1.
In quelle sere d'inverno, quando faceva buio presto, capitava una cosa curiosa: passeggiando in città, lungo i marciapiedi resi solitari dal freddo, a volte mi ritrovavo alle spalle qualche impavido reduce, che andava frettolosamente per la sua strada.
Anche se lo sentivo camminare molto dietro di me, poteva succedere che la sua ombra, deformata e allungata dall' angolazione della luce dei lampioni, a volte si affiancasse alla mia.
Allora io, senza voltarmi, provavo a immaginare di chi potesse essere quella figura proiettata a terra, donna, uomo, giovane, vecchia. Inventavo una storia per lei, un passato, degli affetti, delle ambizioni, provavo a immaginare come sarebbe stato se fosse entrato nella mia vita...ma solo per pochi secondi, fino a quando il suo proprietario non si fosse allontanato troppo dalla fonte di luce che ne delineava il negativo.
La sua sagoma non avrebbe fatto in tempo a svanire che un altro avventore sarebbe entrato in quella strana rifrazione geometrica che si beffava delle distanze reali.
E allora il gioco sarebbe ricominciare da capo.
Sono passati in molti a carezzare di sfuggita il mio profilo scuro, e non una volta mi sono girata a sbirciare, mai. Era contro le regole.
Solo una ho disubbidito, in una sera più fredda delle altre.
Plasmavo gli avvicendamenti di una sagoma che si avvicinava alla mia, finché non cominciò a farsi oltremodo massiccia, invadente. Crebbe a dismisura, fino a inghiottire la mia ombra in un unico groviglio nero.
Infastidita da questa invadenza accelerai il passo per riguadagnare la mia unità, tentativo inutile. L'ostacolo alla luce, quel corpo era troppo vicino per affrancarsene, aspettai dunque che mi superasse per maledirne le terga. Rallentai l'andatura.
Un istante dopo mi sentii battere sulla spalla.
Mi girai.
Fu così che tutto ebbe inizio...
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