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Capitolo 16: Qui tacet, consentire videtur.

Qui tacet, consentire videtur è una locuzione latina che significa letteralmente
"chi tace acconsente."
▲▲▲
⚠️⚠️Attenzione: questo capitolo contiene lemon ⚠️⚠️

«Che cosa hai detto a mio padre?»
Y/N si era improvvisamente bloccata con una mano sulla cerniera della borsa e l'altra che stipava al suo interno un maglione troppo ingombrante.

«Eh? Niente!»
Bokuto era sobbalzato sulla sedia girevole della scrivania facendo cadere la penna con cui stava giocherellando, spaventato da quell'improvvisa domanda che aveva squarciato il silenzio: era così impegnato a girare su sé stesso e far scattare contemporaneamente la mina dell'oggetto che aveva in mano, come un bambino di tre anni appena, che non si era neanche reso conto di quando Y/N fosse uscita dal bagno.

La ragazza si era limitata a lanciargli un'occhiataccia di sbieco, alzando un sopracciglio, scettica.

«Davvero! Ho detto solo che avevi dimenticato le tue cose in palestra.»
Alzando le mani in segno di resa e cercando nel frattempo con gli occhi la penna che era andata a finire chissà dove sotto la scrivania, Bokuto sperò sinceramente di essere creduto.

Lei lo osservò ancora un paio di secondi assottigliando le palpebre, aspettandosi probabilmente che da un momento all'altro si inginocchiasse pregandola di perdonarlo per qualsiasi cosa di scandaloso avesse proferito a suo padre.
Solo dopo averlo guardato negli occhi capì che ciò che aveva detto corrispondeva alla verità: tirò un sospiro di sollievo, mentre componeva un numero al cellulare.

«Chi stai chiamando?»
Quando il gufo era tornato a rivolgerle la sua completa attenzione lasciando perdere la penna, Y/N aveva già il telefono all'orecchio destro.
Chissà cosa le era saltato in mente, adesso: quella ragazza era imprevedibile.

«Il numero delle emergenze.»
Aveva un sorrisetto furbo a fior di labbra, lei, in netta contrapposizione con l'espressione turbata di lui, sicuramente impegnato a decifrare il mistero di quella telefonata.

«O preferisci dire a mio padre che passeremo la notte insieme?»
Era certa di aver visto Bokuto venire scosso da un brivido di terrore: nessuno avrebbe mai creduto al fatto che avessero già dormito insieme condividendo lo stesso letto senza mai fare sesso.
Quasi mai, insomma: quello che era accaduto proprio di fronte alla porta del suo bagno non contava, giusto?

I loro occhi si posarono inconsciamente dove, solo una settimana prima, lui l'aveva toccata e le guance di entrambi si colorarono di rosso: avevano ricordato la stessa identica cosa.

Fortunatamente, o forse no, una voce dall'altra parte del telefono di Y/N li ridestò da quei ricordi.

«Kaori-chan, konbanwa
Y/N aveva usato il tono di voce più melenso del suo repertorio facendo ridere, sottovoce per non farsi sentire, persino Bokuto, che aveva tirato un lungo sospiro di sollievo dopo aver capito le intenzioni della manager.

«Che cosa vuoi Y/N?»
Quando la sua amata migliore amica attaccava al suo nome il suffisso -chan, qualcosa bolliva in pentola e, la maggior parte delle volte, non era qualcosa di buono: Kaori la conosceva fin troppo bene.

«Niente!»
Evidentemente sulla difensiva, la gatta si era costretta a mordersi il labbro inferiore per non lasciarsi sfuggire una risatina divertita: indispettire Kaori era una delle cose che amava di più al mondo.

«Non posso semplicemente aver voglia di chiacchierare con la mia-»
Peccato che il divertimento durò poco: venne brutalmente interrotta prima ancora di poter iniziare a fare sul serio.
Quella ragazza, constatò Y/N, passava troppo tempo con Akaashi: prima o poi sarebbe diventata bacchettona come lui.

«Sputa il rospo.»
Ukai Kaori non aveva nessunissima intenzione di stare a sentire le moine di quella scriteriata, non in una giornata come quella, in cui niente era andato per il verso giusto: per prima cosa l'aveva interrotta nel momento saliente di un fantastico horror, inoltre Akaashi l'aveva chiamata non molto tempo prima avvisandola di essere nel bel mezzo del traffico a causa della nevicata e gli dei solo sapevano quando diavolo sarebbe arrivato; ci mancava solamente che Y/N le facesse saltare l'ultimo briciolo di pazienza che le era rimasto.

«Nel caso qualcuno te lo chiedesse, stasera dormo da te.»
Nonostante sarebbe stato spassosissimo ascoltare le urla di Kaori in preda a una crisi nervosa, il tono della sua voce era bastato per far passare a Y/N la voglia di farla incazzare sul serio: decise che arrivare al punto sarebbe stato decisamente meglio.

«Cos'hai intenzione di fare, Sawamura Y/N?»
Il sospiro che la sua migliore amica emise fu un misto di disperazione per l'ennesima bravata che senza dubbio Y/N stava per commettere, di preoccupazione, ma anche di arrendevolezza: poteva essere fastidiosa al limite della sopportazione, era indubbiamente la fonte di molti dei suoi peggiori esaurimenti nervosi, ma l'avrebbe sempre coperta.

«Sei la migliore Kaori, grazie!»
Y/N aveva stretto il pugno della mano sinistra con un gesto di vittoria e, di conseguenza, Bokuto aveva alzato un pollice verso di lei, sorridendole: il piano stava funzionando alla perfezione.

«Y/N! Non azzardarti ad attaccare!»
Kaori era scattata in piedi di fronte alla televisione, come se fosse sul punto di uscire di casa, partire per Tokyo e puntare il dito contro Y/N per farle confessare chissà quali diaboliche intenzioni: l'altra, tuttavia, non aveva intenzione di darle questa soddisfazione.

«Bye, bye.»
Con un sorriso malizioso a incorniciarle il viso, Y/N aveva premuto il pulsante rosso sul display del cellulare.
Nella prefettura di Miyagi, intanto, il coach della Karasuno Ukai Keishin scuoteva la testa guardando sua sorella minore lanciare il telefono sul divano e inveire, come una bestia inferocita, contro "lei e tutte le maledette gatte ruffiane dell'universo".

«Kaori ti ucciderà, prima o poi.»
Bokuto si era alzato dalla sedia, quello che ormai considerava il suo posto nella camera della manager, e si era avvicinato a lei quando aveva sentito la zip della borsa chiudersi, finalmente.

«Non glielo permetteresti mai.»
Y/N stava ancora sghignazzando, ma nonostante fosse consapevole di quanta pazienza avesse Kaori nei suoi confronti, era sicura che le volesse bene anche per questo suo carattere impossibile.
E poi, pensò tra sé e sé, era solo una piccola vendetta per essersi intromessa nella sua vita sentimentale appioppandole quell'ingombrante gufo che ora se ne stava di fronte a lei con aria di superiorità.
Forse, ripensandoci, avrebbe dovuto ringraziarla.

«Chi lo sa.»
Il capitano della Fukurodani si caricò in spalla la sua borsa, facendo un occhiolino alla ragazza che, in tutta risposta, roteò gli occhi al cielo.

Uscirono dalla camera e scesero le scale punzecchiandosi ancora a vicenda, ridendo e scherzando come se le lacrime di lei non fossero mai esistite, come se la discussione con Kuroo non fosse mai avvenuta, come se non ci fosse niente di più normale al mondo che essere lì, insieme, a completare reciprocamente le loro vite.

Il signor Sawamura se ne stava comodamente seduto sul divano, in ciabatte e in compagnia di un programma di dubbia qualità, completamente rilassato da quando aveva sentito aprirsi e richiudersi la porta della camera di sua figlia: il solo fatto che a quell'allegro ragazzo fosse stato concesso di entrare aveva cancellato quasi tutte le sue preoccupazioni.
Poi l'aveva sentiti ridere: Bokuto Kōtarō era stato addirittura più capace di Daichi, nel consolare la piccola di famiglia.

«Otousan, Bokuto mi accompagna da Kaori, passerò da lei il weekend.»
E ora eccola lì, alle sue spalle, che accampava una scusa senza alcun tipo di senso convinta di darla a bere al suo vecchio: sorrise, anche se lei non poteva vederlo.

«Va bene, divertitevi.»
Sentirla così serena, contrariamente alla voce spezzata che aveva quando era rientrata a casa poco più di un'ora prima, gli bastava per convincerlo a lasciarla andare dove le pareva: saperla con il gufo, inoltre, lo faceva sentire sufficientemente al sicuro.

«Arrivederci, signor Sawamura.»
Dall'antro d'ingresso dell'abitazione Bokuto aveva salutato l'uomo senza avvicinarsi troppo: lui, neanche a dirlo, non era minimamente capace di mentire e se qualora li avesse scoperti per causa sua, era sicuro che Y/N avrebbe provveduto alla sua immediata esecuzione.

L'avevano fatta franca, Y/N ne era convintissima: arricciò le labbra in un sorriso appena accennato, pronta ad uscire di casa lasciandosi alle spalle la sicurezza di avere tutto sotto controllo.
Aveva appena fatto due passi, Bokuto era sulla soglia della porta, quando suo padre la richiamò.

«Y/N-chan.»
La sua unica figlia femmina era quella che, senza ombra di dubbio, si avvicinava di più al suo carattere: che ci credesse o no, anche lui era stato giovane e, esattamente come lei, aveva cercato di mentire più e più volte ai genitori, non aveva alcuna speranza di fregarlo.

«Hai?»
Suo padre non era mai stato severo con lei, ma il tono con cui l'aveva chiamata voleva dire solo una cosa e Y/N sentì un brivido percorrerle per intero la colonna vertebrale.

«Fai in modo che non venga a saperlo tuo fratello.»
Quello era il suo modo di dirle che aveva capito tutto.

Mentre il signor Sawamura se la rideva della grossa, ormai solo all'interno della casa, Bokuto era diventato di un unico colore, un bel rosso acceso, e Y/N avrebbe voluto essere sepolta almeno otto metri sotto terra il più velocemente possibile.

☆☆☆

«Uno dei migliori thriller in circolazione, non c'è altro da dire.»
Le lancette dell'orologio sfioravano la mezzanotte, il film era appena finito e fuori la neve non aveva ancora smesso di posarsi sulla città, silenziosa e bella come una poesia.

Dopo essere usciti da casa di lei si erano fermati a comprare del cibo d'asporto a metà strada, naturalmente aveva voluto per forza pagare lui e, per questo motivo, per la seconda metà del tragitto avevano avuto di ché discutere.
Le strade erano sgombre di macchine e piene, invece, di neve e ghiaccio, perciò non ci volle molto per arrivare nel parcheggio sotterraneo dell'enorme grattacielo dove abitava il gufo.

L'edificio era situato praticamente al centro della città e Y/N, che non era mai stata in un posto come quello, era salita nell'ascensore con gli occhi che brillavano come quelli di un bambino la mattina di Natale.
Ovviamente Bokuto non si era perso neanche una di quelle espressioni meravigliate, anzi, se lei non avesse minacciato di gettare il suo telefono dall'ultimo piano l'avrebbe riempita di foto per potersele poi riguardare ricordando quella che si era trasformata in una splendida serata.

L'appartamento dove risiedeva Bokuto era molto in alto e occupava almeno metà dell'intero piano, era decorato con mobili e ninnoli modernissimi, il tutto curato da un preciso ordine.
Anche quando le fece strada per la sua camera, Y/N non poté fare a meno di assumere una smorfia imbronciata e imbarazzata.

«Avevi detto che la tua camera era un disastro peggiore della mia.»
Y/N aveva gonfiato entrambe le guance come una bambina, incrociando le braccia sotto il seno: adesso si sentiva in imbarazzo per averlo accolto nella sua stanza, ogni volta, nel bel mezzo di un caos assoluto.

«Mamma deve averla messa in ordine prima di uscire, sapendo che saresti venuta tu.»
Lui aveva riso, grattandosi nervosamente il collo: se avesse visto l'abituale disordine che regnava là dentro, probabilmente sarebbe scappata a gambe levate.
Si appuntò mentalmente di ringraziare sua madre.

«Le hai parlato di me?!»
La gatta aveva immediatamente allargato le braccia e alzato la voce, scioccata: non sapeva davvero come reagire, di fronte a quella dichiarazione.

«Certamente.»
Per Bokuto, invece, sembrava la cosa più naturale del mondo: aveva appoggiato entrambe le mani sui fianchi e l'aveva guardata dall'alto in basso, confuso.

Lei sembrò soppesare la cosa per una manciata di secondi: da una parte le sembrava assurdo che lui avesse parlato di loro in famiglia come se fossero una coppia assodata, dall'altra, in un antro del suo cuore che faceva finta di non vedere né sentire, la lusingava.

«...che cosa le hai detto?»
Borbottò quella domanda sottovoce, come se si vergognasse a mostrarsi tanto curiosa, ma lui aveva drizzato le orecchie quando aveva visto le sue guance prendere colore e sorrise sornione, sentendola.

«Che sarai la sua futura nuora.»
Se avesse potuto gli avrebbe tolto quel sorrisetto furbo a suon di offese, invece la manager si limitò ad arrossire violentemente e voltargli le spalle, non mancando però di dargli un leggero pugno sul petto.

«Idiota.»
Trasportata dalla risata contagiosa di Bokuto, presto anche Y/N si ritrovò a distendere di nuovo i suoi nervi e ridere insieme a lui.

Passarono il resto della serata sdraiati a letto, ci mangiarono persino: il pallavolista aveva insistito affinché lei si mettesse comoda nel frattempo che lui preparava la tavola, o almeno così l'aveva chiamata; perciò le lanciò una vecchia felpa e un paio di boxer, intimandole di cambiarsi alla svelta.

Disobbedire al gufo quando era stato la sua unica ancora di salvezza non era un'opzione plausibile, tantomeno riconoscente, quindi Y/N obbedì senza fiatare.
Si infilò gli indumenti e, una volta vestita, si fermò ad osservare la sua immagine riflessa nello specchio del bagno.
Arrossì, sorridendo e affondando metà volto nella felpa che le arrivava fino alle ginocchia: sentiva il suo profumo.

Quando rientrò in camera non si trovò davanti quello si aspettava: il tavolo che intendeva Bokuto era un semplice tavolinetto pieghevole di quelli utilizzati per le colazioni a letto e lui, felice come non mai e già comodamente sdraiato, l'aveva fissata per alcuni secondi prima di allargare le braccia e mostrarle il sorriso più grande che avesse mai visto.

«Non intenderai mica...?»
Non aveva intenzione di mangiare sdraiati a letto, giusto? Abbracciati, per giunta: quella era una cosa troppo romantica, per lei.

«Pensavo che sarebbe stata una cosa carina...»
I suoi capelli si erano abbassati come per magia, il suo sorrisone si era spento e gli occhi erano diventati languidi come quelli di un cucciolo che era appena stato rimproverato.

Quando lo vide poi distogliere lo sguardo e fare per riordinare il tavolinetto, Y/N si sentì così in colpa che si affrettò a raggiungerlo, scostare le coperte e accomodarsi di fronte a lui, con la schiena appoggiata sul suo petto e le sue braccia a circondarla.

«Il film lo scelgo io.»
Imperativa come una regina, la gatta si era messa comoda e aveva affondato la testa sui pettorali di lui come se fossero un cuscino, imbarazzata ma, in fondo, grata di trovarsi lì.
Bokuto, chiaramente, non poteva essere più felice.

E adesso eccoli ancora lì, nel grande letto di lui a discutere su come il protagonista avrebbe potuto risolvere la situazione senza rimanere ferito nello scontro a fuoco con il serial killer.
Di dormire non se ne parlava minimamente.

«Resta il fatto che il libro è nettamente superiore.»
La manager della Nekoma non aveva scelto quel film a caso: per pura coincidenza aveva, da pochissimo, finito di leggere il libro da cui era stato tratto.
E quale occasione migliore per dimostrare finalmente al gufo che la lettura fosse la più geniale invenzione al mondo?

«Non dirmi che-»
Quando l'aveva vista alzarsi di scatto sollevando le coperte e lasciandolo in balia dell'aria fredda sulle sue gambe nude, dato che ovviamente era rimasto in boxer anche lui, per comodità, si capisce, non aveva potuto fare a meno di sospirare sconsolato.

«Oh sì.»
Lei gli aveva rivolto un ghigno fin troppo eloquente: si era portata un maledettissimo libro, dietro, dannazione.

Ma la cosa peggiore non era sapere che a momenti gli sarebbe toccato, come minimo, un quarto d'ora di lettura, o tortura, come amava definirla, era che quando Y/N si era piegata per cercare il suddetto libro nella borsa, il povero Bokuto aveva incollato gli occhi sul fondoschiena di lei, in bella vista per la posizione in cui si era messa.
A nulla era servito stringere i pugni fino ad affondare le unghie nei palmi: qualcosa, là sotto, aveva cominciato ad agitarsi.

Fortunatamente la gatta trovò quell'oggetto infernale rapidamente, tornando in fretta verso di lui, ma se Bokuto aveva creduto che la sofferenza sarebbe finita lì, si sbagliava di grosso.

Y/N ebbe la brillante idea di mettersi a cavalcioni su di lui, facendo coincidere le loro intimità coperte solo dalle mutande.
Lei aveva ingenuamente pensato che quello fosse il modo migliore per farsi ascoltare mentre leggeva, per lui era la cosa peggiore che potesse fare per focalizzare la sua attenzione, dato che tutto l'afflusso di sangue che fino a poco prima era arrivato regolarmente al cervello, ora convogliava più in basso.

Chissà da quanto aveva iniziato a leggere, quando Y/N si accorse che Bokuto non aveva più detto una singola parola dal momento in cui aveva tirato fuori il libro: si interruppe, abbassandolo dalla sua visuale per guardare in faccia il ragazzo su cui era seduta.

«Mi stai ascoltando?»
Fino a quell'istante il capitano della Fukurodani era riuscito a impiegare tutte le sue forze nell'intento di pensare a qualsiasi altra cosa per distrarsi dalla situazione pericolosa in cui si trovava, poi lei si era sporta in avanti, muovendo il bacino su di lui: Bokuto si portò la mano aperta a coprirsi la faccia, disperato.

«Bokuto...?»
Y/N era decisamente confusa: che diavolo gli prendeva, adesso? Non era da lui essere così taciturno e le sembrava un tantino esagerata come reazione ad un semplice libro.

«Ho sonno, dormiamo.»
Le aveva tolto bruscamente il libro dalle mani, evitando con tutto sé stesso di incrociare il suo sguardo e provando a scrollarsela di dosso il prima possibile.

«Cos- HEY!»
Lei era rimasta per un secondo spiazzata da quel gesto, poi, ripresasi in un lampo, aveva aggrottato la fronte e tentato di riprendersi il suo libro, iniziando una lotta tra le coperte.

Il gufo tendeva le braccia muscolose in aria brandendo il libro, la gatta sferrava fendenti a vuoto con gli artigli provando ad acciuffarlo: chiaramente ogni movimento comportava che l'intimità di lei premesse su quella di lui, mandando a quel paese tutti i precedenti sforzi di Bokuto.

Solo quando Y/N perse quasi l'equilibrio, rischiando di finire con la fronte dritta sul naso di lui, quella sorta di combattimento si fermò.
La manager della Nekoma aveva appoggiato entrambe le mani alla testata del letto, proprio al lato delle tempie di Bokuto, e si era bloccata in quella posizione, spalancando gli occhi tutto a un tratto: sotto di sé, qualcosa di duro spingeva tra le sue gambe.

Si erano studiati per qualche secondo, in uno scambio di sguardi che valeva più di mille parole, poi lui abbassò le iridi gialle, visibilmente in imbarazzo e lei, rossa quanto lui, si scostò per permettergli di dileguarsi.
In completo silenzio, l'asso della Fukurodani spense la luce: schiena contro schiena, entrambi si diedero mentalmente degli idioti.

«Bokuto...»
Non era passato neanche un minuto, che lei non ce l'aveva fatta a rimanere zitta: un familiare formicolio nel bassoventre aveva parlato per lei.

«Mh
Il gufo, nemmeno a dirlo, era ancora troppo a disagio per collegare due neuroni: sicuramente stava per chiedergli di riportarla a casa, era ovvio, non voleva stare un minuto di più con un depravato come lui.

«Ho freddo.»
Ecco, adesso aveva anche pietà di lui, non aveva il coraggio di dirgli che l'aveva messa in difficoltà e voleva usare la scusa del freddo per tornare a casa: non aveva più speranze con lei, doveva rassegnarsi.

«Potresti abbracciarmi?»
Quell'idiota di un pennuto non aveva minimamente capito che lei, al contrario, aveva tutta l'intenzione di rimanere lì il più a lungo possibile.
Se non fossero stati completamente al buio e lei non fosse stata voltata dalla parte opposta, Bokuto avrebbe visto la sua espressione infastidita e impaziente: voleva sentirlo vicino come prima.

Quella domanda lo sorprese, ma ancora catapultato nel mondo del dubbio e delle cupe congetture, Bokuto acconsentì senza rendersi troppo conto di ciò che stava facendo: era scivolato dritto dritto negli artigli della gatta.

Quando Y/N si sentì cingere la vita dalle muscolose braccia di lui sorrise, ma non ancora del tutto soddisfatta: si fece un po' più indietro con il corpo, facendo combaciare il suo didietro con l'inguine di Bokuto.

«Y/N.»
Chiamò il suo nome con tono di rimprovero.
Gli era bastato sentirsi sfiorare da lei per riprendere coscienza di sé: possibile non avesse ancora capito che effetto gli faceva?

«Hai?»
La sua voce, invece, era più angelica che mai, mentre si ostinava ad ancheggiare i fianchi per sistemarsi meglio e stare più comoda.

«Piantala di muoverti.»
Un altro po' e non sarebbe più stato in grado di controllare le sue azioni, ne era sicuro: la sua mano destra andò ad afferrare il fianco di lei, stoppandola.

«Mi sono mossa? Non me ne sono proprio accorta.»
Y/N inspirò profondamente per darsi un contegno.
Non se l'aspettava quel gesto da lui, quella presa ferrea sul suo bacino, e la cosa non fece altro che eccitarla di più: forse per la prima volta da quando la luce era stata spenta, sentì il bisogno di muovere le cosce non per stuzzicarlo, ma per frenare quell'impulso che, da quando aveva sentito l'erezione di lui, era un pensiero fisso nella sua mente.

«Lo stai facendo di proposito!»
Stavolta Bokuto non ce l'aveva più fatta a trattenersi, si era sollevato a sedere e l'aveva osservata attraverso il buio, spazientito e frustrato: si stava prendendo gioco di lui?

«D'accordo, la smetto.»
Con una risatina appena soffocata, la gatta confermò ciò che già sospettava: si era davvero divertita a provocarlo fino a quel momento.

Il capitano della Fukurodani si sdraiò nuovamente senza risponderle, ma con grande sorpresa di lei, non si staccò minimamente dalla sua figura: anzi, si fece ancora più vicino.

Y/N sentì la mano di lui, che prima sostava sul suo fianco, cominciare ad accarezzarle con calma la vita, fino a giungere all'orlo della felpa e intrufolarsi al suo interno: adesso era il suo turno di divertirsi.
Le dita callose del gufo iniziarono a disegnare dei cerchi immaginari sulla superficie della sua pelle, dalla cucitura dei boxer che le aveva dato, risalendo sempre più su, come una letale tortura: ogni centimetro esplorato era un brivido che scendeva giù nell'addome, fino ad insinuarsi tra le sue gambe.

Se l'era cercata, non c'era altro da dire: pensò di potergli resistere, prima o poi avrebbe smesso e avrebbero dormito sogni tranquilli, ecco tutto.
Ne fu convinta fino a quando sentì l'altra mano scostare la felpa anche dal suo collo e poi il respiro caldo di lui farle venire la pelle d'oca. 

«Boku-»
Fece per chiamarlo, per dirgli di fermarsi: ne aveva avuto abbastanza, aveva imparato la lezione.
Ma il suo nome si spezzò in gola, quando le zanne del gufo addentarono la sua pelle, facendola gemere.

«Ah~»
Y/N si portò la mano sulle labbra per soffocare quel gemito, pentendosi di averlo aizzato. 

«Dimmi.»
Bokuto sorrise sotto i baffi, baciandola dolcemente dove, un attimo prima, aveva assaggiato per la prima volta la sua carne.

«Yamete kudasai
L'aveva praticamente sussurrata, quella preghiera che lo scongiurava di smettere, e lui, rispettoso com'era, si era immediatamente ritirato dal suo collo, aveva tolto la mano da sotto la felpa e si era addirittura allontanato fino a smettere di toccarla con ogni parte del corpo.

Aveva naturalmente sghignazzato in silenzio quando lei si era voltata di scatto per cercarlo, sbalordita: che diavolo aveva capito, quello sciocco?
Era ovvio che lo stesse pregando di smettere di tormentarla in quel modo, non di allontanarsi!

«Che cosa vuoi, Y/N-chan?»
Si era di nuovo sollevato, stavolta sopra di lei.
Le braccia erano tese, le mani al lato della sua testa e tutto il suo corpo tornito a sovrastarla, mentre i suoi occhi da predatore fendevano il buio: sembrava la bruciassero, tanto se li sentiva addosso.

«Non è divertente quando sei tu la vittima, vero?»
Bokuto Kōtarō se la stava spassando, senza ombra di dubbio: gliela stava facendo pagare per aver giocato con lui.
E lei, inerme, non era stata in grado di controbattere, di proferire un singolo suono finché non aveva nuovamente sentito il suo respiro sul lobo dell'orecchio.

«Vuoi essere toccata come quel giorno a casa tua?»
Y/N aveva trattenuto il respiro e un'ondata di calore aveva invaso tutto il suo corpo: eccome se lo voleva.
Non c'era bisogno che gli rispondesse: Bokuto la sentiva fremere sotto la sua mano esperta, che si era intrufolata di nuovo sotto il tessuto della felpa ad esplorarle il ventre.

«Ad una condizione.»
L'aveva sinceramente sorpresa, ma ormai era totalmente succube dei suoi gesti e, quando aveva capito che stava cercando di sollevarle la felpa, aveva inarcato la schiena per lasciarlo libero di fare ciò che voleva: sarebbe stata sua qualunque cosa le avesse chiesto.

«Non trattenerti.»
Con quelle ultime due parole Bokuto le prese delicatamente il polso destro tra le dita, togliendole la mano dalla bocca: voleva sentirla gemere per lui, urlare il suo nome, ascoltare i suoi versi all'apice del piacere.
Lei non disse niente, semplicemente annuì.

Una settimana prima nella camera di lei, Bokuto aveva quasi avuto paura di osare troppo, non l'aveva sfiorata con null'altro che la sua mano, ma stavolta era diverso, stavolta non poteva trattenersi e, dopo averla pregustata una volta, non ci pensò troppo ad affondare le sue labbra di nuovo nell'incavo della spalla.

Quando iniziò a lasciarle una scia di baci umidi sulla pelle, alternandoli con la lingua e succhiandone, di tanto in tanto, la superficie, la sentì inspirare profondamente, ancora lievemente tesa.
Qualcosa gli diceva che, per scioglierla completamente, avrebbe dovuto osare di più: fece scivolare la sua mano destra su un seno, afferrando un capezzolo tra due dita.

Y/N gemette piano, stringendo i pugni attorno alle lenzuola: sentiva la sua intimità cominciare a bagnarsi, mentre lui le donava sensazioni nuove.
Non era rude in alcun modo, ogni tocco, ogni movimento, ogni carezza erano fatti con il solo intento di farla godere, solo e unicamente per lei: avvertì il bisogno di sentirlo più vicino, di ricambiare quelle attenzioni.

Così lentamente che neanche lui se ne rese conto, la gatta allungò il braccio verso il bacino del gufo finché non sfiorò il suo membro duro, ritirando le dita subito dopo, imbarazzandosi per quel gesto forse troppo avventato.

Non fece in tempo però a ritrattarle del tutto, che Bokuto le afferrò prontamente la mano, staccandosi dal suo seno: la strinse nella sua, cercando di dirle, con quel gesto, ciò che avrebbe voluto a parole.
A lungo aveva desiderato essere toccato da lei, oltre che darle piacere: con delicatezza le riportò la mano, così piccola in confronto alla sua, sulla sua erezione, premendo le sue dita attorno al membro dritto sotto il tessuto dei boxer.

Non le era mai capitato di essere così impacciata prima d'ora, né con Kuroo, né la prima volta con Wakatoshi: forse era perché Bokuto teneva davvero a lei, o forse per le sue spalle imponenti che la dominavano, o magari perché, inutile negarlo, la tensione sessuale era alta come non mai.
Nonostante la vergogna, Y/N prese a massaggiare la lunghezza di lui, sorridendo lievemente quando sentì il suo respiro accelerare.

Bokuto era eccitato, davvero eccitato: si fiondò sul suo seno, affamato come un predatore, lambendo un capezzolo tra le labbra e succhiandolo voracemente, beandosi finalmente dei gemiti strozzati di lei.
Quelle che prima erano state gentili carezze si trasformarono presto in movimenti impazienti: il capitano della Fukurodani si alternava da un seno all'altro, prima succhiando, poi leccandolo, stringendolo nella mano.

Infine, quando Y/N tra un sospiro e l'altro abbassò i boxer di lui per togliere di mezzo il tessuto che la separava dal suo membro, Bokuto infilò con smania e desiderio la mano tra le sue gambe.

Era bagnata, dannatamente bagnata.
Y/N rovesciò la testa all'indietro e scosse i capelli spargendoli sul cuscino con un gemito acuto e profondo, sentendo il dito medio di lui entrare dentro di lei senza indugio, come se avesse aspettato fin troppo e non potesse più trattenersi.
Lei strinse nella mano la sua virilità, sentiva le vene pulsare sotto il suo tocco, gonfiandosi ogni volta che lo stimolava con movimenti sempre più decisi e veloci.

La stanza si riempì presto dei versi rochi di lui e degli ansimi di lei, le labbra di Bokuto impegnate con la sua pelle delicata e liscissima, quelle di Y/N alla spasmodica ricerca di ossigeno.
Avrebbe voluto baciarlo, annaspava l'aria sentendo l'orgasmo avvicinarsi man mano che le stimolava il clitoride e, quando sentì una scossa nel bassoventre, aumentò un'ultima volta il ritmo dei movimenti su di lui.

«Bokuto, bacia-»
Non fece in tempo a finire la frase, a esprimere la voglia di sentire la sua bocca sulla sua, che lui introdusse un secondo dito in lei, facendola perdere in gemiti striduli e venire in pochissimi attimi.

«Sto per venire anche io, Y/N-chan.»
Sentirla godere era musica per le sue orecchie, avvertire la sua mano che lo stringeva e si muoveva su di lui gli fece perdere completamente il controllo: non si rese neanche conto della sua richiesta, della sua preghiera, quando venne appena dopo di lei, sul suo ventre.

Y/N sentì il liquido caldo riversarsi sul suo addome e Bokuto appoggiò la fronte sudata sulla sua, ansimando ancora.

Si guardarono negli occhi per un lasso di tempo indefinito, i respiri affannati si calmarono e tornarono regolari, ma loro continuarono per un po' a rimanere in quella posizione, a saettare gli occhi dalle iridi dell'altro alle sue labbra, pensando la stessa cosa.

Ma quel baciò non arrivò e, forse, era meglio così.
Non era ancora il loro tempo.

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Ci sono capitoli in cui faccio fatica ad arrivare alle 4000 parole, e poi ci sono capitoli come questo in cui sono quasi a 5000.
Ho dei problemi, lo so.

Che dite di questa lemon?
Pls ditemi che vi piace, ci ho messo tutta me stessa.

E fatemi sapere anche che ne pensate del finale: per me è troppo presto, Y/N ha appena avuto l'ennesima delusione (e l'ultima) con Kuroo, Bokuto questo lo sa, perciò entrambi sono incerti se compiere o meno quel passo.

Vi amo, ricordatevelo.

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