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9. La paura di Dave

«E dolce sia». Gli sorrido. Stefano non è proprio indifferente a ciò che gli ho raccontato.
Tuttavia una morte è diversa da una sparizione, qui non si tratta più di farsi bella agli occhi di un amico che hai maltrattato senza volere ritrovando lo scomparso.

Non sappiamo ancora se si tratta di malore o omicidio, ma da quando ho letto quel "prono" non riesco a togliermi dalla testa una cosa, anche se un cadavere o lo si trova a pancia in su o a pancia in giù, credo raramente di fianco. Cinquanta per cento di possibilità.

Stefano ordina una meringata con i frutti di bosco a una cameriera nuova, una biondina giovanissima mai vista prima, che lui non degna neanche di uno sguardo. La ragazzetta si concentra allora su di me per mostrarsi educata e gentile. Aggiungo una crema caffè. Mi fa l'occhiolino quando finisce di scrivere l'ordinazione e si muove elastica sulle sue Nike bianche nuove di zecca.

«Vorresti capire chi è questo Lo Pan?» chiede, dopo aver terminato il primo assaggio pulendo con cura la forchetta con la bocca.

«Volevo capire chi è questo Lo Pan per arrivare a Roberto Pastorino, trovarlo e diventare l'eroina mediatica della settimana, tranquillizzare Deborah in modo da far ritrovare il sorriso a Dave. Ora che è morto, però, non lo so più».
Sospiro e Stefano mi guarda di sbieco, aggrottando le sopracciglia.
Per una volta non sono decisa come al solito. L'avventura di Alberto mi ha insegnato qualcosa.
Ripenso a come sono stata avventata, quella volta, a tenere tutto per me. Rigiro il cucchiaino nella crema con troppa energia, una goccia beige finisce sul tavolino.

«Mi piaceva giocare all'investigatrice finché non è arrivata la notizia, poco fa. Ora credo che la polizia sarà molto più in grado di noi di ricostruire come quello sia finito nel Diurno e soprattutto com'è morto». Sono sulla poltrona del dentista in attesa di un'estrazione. «Però non credi che sia strano? Insomma, il Diurno non è un posto aperto al pubblico e combinazione anche nel nostro gioco si trova un cadavere proprio lì». Via il dente.

Lui assapora un altro pezzo di torta riuscendo a non far finire neanche un briciolo di meringa sulle labbra.

«Sì».

Alzo gli occhi al cielo.

«Non pensi che qualcuno potrebbe aver preso ispirazione da Underground

Beve un sorso d'acqua. «Potrebbe».

Abbasso la testa, mettendomi le mani tra i capelli. Non lo sopporto quando fa così. Devo parlarne con Dave.
All'improvviso mi rendo conto che, a differenza di quanto ci ha promesso, non ci ha ancora raggiunti.

Mollo a metà la degustazione di crema al caffè e mi alzo.
«Ste, dimentica ciò che ti ho detto e fai pure con calma. Vado a cercare Dave e lo porto qui».

Faccio lo slalom tra i tavoli del dehors, pieni zeppi di lavoratori e turisti. La stagione estiva sta per cominciare e il Porto antico è sempre gettonatissimo come luogo per la pausa pranzo. Guardo a destra e a sinistra sperando che non abbia deciso di entrare nel locale dall'altro ingresso, quello che non è lato mare. Cinquanta percento di possibilità? Però io so che la strada che facciamo di solito quando pranziamo insieme è quella che sto percorrendo in questo istante, costeggiando gli yacht e il blocco unico dei Magazzini del Cotone che si estende per qualche centinaio di metri.

Mi catapulto dentro l'ingresso del nostro modulo e lo vedo davanti agli ascensori: sta camminando avanti e indietro, telefono all'orecchio. Sguardo basso.

Arretro di qualche passo per sottrarmi alla sua vista ed evitare di farmi troppo gli affari suoi e attendo con pazienza.

Ci vogliono altri cinque minuti prima che spunti da dietro l'angolo. Porto avanti la spalla simulando di muovermi come se fossi arrivata in quel momento.

«Siamo al dolce, stavo per venire a vedere se non fossi rimasto bloccato in ascensore. L'alternativa era chiamare Chi l'ha visto».
La lingua è stata più veloce del pensiero e la mia uscita è talmente infelice che mi scappa una risatina nervosa.
Lui non si accorge di nulla. «Scusa, ero con Deb».
Fossimo stati in un'altra situazione l'avrei preso per le spalle, scosso un paio di volte e trascinato a braccetto verso il tavolo dove Stefano ci sta aspettando. Non è il caso.
«Come ha preso la notizia?» Potrebbero darmi l'Oscar non solo per le migliori gaffe, ma anche per le frasi di circostanza.
Inizia a camminare lentamente e lascia passare qualche secondo prima di rispondere: «Non bene, anche se non si vedevano e sentivano da tanti anni».
«Stalle vicino, le passerà».
Si ferma senza preavviso e impiego un attimo di troppo prima di accorgermene.
Mi volto e la sua espressione è cambiata: la mascella si contrae e mi guarda senza realmente vedermi.

«Posso dirti una cosa? Lo so che non mi giudichi, intanto. Sei meglio di Stefano perché sai quando bisogna stare zitti».

Non attende il mio assenso per confidarsi: «Da quando abbiamo saputo che era scomparso, abbiamo vissuto i nostri momenti con un terzo incomodo. Non erano solo stati compagni di università... per diversi mesi. Adesso che è morto ho paura. Paura di sbiadire ai suoi occhi, di perdere il confronto».
Mette le mani nelle tasche dei jeans e si stringe nelle spalle.
Resto senza parole, uno dei pochi casi nella vita. La fragilità di Dave in questo momento è tale che se lo toccassi si romperebbe in mille pixel. La paura che il suo rapporto con Deborah possa cambiare per sempre mi fa capire quanto tenga a questa relazione. Non ho avuto modo di sperimentare le sue insicurezze durante il breve periodo in cui siamo stati insieme.

Lui c'è stato durante i momenti difficili dell'avventura di Alberto. Stavolta tocca alla sottoscritta, ma lo farò a modo mio come sempre. A partire da questo istante. Decido di scuoterlo con una delle mie solite uscite assurde sperando di non essere fraintesa dopo quel tentativo da sbronza.

«Non dire scemate». Gli do un pugnetto sulla spalla. «Se sei sempre bravo a letto come ricordo io non devi preoccuparti di niente».
Il volto gli si colora di rosso nonostante un accenno di barba, anomalo per lui, gli copra la pelle. Scuote la testa come se per me non ci fosse più nulla da fare, però non ha più quell'aria smarrita e afflitta. «Maledico quella serata di carnevale in cui ci siamo conosciuti e quando ho deciso che portarti a casa mia fosse una buona idea».
Riprende a camminare, più veloce di prima. Gli devo quasi correre dietro.
«Non avresti avuto una collega in gamba come me» urlo.

Arriviamo al tavolo e Stefano ha terminato il suo dolce. Non fa domande sul fatto che ho impiegato almeno dieci minuti a tornare.
Dave ordina il pranzo e io decido di virare su una conversazione diversa da quella a cui avevo pensato inizialmente. Non posso confidargli i miei sospetti facendogli tornare in mente Roberto Pastorino.

Rientriamo in ufficio e prima di sedermi uso la scusa del bagno per andare a sbirciare le news sul telefono. Negli articoli non vengono descritti altri grossi dettagli sul ritrovamento, salvo che l'inserviente, non appena ha visto il cadavere, è scappato per chiamare la polizia. Quando lo hanno girato, è stato possibile riconoscerlo.
Gli articoli riassumono le ricerche degli ultimi giorni e riportano messaggi di cordoglio trovati sui social, compresi quelli dei genitori. Viene anche spiegato che Pastorino, dopo aver lasciato la facoltà di Giurisprudenza, aveva ottenuto l'abilitazione di guida ambientale escursionistica e attualmente lavorava come cassiere in un supermercato. In quei giorni però si era preso ferie, fissate da almeno un paio di settimane.

Un cambio di rotta notevole, rispetto ai banchi dell'università. Mi chiedo come mai abbia deciso di provare con la legge prima di dedicarsi a tutt'altro. Forse Deborah lo sa, ma chiederglielo non è il momento.

Ritorno alla mia postazione e il pomeriggio prosegue liscio. Sono quasi le sei e il viso regolare di Giacomo comincia a materializzarsi sullo schermo. Gian mi perdonerà se stasera salto il sacco.

«Io vado». Dave si alza e recupera le chiavi dello scooter appoggiate sulla scrivania. Il suo umore mi sembra tornato più cupo.
«Facciamo una serata retrogame domani?»
Resta sorpreso dall'invito.
«Non c'è niente di meglio per svagarsi e tu ne hai bisogno» sottolineo.
«Vediamo, dai».

Non fa neanche una battuta sul mio appuntamento con Giacomo, che entra nell'open space quando lui sta uscendo.

È in anticipo di qualche minuto, buon segno.

«Finisco una cosa e arrivo» gli dico ancor prima che possa proferire parola.

Termino di scrivere qualche riga di codice e spengo il computer. Il bip di una notifica del cellulare mi distrae per un attimo. È un messaggio di Serena e l'anteprima mi basta per farmi tremare le gambe: "Hai visto? C'è un omicidio in città".

La mia migliore amica è peggio di me in quanto a passione per i gialli e da sempre ci scriviamo quando succede un mistero vicino a noi. Il fatto che annunci un omicidio mi fa pensare che in queste ore abbiano capito che Pastorino è stato ucciso, non credo sia successo altro nel frattempo. Serena non sa che la vittima è una vecchia conoscenza di Deborah, non ci siamo parlate in questi giorni.

Il suo tempismo è perfetto per farmi tornare la voglia di trasformarmi in Cole Phelps in L.A. Noire. Qui non siamo in un gioco che ripercorre i casi più emblematici della Los Angeles del secondo dopoguerra, non c'è l'atmosfera in bianco e nero e detective eleganti con la sigaretta sempre tra le mani. Alle spalle ho un collega che ha accettato di prendere un aperitivo con me e con cui vorrei concludere la serata in modo piacevole.

Il diavoletto numero uno mi sussurra all'orecchio di rispondere subito a Serena, il diavoletto numero due consiglia di dare priorità al tentativo di soddisfare la mia libido. Nessun angelo nella mia coscienza.

Scelgo il diavoletto numero due.






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