di Bokuto: l'insicurezza.
È così insicuro da essere geloso del suo migliore amico e di una storia ormai finita.

A cosa porterà questa gelosia?
Lo scopriremo nei prossimi capitoli 👀

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