Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

29. Mio papà

«Sono tornata!»
La voce squillante della madre di Stefano è particolarmente rumorosa. La porta dello studiolo di Stefano è aperta, quindi spero non si faccia strane idee. La presenza di Serena sarà una sorpresa, ma del resto è lei ad aver pensato a qualcosa che non esiste.
«Stefano, caro. Siete qui?»

La testa della signora fa capolino dalla stanza e per una volta la sua maschera si crepa: il sorriso gioioso si trasforma in un'espressione di imbarazzo e sorpresa quando ci vede.
«Oh, chiedo scusa, non pensavo aveste altri ospiti» la sua educazione ha la meglio anche sull'inatteso.
Stefano non risponde.
«Avevo provato a dirglielo, prima, ma era talmente di fretta che non è stato possibile».
Anche se non è vero, mi fa piacere mettere in chiaro che il mondo non va sempre come vorrebbe lei. È fortunata. Fosse stata la mia, di madre, avrei fatto davvero un'allusione a un rapporto a tre.
«Ora, comunque, ce ne andiamo».

La signora si fa da parte, mentre ci riaggiorniamo.
«Io domani sarò al Gp di mio padre in Romagna, quando facciamo il punto?»
«Per quanto mi riguarda direi un paio di giorni, tipo lunedì sera o martedì» dice Serena.
Guardo Stefano. Alla fine sono loro a svolgere i compiti più importanti di questa prima fase. Io probabilmente dovrò passare un po' di tempo in biblioteca.
«Ok» limita al minimo l'emissione di parole. Avevamo fatto così tanti passi avanti solo qualche settimana fa...

Ci dividiamo e torno a casa per fare una cena fuori orario. Sono solo le sei e mezza, ma la sveglia, domattina, suonerà prima dell'alba.
Scrivo a papà: "Ciao, arrivo domani in prima mattinata. Scusa se non mi sono fatta sentire".
Risponde dopo cinque minuti. "Trovi il pass agli accrediti, ci vediamo al paddock".
Sorrido. Mi fa piacere vederlo.

Tiro fuori la Ninja dal garage che è ancora buio. Sono passate da poco le quattro e io sono già sudata sotto la tuta da motociclista, ma non posso evitarla, visto il lungo viaggio che mi attende. Non ho bisogno di mappe o navigatori, sono già stata diverse volte a Misano.
L'autostrada, a quest'ora, è quanto di meglio un centauro possa desiderare: pochi mezzi pesanti, siamo nel fine settimana con il divieto di circolazione, e una frequenza di auto molto rada, almeno per i primi duecento chilometri.

Con gli occhi fissi sulla strada, mi concedo di ripensare all'indagine e al fatto che la polizia non sia riuscita a fare nessun passo avanti sull'omicidio. Come mai? Non credo che siano degli incapaci, ma anche se non abbiamo probabilmente tutto il quadro della situazione tramite quella chat rubata da Stefano, il fatto che non sia trapelato nulla né sui sospettati, né su come stiano andando avanti le investigazioni significa che l'assassino è stato fortunato a non lasciare tracce, a non farsi riprendere da qualche telecamera, ma anche che Pastorino non aveva in casa indizi tangibili sul perché dovesse andare là sotto.

Rifletto.

Sorpreso durante una sessione di urbex non autorizzata? Ma da chi? Più facile che sia andato insieme a qualcuno e poi ci sia stato un litigio o comunque un imprevisto. Quest'ultima mi sembra l'ipotesi più plausibile. A quanto sappiamo i suoi device non sono stati violati dalla polizia postale, o comunque dentro non c'era nulla di rilevante, per cui questo ragazzo era molto attento a proteggere la sua privacy.

Sorpasso a destra un camper che non si schioda dalla corsia di sinistra e gli faccio un gestaccio.
Macino chilometri senza fermarmi, non stavo in sella per così tanto tempo da almeno un anno. Mi fa male il sedere nonostante i rinforzi sotto il gluteo.

A Piacenza è tempo della prima sosta: devo fare benzina. Approfitto per fare la seconda colazione della giornata e riparto. Sono quasi le sei e non c'è tempo da perdere.
Il cielo è già chiaro e il traffico comincia ad aumentare. Resto comunque sui centotrenta all'ora senza rischiare, sorpassando in scioltezza e facendomi vedere negli specchietti con largo anticipo.

La Superpole è alle undici, mentre Gara 2 alle quattordici, vorrei godermi mio padre prima che venga risucchiato dagli impegni di preparazione dei mezzi perché poi durante la gara è troppo concentrato sui suoi piloti.
Attorno a Bologna il solito casino. È uno dei crocevia d'Italia. Rallento.
Sono le otto e mezza e sono ancora a cento chilometri da Misano. Sarei dovuta partire prima.
Adesso mi fa male pure il piede della gamba fratturata.
Altra sosta per la benzina.
Gli ultimi cinquanta chilometri li percorro quasi in apnea. Il traffico verso il circuito si fa sostenuto e ondeggio tra le auto per sgusciare via il più rapida possibile.
All'uscita di Riccione respiro, finalmente.

Parcheggio in uno dei tanti spazi gratuiti per il pubblico e alle nove e mezza. Riservo un'occhiata distratta alla scritta che sancisce l'intitolazione a Marco Simoncelli e alla struttura a onda che caratterizza l'ingresso ed entro nello spazio riservato a chi ha l'accesso al paddock.
La giornata è calda e non vedo l'ora di togliermi la tuta.
Fosse la prima volta qui sarei abbagliata dalla quantità di camion, dai vari spazi per l'hospitality che brillano lucidi sotto il sole, dall'incredibile concentrazione di belle ragazze, le ombrelline, ammiratissime e fotografate dai morti di figa invitati dagli sponsor che bazzicano sempre in questi ambienti e vogliono portarsi in tasca un sorriso, un bacio mimato e due paia di gambe da condividere con gli amici o in chissà quale chat.

Il rosso Ducati spicca come un incendio nella notte. C'è più gente qui, la scuderia italiana è un orgoglio nazionale, oltre che in testa alla classifica con Alvaro Bautista e tutti vogliono vedere le moto da vicino.

Vado subito a cercare mio padre. Non sarebbe concesso disturbarlo prima della gara, ma qui è casa.
Lo vedo piegato a recuperare un pneumatico che sta per montare nella ruota posteriore della moto numero diciannove. Non mi ha ancora vista, è di spalle.
Mi concedo di ammirare in silenzio la dedizione e la precisione con cui svolge il suo lavoro. Arriva un collega e si confrontano su chissà cosa, non riesco a capire cosa si dicono. Poi l'altro, un tizio bassino e quasi calvo, mi nota e gli fa segno di girarsi.
Il suo sguardo è già illuminato quando si volta.
Gabriele Ferrari viene verso di me con la sua andatura scattante. Lo trovo più magro rispetto all'ultima volta che l'ho visto. L'incavo sotto lo zigomo alto mi sembra più marcato. Si è tagliato i capelli di fresco, li ha cortissimi ovunque. La stempiatura ha preso ulteriore campo. A cinquantacinque anni il grigio latita ancora sul suo castano scuro.
«Eccoti! Viaggiato bene?»
«Sì, tutto liscio».
«Vai pure là dietro a toglierti la tuta». Indica una specie di separé dove intravedo le loro attrezzature.
Ogni volta che ho a che fare con lui capisco da chi ho preso. Non perdersi in chiacchiere, pensare al lato pratico delle cose, concretezza.
Mi spoglio tra un set di cavalletti di stazionamento, un tavolo pieno di pinze, guanti, viti, spazzole, inebriata dall'odore di olio e gomma. Resto in shorts e canotta.
Ora si ragiona.
Resto defilata mentre terminano di preparare la moto di Bautista. Finiscono dopo una ventina di minuti e il mezzo viene portato via, verso la pista, dove lo attende il suo pilota.
Prima o poi gli chiederò di mettere mano alla Ninja. Non ho mai avuto il coraggio. Del resto le Superbike sono solo moto da strada modificate, non quei prototipi della moto Gp.
Papà rilassa le spalle, ora il joypad passa tra le mani del centauro spagnolo.
Si avvicina e mi affianca, mentre la due ruote sparisce dalla nostra vista.
«Torno a casa per qualche giorno dopo il Gp, mamma come sta?»
«Al solito».
«Al solito nel senso che la chiami quando ti ricordi e la vai a trovare ancora meno?»
Faccio un sorriso tirato e colpevole.
Mi dà una pacca sulla spalla e torna al suo lavoro. 

Sono ancora quella che di notte, a dieci anni, apriva la playstation per giocare fino a orari indecenti e veniva sorpresa. Invece che sgridarmi, lui mi sfidava battendomi sempre. La delusione era cocente e chiudevo tutto, arrabbiata.

Prendo il cellulare dalla tasca e mando un messaggio: "Arrivata, tutto bene. Papà ti saluta".
Non risponde, ma non mi preoccupo. Chissà dove ha lasciato il telefono... probabilmente è al mare o sul terrazzo a prendere il sole.

Il rombo dei motori sovrasta il brusio di voci e mi invita a prendere posto verso le tribune.
Mi godo la vittoria di Bautista in Superpole Race, una gara perfetta. Ho fatto il pieno di sorpassi, di staccate al limite, di qualche caduta in questa gara sprint da dieci giri e corro giù a festeggiare con il team. Papà è raggiante e mi abbraccia stretta.
Squilla il telefono ed è mia madre. Passo direttamente a lui l'apparecchio e gli occhi sfavillano di una luce ancora più brillante. Li lascio ai loro discorsi, non mi piace essere spettatrice della loro intimità.
Gara 2 purtroppo non va come speravamo: Bautista cade quando è in testa e il mormorio di disappunto della folla per un momento sovrasta il boato delle marmitte.
L'atmosfera nel paddock a fine corsa è completamente diversa: ha vinto Jonathan Rea, il diretto avversario di Bautista. Non è colpa della moto, mio padre comunque mi accoglie con meno entusiasmo di prima, ma comunque con un sorriso.
«Beviamo qualcosa? Io dovrei anche mangiare» propone.
Lo accompagno al bar della Ducati e mentre sbrana un panino al prosciutto mi chiede: «C'è qualcosa che ti preoccupa? Ti vedo un po' smagrita, ma non è solo questo. Non riesco a capire se è per la tua solita vita o per qualcos'altro...»
Mi guarda, in attesa. E io vorrei dirgli tutto, parlargli di Roberto Pastorino, di come sono arrivata a capire forse più di quanto abbia compreso la polizia, del mio tirarmi indietro su una denuncia, pur anonima, per non dare un dispiacere al mio collega che l'anno scorso ha evitato guai seri. Di come sto cercando di mettere in ordine i pochi elementi nelle mie mani e delle mie scorribande sotterranee a raccogliere messaggi di uno psicopatico che ha preso il videogioco più bello a cui io abbia mai lavorato come modello.
Non mi sono mai confidata troppo con i miei genitori sulla mia vita sentimentale, figuriamoci sessuale. Non mi sono mai sbottonata sulle mie ambizioni o aspettative. Papà non ha mai chiesto con insistenza spiegazioni su alcuni miei comportamenti e il fatto che invece oggi abbia fatto questa domanda mi fa quasi capitolare, perché forse sarebbe l'unica persona a non giudicare questa mia follia.
Invece dalla mia bocca esce un «siamo sotto pressione al lavoro, ci spremono per un altro gioco che vuole il sindaco ambientato a Genova». Sulla parola Genova la voce ha un tremito che nascondo con un colpo di tosse. L'occhio sinistro si inumidisce: tutto ciò che mi porto dentro da settimane cerca di sgorgare fuori, ma sono più forte io.




Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro