7.
Paolo si attardò ancora qualche istante nel tepore dorato dei raggi obliqui. Era grato per quell'inverno mite che si stava trascinando pigramente nella capitale. La considerava una sorta di concessione misericordiosa dell'universo, a consolazione delle scarse possibilità che aveva di arrivare a vederne un altro. Chiuse gli occhi e rivolse il viso verso il sole, basso sull'orizzonte nonostante fosse mezzogiorno. Dovette però riaprirli subito, poiché, dietro le palpebre sottili e incartapecorite, egli percepiva, ineffabili e sfumati in tutti i toni del cremisi, i suoi demoni.
Si volse turbato. Il prezzo della sua serenità era di non concedersi alcun attimo di contemplazione, solo nel qui e nell'ora poteva sopravvivere. Cercò avido l'unica ancora che gli permetteva di rimanere avvinghiato a quella dimensione con la forza impareggiabile di un amore viscerale: sua nipote giocava seduta sulle piastrelle rosse dell'ampia terrazza. Era assorta nell'intreccio che stava creando per le figurine antropomorfe che aveva ritagliato per lei il vegliardo. Egli non poteva vederne lo sguardo liquido, nascosto dall'ombra netta delle folte ciglia, ma gli bastò soffermarsi qualche istante sul capino d'ebano per ritrovare la sua quadratura.
Aurora diventava ogni giorno più bella. Somigliava alla madre in maniera sorprendente e quella consapevolezza era per il vecchio un amaro sollievo. La mente corse al suo unico figlio, il suo più grande rimpianto e fallimento. Dov'era ora? Si sarebbe redento dalle sue terribili scelte? Sarebbe tornato da lui prima dell'inevitabile? Paolo sospirò, abbattuto ma non ancora vinto.
Sì affacciò al balcone a cui era accostata la sua sedia a rotelle, per ammirare il panorama aperto e sterminato su Roma. Sotto di lui, una distesa silvestre di pini marittimi, una coltre viva e fluida da cui sbucavano pochi lacerti di città. In lontananza si stagliava il Vittoriale con la quadriga della Vittoria alata che nelle giornate limpide lo salutava cristallizzata nel suo perpetuo grido di trionfo.
La senilità gli aveva attribuito la saggezza per amare quella casa, che da giovane aveva percepito come una prigione piuttosto che un rifugio. Eppure, in seno a quelle mura era cresciuta la sua famiglia. Ma quegli anni erano scivolati sulla sua pelle nella più completa indifferenza. Si era votato a un' impresa che trascendeva la sua vita e quella dei suoi cari, senza rendersi conto che, nel suo slancio di onnipotenza, mascherato da volontà di salvare quante più anime possibile, aveva condannato le uniche che avrebbe dovuto proteggere ad ogni costo.
La cosa peggiore, per cui non sapeva darsi pace, era che il ciclo sembrava sul punto di ripetersi.
No, lui non l'avrebbe permesso.
Si fece portare il telefono e compose il numero a memoria.
- Buongiorno Andrea, ci sono progressi? ... Capisco ... e la ragazza, Amina? ... mmm ... Andrea, non farti riguardi nei miei confronti. Lo so meglio di te, ci seve lui.
...A questo punto dobbiamo trovarlo, è inevitabile.
Pensavo di pubblicarlo domani ma non ho resistito :D
Se per voi va bene, a questo punto, proporrei di evitare nuovi personaggi, a meno che non siano indispensabili per una svolta del racconto, sennò poi devo farmi gli schemini riassuntivi in 12 passi (sì lo so, sono arteriosclerotica)
BON! SCATENATEVI :D
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