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4. Tutto secondo i piani (di un altro)

Il tailleur blu notte mi dà un'aria da donna d'affari che non mi dispiace. Con Serena non facciamo quasi in tempo a farci un selfie nello specchio dell'ascensore che questo è già salito al trentunesimo piano. Anche lei ha optato per un giacca-pantalone, ma ha scelto il grigio scuro.
Sembriamo due agenti in missione. Nel riflesso emerge il nostro contrasto non solo di colori: lei bionda, io mora, lei capelli lunghi, io corti, io occhi verdi e grandi, lei azzurri e piccoli.

Stasera l'obiettivo è non dare troppo spettacolo nella prima parte della serata per poi scatenarci all'Onda Blu.
«Ma oltre a quel Giacomo, c'è qualcuno che può fare al caso nostro?» chiede con noncuranza mentre facciamo il nostro ingresso a braccetto nell'ambiente già piuttosto affollato.
Le vetrate che circondano gran parte dell'ambiente mostrano parecchi invitati già intenti a sorseggiare bollicine sulla terrazza esterna: il clima è mite e non c'è vento, del resto l'estate è alle porte. Molti di loro stanno facendo foto al panorama o selfie. I gran capi della Gold Games fanno vedere la città dall'alto a ospiti che non conosco, indicando chissà cosa.

«Mah... li conosci i miei colleghi, la maggior parte è più concentrata sullo schermo che su tutto il resto. Dei nuovi è l'unico papabile, però Pietro è tornato single» gli indico il nostro sound designer con un cenno della testa.
Si è pettinato e il codino basso con cui raccoglie i capelli lunghi è ordinatissimo. L'aspetto somiglia sempre a quello di un vampiro antico, con la carnagione diafana, le dita lunghe e sottili da pianista quale è. Un fascino retrò che ha i suoi estimatori. Le labbra arricciate in un lieve broncio naturale non sono l'esito delle sue ultime vicissitudini sentimentali, ma eredità genetica.
Guido la mia amica verso di lui, ma lei oppone resistenza.
«Casomai dopo».

Ci dirigiamo verso il bancone dove servono gli aperitivi e opto per un prosecco per non caricarmi troppo prima di toccare cibo. Cerco Giacomo, ma non riesco a vederlo. Forse non è ancora arrivato. Gli occhi si posano invece su Stefano: il mio collega e amico è un po' in disparte pur essendo nel gruppo dove Dave, affiancato dalla fidanzata, sta tenendo banco nella conversazione. Stefano si è ingellato i capelli all'indietro e il completo nero con cravatta dello stesso colore è decisamente troppo elegante per la serata. Immagino sua madre e a quanto avrà insistito per farglielo indossare, ma vedere sulle sue labbra affiorare un sorriso di partecipazione mi fa gonfiare il petto d'orgoglio. I mesi trascorsi insieme sono stati una sorta di do ut des: lui sta facendo salire a modo suo la nostra reputazione digitale, noi lo aiutiamo nella sua reputazione sociale.
Le mani strette sul bicchiere ormai vuoto gli danno sicurezza. Le prime volte non sapeva dove metterle, di solito le teneva in tasca. Ora è più disinvolto, anche se credo che da quel vetro non si separerà sino a quando non andremo via di qui.

Una musica chillout fa da sottofondo senza essere invadente e tutti sembrano rilassati.
Con Serena ci accomodiamo vicino a uno dei tavolini a mezzaluna sulla terrazza. Il panorama è in effetti da cartolina. Un solo traghetto è ormeggiato ai moli delle riparazioni navali e le architetture portuali lasciano subito spazio a quello che dall'alto sembra un plastico assemblato senza troppo criterio, con le case tutte vicine e che si arrampicano verso le colline, diventando poi più rade quando la pendenza si fa più ripida, sostituite dalla boscaglia. Qualche elemento spicca sugli altri, come Porta Soprana con le sue due torri di avvistamento, il parallelepipedo del teatro Carlo Felice, il palazzone sede centrale della Banca Carige.
Guy de Maupassant aveva scritto: "Genova vista dal mare è una delle cose più belle del mondo". Oggi aggiungerei che anche dall'alto non scherza. La prossima volta proporrò a Riccardo di sfruttare la bellezza della città dal cielo invece che sottoterra.

Martin Lee sta passando alle nostre spalle coi suoi ospiti e afferro qualche brandello di conversazione nel suo inglese impeccabile sui vantaggi di una città più piccola di Milano e posizionata sul mare. «Abbiamo saputo di diversi investimenti che vedono Genova come punto di approdo di nuovi cavi sottomarini, noi siamo già qui e sfrutteremo i vantaggi di avere una rete di dati velocissima a pochi passi dalla nostra sede. Di sicuro altri concorrenti valuteranno di aprire una sede in città».

Serena spalanca gli occhi e stringe le labbra. Non facciamo in tempo a commentare quest'informazione che un brusio e un'improvvisa agitazione nei movimenti degli invitati ci fa voltare entrambe verso l'ingresso.
A quanto pare è arrivato il sindaco.

Lee si scusa con i suoi ospiti e vola a stringergli la mano. L'uomo si guarda attorno compiaciuto e comincia a fare qualche battuta in inglese a cui tutti ridono. La musica si interrompe e un microfono compare tra le mani del mio capo. Dal taschino della giacca estrae un bigliettino. Ci avviciniamo anche noi. Una volta risolta tutta la parte ufficiale sarà più facile defilarsi.

«Volevo ringraziarvi per essere qui e soprattutto grazie al sindaco per aver accettato il nostro invito,» esordisce Lee nel suo italiano dall'accento dell'estremo oriente, «la Gold Games ha intenzione di investire ancora qui a Genova, una città dove ci troviamo molto bene. Underground è l'esempio di come una Società come la nostra potrà anche essere utile alla città. Le prime recensioni sono molto positive. Per tutto questo non posso che ringraziare il team che ha lavorato a tutto questo. Fate un passo avanti».
Io, Riccardo, Pietro e tutti gli altri avanziamo verso il centro della sala e parte un applauso.
«Questo gioco può aprire la strada per favorire il turismo e le visite nei luoghi che abbiamo riprodotto fedelmente. Ve ne mostriamo un assaggio».

Le luci si spengono e un pannello scende dal soffitto. La successione di note creata da Pietro si diffonde: archi e sintetizzatori riproducono piccoli stridii e ci fanno dimenticare dove siamo. La prima immagine è quella di un tunnel illuminato solo da una luce frontale; il rumore dei passi, amplificato, è l'unica concessione al suono inquietante della colonna sonora. Un flash ed ecco il protagonista che corre con i piedi a bagno in un rio sotterraneo, la musica ha un'impennata e simula i colpi di un'arma da fuoco proprio quando l'uomo punta la pistola contro un bersaglio non identificato sullo sfondo. Qualche invitato sobbalza.
Una stanza piena di oggetti abbandonati e mai rimossi, come se il tempo si fosse fermato, è ora la protagonista dopo l'ennesimo salto di questo trailer. Il tappeto sonoro si fa più sottile, ma permeato da un lamento femminile crescente che accompagna chi gioca nella ricerca degli indizi. Una mano sbatte su un vecchio registro e il personaggio si alza in piedi, giusto in tempo per vedere nello specchio di fronte un movimento alle sue spalle e il bagliore di una lama.
Sbam.
Una porta si chiude con violenza e la scritta Underground compare sullo schermo.

Un sospiro collettivo precede un altro applauso che aumenta quando le luci tornano in sala.

«Figata!» Serena mormora di eccitazione, fregandosi le mani. «Ci sono degli omicidi in questo gioco?»

Non faccio in tempo a risponderle che il microfono passa al sindaco. Non me lo immaginavo molto alto e in effetti non spicca tra gli invitati. Con i capelli e la barba grigio-bianchi, sembra un po' il nonno di tutti.

«Bene, sono molto contento perché questa azienda è l'esempio di come Genova sia tornata al centro degli investimenti internazionali. Il nostro obiettivo è che diventi il luogo ideale dove vivere, lavorare e trascorrere il tempo libero. Abbiamo grandi piani per il futuro. Diventeremo l'approdo di diversi cavi sottomarini che trasportano dati, saremo quindi anche un porto digitale oltre che fisico. Grazie a questo a Marsiglia in dieci anni sono stati creati quindicimila nuovi posti di lavoro, pensiamo di poter fare altrettanto e magari meglio. Questo videogame che avete prodotto aprirà la strada per far scoprire la nostra città anche da un nuovo punto di vista. Continuate così perché faremo grandi cose insieme».

Applaudiamo tutti.
L'intervento del sindaco ha dato inizio alla fase in discesa della serata. Tutti sono più sciolti e dal prosecco sono passati ai cocktail più carichi.
Il brusio di sottofondo si fa più forte.
«Beh, questo Giacomo non me lo fai vedere dal vivo?» mi urla Serena nelle orecchie.
«Ci fosse, volentieri».
Scandaglio per l'ennesima volta tutta la sala, senza trovare traccia del bel moro.

Mi avvicino a Dave, affiancandolo alla sua destra.
«Giacomo? Sai se ha avuto qualche problema?» gli domando guardando il centro della sala.
«Non c'è?» Si volta verso di me di scatto. Lo intuisco con la coda dell'occhio.
«Già. Ti ha mica mandato un messaggio?»
Estrae dalla tasca il Samsung e controlla.
«No».
Prende respiro per dire altro, ma Deborah, la sua ragazza, si avvicina con due bicchieri, sorseggiandone uno, e lo interrompe.
«Ciao, Gloria!» me ne porge uno colmo di un liquido rosa scuro.
«L'avevo preso per Davide, ma faccio due viaggi. Non sono abituata a vederti a mani vuote». Mi fa un gran sorriso e non attende neanche la mia risposta per tornare al bancone del barman, sfidando la coda. I capelli castani, che si adagiano morbidi e arricciati sotto le spalle, ondeggiano al ritmo dei suoi passi sicuri su un tacco dieci.
«È così servizievole anche a letto?»
Per poco Dave non sputa il salatino che ha appena messo in bocca.
«Ma che ti viene in mente?» Sorride di imbarazzo.
«Lo sa che abbiamo scopato?» Rincaro la dose per metterlo ancora più in difficoltà, devo fargliela pagare per le sue risate quando ho provato The fugitive sino alla nausea.
«Glo, ti prego». Si passa una mano tra i capelli, tirandosi indietro il ciuffo.
In effetti non credo che la bella Deborah sarebbe così cordiale nei miei confronti, com'è stata sin da quando me l'ha presentata. Purtroppo mi è capitato spesso di vedere nelle persone insicurezze legate ad assurdi paragoni con gli o le ex.
«La vendetta è un piatto che va consumato freddo. La prossima volta che avrò a che fare con gli oculus e sarò in difficoltà, non avrò la tua risata nelle orecchie». Gli faccio l'occhiolino. «Mandagli un messaggio, comunque».
Aggrotta la fronte. Ha già dimenticato la questione Giacomo. Deborah si avvicina con un altro bicchiere e le vado incontro con il mio ben teso. Un brindisi al volo prima di tornare da Serena.
«Secondo me tra mezz'ora possiamo andare via senza dare nell'occhio» le propongo.
Lei annuisce.

Il segnale convenuto scelto è il caffè. Io, Dave e Stefano lo abbiamo deciso in base a vecchi ricordi legati all'avventura Alberto, gli altri si sono adeguati senza sapere il vero motivo. Chi prende il caffè se ne va subito dopo e attende gli altri all'ingresso del grattacielo per proseguire la festa a modo nostro.

Io e Serena diamo il via. Ci defiliamo con stile dopo aver fatto i complimenti a Lee per l'organizzazione e allontanandoci quando torna ai suoi ospiti. Di sicuro nella sua memoria si imprimerà il ricordo delle nostre strette di mano, non il fatto che siamo uscite dopo solo un'ora e venti dal nostro arrivo.

Mentre lei fuma una sigaretta sotto i portici, ci raggiunge Stefano.
Così pettinato senza i soliti capelli arruffati e le lenti a contatto al posto degli occhiali, non sembra neanche lui. Il completo esalta in modo positivo la sua consueta rigidità. Nell'insieme sembra più uomo dei suoi trent'anni.

Alla spicciolata ci raggiungono Pietro, Riccardo, un paio di altri programmatori e infine Dave con Deborah.

In venti minuti, complice lo scarso traffico in città, siamo alla Marina di Sestri Ponente e all'Onda Blu. Il mio caro amico Alessandro, da dietro il bancone, ci indica gli unici due tavoli vuoti affiancati all'esterno mentre ha in mano il pestello per i mojito.

La cameriera ci accompagna con una bottiglia di spumante in una mano e dieci flute nell'altra, tenendoli tra le dita per lo stelo. L'effetto è quello di un fiore dai petali di vetro. Posa con sicurezza il tutto e toglie il bigliettino con scritto "Riservato Gloria".
Il locale è pieno e anche i moli. Pochi yacht, la stagione dei noleggi per le vacanze è già iniziata, tanta gente che si gode la brezza serale. Di fronte a noi, separato dallo specchio acqueo che sembra quasi un lago, lo scheletro illuminato di una nave da crociera in costruzione. Il cantiere navale non si ferma mai e il suono dei colpi sulle lamiere arriva alle orecchie trasportato dal vento.

«Ce l'abbiamo fatta piuttosto in fretta ad andarcene» commenta Pietro con un mezzo sorriso mentre prende la bottiglia e me la porge.

La afferro pronta a stappare, come tradizione, ma forse questo onore stavolta non spetta a me. Cerco la testa bionda di Riccardo.
«Visto che l'idea di Underground è stata tutta tua, penso che per una volta possiamo fare un'eccezione». Mi avvicino al mezzo vichingo barbuto e le sue guance si infiammano per un paio di secondi prima di accettare il mio invito. Lo spingo senza troppe cerimonie in mezzo a tutto il gruppo.
«Allora, a Underground e al team che ha lavorato a tutto questo». Imita l'accento di Lee e stappa. Il sughero vola verso un altro tavolo, colpendo una ragazza sulla testa, che dopo un saltello dovuto allo spavento si volta ci saluta.

Svuoto il calice in un sorso e vado al bancone, dove Alessandro ha già preparato degli shottini di tequila. Ormai non dobbiamo neanche chiedere. Torno col vassoio e lascio che tutti si servano. L'ultimo bicchierino lo tengo per me.

Dave fa il maestro di cerimonie: «Uno, due e tre».

L'alcol scivola in gola, incendiandola.

Mi guardo attorno. Bere solo in queste occasioni, ormai, mi ha reso più sensibile. Il sangue inizia già a formicolarmi nelle vene e nel ventre. I miei piani per la serata sono andati a farsi benedire, senza Giacomo.

Serena sta parlando con Pietro, Dave amoreggia con Deborah, Riccardo chiacchiera con qualche programmatore. Solo Stefano non sta parlando con nessuno. Lo shot ancora in mano.
«Dammi».
Non si è accorto che mi sono avvicinata e sobbalza. Indico la tequila. «Intanto lo so che tra poco lo verserai in uno dei vasi degli ulivi».
Lui sorride e guarda il bicchiere.
«Da quanto?»
«Più o meno dalla prima festa che abbiamo fatto qui».
«Nulla sfugge a Gloria».
«Mica puoi essere solo tu il talentuoso del gruppo. Se non parliamo di informatica posso avere qualche speranza».
«Non mi piace contribuire all'ubriachezza di qualcuno».
«Tranquillo, ormai non mi autodistruggo più con la frequenza di prima».
Alza per un attimo il suo sguardo fissandomi, come a sondare la portata delle mie parole. Se mai dovessi rappresentare l'intelligenza artificiale in un'immagine userei gli occhi di Stefano. Un mix di freddezza, dovuta all'azzurro iceberg delle sue iridi, che nasconde algoritmi al lavoro nella sua mente geniale.
Prendo il bicchiere senza che me lo ceda esplicitamente, ma le dita non fanno resistenza.
Lo svuoto in un attimo.
Faccio un passo e un lieve capogiro mi segnala che ho davvero perso qualche colpo negli ultimi mesi.
«Ti prendo un analcolico» urlo. Quando torno da lui nella mia mano è già comparso un altro conforto liquido.
Scuote la testa. «La percentuale è decisamente cambiata».
«Quale percentuale?» gli chiedo sghignazzando.

«Quale percentuale?» rimbomba nella mia testa. Apro gli occhi e il lampadario a nuvola della mia stanza, illuminato dalla luce che filtra dalle persiane, mi dice che la serata è finita come aveva previsto Stefano.

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