Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 11: Palam et clam.

Palam et clam è una locuzione latina che significa letteralmente
 "apertamente e in segreto."
▲▲▲

«Arigatō, Bokuto.»

Il capitano della Fukurodani non aveva capito come ci era riuscito, ma l'aveva fatta ridere.
E vederla ridere, in quel momento, dopo l'incontro con Kuroo e quelle lacrime, era la cosa più bella che sarebbe mai potuta accadere.

Quando aveva visto Kuroo da lontano, un brivido gelido gli aveva percorso la schiena: era sempre stato felice e allegro di vedere il suo migliore amico, ma con Y/N al suo fianco era tutta un'altra storia.
Non era tanto per il fatto che fossero da soli, quasi come una coppia, e che il capitano della Nekoma avrebbe potuto sospettare qualcosa, ma piuttosto per la reazione che avrebbe potuto avere lei.

C'aveva messo così tanto per farla sorridere, per far sì che si aprisse con lui, che quel velo di tristezza abbandonasse, di tanto in tanto, i suoi occhi e/c.
E dopo una giornata perfetta come quella, in cui si erano spinti oltre la semplice amicizia, in cui l'aveva vista in un modo talmente intimo  che niente sarebbe più stato come prima, Kuroo rischiava di rovinare tutto.

Aveva tentato di cambiare direzione, di spingerla verso la cioccolateria in cui si trovavano Akaashi e Kaori, aveva insistito anche dopo essersi accorto che il corvino, ormai, li aveva notati.
Se la sarebbe vista con Kuroo in un altro momento, avrebbe comunque dovuto farlo, prima o poi.
Ma la cosa importante, innanzitutto, era proteggere Y/N.

Ma lei, testarda e viziata come una bambina, aveva insistito, finendo irrimediabilmente per eliminare ogni tentativo di risparmiarle quello spiacevole incontro.
Quando aveva visto il modo in cui si erano guardati si era sentito incredibilmente in colpa: lo scambio di sguardi, tra quei due, era stato così intenso, seppur carico di tensione, che si chiese se sarebbe mai stato possibile separare i loro cuori.
E fu proprio questo interrogativo a turbarlo: era, per la primissima volta in vita sua, geloso.

Si domandò se ciò che stava cercando di fare da ormai due settimane fosse giusto o fosse, piuttosto, una missione suicida: gli occhi di lei non lasciavano spazio alle supposizioni, era ovvio che fosse ancora innamorata del suo capitano.
Ebbe l'istinto di tirarla verso di sé e allontanarla dal corvino in un impeto di possessione, mentre uno strano calore gli infiammava il petto.

Poi l'aveva guardata nuovamente: nei suoi occhi c'era la stessa disperazione di quel venerdì notte, quando tutto era cominciato, lo stesso sguardo di chi ha perso qualcuno e non sa come non perdere anche sé stesso in quell'assenza.
E allora la gelosia era svanita, lasciando spazio alla compassione: come aveva potuto mettere sé stesso prima di lei?

«Bokuto, cosa ci fate qui?»
La domanda di Kuroo era stata posta con un tono duro: in un altro momento, forse, gli avrebbe risposto per le rime, ma si limitò a fingere una risata imbarazzata, grattandosi nervosamente il retro del collo e giustificando la loro presenza insieme come un caso, una circostanza fortunata in cui lui e Akaashi avevano trovato le ragazze a fare compere e, allora, avevano deciso di unirsi per un innoquo caffè.

Non aveva certamente intenzione di fare una scenata lì, di rivendicare il diritto di Y/N di vivere la sua vita come meglio credeva, considerando anche il fatto che, tutt'ora, il capitano della Fukurodani era ben consapevole di non poter avanzare pretese o diritti sulla gatta della Nekoma.
Non era la sua ragazza, non era una sua amica, era qualcosa che poteva essere, ma che non era ancora.

Non era neanche certo di cosa avesse detto di preciso, troppo impegnato a chiudere quella conversazione al più presto in modo tale da allontanarsi e lasciare che Y/N respirasse.

«Bokuto, ti aspetto in libreria.»
Non l'aveva guardato neanche in faccia, la voce le tremava a tal punto da rendere ovvio anche a Kuroo che qualcosa non andava.
Si era allontanata in fretta e furia, e lui, incapace di fermarla, sapendo ciò che sarebbe potuto accadere se il capitano della Nekoma l'avesse vista in quello stato, era rimasto per qualche secondo a osservare la sua figura farsi largo tra la folla.

«Tetsurō, è meglio se andiamo anche noi.»
Erano state le parole della studentessa della Nohebi a risvegliarlo dalla trance: Yamaka Mika stava letteralmente strattonando il corvino, con un'espressione accigliata in volto.
Non era difficile capire che anche lei si fosse accorta della reazione della gatta e dello strano cipiglio di Kuroo: anche lui, come Bokuto, aveva lo sguardo preoccupato rivolto verso il punto in cui Y/N si trovava un attimo prima.

«Hai...»
Sembrava distratto, Kuroo Tetsurō, come se non gli importasse minimamente il fatto che la sua ragazza fosse sul piede di guerra: dentro di sé, l'unica cosa che avrebbe voluto fare sarebbe stata rincorrere Y/N, glielo si leggeva negli occhi.
Eppure, ancora una volta, il suo animo orgoglioso, titubante, aveva avuto la meglio e voltò le spalle alla cosa giusta da fare, salutando con un gesto della mano il gufo della Fukurodani.

Bokuto non sapeva che cosa fosse successo tra lui e Y/N, non aveva la più pallida idea di tutto ciò che nascondevano quegli sguardi così simili, ma in quell'istante, quando lo vide voltare le spalle a Y/N, ebbe la sensazione che proprio quel suo atteggiamento, quelle sue mancanze, fossero la causa di tutto.

Aveva raggiunto la libreria in un attimo e l'aveva vista chinata su di un grosso libro, le mani erano strette attorno alla copertina come a volersi ancorare dentro di esso, come se desiderasse essere trasportata al suo interno e lasciare tutta la sua vita fuori per ricominciare da capo.

Una lacrima era scivolata furtiva su una pagina: piangeva in silenzio, senza disturbare nessuno e con l'evidente paura di essere scoperta.

«Deve essere davvero orrendo quel libro per ridurti così.»
Avrebbe voluto accarezzarle la guancia su cui la lacrima aveva lasciato la sua scia, prenderle il volto tra le mani e dirle che Kuroo non meritava una sola di quelle lacrime e che, nonostante fosse il suo migliore amico e fosse fermamente convinto che anche lui tenesse a lei, a modo suo, si era appena dimostrato un bastardo, a lasciarla andare.
Avrebbe desiderato prometterle che lui non l'avrebbe mai e poi mai fatta piangere ma, oltre ad essere troppo presto per una cosa del genere, sapeva anche che quella promessa sarebbe stata impossibile da mantenere: l'animo umano, volente o nolente, è incline a far soffrire anche la persona alla quale si tiene di più al mondo.
Infine, era stato ad un passo dall'abbracciarla, sarebbe stato felice anche di quello, ma se aveva imparato, almeno un minimo, a conoscerla, era ben conscio del fatto che avrebbe avuto come unica reazione quella di allontanarla.
Così, aveva deciso che la cura migliore sarebbe stata la più semplice e pura ironia.

Aveva sollevato gli occhi spaventata, l'aveva fissato per una manciata di secondi e poi aveva riso: nessun suono gli era mai parso così bello.
I suoi occhi emanavano una luce che pareva alimentata dai misteri dell'universo, anche se ancora velati dalla malinconia: nonostante le palpebre fossero lievemente arrossate e il trucco fosse leggermente colato, rimaneva così bella che sarebbe rimasto a guardarla ridere per il resto della giornata.

«Arigatō, Bokuto.»
Aveva ancora gli occhi lucidi dal pianto, ma sorrideva.
L'asso della Fukurodani era certo di essere arrossito di fronte alla bellezza di quel sorriso: aveva fatto la cosa giusta.

«E di che cosa, Y/N-chan? Non ti ho ancora tirata fuori da questo posto.»
Si passò nervosamente la mano tra i capelli laccati di gel, distogliendo lo sguardo da lei e guardandosi distrattamente attorno, certo che se l'avesse osservata un attimo ancora non avrebbe resistito al desiderio di baciarla.

«Finiscila, i libri sono la cosa più bella sulla faccia della Terra.»
Nel riporre il libro che teneva in mano sullo scaffale della libreria, Y/N si ritrovò ad accarezzarne la superficie, pensando, tra sé e sé, che ciò che aveva appena detto corrispondesse alla più pura verità: se non ci fosse stato Bokuto a salvarla da quel mare di lacrime, era sicura che l'avrebbero fatto i libri, come avevano fatto tante altre volte.
Eppure fu costretta anche ad ammettere a sé stessa che avere qualcuno di vivo, presente e tangibile dalla sua parte fosse rassicurante: con Bokuto si sentiva...al sicuro.

«I film, vorrai dire.»
Era strano dover intrattenere quella conversazione dopo ciò che avevano vissuto, a partire da ciò che era successo in camera di lei, fino a pochi attimi prima.

Si parlavano, quei due, senza realmente pensare a ciò che stavano dicendo, mentre i loro cuori venivano riempiti dalla presenza l'uno dell'altro.
Lui, inconsapevole, le stava insegnando la semplicità e l'importanza di essere presenti al momento giusto, la comprensione e il sostegno dietro un sorriso, dove prima c'era stato solo silenzio, rancore, rabbia.
Lei, invece, gli stava dimostrando la forza di rialzarsi dopo una caduta, dopo uno sbaglio o un momento di sconforto: per una persona come Bokuto, i cui sbalzi d'umore erano spesso visti come una montagna insormontabile, era un atteggiamento insolito e al contempo ammirevole.
Lei non era davvero come le altre.

«Un film non sa darti le stesse emozioni di un libro.»
A proposito di emozioni e sentimenti, Y/N era fermamente convinta che, per quella giornata, ne avesse avuto abbastanza. Era meglio concentrarsi su qualcosa che la distraesse, qualcosa in cui, tra l'altro, era dannatamente brava: discutere.

Tenace e irremovibile nelle sue convinzioni, come al solito, la gatta aveva incrociato le braccia sotto il seno e si era impettita, tutta sorridente e soddisfatta, decisa a non cedere terreno.

«Perché te ne dà di più.»
A quel punto lui l'aveva imitata, aveva incrociato le braccia mettendo in risalto i muscoli e la squadrava con orgoglio dall'alto della sua imponente altezza e prestanza fisica.

Rimasero a fissarsi per un po', divertiti, entrambi, dall'aria statica di tensione che respiravano i loro animi per natura guerriglieri.
Se non si fossero trovati in un luogo pubblico, Bokuto non ci avrebbe pensato due volte a farle capire chi dei due l'avrebbe avuta vinta, prendendole il viso tra le mani per costringerla poi a sottomettersi e permettere l'ingresso della sua lingua tra le sue labbra.

Invece, suo malgrado, fu costretto ad escogitare un altro modo per dimostrarle chi avesse ragione.

«Andiamo.»
Tutto a un tratto aveva interrotto quel gioco di sguardi e si era voltato verso l'uscita del negozio, pronto ad uscire.
Chissà per dove, poi.

«Aspet-»
Non aveva finito il suo giro tra le pagine stampate di inchiostro fresco, non aveva neanche trovato quel volume che cercava da tanto.
Fece per protestare animatamente, già sul piede di guerra, quando lui fece una cosa che la sorprese più di qualsiasi altra: la prese per mano.

S'interruppe, smise sia di parlare che di pensare: nessuno l'aveva mai presa per mano.
A volte si tende a pensare che condividere un letto, fare sesso, baciarsi persino, sia più intimo di gesti più semplici come prendere per mano qualcuno.
Lei, invece, era fermamente convinta che la cosa giusta, al momento giusto, potesse unire due persone più di qualsiasi altra cosa.

La mano di Bokuto Kōtarō era parecchio più grande della sua, tanto da farla scomparire tra le sue dita.
Il suo palmo e i polpastrelli erano come quelli di suo fratello Daichi: pieni di calli dovuti alle giornate passate in palestra, alle schiacciate, alle ricezioni e ai servizi.
Era la mano di una persona che sapeva accarezzare e proteggere, trattenere e sostenere, in quel modo strano e raro che faceva apparire tutti i pesi che uno si portava dietro dimezzati, le paure e le preoccupazioni condivise.

Y/N si lasciò condurre fuori da quel ragazzo che era entrato con prepotenza e confusione nella sua vita, facendo un baccano indescrivibile, e che poi l'aveva presa silenziosamente per mano.
In quel momento, pensò, si sarebbe lasciata portare ovunque.

Come molte cose nella sua vita, Bokuto l'aveva fatto senza pensarci: l'idea di prenderle la mano gli era balenata in testa senza preavviso e lui aveva semplicemente eseguito.
Era una cosa logica: voleva portarla via di lì, perciò quello era un modo come un altro di farsi seguire.

Almeno, questo fu quello di cui tentò di convincersi finché, appena fuori dal negozio, l'impressione di aver esagerato non prese il sopravvento.
Non l'aveva sentita dire una parola da quando aveva stretto la sua mano: non aveva neanche opposto resistenza, anzi, si era limitata a seguirlo, ma Bokuto era perfettamente certo che da un momento all'altro l'avrebbe aggredito.
Dato che non aveva nessunissima intenzione di vederla furiosa e, soprattutto, di essere la vittima di quelle angherie, fece, colto dal panico, per lasciare la mano di lei, quando la gatta fece qualcosa che non si aspettava minimamente.
Sawamura Y/N gli aveva appena stretto la mano e quello, voleva dire solo una cosa: non lasciarmi.

«Dove stiamo andando?»
Non lo guardava neanche negli occhi, tanto era imbarazzata: quando aveva capito che stava per mollarla era stato più forte di lei e si era aggrappata alla sua mano come se fosse un'ancora di salvezza, pregandolo silenziosamente di non lasciarla.

Se la loro fosse stata una relazione normale, se lei fosse stata una persona capace di esprimere senza difficoltà i propri sentimenti, non ci sarebbe stato alcun imbarazzo.
Ma l'unica cosa di cui era sicura la manager della Nekoma era che fosse troppo orgogliosa per fargli sapere, anche a parole, di avere un disperato bisogno di lui.
La verità era che non sapeva bene neanche lei che cosa stesse provando, il motivo per cui vedeva davvero in Bokuto Kōtarō l'unica persona capace di farla sorridere, l'unico a cui avrebbe mai permesso quel contatto fisico.
Avrebbe fatto finta di niente, come se a stringergli la mano non fosse stata propriamente lei, ma qualcun'altro che aveva momentaneamente preso possesso del suo corpo.

Lui si era voltato di scatto verso la gatta, incredulo e con gli occhi spalancati: se ne stava con lo sguardo fisso di fronte a sé, un velo di rosso le colorava le guance e tutto di lei gli suggeriva che sorvolare su quel gesto romantico fosse la cosa migliore per non farla indispettire.

Eppure non poté evitare di sentirsi al settimo cielo: ci sono poche cose paragonabili alla sensazione di sentirsi stringere la mano, quando si è stati i primi a farlo.
Per di più, gli piaceva l'idea di essere probabilmente l'unico in tutto il pianeta a cui fosse concesso scorgere il lato dolce della gatta della Nekoma.

Non poté, in alcun modo, impedirsi di chiedersi se neanche Kuroo avesse avuto quel privilegio: era sicurissimo che la risposta fosse negativa.

«All'ultimo piano c'è un cinema.»
Sorrideva sornione e soddisfatto, il gufo, mentre riprendevano a camminare, incerti e impacciati, verso le scale mobili gremite di gente.

«Ma Akaashi e Kaori ci staranno aspettando!»
Y/N si fermò improvvisamente, puntando i piedi a terra e aiutandosi, anche con l'altra mano, a fermare il pallavolista. Non aveva intenzione di sorbirsi un'altra ramanzina dalla corvina e, per quanto l'idea del cinema, sotto sotto, le piacesse da matti, preferiva evitare ulteriori cataclismi.

Il capitano della Fukurodani non avrebbe rinunciato a quello che sembrava così tanto un appuntamento per nessuna ragione al mondo, neppure se avesse dovuto sopportare il cipiglio contrariato del suo vice per un mese intero.

Bokuto si voltò verso di lei con quell'aria autoritaria e sicura di sé che era solito assumere, seppur raramente, quando una partita andava particolarmente bene e lui si sentiva in dovere di infondere fiducia tra i suoi compagni: proprio come un vero asso e capitano.

«Manderò un messaggio ad Akaashi appena presi i biglietti.»
Y/N poteva scommettere che chiunque, di fronte a quei grandi occhi decisi e fieri, non avrebbe saputo dire di no: Bokuto era un leader nato, quando voleva.

Così, quella che era cominciata come una giornata tremenda, in cui si era svegliata senza la minima voglia di uscire di casa e si era poi evoluta in un modo ancora peggiore dopo l'incontro con il ragazzo che amava per mano alla sua ragazza, si stava dimostrando una piacevole sorpresa.
Aveva ottenuto un ottimo orgasmo, aveva comprato dei regali di Natale di cui era soddisfattissima, era stata, seppur per poco tempo, in mezzo ai libri e, ultimo ma non ultimo, il capitano della squadra di pallavolo della Fukurodani la stava portando, mano nella mano, a vedere un film al cinema.

Alla fine, tirando le somme, non era andata poi così male.

☆☆☆

«Quei due idioti, chissà dove si saranno cacciati.»
Neanche cinque minuti prima era uscita da quel luogo di perdizione, pieno di cioccolato di ogni tipo, con un sorriso a trentadue denti e la pancia piena, mentre adesso il suo sopracciglio stava già ricominciando ad incurvarsi verso l'alto: chissà quanto ci avrebbero messo a ritrovarli in mezzo a tutte quelle persone.

«Proprio lì.»
Akaashi era sfortunatamente abituato a dover ricercare tra la folla i drittissimi capelli del suo capitano, così non era stato per nulla difficile individuarlo sulle scale mobili che portavano al quarto ed ultimo piano dell'edificio.
Indicò con l'indice della mano destra l'esuberante gufo alla sua ragazza, prima che le tornasse il nervosismo e si riempisse nuovamente di dolciumi.

«Oh.»
Probabilmente aveva cominciato a innervosirsi troppo presto, dato che, effettivamente, non era stato complicato trovarli.

«BOKU-»
Fece per chiamarli, raccogliendo le mani attorno alla bocca per far sì che la sentissero meglio, quando il suo ragazzo, di fianco a lei, le tappó, frettolosamente e con poco garbo, le labbra.

«Che stai facendo?!»
Scacciò via la mano di lui, pronta ad inveirgli contro e chiedergli se fosse, per caso, diventato matto, ma si fermò quando lo vide sorridere in un modo decisamente strano.

«Non credo che tu voglia chiamarli davvero.»
Quel sorrisetto ambiguo la spaventava: Akaashi la guardava con lo sguardo di chi la sa lunga, ma Kaori, confusa, non riusciva proprio a capire di che diavolo stesse parlando.

«Cosa-»
Ukai Kaori si arrabbiava spesso e volentieri, forse quella era l'unica cosa che aveva in comune con la sua migliore amica, e in quel momento, non comprendere a cosa si riferisse il suo ragazzo, le stava per far saltare i nervi per la seconda volta in una sola giornata.

«Guarda meglio.»
Gli occhi chiarissimi di lui continuavano ad avere una luce bizzarra, mentre puntavano nella stessa direzione indicata dal suo indice.
La corvina aveva le sopracciglia corrugate e gli occhi assottigliati in cerca di un dettaglio che doveva esserle sfuggito.

Quando Akaashi la vide distendere l'intera espressione del volto, capì che, finalmente, avesse visto anche lei.
Lo sorprese il fatto di aver notato quei due, in quell'atteggiamento romantico, prima della sua ragazza.
Solo due ore prima, quasi sicuramente, avrebbe fatto di tutto per allontanare gli artigli della gatta dalla mano di Bokuto, ma si era ripromesso di impegnarsi a fidarsi, dopo la discussione con Kaori: avrebbe provato ad accettare Sawamura Y/N.

«Ti amo.»
Kaori aveva addirittura paura di sbattere le palpebre, sia mai che si trattasse di un sogno: la sua migliore amica, quella stessa ragazza che rifiutava ogni sorta di gesto romantico, parola dolce o sentimentalismo, proprio in quel momento si lasciava tenere per mano da Bokuto Kōtarō.
Non ci sarebbe stato niente che l'avrebbe resa più felice: già si immaginava tenere il bouquet di Y/N il giorno delle nozze, mentre un commosso Bokuto la guardava diventare sua moglie.
Forse stava correndo troppo con la fantasia, ma non riuscì in alcun modo ad evitare di sorridere: un po' di fantasticherie non avrebbero fatto male a nessuno.

«Lo so.»
Non era sicuro che si riferisse a lui, dato che i suoi occhi color dell'ambra fissavano incantati la coppia che scendeva dalla scalinata, anzi, era certo che Kaori stesse apertamente dichiarando al mondo il suo amore per Sawamura Y/N, ma decise di farsi scivolare anche questo addosso: alla fine, pensò, Bokuto sembrava contento.

☆☆☆

«Non è possibile che continui ad insistere con questa storia!»
Il traffico era pressoché inesistente, a quell'ora della sera, e la macchina del capitano della Fukurodani sfrecciava veloce e sicura verso l'abitazione di Y/N.

Dopo il film, che era stranamente piaciuto ad entrambi, si erano fermati a mangiare qualcosa in un fast food lì vicino e poi avevano proseguito la loro innocente discussione in macchina.
L'argomento era sempre lo stesso del pomeriggio: se fossero migliori i libri o i film.

«Pensavi davvero di farmi cambiare idea con un singolo film?»
Si era divertita, era quella la pura e semplice verità: avrebbe continuato a stare in compagnia di quel ragazzo per un'infinità di ore ancora, se glielo avesse concesso.
Avevano riso, scherzato, si erano tenuti per mano e mai una singola volta aveva pensato a Kuroo, ma solamente al presente: poteva dire, o anche solo pensare, di essere veramente felice?

«Era un gran film.»
Non l'avrebbe trovata così interessante se avesse cambiato idea solo dopo un film, era intrigato da quel suo carattere spigoloso e difficile, testardo e orgoglioso: più passava del tempo con lei, più si convinceva che stavolta, rischiare il tutto e per tutto a costo di farsi molto male, ne valesse tutta la pena.

«Sei pazzo, Bokuto Kōtarō.»
Rise con un velo di scherno lei, mentre lo guardava guidare e scuoteva la testa: quel ragazzo non si arrendeva veramente mai.

«Di te.»
Chissà quante ragazze ci aveva conquistato con quel sorriso smagliante e seducente, chissà quante di loro avevano avuto la pelle d'oca come se fosse la scena di una smielata serie tv.
Y/N non era una di loro: rise forte e di gusto, riempiendo la macchina della sua risata.

«Non dire mai più una cosa del genere, potrei vomitare.»
Ripresasi dall'euforia, la manager si teneva lo stomaco con le braccia, ma chissà come mai le sue guance erano appena tinte di rosso.

«Y/N-chan sei cattivissima!»
Il broncio infantile di lui aveva fatto velocemente capolino, offeso per l'atmosfera romantica che lei aveva rovinato disastrosamente.

«Ma ho anche dei difetti.»
Quella, in tutta risposta, gli aveva fatto un occhiolino sarcastico e, insieme, avevano ripreso a ridere.

Quando finalmente avevano smesso, la macchina di lui era ferma di fronte all'abitazione di Y/N.
La radio era spenta, fuori dai finestrini le uniche luci erano quelle dei lampioni e le poche provenienti dalle villette a schiera, il silenzio quasi assoluto.
Loro stettero silenziosi per un po': entrambi non volevano lasciarsi.

«Oyasumi, Bokuto.»
Fu lei ad interrompere il silenzio, guardandolo dritto negli occhi con un mal celato dispiacere: quello che si era rivelato uno splendido sabato era finito e doveva farsene una ragione.

Lui non le aveva risposto, il sorriso che prima contornava le sue labbra si era spento: non poteva lasciarla andare così.

«Aspetta!»
Le aveva afferrato il braccio quasi spaventandola, quando l'aveva vista mettere la mano sulla maniglia.

«Posso resta-»
Voleva stare ancora con lei, voleva ancora tenerle la mano, sentire l'odore dei suoi capelli e il profumo che indossava, voleva farlo l'intera notte.
Stava per chiederle proprio quello: se, ancora una volta, sarebbe potuto rimanere a dormire, quando lei lo interruppe.

«Ti prego.»
Gli aveva sorriso, sarebbe bastato solo quello come risposta, e invece lo aveva addirittura pregato di farlo, come se avesse sperato che lo facesse: anche se quel legame che si stava formando la spaventava da morire, non avrebbe rinunciato alla sua compagnia.
Solo un altro po'.

Quando, finalmente, si infilarono sotto le coperte, soli in quella casa troppo grande per lei, dato che suo padre era nuovamente fuori per lavoro, erano entrambi troppo felici per addormentarsi.

«Quindi volevi che restassi con te...»
Stavolta fu il gufo a spaccare la pace del silenzio: non ce l'aveva fatta a stare zitto, sorrideva da quando erano entrati in casa e, anche se consapevole che lei fosse troppo orgogliosa per ammetterlo, lui era sicuro che fosse così.

«Fa' silenzio, ho sonno.»
Se ci fosse stato anche un solo spiraglio di luce nella stanza, Y/N si sarebbe sprofondata sotto le coperte per l'imbarazzo: doveva essere talmente rossa da fare invidia al suo stesso sangue.

Cosa le era saltato in mente, nella macchina?
Non avrebbe potuto, come al solito, rispondergli a picche e far sembrare che volesse solamente lui dormire insieme a lei?
Insomma, a lei non piacevano queste smancerie, non le erano mai piaciute e non le aveva neanche mai immaginate, perché mai adesso sentiva il bisogno di averlo accanto a sé come se fossero una coppietta innamorata?!

Quando la vide voltarsi e dargli la schiena, impermalosita come una bimba, Bokuto sorrise: in quella risposta acida c'era molta più verità di quello che pensava lei.

«Oyasumi, Y/N-chan.»
La conferma di ciò che pensava la ebbe quando tornò ad avvicinarsi al corpo della gatta, la cinse in un abbraccio da dietro e lei non si ritirò.

Anzi, Bokuto non poteva vederla, ma Sawamura Y/N aveva appena accennato un sorriso e, mentalmente, lo stava ringraziando di nuovo.

Kuroo l'aveva fatta a pezzi, Bokuto la stava aiutando a ricomporsi.

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Un applauso a me che sono riuscita finalmente ad aggiornare: non odiatemi please.

Vi voglio bene, amori miei.

Fatemi sapere che ne pensate anche se non me lo merito. ❤️❤️❤️

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro