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CHI NON VA A DODONA PERDE LA POLTRONA

Se, in un giorno qualsiasi degli ultimi due millenni, un essere umano si fosse arrampicato lungo le pendici del monte Olimpo non avrebbe trovato altro che rocce, neve e bestiole d'alta quota.
Il villaggio olimpico – con i suoi palazzi scintillanti, le fontane che gettavano ambrosia e i suoi lussureggianti giardini – sarebbe rimasto nascosto agli occhi di qualsiasi mortale: lì, in una bolla protetta in cui le temperature non scendevano mai sotto i venticinque gradi centigradi, vivevano gli dèi.

Per lungo tempo erano rimasti lontani dal mondo degli uomini e nessuno di loro aveva molta voglia di tornare in mezzo «a quelle scimmie che puzzano di capra», come le definiva la grande Era storcendo il naso.
Quel giorno però c'era una certa tensione nell'aria, come fece notare il piccolo Eros al cugino Morfeo, mentre entrambi erano seduti a banchettare nel palazzo di Zeus: la tavola era perennemente imbandita e i due non facevano quasi in tempo a svuotare i piatti che questi subito si riempivano di nuovo, da soli.

«Non lo sai?» mormorò Morfeo, arricciando le labbra in un sorriso di scherno.
Quel giorno aveva assunto una delle sue sembianze preferite e appariva come un giovane sui vent'anni, con morbidi boccoli scuri che ricadevano attorno a un viso perfettamente cesellato, in cui brillavano due occhi dorati; sul capo si era posto, a mo' di corona, una treccia di papaveri freschi e profumati. Eppure era sempre difficile mettere a fuoco il dio del sonno: i contorni del suo corpo apparivano sfumati e inconsistenti come fumo.
«Il vecchio ha deciso finalmente di scendere!» rivelò poi.

«No! Dopo tutto questo tempo? E che scende a fare?» bofonchiò Eros, infilandosi in bocca una coscia d'anatra troppo grande per la sua boccuccia da bambino.
Era difficile conciliare l'immagine di quel delicato e paffuto ragazzino biondo con gli incontenibili appetiti che dimostrava a tavola e a letto.

«Lo sai com'è fatto: si offende, tiene il broncio per qualche secolo, ma alla fine torna sempre giù. Gli umani sono il suo passatempo preferito... Specialmente le loro donne!»

«Lo so, ma stavolta sembrava così deciso! Avrebbe giurato sullo Stige che non sarebbe più uscito da questo palazzo, se Atena non gli avesse tirato in testa l'elmo, stendendolo!»

«Già, sarebbe rimasto intrappolato qui dentro per l'eternità e poi chi lo sopportava più?»

I due stavano ancora ridacchiando quando le porte di diamante che portavano alla sala del trono si spalancarono di colpo e il re degli dèi entrò a passo di marcia.
Morfeo quasi si strozzò con l'ambrosia per le risate ed Eros spalancò la bocca:
«Nonno! Che accidenti vi siete messo indosso?»

Zeus sorrise con vanità, girando su sé stesso per mostrare loro ogni dettaglio del suo vestiario: indossava una tunica bianca con decorazioni dorate – probabilmente intessute con un filo stregato da Helios per farle brillare come il sole – che ricadeva in ampie pieghe e balze fino ai suoi piedi. Come riuscisse a reggersi in piedi senza inciampare nell'orlo color porpora  o nel mantello nero che si era gettato sulle spalle era un mistero. 
Sulla testa portava la sua corona più ricca e pesante, quella che metteva ogni volta che intendeva far colpo su una nuova ninfa. I capelli, solitamente ricci e arruffati, erano stati pettinati, unti d'olio profumato e abilmente intrecciati.
"Morfeo ha ragione: sta smaniando per correre dietro alle donne umane!"

«Allora?» tuonò Zeus, calcando sulle vocali in una maniera tale che i due giovani sospettarono avesse attinto alla sua scorta d'ambrosia d'annata durante i preparativi. Non diede però loro il tempo di rispondere:
«Un regalo di Ade, sapete – anche se potrei scommettere che l'abbia scelta Persefone. Erano secoli che non la mettevo! Ah, fece furore ai tempi! Ricordo che c'era questa giovinetta che rimase incantata...»

«O terrorizzata» borbottò Morfeo sottovoce.

«Nonno, vi prego di ripensarci!» strillò invece Eros, il cui buongusto nel vestire era tremendamente offeso da quella vista. «Non siete più... Beh, nelle condizioni di qualche secolo fa!»

Zeus socchiuse gli occhi azzurri, accigliato: sebbene il viso non mostrasse alcun segno dello scorrere del tempo – dopotutto, era una creatura immortale – duemila anni di stravizi avevano appesantito la sua figura: la tunica, che avrebbe dovuto fasciargli il torace possente e le spalle ben tornite, ora si tendeva sul ventre prominente.

«Sciocchezze» borbottò infine con aria bonaria, scuotendo la testa e facendo dondolare le trecce brune. «Sarò anche vecchio, ragazzo, ma so ancora fare il mio mestiere: gli umani verranno conquistati da tutta questa gloria divina e si getteranno ai miei piedi per chiedere perdono!»

Una risatina femminile e delicata (e pure un po' folle e sinistra) si levò dalle ombre della sala:
«Ne siete certo, padre caro? Non mi pare che l'ultima volta tenere il broncio abbia funzionato!» mormorò Eris, facendosi avanti e scrutando i presenti con malcelato divertimento.
Una volta un satiro aveva provato a decantare la forma esotica e allungata e il nero profondo dei suoi occhi – ma da quando Eris gli aveva tagliato la lingua tutti cercavano di evitare lo sguardo della dea.
Le ali nere e piumate accarezzavano una figura formosa, avvolta in una tunica scura che faceva risaltare ancor di più l'incarnato pallido: Morfeo ricordava di aver visto ombre con più colore sulle guance nelle pianure desolate del regno dei morti.

«Gli umani tornano sempre sui loro passi» disse Zeus, fiducioso. «Hanno bisogno di noi, non dimenticarlo. Beh, sicuramente hanno più bisogno di me che di te – anzi, di te ne farebbero proprio a meno – ma tant'è... Dove sono finiti tutti gli altri? Si perderanno il gran momento!»

Pur di non rispondere, Eris tornò a confondersi con l'oscurità, Morfeo si trasformò in una mosca ed Eros si mise a fissare intensamente l'anatra arrosto che aveva sul piatto, quasi stesse meditando di trafiggerla con una delle sue frecce.

Con suo grande sollievo, però, Zeus era già passato oltre:
«Oggi, fanciulli miei, diamo inizio a una nuova era e a un rinnovato periodo di amore con gli esseri umani... Ah, gli umani! Animalucci testardi e bizzosi, ma cosa faremmo senza di loro?»

"Continueremmo a vivere pacificamente come abbiamo fatto negli ultimi anni!" fu il pensiero che attraversò le menti dei suoi ascoltatori.

«Ci sono stati tempi duri. Tutta quella faccenda del Cristianesimo, i templi che si svuotavano... Tanta ingratitudine ha fatto male, lo ammetto. Quando mi sono ritirato quassù ero furioso e amareggiato. Voglio dire, cosa gli abbiamo fatto per meritarci un trattamento simile? Avremmo potuto spazzarli via con un battito di ciglia, ma ditemi, l'abbiamo mai fatto?»

«Sì» rispose Eris, incapace di trattenersi.

Zeus parve interdetto:
«Eh? Quando?»

«La guerra di Troia. La peste di Atene. Quella volta che tentarono la scalata all'Olimpo. Per non parlare di Pompei!»

«Oh, ma queste son storia vecchia! E comunque non ci meritavamo di essere messi da parte a quel modo! Ma non pensiamoci più: sono sicuro che dopo questo lungo periodo di silenzio in cui nessuno ha esaudito le loro preghiere i mortali saranno più ragionevoli!»

Eros osservò meglio suo nonno mentre questi si aggiustava per l'ultima volta la corona sul capo: a giudicare dagli occhi scintillanti e dal modo in cui agitava le braccia, Zeus sembrava quasi... Emozionato.

«Beh, io vado!» gridò il re degli dèi alla sala semivuota, prima di sparire nel nulla.

Molto più in basso, lungo le pendici dell'Olimpo, risuonò un rombo di tuono.

***

Il sito archeologico di Dodona era una triste radura in cui un paio di edifici in rovina si ergevano coraggiosamente contro l'usura del tempo – proprio come gli ultimi quindici scavi che avevano visitato.

Jack sospirò: era luglio, faceva caldo e lui avrebbe voluto gustarsi un enorme vasetto di Ben&Jerry al cioccolato dopo un pomeriggio passato a giocare al fiume con i suoi amici.
Non c'era nulla che amasse di più al mondo di una tranquilla estate nella campagna del Sussex, nella cittadina dove era nato e cresciuto: intere giornate di sole, giochi e risate interrotte solo dalla merenda pomeridiana... E invece suo padre aveva vinto una crociera nel mar Mediterraneo che durava ben dieci giorni.
Un'eternità, se si contavano anche quelli che avevano impiegato per raggiungere il porto francese di Marsiglia in macchina: un viaggio da incubo in cui Tom, il suo fratellino di cinque anni, non aveva fatto altro che piangere e sbavargli sulla maglietta.

"E per cosa, poi?" pensò il ragazzino, calciando con rabbia un ciuffo d'erba mentre i suoi genitori, diversi metri più in là, pendevano dalle labbra di una guida. "Per guardare con ammirazione queste quattro pietre?"

Gli alberi attorno a lui parvero prendere vita, piegati da un'improvvisa raffica di vento; poi, con un lampo accecante, un uomo ruzzolò ai suoi piedi.
Mentre quello si rialzava faticosamente in piedi Jack lo osservò a bocca aperta, spostandosi la frangetta bionda dagli occhi per vedere meglio: lo sconosciuto era più alto di tutti gli adulti che conosceva e anche molto più bizzarro.
Continuava a inciampare nell'orlo della tunica che indossava e il vento faceva ondeggiare la pesante corona posta sopra i capelli lunghi fino alle spalle, che avevano la stessa sfumatura castano-dorata della barba riccia e un po' trasandata.
Quando posò il suo sguardo su di lui, il ragazzino deglutì a vuoto, intimorito: quelle iridi azzurre sembravano molto più vecchie dell'uomo piacente a cui appartenevano, che non dimostrava più di trentacinque anni.
"Anche se ha la stessa pancia da birra di nonno Joe" notò.
Nell'insieme pareva una versione più vecchia, più sbronza e meno figa del ragazzo hipster di sua cugina Susie. 
L'uomo lo apostrofò in una lingua incomprensibile. Jack lanciò un'occhiata alle sue spalle in cerca di supporto, ma i suoi genitori, la guida turistica e il resto del gruppo non si vedevano più; probabilmente erano entrati in quel tempio pericolante.
Perciò il ragazzo si voltò di nuovo e scosse la testa:
«Non la capisco!»

L'uomo aggrottò la fronte e borbottò qualcosa tra sé e sé in quella lingua misteriosa.

"Magari è un alieno!" pensò Jack, illuminandosi a quella prospettiva. "Spiegherebbe perché è vestito in modo così buffo!"

Poi lo sconosciuto sorrise, mettendo in mostra due file di denti perfetti e bianchissimi:
«Dunque, fanciullo!» tuonò, parlando in un inglese perfetto. «Non mi riconosci?»

Jack scosse la testa, esterrefatto:
«Ci siamo già visti?»

«No, certo che no, ma visto che i tuoi genitori ti hanno portato qui a pregare...»
L'alieno si guardò attorno per la prima volta e il suo sorriso si fece meno ampio:
«Certo che l'avete proprio lasciato andare, eh? È crollato pure il tetto! Oh, e che accidenti è successo laggiù? Quello era il tempio preferito della mamma! Si infurierà quando vedrà com'è ridotto!»

Jack si girò per seguire il suo sguardo e si strinse nelle spalle: l'alieno stava indicando un mucchietto di pietre che, con un grande sforzo di immaginazione, una volta potevano essere state la scalinata di un piccolo tempio.

«Beh, dopotutto quanti anni sono passati? Mille, duemila? Era ovvio che ci sarebbero stati dei piccoli cambiamenti» disse l'uomo, più a sé stesso che a Jack.
«Di' un po', almeno c'è ancora quella locanda sulla strada che porta al Necromanteion? Non ho più mangiato un cinghiale arrosto buono come lo facevano lì!»

«Non saprei, signore»

«Mh, forse a ben pensarci non dovrei attardarmi troppo. Guarda in che stato versa il mio tempio! Bisogna che voi mortali torniate agli antichi riti... Dimmi, dove posso trovare il tuo sovrano?»

Jack sgranò gli occhi:
«Intende Sua Maestà la Regina Elisabetta? Andrà a trovare la Regina?»

«Regina?» ripeté lo sconosciuto, perplesso. «No, no, io voglio... Anche se, ripensandoci... È bella questa regina?»

«Beh, è vecchia.»

«Allora no. Dimmi dove posso trovare il re più potente del mondo!»

Jack ci pensò su, spostando il peso del corpo da un piede all'altro:
«Credo che sia il Presidente degli Stati Uniti»

«Tu credi?»

«Beh, non è un re, però è potente. E poi, nei film gli alieni sbarcano sempre in America!»

L'alieno parve soddisfatto:
«Grazie, figliolo. Andrò subito a trovare questo Presidente. C'è qualcosa che posso fare per te, per ripagarti della tua prontezza nell'assistermi?»

«Jack!»
Sua madre era comparsa alle loro spalle e si stava avvicinando a grandi passi, stringendo Tom tra le braccia:
«Jack! Allontanati subito da lui! Cosa ti avevo detto sul non parlare mai con gli sconosciuti?»

Il ragazzino parve riflettere velocemente.
«Ehi, può fare di nuovo quel trucchetto di prima? Mi può portare a Chichester, Sussex, in Inghilterra?»

Lo sconosciuto si sfregò le mani, da cui emersero piccoli fulmini:
«Normalmente sarebbe una cosa da Hermes, o forse Eolo... Ma sai una cosa, mio giovane amico mortale? Oggi mi sento molto magnanimo!»

Nel giro di un battito di cuore, Jack si ritrovò sul portone di casa sua, con i capelli biondi elettrizzati e bruciacchiati. Contemporaneamente, dall'altro lato dell'Atlantico, gli addetti alla sicurezza della Casa Bianca erano in preda al caos e allo sgomento: un uomo era apparso dal nulla nello Studio Ovale e nessuno era in grado di spiegare come fosse entrato. Sotto gli occhi esterrefatti del Presidente, lo sconosciuto iniziò a parlare...

***

Eris trovò Atena intenta a lucidare la sua lancia sulla scalinata del palazzo reale. In qualsiasi altro giorno avrebbe ignorato sua sorella, oppure l'avrebbe scelta come oggetto di qualche inganno volto a seminare zizzania: era sempre un piacere, per lei, vedere una dea così composta e precisina come Atena perdere le staffe.
Invece ripiegò le ali nere contro la schiena e si sedette accanto a lei, in silenzio.
Condividevano lo stesso padre, ma anche fisicamente c'erano poche somiglianze tra di loro: Eris aveva un aspetto ferino, canini pronunciati e l'espressione fosca; Atena aveva gli stessi riccioli bruni e i penetranti occhi azzurri di Zeus e teneva le labbra carnose sempre imbronciate in una smorfia altera, così che era difficile capire cosa stesse davvero provando.

«Non era mai stato via così a lungo» mormorò la dea della discordia.

Dopo qualche istante lo stridio dell'affilatrice contro la punta della lancia si interruppe.
«Cosa sono due settimane in confronto a migliaia di anni?» le fece notare l'altra, la voce venata da una gentilezza che non le era abituale. Eris la scrutò di sottecchi: anche se non lo dava a vedere, sua sorella era preoccupata quanto lei.

«L'ha detto anche la mamma, quando Ares gliel'ha chiesto, e non era affatto contenta – pensa che stia dando la caccia a qualche mortale e per dispetto si è scolata tutte le sue migliori bottiglie d'ambrosia!»

«Oh, ci manca solo che Era riprenda a bere come ai vecchi tempi!» borbottò Atena. «Perché non l'hai dissuasa? Lo sai che poi si infuria e sfoga la sua gelosia sulle umane!»

Per la prima volta da quando il padre era disceso tra i mortali, le labbra di Eris si distesero in un sorriso:
«Appunto! È divertente!»

Atena socchiuse gli occhi – un gesto che preannunciava l'arrivo di una ramanzina – ma non ebbe il tempo di parlare: accompagnato da fulmini e tuoni, Zeus si materializzò davanti a loro in tutta la sua sfolgorante gloria.
Quando la luce divina si fu attenuata, però, le due dee rimasero interdette, perché il Dio indossava degli indumenti che nessuna delle due mai visto prima: un paio di lunghe e strette braghe di un materiale sconosciuto, una camicia chiusa da strane pietruzze piatte e rotonde disposte in una fila regolare e, al posto del mantello, una... Cosa aperta sul petto, corta fino alla vita e dotata di lunghe maniche.

«Padre? Che vi è successo?» balbettò Atena.

Zeus sorrise, ravvivandosi i folti capelli, un poco più corti e accuratamente pettinati all'indietro; anche la barba era stata sfoltita e accorciata con maestria.

«Cambio di look, mia cara figliola, una mossa necessaria per il successo del mio progetto. Dopotutto, io sono il viso del mio brand e devo rispecchiarne i valori: modernità, eccezionalità e gusto divino. Vi piace il completo? E l'orologio? Come dice Paul, se non hai un Patek Philippe non sei nessuno!»

«Chi accidenti è Paul?» borbottò Eris.

«E di quale progetto state parlando?» le fece eco Atena, preoccupata.

«Paul è il mio personal shopper, l'ho assunto tre giorni fa. E quanto al mio progetto...»

Zeus si voltò e allargò le braccia per abbracciare virtualmente l'intero villaggio olimpico che si estendeva ai piedi del suo palazzo, illuminato dalla solita luce dorata e perfetta:
«Questo. Questo è il mio progetto, ma in scala molto più grande: siamo divinità, no? Pensate a cosa potremmo ottenere esportando l'olimpicità in tutto il mondo, immaginate quanti servizi potremmo offrire! E quanto pagherebbero gli umani per averli! Ah, ma dobbiamo sbrigarci, siamo fuori dal giro da un bel pezzo e i mortali hanno fatto progressi inimmaginabili: dovremo lavorare sodo per tornare a essere competitivi sul mercato internazionale...»

Cosa accadrebbe se gli dèi dell'antichità fossero reali e un bel giorno decidessero di scendere di nuovo sulla Terra?

Come premessa non è molto originale, lo so, ma mi divertiva l'idea di immaginare in quanti modi un progetto del genere potesse andare storto e quindi eccoci qui, con il primo libro della serie Gods Awakening 😂

Per semplicità ho scelto le versioni che vedevano gli dèi più o meno tutti imparentati tra di loro (quindi lasciando perdere, ad esempio, la nascita di Afrodite dalle acque o il fatto che Eros sia in realtà una divinità a sé stante e non il figlio della dea dell'amore). In questo senso Atena ed Eris sono sorellastre perché la prima è nata da Zeus e Meti (beh, più o meno...) e la seconda da Zeus ed Era insieme ad Ares — sì, nella mia testa questi due sono gemelli e li vedrete presto all'opera 😍🤩😂

Il Necromanteion era un altro sito di culto non lontano da Dodona, usato sin dall'antichità come luogo per evocare i morti. Dodona era, invece, il santuario principale e più antico dedicato a Zeus, ma in esso trovavano spazio anche un tempio dedicato a Dione (altra moglie/amante di Zeus, madre di Afrodite) e uno dedicato alla madre terra (Rea, che è anche madre in senso stretto di Zeus 😝).

Spero che questo primo assaggio delle follie divine vi piaccia!

Enjoy ❤️

  Crilu

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