Capitolo 17: Ab imo pectore.
Ab imo pectore è una locuzione latina che significa letteralmente
"dal profondo del mio cuore."
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C'era puzza di bruciato.
Per la precisione, c'era puzza di farina bruciata.
Si erano svegliati, quel sabato, in tarda mattinata e con una fame da lupi, Bokuto aveva fatto un paio di battutine sul fatto che l'appetito fosse dovuto alla sua performance della sera precedente e che per quello dovevano recuperare le energie e lei gli aveva dato uno schiaffetto sulla spalla, per poi finire a ridere entrambi.
Avevano continuato a punzecchiarsi per un po', finché lo stomaco del gufo non aveva implorato pietà.
«Che cosa vuoi per colazione?»
L'allegro capitano della Fukurodani aveva staccato il suo telefono dal cavo della batteria e aveva preso a cercare locali con consegna a domicilio: lei, abitando in periferia, non era abituata a quel tipo di servizio.
«Sono le undici e trenta, Bokuto.»
Si era messa su un fianco e aveva appoggiato una guancia sulla spalla sinistra di lui, scorrendo con gli occhi il nome delle pasticcerie.
«Non è meglio se saltiamo e mangiamo direttamente a pranzo?»
Aveva fame anche lei, naturalmente, ma l'idea di rimanere sotto le coperte altre due orette non le dispiaceva: stava bene lì al caldo, accoccolata accanto al corpo muscoloso di Bokuto, senza doversi preoccupare di niente.
Un sabato come quello non lo aveva mai passato, né avrebbe immaginato di farlo: il risveglio con Ushijima era sempre stato ben diverso, dato che lui non c'era mai per via della sua solita corsa mattutina; con Kuroo, poi, non c'era neanche bisogno di paragonarlo, visto che non era mai esistita una notte passata con lui.
Quel pensiero le provocò un certo fastidio, ma il cuore non le sanguinava più: Kuroo Tetsuro aveva smesso di farle del male.
«Ma la colazione è il pasto più importante della giornata e-»
Non la stupì il fatto che Bokuto Kotaro non avesse intuito le sue intenzioni semi-romantiche: i suoi occhi erano già diventati languidi e il suo umore minacciava di oscurarsi già a quell'ora del mattino.
Lo interruppe immediatamente.
«Va bene, va bene.»
Si era alzata con il busto e si era messa a sedere, mettendo i palmi delle mani di fronte al suo viso in segno di resa: sia mai che diventasse il motivo del suo malumore.
«Ma cucineremo noi.»
La manager della Nekoma si sentiva strana: non le era mai successo, in tutta la sua breve vita, di aver voglia di fare cose così romantiche.
Che diamine le era preso, tutto a un tratto?
Era sempre stata allergica agli atteggiamenti da coppia, a quei comportamenti smielati di cui le parlava spesso Kaori e che le facevano venire la nausea se per caso guardava uno dei film romantici che tanto odiava.
Mentre adesso?
Solo negli ultimi due minuti si era rintanata accanto a Bokuto per prima cosa, appoggiando addirittura il capo su di lui, poi aveva desiderato essere coccolata ancora un po' e rinunciare persino alla colazione e infine aveva proposto di cucinare insieme.
Era impazzita, non c'era alcun dubbio.
«Sai cucinare, Y/N-chan?»
Fortunatamente ci pensò lui a farle tornare il suo solito broncio contrariato: Bokuto si era messo di scatto a sedere, piegando la testa di lato e allargando ancora di più quegli occhi gialli, già enormi per natura.
A guardarlo, sembrava più che mai un gufo.
«Perché sembri tanto stupito?»
Sawamura Y/N non sapeva davvero cucinare, non l'aveva mai fatto e non le era mai importato di imparare, nonostante i continui rimproveri di sua madre riguardo il suo essere indisponente e ricordandole che non sarebbe mai stata una buona moglie.
Come se per essere una brava moglie bisognasse per forza diventare delle cuoche: lei aveva tante altre qualità.
Non sapeva bene quali, ecco, ma ce le aveva di sicuro.
E comunque Bokuto Kotaro era troppo scettico, per i suoi gusti.
«No, no.»
La gatta aveva incrociato le braccia sotto il seno, evidenziandone le forme, ma non gli sembrava proprio il caso di soffermarsi su quello, al momento: se solo se ne fosse accorta, Bokuto era certo che gli avrebbe tagliato la gola.
L'asso distolse lo sguardo, grattandosi il collo con fare nervoso: era quasi certo di aver detto di nuovo la cosa sbagliata.
«E' che non mi sembravi il tipo.»
Forse così avrebbe recuperato: insomma, non le aveva mica detto di ritenerla un'incapace!
Solo che, per quanto gli sarebbe piaciuto vederla con un grembiule da cucina addosso, con soltanto quello addosso, a pensarci meglio, Y/N non se la figurava proprio ai fornelli.
«La colpa è di Daichi che mi ha viziata.»
La manager della Nekoma non sembrava così arrabbiata, piuttosto era...offesa?
Aveva il visino imbronciato e si era accucciata abbassando lo sguardo sulle lenzuola, come intenta a ricordare qualcosa.
Suo fratello maggiore era sempre stato iperprotettivo, su questo non c'era dubbio: quando si era trasferita con suo padre a Tokyo aveva appena compiuto quindici anni e, prima di allora, non le era stato neanche permesso di scaldarsi il tè del pomeriggio.
Era a causa sua se adesso si ritrovava una completa incapace.
«Prenditela con lui.»
Ed eccola tornata la solita gatta selvatica: aveva drizzato la schiena e voltato improvvisamente la testa e lo sguardo dalla parte opposta della camera, impermalosita.
Bokuto aveva sorriso, guardandola: diamine, era completamente pazza.
Forse gli piacevano i suoi capelli o forse no, erano troppo spettinati di mattina e troppo in ordine la sera, forse erano i suoi occhi oppure il suo sorriso, o magari il modo in cui gesticolava quando era arrabbiata; sicuramente era andato fuori di testa per il suo corpo e per le richieste silenziose di abbracci lunghi e rassicuranti quando era triste.
Adorava anche la sua risata e il suono della sua voce, ma non sapeva di preciso che cosa avesse fatto diventare pazzo anche lui: forse era semplicemente lei, tutto il suo insieme.
Si alzò dal letto senza dire niente, indossò una maglietta che doveva essere finita sul pavimento la sera precedente e si avviò dal lato dove si trovava lei, che ancora gli dava le spalle.
«Andiamo, insieme riusciremo sicuramente a fare qualcosa.»
Probabilmente non se ne accorse, ma fu quella mattina di dicembre che Bokuto Kotaro si innamorò.
Seguirono alla lettera una ricetta trovata online, si sporcarono di farina da capo a piedi per fare dei semplici pancake e riuscirono persino a mettere a soqquadro l'intera cucina, ma bruciarono comunque i loro esperimenti.
Alla fine si videro costretti a ordinare sia la colazione che tutti i pasti successivi, però risero tanto e, soprattutto, lo fecero insieme.
Il resto del fine settimana passò nel miglior modo possibile: iniziarono e finirono una serie tv di dubbia qualità che non piacque a nessuno dei due, ripromettendosi di iniziarne un'altra al prossimo weekend insieme; mangiarono cibo d'asporto arrivato freddo e insipido, maledicendosi per essere due irrecuperabili disastri in cucina; scherzarono sul fatto che lui russasse e che lei si prendesse tutte le coperte per sé.
Quando, la domenica sera, Bokuto la riaccompagnò a casa sua, fu difficile salutarsi: si guardarono in silenzio per diversi secondi all'interno dell'abitacolo della macchina, senza avere il coraggio di dire niente, di dar sfogo a quello che era il prepotente desiderio di baciarsi.
Era come se fosse estremamente sbagliato lasciarsi: perché dovevano farlo, se erano stati così bene insieme?
Avrebbero voluto che quel fine settimana durasse per sempre, che il freddo e la neve congelassero anche il tempo per far sì che quella felicità non scomparisse mai.
Chissà se sarebbe stata l'ultima volta o la prima di tante, quella di passare così tanto tempo insieme: Y/N se lo chiese per tutto il viaggio torturandosi le mani, seduta sul sedile del passeggero.
Se lo continuò a chiedere finché Bokuto non le posò una mano sulla coscia, rivolgendole uno dei suoi sorrisi caldi che sarebbero anche riusciti a sciogliere i metri di neve che erano caduti.
«Ci vediamo domani?»
Con quella semplice domanda spazzò via tutti i suoi dubbi: non era un semplice saluto, quella era una promessa.
Iniziare un'altra serie tv insieme, imparare a cucinare, scegliere il giusto ristorante, erano già promesse velate che si erano scambiati sperando in un domani: adesso le stava confermando tutte.
E lei non aveva bisogno di altro.
Quando Y/N entrò in casa si voltò un momento per osservare il punto in cui era scesa dalla sua macchina sportiva: Bokuto era ancora là ad assicurarsi che fosse tutto a posto, che fosse al sicuro.
Non le aveva mai detto di volerle bene, di tenere a lei in modo particolare o addirittura qualcosa di più, ma la manager della Nekoma sapeva che c'erano tanti modi per dire di amare una persona: quello ne era un esempio.
Bokuto Kotaro si era innamorato di lei.
Si soffermò ad osservare la sua figura mettere in moto la macchina con un gran rombo, da grande esibizionista quale era, e i suoi occhi si intristirono: lo guardava come si guarda qualcosa di talmente puro da avere paura di toccarlo, di contaminarlo.
Lei non era alla sua altezza, non lo sarebbe mai stata: non lo meritava, quell'amore.
Poi, dopo solo un attimo, sorrise: non lo meritava, era vero, ma avrebbe fatto di tutto per riuscire a farlo.
Prima di conoscerlo aveva giurato a sé stessa che si sarebbe chiusa nella sua corazza fino a dimenticarsi di poter provare dei sentimenti, non avrebbe mai più amato nessuno in vita sua perché non ne sarebbe stata in grado, dopo Kuroo.
Poi quello strambo gufo si era intrufolato nel suo cuore come un uragano a sconvolgerle la vita e lei aveva ripreso a vedere il mondo a colori: non era ancora pronta a chiedersi cosa fosse quel sentimento per lui, ma qualcosa c'era.
E pensò, sfilandosi il giacchetto e la sua sciarpa, che in mezzo a tutto il casino della sua vita, lui era la novità più sorprendente che le fosse mai capitata.
☆☆☆
Era l'ora di pranzo di lunedì, fuori dalla finestra dell'aula il giardino scolastico era coperto di neve e persino il grande ciliegio, che in primavera dava spettacolo della sua grande bellezza, sembrava essere tremolante, cupo e infreddolito.
Il cielo, come se non bastasse, minacciava un'altra abbondante nevicata.
Y/N sbuffò per la decima volta in otto minuti: Kenma aveva tenuto il conto.
La sua migliore amica non aveva aperto bocca dal suono della campanella, si era limitata a portare la sedia dalla parte opposta del suo banco, strusciandola sul pavimento e facendo un rumore infernale, come al solito, e non aveva neanche tirato fuori il bentō.
Non che il silenzio lo infastidisse, tutt'altro, ma avere i suoi occhi e/c piantati addosso per tutti quei minuti gli stava facendo venire un'ansia insopportabile.
Kenma sollevò, per un millesimo di secondo, lo sguardo annoiato dallo schermo del cellulare: bastò quel minimo gesto per far drizzare la testa della manager e farle spalancare gli occhi, speranzosa.
Chissà che diavolo voleva, stavolta.
«Kenma?»
Probabilmente delusa dal fatto che non l'avesse considerata per più di un attimo, Y/N aveva di nuovo appoggiato il mento sulle braccia incrociate sul banco e si era finalmente decisa a chiamarlo, anche se con un tono tra il lamentoso e il supplichevole.
«Mh?»
Come sempre lui non si era sbilanciato con le parole, limitandosi ad un semplice grugnito mugugnato tra le labbra sottili.
Quel giorno più che mai, gli sembrava come minimo conveniente scampare la chiacchierata con Y/N: era ovvio che fosse impaziente di parlargli, più di ogni altra cosa al mondo.
E quella non era mai una buona cosa.
«Questo tuo silenzio mi sta uccidendo.»
La manager della Nekoma era visibilmente nervosa: per prima cosa aveva iniziato a smangiucchiarsi le unghie, cosa che non era sua abitudine, e, inoltre, la sua gamba destra non la smetteva più di muoversi sotto il banco, facendolo ballare lievemente e disturbando la sua partita.
«Sono sempre silenzioso.»
Quello che Kenma non capiva era il motivo di quel nervosismo: non c'erano test in vista e non ci sarebbero stati fino a gennaio inoltrato, i nazionali erano vicini, d'accordo, ma non gli sembrava il caso di farsi prendere dal panico proprio quel lunedì.
«Insomma, Kozume Kenma, non hai niente da dirmi su-»
Sawamura Y/N si era alzata dalla sedia sbattendo i palmi delle mani sul banco: fortunatamente erano gli unici a rimanere in classe durante le pause.
Ancora prima che terminasse la sua urlante frase, il cervello della squadra di pallavolo della Nekoma aveva già passato in rassegna tutte le varie possibilità per cui lei potesse essere così agitata: alla fine, una lampadina si illuminò in quella testa biondo tinto.
«Oh, stai parlando di Bokuto.»
Aveva addirittura messo in pausa il gioco, per l'occasione: la questione, per lui, era di così poca importanza che non pensava minimamente potesse essere la causa dei suoi turbamenti.
Insomma, che cosa c'era da dire?
Y/N, anche con i suoi difetti, impossibili da elencare tutti, era la sua migliore amica: cioè una delle persone a cui, purtroppo, il suo cervello reagiva rilasciando serotonina e facendogli credere che fosse fondamentale per la sua vita, quando in realtà non era altro che il risultato di qualche terminazione nervosa impazzita.
Quello era il modo di Kozume Kenma di ammettere a sé stesso che, in fondo e per disgrazia, le voleva un gran bene.
Perciò quando aveva capito, il precedente venerdì, che avesse iniziato a frequentare il capitano dei gufi era stato semplicemente felice per lei.
«...Sì.»
Y/N sembrava essersi calmata, anche se pareva confusa: che si aspettava da lui? Che le preparasse uno striscione e le chiedesse di farle da testimone di nozze?
Un brivido percorse la schiena del biondo a quel pensiero, e tornò a concentrarsi sul cellulare.
«Andiamo, Kodzuken, è uno dei migliori amici di Kuroo!»
La gatta era tornata a sedersi, ma non aveva alcuna intenzione di far rivivere quel pacifico silenzio di poco prima.
Per lei il parere di Kenma valeva probabilmente più di qualunque altro, non solo perché era il suo migliore amico, ma anche perché lui era a conoscenza, per filo e per segno, di tutto quello che era accaduto con Kuroo: anche se Bokuto le aveva giurato che fosse tutto a posto, Y/N aveva bisogno di un'opinione esterna.
«Non pensi che sia...sbagliato?»
L'alzatore premette di nuovo il pulsante di pausa, guardandola negli occhi per la prima volta dall'inizio di quella conversazione insolita.
Le pupille di Y/N tremavano appena: si stava davvero preoccupando di che cosa pensava lui?
Kenma prese un grosso respiro: se Y/N aveva bisogno ancora una volta di lui, l'avrebbe aiutata.
L'avrebbe sempre fatto.
«Sono rimasto abbastanza sorpreso, all'inizio, ma ripensandoci era logico che saresti uscita con una persona come Bokuto.»
Ancora prima che il gufo la invitasse, di fronte all'intera squadra, a stare da lui per il weekend, Kenma aveva tirato le somme e aveva capito tutto dal modo in cui lei gli aveva asciugato il sudore dalla fronte.
Si era dato mentalmente dell'idiota, quel pomeriggio, per non esserci arrivato prima: era naturale che fosse lui a mandarle tutti quei messaggi, era ovvio che lei nascondesse il telefono e si ostinasse a mentire su chi fosse ed era altrettanto evidente il motivo per cui ultimamente gli avesse detto di essere così spesso con Kaori.
Aveva timore di rivelargli il nome di Bokuto per paura che scoppiasse un putiferio tra lui e Kuroo, o che la squadra la giudicasse per essere uscita con un membro della Fukurodani: il capitano, per giunta.
Tutti i tasselli del puzzle erano tornati al loro posto nel momento in cui li aveva visti insieme.
«Come, scusa?»
Che cosa intendeva dire, il suo amatissimo migliore amico? Che nessun altro a parte lui sarebbe stato in grado di sopportarla? Che non sarebbe potuto essere chiunque altro per chissà quale motivo?
Y/N, impulsiva come al solito, si era innervosita ancora prima di sentire ciò che voleva dire: la tensione che aveva sopportato fino a quel momento era troppa.
«Io, a differenza tua che ti lasci trasportare dal tuo istinto come gli animali, mi limito ad osservare e dedurre delle conclusioni dai fatti.»
L'alzatore della Nekoma aveva sottolineato duramente le sue parole, facendole rilassare le spalle: il biondo poteva sembrare un tipo calmo e pacato, ma Y/N sapeva bene che era meglio non farlo arrabbiare e lasciarlo continuare.
«Tu e Kuroo siete identici.»
Tutte le sillabe dell'ultima parola erano state scandite come se fossero scritte in grassetto e Kenma, appoggiato il telefono nel sottobanco, aveva intrecciato le dita in attesa dell'esplosione di lei.
«IO?! IDENTICA A QUELL'EGOISTA?!»
Come aveva previsto, Y/N era scoppiata di nuovo facendo rimbombare l'eco della sua voce fino alla fine del corridoio del secondo piano dell'edificio.
«Esattamente.»
Lui era imperturbabile, l'esatto opposto di lei: si aspettava quella reazione, ma era un'opinione che avrebbe voluto confessarle già da molto tempo, ora era il momento adatto.
«Sei impazzito?!»
Il petto di Y/N si alzava e si riabbassava come se fosse in preda ad un attacco di cuore, la faccia era paonazza dalla rabbia e la fronte era talmente corrucciata che se non si fosse rilassata subito era certo che sarebbe rimasta in quel modo per tutta la vita.
Quando Kenma diceva che la sua migliore amica era un demone uscito direttamente dalla bocca dell'inferno le persone non gli credevano, ma avrebbero dovuta vederla quella mattina: gli avrebbero dato pienamente ragione.
Solo quando notò il suo respiro regolarizzarsi, il biondo riprese a parlare.
«Pensaci, Y/N: siete entrambi due individui orgogliosi, troppo orgogliosi.»
Quei due erano arrivati a non parlarsi per mesi interi per un semplice fraintendimento che si sarebbe potuto risolvere in un batter d'occhio, ma avevano messo loro stessi prima dell'altro, rovinando tutto.
Y/N, di fronte a lui, annuì impercettibilmente, alzando gli occhi al cielo: sapeva che era la verità.
«E questo vi rende in partenza inadatti alle relazioni.»
Non era cattiveria, la sua, ma pura sincerità: qualsiasi individuo esistente nell'universo avrebbe avuto difficoltà con uno di loro due.
«Ti ricordo che siamo i tuoi migliori amici.»
La manager aveva appoggiato la schiena alla sedia e aveva incrociato le braccia e le gambe, guardando distrattamente fuori dal vetro della finestra: la verità la stava pungendo come una vespa, ma non poteva contraddirlo.
«Questo è perché io sono paziente per natura e i vostri caratteri non mi scalfiscono minimante.»
A chiunque altro quella frase sarebbe suonata come un tentativo di auto-elogiarsi, ma Y/N lo conosceva troppo bene, ormai, da sapere perfettamente che la sua era una pura analisi razionale del loro rapporto e, ancora una volta, si ritrovò ad ammetterle che era tutto corretto.
«Ma voi due, insieme, non avete fatto altro che distruggervi perché vi incolpavate l'un con l'altro, perché non siete mai stati capaci di abbassare la testa e lottare per una relazione sana. Perché dovevate essere entrambi gli unici protagonisti e vittime.»
Fu una raffica di sentenze che la colpirono ma non la affondarono: ripercorse velocemente l'intera strana storia che aveva avuto con il loro capitano, riscontrando nelle parole di Kenma un riassunto esaustivo e veritiero.
Le occasioni erano state tante per chiedere scusa, per chiarirsi, per arrabbiarsi anche, ma non l'avevano fatto.
Lei non si era mai chiesta dove avesse sbagliato, non si era mai domandata che cosa avesse provato lui quando non si erano rivolti la parola per settimane e poi erano finiti a letto insieme, non gli aveva mai chiesto il perché l'avesse abbandonata la prima volta.
Era stato più facile immaginarlo come un bastardo senza cuore, piuttosto che affrontare i suoi sentimenti e dirgli che cosa provava.
Solo adesso se ne rendeva conto.
«La vostra non era una relazione facile, né lo sarebbe mai stata.»
Dopo questo, Kenma si fermò un attimo a guardarla, in silenzio, finché lei non ricambiò il suo sguardo.
Nei suoi occhi c'era del rimorso, del senso di colpa, ma annuì: lo aveva accettato.
«Bokuto, di conseguenza, è l'opposto di entrambi.»
Adesso che Y/N aveva messo una pietra sopra al passato, era evidente dal fatto che non fosse scoppiata a piangere come avrebbe invece fatto un mese prima, era il momento di passare al vero argomento della conversazione.
«Tu ti esprimi raramente riguardo le emozioni e i sentimenti, per non dire mai, e lui lo fa fin troppo.»
Lei aveva sorriso, sognante mentre ricordava chissà che avvenimento con il gufo in questione, e Kenma fece una smorfia di disappunto: quel sorrisino lo aveva già visto una volta, in Y/N, e voleva dire solo una cosa.
Alzò le sopracciglia fino a farle quasi scomparire sotto la coltre bionda, scuotendo lievemente la testa: era meglio continuare.
«Entrambi siete egocentrici, ma in modo totalmente diverso, e ne risulta che su un palcoscenico riusciate a brillare entrambi senza oscurarvi.»
Kenma si interruppe di nuovo, riprendendo fiato.
Tutte le parole dette fino a quel momento gli sarebbero bastate per l'intera giornata: non aveva mai parlato così tanto in vita sua.
«Anzi, vi migliorate a vicenda.»
Ora aveva centrato il punto: loro due non solo spiccavano per i forti caratteri riuscendo ad attirare l'attenzione di tutti, ma facevano sì che si creasse un sinergismo tale da elevare tutte le loro qualità.
Erano, come avrebbe detto quella romantica della sua migliore amica, anche se si ostinava a nasconderlo, le due metà di uno stesso insieme.
«C'è un motivo se Kuro e Bokuto vanno così d'accordo.»
Kuroo era una delle poche persone, oltre Akaashi, ad essere in grado di saper prendere Bokuto per il verso giusto: poteva scommetterci che anche Y/N ne fosse in grado.
«Ed è lo stesso motivo che vi ha portati ad uscire insieme.»
L'alzatore della Nekoma non era tipo da credere a quelle sciocche leggende secondo cui ogni persona è indissolubilmente legata ad un altra tramite un fantomatico filo rosso: lui si limitava, come quando doveva superare un livello particolarmente difficile, a trovare la soluzione migliore attraverso accostamenti di conoscenze e strategie.
Trovare la persona giusta era esattamente la stessa cosa: se il binomio di caratteri, vizi, pregi e difetti combaciavano, la cosa era fatta.
«Ci sono tutti i presupposti per una relazione che non ti faccia piangere insudiciandomi i vestiti di quella roba che ostini a metterti sulla faccia.»
E quello, infine, era il suo modo di farle capire che Bokuto era perfetto per lei.
Kenma aveva sofferto con Y/N quando l'aveva vista piangere.
Quando i suoi occhi si erano rabbuiati di tristezza, anche quelli di Kenma si erano riempiti di pietà.
Quando aveva iniziato a fare sciocchezze come la ripicca con Suguru Daishō, anche lui si era sentito in colpa per non essere stato in grado di prevenirlo e salvarla da sé stessa.
Quando osservava Yamaka Mika assieme a Kuroo, anche Kenma non poteva che provare antipatia verso quella serpe.
Y/N aveva bisogno di felicità: se la meritava.
«Vedi di non rovinare tutto.»
La gatta sorrise: aveva letto tutto ciò che Kenma aveva nascosto tra le righe di quelle parole, che d'istinto sembravano tanto ciniche, e vi aveva trovato un affetto così spropositato che pensava di poter ricevere solo da suo fratello maggiore.
Gli dei, a quanto pare, l'avevano benedetta anche con un'amicizia fraterna.
«E invece noi due, Kozume Kenma, come saremo in una relazione?»
Ringraziarlo non sarebbe bastato, di abbracciarlo non se lo sognava neanche: l'unica cosa che si sentì di fare fu spezzare quell'atmosfera di serietà e permettere ad entrambi di tornare quelli di sempre.
«Che schifo.»
La sua faccia disgustata non riuscì a nascondere il sorriso felice che aleggiava sul volto di Kenma. Era sollevato, in fondo, di aver avuto quella conversazione con Y/N: adesso, tutto sarebbe andato per il meglio.
Kenma tornò a proiettare mente e corpo dentro lo schermo del suo cellulare e lei gli sorrise in silenzio, ringraziandolo mentalmente.
Poi lanciò un'ultima occhiata fuori dalla finestra: nevicava.
Ma Y/N si accorse, quel lunedì, che la neve non sembrava più così triste e fredda.
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Mesdames et messieurs, per scrivere questo capitolo vomitevolmente romantico mi ci è voluta moltissima forza d'animo: io, dovete sapere, sono un po' il Kenma della situazione e tra le carinerie non mi ci trovo proprio.
Però mi serviva, ecco.
Come ha detto il nostro gattaccio biondo preferito: "ci sono tutti i presupposti per una relazione" adesso che si sono chiarite tutte le situazioni.
Ancora una spintarella, miei carissimi lettori, e forse ci siamo.
Forse.
Ricordatevi la mia cattiveria.
Adieu.
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