3.
Fissai il biglietto a lungo.
Com'era possibile che uno sconosciuto sapesse come mi chiamavo e quanti anni avessi? Quell' "aspirante archietetto" poi era la prova ineludibile a carico del fatto che non poteva aver tirato a indovinare.
Cercai di concentrarmi sul ricordo ancora fresco della voce. Non riuscivo a isolare nessuna caratteristica particolare, non un accento riconoscibile, nessuna inflessione che potesse aiutarmi a identificarne il proprietario, niente. Inoltre si era mosso talmente in fretta da non permettermi di scorgere altro che non fosse un lungo cappotto nero, che sembrava un'estensione mobile di quella sera scura.
Sapevo qualcosa in più solo grazie alla sua ombra, che aveva rivelato una corporatura imponente, con spalle larghe e collo taurino. Per questo, nella mia testa gli avevo assegnato una carriera da artista circense, lanciatore di ballerine, sollevatore di carrozze di treni, aspirante mago illusionista dalle ambizioni tarpate da un impresario gretto e avido, che in lui vedeva solo un fenomeno da baraccone, inadatto alla raffinata arte della prestidigitazione...
Ma insomma, quante possibilità c'erano che le mie speculazioni corrispondessero a realtà? Quasi nessuna.
Lui invece pareva aver indovinato molto di me: il nome, corto e secco, scelto, senza possibilità di replica, da mio padre, poiché non si prestava a diminutivi o nomignoli; la mia età, quel quarto di secolo, raggiunto poche ore prima; perfino i miei piani per il futuro erano stati indicati correttamente.
Ci rimuginai sopra per un po', poi d'un tratto, l'illuminazione: ma certo! Non poteva essere che uno scherzo di quella scema della mia coinquilina, Amina. Le avevo raccontato del mio gioco qualche giorno prima. Già me la vedevo che si teneva la pacia dal ridere mentre il suo complice le raccontava della mia espressione inebetita.
Sì, doveva essere così sicuramente. Rassicurata mi ficcai il bigliettino in tasca e mi avviai verso casa col mio consueto passo spedito.
Mano a mano che mi avviavo verso il centro i marciapiedi cominciavano a farsi più frequentati e i miei pensieri più lievi. Quando svoltai l'angolo finalmente vidi comparire sopra i tetti le guglie del Duomo, segno che ero quasi arrivata. Ancora non potevo credere di essere riuscita ad accaparrarmi quell'appartamento. Era all'ultimo piano di un vecchio palazzo, da lì si godeva di una vista su Milano davvero invidiabile, sovrastata dagli occhi benevoli della Madunina. Quando l'agente immobiliare mi aveva comunicato la cifra irrisoria dell'affitto avevo pensato ad uno scherzo. 'Per il padrone di casa è sufficiente' aveva risposto al mio sguardo perplesso. Quanto al proprietario, in due anni che vivevo lì non l'avevo mai visto, ma considerata la situazione a mio completo vantaggio, mi stava bene così.
Quando mi ero trasferita avevo conosciuto anche Amina, che era diventata la mia migliore amica oltre che coinquilina. Era l'anima della casa e dal momento in cui le si stringeva la mano per la prima volta era davvero impossibile non adorarla. Era bassina e pienotta, con un sorriso e due fossette perennemente impresse sul volto. Cambiava colore di capelli almeno un paio di volte al mese, e parlava con quell'affascinante accento orientale che trasforma ogni frase in una domanda. Studiava matematica, e in camera sua c'era una parete ricoperta di scarabocchi di formule e algoritmi, 'le mie massime' le chiamava lei.
Ero arrivata a quella che consideravo a tutti gli effetti, casa mia. Girai le chiavi nella serratura cigolante del portoncino d'ingresso. Trovai l'appartamento immerso nella penombra, ferita lievemente dalla lama tremula della luce notturna della città, che penetrava attraverso gli scuri socchiusi del piccolo soggiorno. La quiete era assoluta, fatto curioso per un palazzo storico che abbondava sempre di scricchiolii. Notai subito quell'assenza anomala. Feci qualche passo fino a raggiungere le finestre schermate, ero inquieta, c'era davvero troppo silenzio.
Mentre mi sporgevo per aprire i balconi fui accecata da tutte le luci dell'abitazione che si accendevano contemporaneamente.
-SORPRESAAAAA!!!
Urlarono almeno una ventina di voci all'unisono.
Rimasi impietrita a fissare l'assembramento di amici che sventolavano festoni e soffiavano in trombette di carta. A capo della banda, ovviamente, c'era Amina. Era letteralmente conciata per le feste, con un cappellino multicolore in testa, occhialoni spropositati sul naso e un boa di piume rosa shocking sulle spalle. La sua chioma esuberante di un improbabile color carota radioattiva completava la visione. Scoppiai in una sonora risata.
-Benvenuta alla tua festa!
Mi salutò raggiante quella matta, avvolgendomi al collo quello che pareva a tutti gli effetti un fenicottero scuoiato. Già, avevo venticinque anni ora.
L'abbracciai riconoscente e cominciai a salutare tutti i membri della combriccola.
Qualche minuto dopo Amina venne a strattonarmi.
-Ah senti, prima che me ne dimentichi, stamattina ho trovato questa per te nella cassetta della posta, non è la solita bolletta quindi mi sono incuriosita, cos'è hai un pretendente segreto che ti scrive messaggi d'amore?
Chiese scherzosa mentre mi porgeva una lettera con sopra scritto il mio nome.
Riconobbi subito la grafia infantile e ordinata. Era la stessa del biglietto.
-Sì certo, come no!
Risposi divertita. Alzai lo sguardo sulla mia coinquilina, convinta di averla smascherata, ma mi resi subito conto che sul suo viso limpido non c'era traccia di celia.
Aprii la busta da cui si sprigionò quell'odore di gelsomino.
Lessi le prime righe.
Sentì le gambe mancare.
Un'ondata gelida partita dagli arti investì lo stomaco.
Non poteva essere.
Dovevo sedermi.
Non poteva essere.
'Respira!' urlavano i polmoni.
Non poteva essere.
'Respira, respira!!!'
Mi accasciai a terra.
La storia, da questo punto in poi, è tutta vostra, chi vuole continui.
Buon divertimento :*
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro