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14.


In quei giorni Milano era particolarmente fedele a se stessa. Si era ammantata in una foschia cupa e apatica, di quelle che potevano durare anche giorni, mesi... o per sempre. Una pioggia silenziosa imperversava senza pausa. Le gocce cadevano lente e pesanti, come un pianto di cui non si conosca la ragione.

Nonostante questo, passavo le mie giornate a vagare per quel mondo sbiadito, incurante del cielo che si abbatteva su di me.

Ormai sapevo, ma che altro avrei potuto fare?

Affrettai il passo, infierendo sui muscoli contratti per mantenere quel poco calore che la pioggia stava lavando via. Era una riflesso incondizionato, sapevo che davanti a me avrei trovato esattamente ciò che mi lasciavo alle spalle: strade deserte e pioggia battente. Era così da quando avevo letto la verità negli occhi di Amina, il cielo aveva cominciato a offuscarsi e il gelo a salire.

Solo il giorno dopo però mi ero accorta che la gente, tutta la gente, insieme al sole, era sparita. Milano era completamente svuotata, in uno stato di morte apparente. Come me. Da allora tutto era come bidimensionale. La luce verdognola che filtrava dalla coltre appiattiva le superfici, uniformava i colori. Niente più ombre, solo fantasmi.

Da allora avevo cominciato a camminare. Percorrevo i soliti viali, studiavo gli stessi palazzi. A volte percepivo qualcosa, un dettaglio ineffabile, un fremito che rendeva manifesta quella dimensione parallela. Intendiamoci, tutto era come sempre era stato, eppure a volte, solo a volte, appariva in qualche modo più... vago.

Ero stanca. Vidi un panificio all'angolo. Entrai e rimasi per qualche tempo all'asciutto. Fissavo le trame del pavimento in ardesia mordicchiando svogliatamente una focaccia.

Come ero entrata in quel mondo? Non lo ricordavo, e Amina era sparita prima che potessi estorcerle la risposta. Eppure sentivo che quella era la chiave per uscirne, per tornare da mia figlia, da Marco.

Era tempo di rimettersi in cammino, dovevo muovermi, ne sentivo la necessità. E forse il mio vagabondare mi avrebbe aiutata a ritrovare quel luogo. Il luogo dove ero scivolata in quel mondo, in tutto identico al mio, eppure sempre più inconsistente, tanto metafisico da essere sul punto di dissolversi da un momento all'altro. Dovevo fuggire prima che questo accadesse.

Camminai a lungo, finchè la poca luce che definiva svogliatamente i contorni delle cose non lasciò gradatamente il passo all'oscurità completa. Solo allora rincasai, carica del gelo e della pioggia di tutta la giornata.

Tolsi i vestiti fradici e mi infilai nuda sotto il piumone. Ero così stanca. Distesi le membra intirizzite e finalmente rilassai i muscoli.

Fu in quel momento, quando ero già nel dormiveglia, che sentii un rumore forte e inconfondibile.

Qualcuno stava bussando furiosamente alla porta.

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