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Capitolo 1: Quod hodie non est, cras erit.

Quod hodie non est, cras erit è una locuzione latina che significa letteralmente
"se non è oggi, sarà domani."
▲▲▲

Bokuto's POV

Kuroo Tetsurō era come un fratello per lui e, si sa, quando tuo fratello compie gli anni è obbligatorio, un sacrosanto vincolo, festeggiare alla grande.

Avevano cominciato a bere ancora prima di arrivare al locale, sotto il vigile sguardo di Akaashi: il brillante gufo non amava l'alcol, mentre lui, Kōtarō Bokuto, capitano della squadra di pallavolo della Fukurodani, adorava spassarsela nei modi più disparati.

Il conosciuto locale, uno dei migliori, a suo parere, in tutta Tokyo, era davvero affollato, quel venerdì diciassette novembre: aveva visto numerosi volti conosciuti senza, tuttavia, riconoscerne davvero qualcuno.
Aveva sempre avuto problemi ad associare i nomi alle facce, lui: per quello, e per un'infinità di altre cose, Akaashi Keiji era sempre al suo fianco.
Il corvino lo conosceva da soli due anni, eppure sembrava capirlo alla perfezione: aveva imparato ad individuare i suoi punti deboli e quelli di forza non solo all'interno del campo, ma soprattutto al di fuori di esso.
Tutte le sue mancanze, numerosissime, doveva ammetterlo, erano ampiamente compensate dal gufo con gli occhi chiari.

Bokuto aveva perso il conto delle volte in cui il povero alzatore si era ritrovato a doverlo sorreggere, non si sa con quale miracolosa potenza fisica, dopo che aveva esagerato, per l'ennesima volta, con l'alcol.

Qualcosa gli diceva che anche quella sera sarebbe andata a finire in quel modo: con quel pensiero in testa e il suo fidato compagno a fianco, l'asso della Fukurodani ordinò l'ennesimo amaro con quattro cubetti di ghiaccio.
Gli piaceva, il numero quattro: era un numero pari, perciò non c'erano assurdi calcoli da fare per dividerlo, quattro era il numero delle stagioni, degli elementi naturali, dei punti cardinali; insomma, si ritrovava ovunque.
Poco importava se, in Giappone, era da sempre considerato un numero sfortunato: a lui aveva sempre portato fortuna.
Infine era anche il numero che portava sulla maglia.

Sì, quattro cubetti di ghiaccio erano la quantità perfetta, una scelta eccellente in ogni tipo drink: a volte, quando se ne trovava uno in più o uno in meno, era così contrariato da doverne togliere uno di proposito, o chiederne un altro.
Ma quella sera il barista doveva ormai aver capito quel suo piccolo capriccio, dopo il sesto o il settimo drink, non ricordava di preciso quanti ne avesse già scolati.

In attesa di dissetarsi, se così si poteva dire, il gufo si guardò attorno tamburellando le dita sul ginocchio, a ritmo di musica: in un angolo del locale, il festeggiato si stava concedendo ad un'esplorazione approfondita e meticolosa della bocca della sua ragazza.
Bokuto aveva completamente dimenticato il nome di lei nel momento stesso in cui si era presentata: si ricordava solamente che fosse dell'accademia Nohebi e tanto gli bastava.

In mezzo alla pista poteva scorgere un gruppetto della Nekoma che si muoveva scoordinato, agitando i loro drink con un tale entusiasmo da far cadere metà della bevanda a terra, poco più in là Konoha, paonazzo in volto, stava tentando di rimorchiare una bella bionda.

Forse anche lui avrebbe dovuto seguire il suo esempio: non che avesse mai avuto problemi con le ragazze, tutt'altro, anche se non era mai riuscito a mantenere a lungo una relazione.

Non capiva quale fosse il problema, in realtà: veniva puntualmente scaricato dopo pochi giorni, raramente settimane.
Non era una persona particolarmente geniale come Akaashi, di questo era ben consapevole, ma ci metteva sempre l'anima in ogni cosa che faceva, relazioni comprese.
Tuttavia, le ragazze con cui era uscito non sembravano apprezzarlo, sembrava addirittura che desse loro fastidio, quella sua sfavillante passionalità: erano ben felici di mostrarsi assieme a lui, come se potesse trasmettere loro un po' della sua fama, come se dovessero mostrarlo come un trofeo.
Poi, quando la situazione cominciava a farsi più seria, ecco che scappavano via a gambe levate: era davvero così difficile, pensare che potesse essere qualcuno, al di là di uno dei migliori assi della nazione?
Era così assurdo pensare che anche lui avesse un cuore, peraltro incredibilmente sensibile?

Akaashi vide l'espressione del suo capitano assumere un'aria cupa: succedeva spesso, in serate come quella, ma era difficile, ogni volta, capire quale fosse il motivo preciso dei suoi repentini cambi d'umore.
Mentre osservava l'ennesimo bicchiere passargli davanti agli occhi e posarsi dritto dritto tra le grandi mani del capitano, con la coda dell'occhio, vide una chioma h/c passare proprio di fianco all'amico.

Bokuto non ebbe nemmeno il avvertire la freddezza del vetro, che qualcuno gli sottrasse il bicchiere dalle mani: davanti a lui, sullo sgabello vuoto, si sedette la manager della Nekoma.

«Questo è esattamente quello che stavo cercando.»
La gatta accavallò le gambe con fare sensuale, mentre ammiccava al gufo portandosi la bevanda scura alle labbra, appena velate di un rosso acceso.

Sawamura Y/N era diventata la manager dei gatti solo pochi mesi prima, Bokuto aveva avuto modo di conoscerla, non così approfonditamente come avrebbe invece sperato, durante i ritiri estivi.
Di lei non sapeva molto, anzi, a parte il fatto che fosse la sorella minore del capitano della Karasuno e che frequentava, ovviamente, il liceo Nekoma, non ne sapeva assolutamente niente.

Ma era bastato che lei si presentasse con quel suo atteggiamento sensuale, di sfida, con quegli sguardi sfuggenti e misteriosi, affinché Bokuto Kōtarō si ricordasse il suo nome.
Il che, era cosa assai rara.

Ed ecco che quegli occhi vivaci lo fissavano intensamente, mentre uno dei cubetti di ghiaccio veniva risucchiato all'interno della bocca di lei.
Dovette deglutire un paio di volte, il capitano della Fukurodani, per impedirsi di alzarsi, afferrarle i capelli e costringerla a sollevare il mento, cosicché potesse infilare anche la sua lingua, tra quelle labbra invitanti.
Il solo pensiero era bastato affinché una vampata di calore gli investisse il bassoventre.

Pensò di aver bevuto troppo, di essersi immaginato che lei si stesse rigirando quel dannatissimo pezzo di ghiaccio sulla lingua di proposito.
Nonostante l'avesse trovata incredibilmente sexy fin dal primo momento, non le aveva mai rivolto troppe attenzioni, né lei gli aveva dato motivo di farlo: in verità, Bokuto aveva sempre creduto che tra quella ragazza e Kuroo ci fosse qualcosa.
Erano state numerose le volte in cui, nel periodo estivo, li aveva notati in atteggiamenti ambigui, anche se, a pensarci meglio, quei due avevano avuto moltissime discussioni, l'ultima delle quali aveva diminuito drasticamente le parole che si scambiavano.
Non era stato naturalmente il solo, ad accorgersene: dopo quella litigata nel bel mezzo della sana comune utilizzata per i pasti, alla struttura del ritiro, non si era parlato d'altro per tutto il resto della settimana.

Erano passati mesi da quel giorno, eppure i loro rapporti non sembravano per niente migliorati: il capitano della Nekoma era ancora nel bel mezzo di un appassionato scambio di saliva con la sua ragazza, mentre lei aveva passato l'intera serata con un bicchiere in mano.
Qualsiasi cosa ci fosse stata tra di loro, sempre che ci fosse stato realmente qualcosa, doveva ormai essere un lontano ricordo.

Bokuto era nel pieno di un'intensa riflessione mentale, chiedendosi se non stesse correndo troppo con la fantasia, se fosse davvero corretto desiderarla così sentitamente, avendo il dubbio che avesse avuto una storia con uno dei suoi migliori amici.
Il filo dei suoi pensieri venne interrotto quando la vide dare un'ultima sorsata e appoggiare il bicchiere accanto alla sua mano, distesa sul bancone.

«Arigatō, Bokuto-san.»
Si era alzata e si era avvicinata pericolosamente con la bocca al suo orecchio, sussurrandogli un "grazie" che lui non era neanche sicuro di aver capito veramente, troppo impegnato nell'impedire alle sue mani di avvinghiarsi sui fianchi di lei e mettersela a cavalcioni sulle sue gambe.

Diamine, doveva darsi una calmata.

Afferrò il bicchiere mezzo vuoto con tutta l'intenzione di berlo in fretta per calmare i bollenti spiriti, ma il suo corpo non era decisamente d'accordo con quell'intenzione: inconsciamente, si era voltato verso la pista da ballo e aveva seguito con lo sguardo quel provocante ondeggiamento delle natiche della gatta, fino a quando un maledettissimo sconosciuto le si era appostato davanti, impedendogli di bearsi ancora di quello spettacolo.

Non gli dava neanche fastidio il fatto che i suoi amati cubetti di ghiaccio fossero diventati tre, sapendo che dolce fine avesse fatto il quarto: magari ci fosse finito lui, tra quelle labbra.

Scosse la testa, il capitano dei gufi: quello che stava pensando, immaginando, sognando, a proposito di quella ragazza era sbagliato.
Le ragazze degli amici erano off limits, ecco tutto.

Ancora una volta, il suo corpo sembrava in netta contrapposizione con quello che c'era nella sua testa e i suoi occhi gialli si spostarono automaticamente verso il capitano della Nekoma: la ragazza di Kuroo era lì con lui, Y/N era sola.
Non era proprio di nessuno, lei.

Era sicuro che gli sarebbe venuto un gran mal di testa, se avesse continuato a pensare e rimuginare: accanto a lui, Akaashi aveva alzato un sopracciglio dal momento in cui quella ragazza si era seduta di fronte al suo capitano, che ora sembrava sul principio di una crisi di nervi.

C'era solo una cosa peggiore dei bruschi cambiamenti di umore di Bokuto, che lo portavano a diventare, da un momento all'altro, incredibilmente depresso e deprimente: quegli stessi sbalzi d'umore, quando era visibilmente ubriaco.
Quella era una vera, enorme, catastrofe.

Il corvino aveva ormai imparato ad avere a che fare con il carattere lunatico dell'altro, riuscendo molto spesso a trovare una soluzione e farlo tornare l'energetico ed euforico gufo di sempre, ma quando c'era l'alcol di mezzo diventava impossibile: doveva fare qualcosa immediatamente.

Era proprio sul punto di dire qualcosa, quando vide l'espressione corrucciata del suo capitano mutare, in un nanosecondo, in un ghigno fiero e combattivo, lo stesso che assumeva durante le sue migliori partite.

L'estenuante lotta, che aveva preso luogo all'interno del suo cervello provato dagli alcolici, era presto finita nel momento in cui Bokuto aveva incontrato gli occhi e/c della manager della Nekoma; dal centro della pista da ballo, quella ragazza gli aveva lanciato un'occhiata che non lasciava certo spazio all'immaginazione: lo stava chiamando.
E' nella natura dell'uomo sentirsi lusingato quando si sente desiderato, se poi quell'uomo era Bokuto Kōtarō, la cosa si faceva ancora più seria: era un egocentrico esibizionista di prima categoria.

Non ci pensò due volte a mandare a puttane tutti i riguardi verso Kuroo, tutte quelle sciocche supposizioni e remore che si era posto: finì con una secca sorsata il liquido nel bicchiere e si alzò dallo sgabello in direzione della gatta.

«Bokuto-san!»
Inutili i richiami del suo vice, che tentò invano di fermarlo, ormai aveva preso la sua decisione: doveva averla.

Akaashi rimase con un braccio sospeso a mezz'aria e la bocca spalancata, aveva appena capito che cosa turbava il capitano: quella non era solo una catastrofe, era un intero cataclisma, un flagello, il finimondo.

Lui era sicurissimo che tra quella ragazza e Kuroo ci fosse stato davvero qualcosa, ci avrebbe scommesso sé stesso, le nazionali addirittura: l'aveva vista troppe volte scacciare via le lacrime, quella stessa sera, quando il suo sguardo felino si era posato sul capitano della Nekoma e Yamaka Mika.
Poi l'aveva vista mandar giù un quantitativo di alcolici superiore persino a quello assunto da Bokuto, infine si era avvicinata a quest'ultimo con il chiaro intento di provocarlo, ma l'aveva unicamente fatto per ingelosire Kuroo, era palese.

Non poteva permettere che accadesse: non avrebbe solamente portato all'inesorabile declino dell'umore di Bokuto per il resto della nottata, ma questo poi si sarebbe sentito in colpa per chissà quanto tempo, nei confronti di Kuroo, se fosse seriamente successo qualcosa con quella che era, presumibilmente, la sua ex ragazza.
Doveva fare qualcosa.

Il locale era un caleidoscopio di volti sconosciuti, di ragazzi in preda a balli sfrenati, di fari colorati che sparavano luci a intermittenza: Bokuto si fece strada tra quella massa caotica di gente accalcata l'una sull'altra, gli occhi puntati sui capelli h/c del suo bersaglio.

La vedeva muoversi sensualmente, le braccia portate in alto, poi ad accarezzarsi i fianchi, il collo, mentre scuoteva la testa a ritmo di musica: lo stava mandando fuori di testa, non vedeva nessun altro, se non lei.
Quando fu a un passo dal suo corpo non smise di guardarla, non sbatteva neppure le palpebre, aveva persino paura di toccarla e interrompere quella danza incredibilmente eccitante.
Gli dava le spalle, lei, permettendogli di godersi i fluidi e provocanti movimenti del suo fondoschiena: più lo guardava, più le sue mani fremevano per stringersi su quei glutei sodi.
Perse ogni briciola di pazienza quando la vide passarsi le mani tra i capelli in modo eccezionalmente seducente e andò ad afferrare con bramosia i suoi fianchi, portandola più vicina a sé.

Era quasi certo di averla vista sorridere maliziosamente, quando aveva voltato leggermente la testa per sincerarsi che si trattasse di lui, poi era tornata a guardare in avanti, ma il suo corpo parlava per lei: aveva lievemente inarcato la schiena, portando i loro bacini a contatto, non smettendo, neanche per un secondo, quel ballo affascinante.
Lui aveva stretto le dita su di lei quando un brivido gli aveva percorso il bassoventre e i boxer avevano cominciato a diventare sempre più fastidiosi, via via che la sentiva strusciarsi su di lui.
In un attimo l'aveva fatta girare su sé stessa, in modo tale da poterla guardare negli occhi: lei gli aveva sorriso seducentemente, sbattendo un paio di volte le sue ciglia lunghe.

«Bokuto-san.»
Aveva evidentemente finto di essere sorpresa, appoggiando una mano sui suoi pettorali scolpiti, passandosi la lingua sulle labbra, ad inumidirle.

Lui aveva, intanto, ripreso ad accarezzarle lentamente i fianchi, finché non la prese improvvisamente per la vita stretta e la attirò a sé, azzerando completamente la distanza tra i loro corpi.

«Y/N-chan, balli molto bene, lo sai?»
Si era abbassato su di lei e le aveva scostato una ciocca di capelli, sussurrandole sensualmente all'orecchio. Il profumo che indossava sembrava essere stato creato unicamente per lei: delicato e allo stesso tempo inebriante, carnale ed enigmatico insieme.
Lo faceva impazzire.

Per non parlare della sua pelle: sembrava così liscia, così morbida, che sarebbe bastata una leggera pressione per farla arrossare.
Chissà come sarebbe stato assaggiarla.
La sua bocca era distante solo un soffio da quella superficie candida, non ci sarebbe stato niente di male nell'assaporarla con un semplice bacio, poi magari ci avrebbe addirittura affondato la lingua, i denti, l'avrebbe succhiata avidamente fino a lasciarle un livido.
Quel pensiero era diventato, in un attimo, un unico punto fisso nella sua mente, qualcosa su cui non si ha il controllo, una di quelle cose che si devono fare o rischiano di far perdere la ragione.
Ogni millimetro che lo separava dal suo collo era diventato opprimente ma, proprio quando decise di dare sfogo a quell'ossessione, sentì una mano poggiarsi bruscamente sulla sua spalla destra.

«Bokuto!»
Dietro di lui, Kuroo Tetsurō gli stava rivolgendo un sorriso talmente falso che perfino una persona poco empatica come lui aveva capito che, in realtà, era decisamente infastidito.

«Andiamo a bere?»
Il corvino si era evidentemente sforzato di addolcire il suo tono, ma lo sguardo glaciale, duro, che rivolse alla sua manager non lasciava spazio ad alcun dubbio: Kuroo era indiscutibilmente furioso.

A Bokuto Kōtarō non piaceva venire interrotto ma, ancora di più, non gli piaceva la presunzione, quell'atteggiamento egoista di chi voleva, sempre, tutto per sé : era chiaro come il sole che a Kuroo non andasse a genio il fatto che lui e Y/N fossero così vicini, ma non ne comprendeva il motivo, dato che la sua ragazza era proprio dietro di lui, con un'aria non troppo contenta, tra l'altro.

«Adesso sono un po' impegnato, Kuroo.»
Vuoi per la sua mano ancora sulla vita di lei, vuoi per il corpo perfetto della manager che aderiva al suo, o per un improvviso impeto di orgoglio maschile, Bokuto non aveva alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire l'occasione di averla.

Vide gli occhi dorati di Kuroo assottigliarsi in un'espressione cupa, ma proprio quando fece per replicare, fu interrotto dalla castana alle sue spalle.

«Tetsurō?»
La studentessa della Nohebi aveva le braccia incrociate al petto, un piede tamburellava nervosamente sul pavimento, mentre squadrava da capo a piedi, con aria interrogativa e infastidita, il suo ragazzo.

Certo che, adesso, il capitano della Nekoma avesse altro di cui preoccuparsi, Bokuto tornò a rivolgere la sua attenzione verso la ragazza che teneva ancora stretta a sé.
Y/N aveva lo sguardo spento, puntato dove, un attimo prima, si trovava il corvino: aveva smesso di ballare.

«Y/N-chan, che ne dici se-»
Si era bloccato quando aveva visto i suoi occhi e/c riempirsi di lacrime e, d'istinto, aveva ritirato le mani dal suo corpo.

«Gomen nasai, Bokuto-san.»
L'aveva guardato dritto negli occhi: al loro interno, Bokuto era riuscito a scorgervi una marea di sentimenti, ognuno di essi incredibilmente intenso, tanto da lasciarlo spiazzato.
Prima che potesse riprendersi dallo stupore, lei si era già inoltrata in mezzo alla folla.

Gli aveva appena chiesto scusa.
Lei si era scusata con lui.
Chissà quale dolorosa verità celavano, le lacrime che stava tentando di scacciare con il dorso della mano, mentre usciva frettolosamente da quel locale.
Lei stava, fin troppo evidentemente, soffrendo: eppure, si era sentita in colpa per lui e gli aveva chiesto di perdonarlo.

Che volesse solamente far ingelosire Kuroo, forse Bokuto lo aveva capito ancora prima che lui li interrompesse ma, per qualche strano motivo, non gli era importato.
Non era la prima volta che qualcuno lo sfruttava per un tornaconto personale, la cosa lo aveva sempre fatto incazzare, oltre che deprimere, ma mai nessuno si era pentito.
Quella ragazza dai capelli h/c e gli occhi tristi, invece, aveva messo da parte il suo dolore e si era scusata per una cosa che neanche era stata in grado di concludere.

Aveva tentato di seguirla in mezzo alla gente, le sue gambe si erano mosse da sole, ma si era fermato quando l'aveva persa di vista, quando ormai era troppo lontana per raggiungerla.
Accanto a lui, a fissare la porta del locale che si richiudeva, Akaashi osservava il profilo del suo capitano, pronto ad intervenire come meglio poteva in quello che, era sicuro, sarebbe stato uno dei suoi peggiori sbalzi d'umore.

«Ne, Akaashi.»
Quando l'aveva chiamato aveva sussultato quasi impercettibilmente, deglutendo e preparandosi mentalmente a consolarlo.

«Hai, Bokuto-san?»
Quando si era sporto per vederlo meglio, però, Akaashi Keiji aveva spalancato gli occhi per la sorpresa: il formidabile asso stava sorridendo.

«Credo di essere appena stato rifiutato.»
Ma non era finita lì, Bokuto Kōtarō lo promise a sé stesso: quella ragazza era troppo diversa, per lasciarsela sfuggire.

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Ciao, miei amatissimi lettori.
Non so se questa sarà la prima storia, scritta da me, che leggerete, ma dovete sapere che questa BokutoxReader è una sorta di "What if...?" derivata dalla KurooxReader che ho scritto.

Mi spiego meglio: può essere letta anche da chi non ha letto l'altra e mi sforzerò di rendere tutto estremamente chiaro, se così non fosse, vi prego di farmelo notare.

Detto questo, che ne pensate?
Sono pronta, emozionatissima, per questa fanfiction, sperando che continuerete a sostenermi.

Love ya all. ◭,◭

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