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The consuler

"È una presa in giro?!" Esclamò Anna shockata.
"No, signorina Cuthbert." Rispose passivamente la segretaria.
"Io non lo faccio! Non ne ho bisogno." Si impose la rossa.
"Lei deve farlo, non ha scelta. Non si può opporre. La consulente ha detto di voler parlare con tutti gli alunni difficili della scuola." Replicò la donna.
"Alunna difficile? Sono la prima della classe!" Esclamò la ragazza.
"Ma la sua situazione famigliare è complessa. Anche il signor Blythe è stato obbligato ad andare dalla consulente." Spiegò la donna.
"Gilbert? Ma non ha senso! Se volessimo il vostro aiuto, se ne avessimo bisogno, ve lo chiederemmo!" Si lamentò la rossa.
"Questo comportamento infantile è inutile, signorina Cuthbert, ora vada a lezione." Ordinò la donna, obbligando Anna ad uscire.

Anna si trovava davanti alla porta con la targhetta che indicava l'ufficio della psicologa scolastica.

Questa idea ancora non le piaceva, ma era obbligata, anche perché la signora Butler la controllava a vista affinché entrasse.

Allo scattare delle tre, la rossa bussò, sentendo poi la voce della donna che la invitava ad entrare.
"Salve, dottoressa Robinson, sono Anna Shirley-Cuthbert." Disse la ragazza entrando nell'anonimo ufficio.
"Ciao Anna, chiamami Lucy. È un piacere conoscerti. Appena saremo al completo, potremo iniziare." Le sorrise la donna.
"Al completo?" Ripetè la rossa accigliata, mentre il rumore di battiti sulla porta si propagò nella stanza.
"Avanti!" Esclamò la donna.
La porta fu aperta da una figura famigliare: un bel ragazzo dal fisico asciutto, i capelli corvini scompigliati e gli occhi castani.
"Blythe?" Domandò Anna confusa.
"SC?" Ricambiò lui con la stessa espressione.
"Accomodati, Gilbert. Ora vi spiego tutto: visto che Anna opponeva tanta resistenza e ho capito sarebbe stato difficile persuaderla, ho pensato che una persona di cui si fidava e che le era più vicina, avrebbe aiutato. Invece, lei serve a te per essere più sincero.
Vi ho osservato molto e solo quando siete insieme vi lasciate andare, quindi vi ho accoppiato." Spiegò la donna.
"Io non parlerò dei miei ipotetici problemi ne davanti a lei ne davanti a lui." Asserì Anna.
"Concordo." Disse il ragazzo.
"Vedete? Fate già fronte comune. Da chi volete iniziare?" Domandò la donna, con uno strano sorrisetto in viso.
I due scattarono immediatamente la mano, puntandosi vicendevolmente il dito.
"Andiamo ragazzi! Devo usare la moneta?" Chiese la dottoressa.
"Va Bene. Inizio io." Sbuffò Gilbert, cercando di essere accondiscendente poiché consapevole che per Anna il dolore era un tabù.
"Bene. Come va la scuola?" Chiese la donna, con un sorriso.
"Non mi lamento, ho bei voti e gioco nella squadra di basket. Ammetto che devo dedicarci molte ore, ma Bash e Mary mi danno una mano a casa, quindi va bene." Disse il ragazzo.
"Perché tutte quelle ore?" Domandò la dottoressa.
"Anna. Sono anni che ci sfidiamo a chi è il migliore e ogni volta alza l'asticella, quindi devo ricambiarle il favore." Rispose lui, con un ghigno in viso, che comparve anche alla rossa.
"Perché non smetti con questa competizione, se ti crea problemi?" Chiese Lucy.
"Cosa?! No! Non può! È la nostra cosa! Anche io studio il triplo, ma non mi importa! Uno dovrà vincere, prima o poi!" Scattò la rossa, come se la dottoressa avesse appena bestemmiato.
"Anna è una persona difficile, il nostro rapporto si basa sulla competizione a scuola: è una costante che si perpetua, a volte è giocosa, altre è pura rivalità, ma è l'unico modo che conosco per comunicare con lei." Spiegò il ragazzo.
"Quando ci sfidiamo miglioriamo noi stessi, ci sproniamo a dare il massimo! Sono disposta a dargli ripetizioni o aiutarlo a studiare, se necessario, ma la nostra rivalità scolastica non finirà!" Si impuntò la ragazza.
"Anna, tu ci tieni molto, forse più di Gilbert. Perché?" Chiese la donna.
"Mi stimola, mi fa venire voglia di studiare e migliorare. Poi adoro competere e non sento di studiare per i professori o per il dovere scolastico. Imparo per me, imparo per sfidare lui. Mi da la carica." Spiegò la ragazza, agitandosi ed entusiasmandosi.
"Capisco...e invece com'era quando lui se ne è andato? Ho letto che hai fatto un anno all'estero." Disse la dottoressa, rivolgendosi alla ragazza, che si calmò immediatamente.
"Beh, era diverso. Non dovevo più sforzarmi e avevo molto tempo libero.
Mi annoiavo, a essere sincera.
Ma lui ha fatto bene a partire, era giusto. Ha colto l'opportunità e ha conosciuto Bash! Doveva provare, se lo meritava dopo la morte di suo padre..." Disse la ragazza, facendo sorridere tristemente il ricciolo.
"Anna, ti è mancato?" Chiese la donna.
"Che c'entra?" Domandò la rossa.
"Lui ti è mancato? Com'era non vederlo? Com'era saperlo lontano per così tanti mesi? Com'era senza uno dei tuoi amici? Senza un tuo punto di riferimento?" Insistette la dottoressa, facendo accigliare la ragazza e confondendo lui.
"N-non era niente...lui aveva fatto la scelta giusta..." Disse Anna a disagio, stringendo la presa sui braccioli della sedia.
"Anna, com'è stato quando Cole si è trasferito? È come con Gilbert?" Continuò la donna.
"Cole aveva bisogno di andare via...lui stava male...Gilbert sarebbe tornato, comunque." Replicò la ragazza, iniziando ad avere il respiro corto.
"Come sarebbe se Diana se ne andasse?" Chiese la dottoressa.
"N-no! O-ora basta! Non è divertente! La smetta! Diana non se ne andrà!" Alzò la voce Anna, colta da un'onda di ansia.
"Anna, non puoi fare la richiesta alla Toronto university se non impari a gestire l'abbandono." Disse cautamente la dottoressa.
"Ora la smetta! Qui nessuno ha abbandonato nessuno." Intervenne Gilbert, alzandosi e parandosi davanti alla rossa.
"Stai bene? Sapevo che era una pessima idea, ma non fino a questo punto..." Chiese il ragazzo in tono dispiaciuto, avvicinandosi a lei e sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Lei prese un profondo respiro e annuì, con l'accenno di un sorriso.
"Perché solo lei?" Chiese la dottoressa alle sue spalle.
"Cosa?" Domandò Gilbert confuso, girandosi.
"Con tutti i tuoi compagni hai una parvenza di distacco, come se fossero poco più che conoscenti...ma non Anna e Charlie. Con loro sei attento, confidente, paziente, buono e intimo. Perché?" Si spiegò la donna.
"Non le riguarda e non tratto i miei amici come conoscenti." Replicò lui sulla difensiva.
"Sono giorni che osservo voi studenti. Perché Anna e Charlie?" Insistette lei.
"Charlie è come un fratello e Anna è Anna. Comunque non tratto Moody, Diana, Ruby, Jane, Tilly, Jack, Henry e Lorenze come conoscenti, sono miei amici, il mio gruppo." Disse il ragazzo.
"Josie Pye e Billy Andrews? Non sono nel vostro stesso gruppo anche loro?" Chiese la donna, istigando delle smorfie sui volti dei due.
"Quei due ne hanno combinate abbastanza da non essere catalogabili come amici." Rispose freddamente la rossa.
"Concordo. Arroganza e pregiudizi non sono una buona combinazione." Affermò Gilbert.
"Voi due siete molto maturi per la vostra età, il faldone che riguarda Anna è particolarmente pesante, eppure siete ancora bambini-" Esordì la donna, interrotta da una Anna Shirley Curhbert furiosa.
"Lei cosa ne sa?! Eh? Solo perché ha letto il mio stupido faldone pensa di conoscermi? Vorrei vedere come è stata la sua cazzo di vita! Non ha idea di cosa ho dovuto sopportare o di cosa ha sopportato Gilbert! Smetta di farci domande senza sapere nulla e ci lasci andare!" Sbraitò, alzandosi in piedi e vendendo subito trattenuta dal braccio del ragazzo.
"Anna, calmati, va tutto bene...ora prendiamo le nostre cose e andiamo a berci un te, ok?" Propose lui.
"Si...però non mi calmo. Pff! Gestire l'abbandono...so benissimo come si fa." Borbottò la ragazza, raccogliendo le sue cose, come se la donna non fosse lì.
"Vi aspetto qui settimana prossima..." Mormorò la dottoressa, ancora allibita, mentre i due uscivano.

Li aveva sottovalutati.

"Quella megera...chi si crede di essere?" Sbottò la rossa, sedendosi malamente al tavolo della caffetteria.
"Una laurea non rende intelligenti. L'hai vista: è giovane. Imparerà che ci sono cose che deve prendere piano e che obbligare qualcuno a parlare fa solo peggio." Rispose tranquillamente Gilbert.
"Se mi avesse fatto un'altra domanda le avrei dato un pugno..." Borbottò lei.
"Sei sempre così violenta." Ridacchiò il ricciolo, guadagnandosi un'occhiataccia.
"Ok, non sei dell'umore giusto. Ti prendo un tea?" Propose lui, cercando di rabbonirla.
"Si, poi vado a casa. Ho bisogno di dormire e devo anche finire quella ricerca di biologia." Disse la ragazza, rilassandosi.
"Io l'ho fatta ieri notte." Ridacchiò lui.
"Io sono rimasta sveglia a leggere le cronache di Spoon River per la tesina." Ricambiò lei, consapevole di averlo battuto.
Lui sbuffò e si alzò, diretto verso il distributore di acqua calda.
Riempì due bicchieri di carta con l'acqua, mise il tea ai frutti di bosco e quello inglese, prese due bustine di zucchero e tornò dall'amica.
"Uh! Hai indovinato il mio gusto preferito! Grazie!" Esclamò contenta, prendendo il bicchiere caldo tra le mani.
"Intuito." Mentì lui, che conosceva benissimo i gusti dell'amata.
"Credi che la dottoressa possa aver ragione? Però penso che lo saprei se avessi problemi con l'abbandono..." riflettè la rossa ad alta voce, dopo una discreta pausa silenziosa.
"Non lo so, è normale che ci sei restata male quando Cole si è trasferito, ma non hai fatto scenate o avuto chissà quali problemi. Sembri solo un po' giù." Disse lui.
"E se non lo sapessi? Se avessi represso tutto? Diana dice che a volte maschero la mia apatia con la teatralità...e lei è la mia migliore amica, mi conosce meglio di tutti!" Esclamò la rossa.
"Io credo che nessuno ti conosca, ma che tutti ti capiscano a pezzettini, riuscendo a captare solo un frammento di te. C'è chi nota il tuo lato insicuro, chi nota il disagio in gruppo, chi nota la creatività, chi la passione, chi la nostalgia, chi il dramma.
Nessuno ti conosce, Anna. Almeno non per intero." Rivelò lui, facendo sgranare gli occhi della ragazza per un secondo.
"Ora mi sento uno schifo...grazie Gilbert." Borbottò lei attonita.
"Eddai, non è così grave. Sei complessa e io la trovo una cosa intrigante. Mi chiedo quanti anni servirebbero per conoscerti. Sarebbe come leggere la Bibbia in latino." Replicò lui.
"Conosci il latino?" Chiese lei divertita.
"No, il che renderebbe tutto più complicato." Affermò lui.
"Perché quella donna non può semplicemente sbagliarsi come ha fatto con te?" Sbuffò la ragazza.
"Magari anche con me non ha tutti i torti, solo che non me ne accorgo. In effetti è vero che mi confido solo con Bash e Charlie, che sono come dei fratelli, ormai." Riflettè ad alta voce lui.
"E io chi sarei? La tua sorellina?" Domandò lei ridacchiando, ma provocando un moto di disgusto in Gilbert.
"Cosa? No! Assolutamente no!" Esclamò lui.

Anna sua sorella?! Mai nella vita!
Lui voleva baciarla, abbracciarla, dormire con lei, stare insieme a lei e fantasticare su di lei quando sarebbero usciti e lei avrebbe messo il vestito azzurro che indossava al compleanno di Diana.

"Che reazione...calmati ragazzo... era solo una battuta: di certo non ti vedo come Jerry." Disse lei.
"E come mi vedi, Anna Shirley-Cuthbert?" Chiese lui con un sorriso beffardo.
"Inclassificabile. Cole è il mio migliore amico, Jerry è mio fratello, Charlie e Moody sono miei amici e poi ci sei tu." Spiegò lei, deludendolo parecchio.
"Beh, sono sempre stato un fuoriclasse." Ironizzò lui, facendole ruotare gli occhi, pur con l'accenno di un sorriso.
"E modesto...ma parlando di cose serie, che facciamo con la Robinson?" Domandò la rossa.
"Secondo me dovremmo essere sinceri e spiattellarle la verità in faccia: lei non può curare i nostri mali, ne capirci...ma deve imparare che non tutti i ragazzini a scuola hanno gli stessi problemucci da adolescenti." Suggerì il corvino.
"Che intendi?" Chiese lei preoccupata.
"Dirle piccole cose, particolari fuori dal comune che significano tanto.
Non le diremo il nostro dolore o cosa abbiamo sopportato, ma cosa abbiamo imparato." Spiegò lui.
"Non sembra così male...faremmo un po' di volontariato per la società! Però lei non deve fare domande o interromperci. Mi fido del tuo piano, ma mi sembra superfluo aggiungere che ogni cosa detta rimarrà sepolta in quella stanza." Accetto Anna.
"Non potrei essere più d'accordo." Sorrise il ricciolo, prendendo un altro sorso di tea.

La settimana dopo Anna e Gilbert si incontrarono davanti alla porta, mostrando espressioni preoccupate che cercavano di incoraggiarsi a vicenda.

La rossa prese un profondo respiro e bussò, venendo subito invitata a entrare.
Gilbert, galante come sempre, le aprì la porta e lei si accomodò sul divanetto alla parete, lontana dalla dottoressa.
Lui la imitò e guardarono la donna un silenzio.
"Ciao ragazzi. Come state dopo la scorsa settimana?" Chiese lei.
"Oggi lei ci ascolterà, senza proferire parola o annotare qualsiasi cosa. Vogliamo insegnarle quello che non sembra aver capito: non tutti qui sono semplici adolescenti. Lo prenda come un'atto di volontariato per il futuro." Esordì Gilbert, parlando per entrambi.
"Ho imparato a pulire una casa e fare il tea a sei anni, a sette facevo la lavatrice e a otto cambiavo pannolini.
Compiuti i dieci anni già cucinavo, pulivo, curavo dei neonati, avevo imparato a prendere il pullman da sola e a nascondere un libro, come a nascondere un livido.
A undici anni ho tenuto la coda per mesi e mesi, per nascondere i capelli strappati.
A dodici anni sono tornata in orfanotrofio e ho preso una polmonite per il troppo tempo passato nel seminterrato.
A tredici anni sono svenuta per la mancanza di sonno e il dottore voleva mandarmi in una clinica per anoressici, ma ero orfana.
A quattordici sono andata alla mia prima gita, ho imparato a nuotare, mi hanno curata per un raffreddore e sono andata al cinema.
A quindici ho fatto il primo pigiama party, ho festeggiato il mio compleanno, ho provato a pattinare e mi hanno regalato un cellulare.
A sedici avevo abbastanza vestiti da cambiarmi tutti in giorni per due settimane consecutive e ho imparato a guidare.
A diciassette ho imparato ad andare in bicicletta e ho avuto un computer nuovo per essere stata la prima della classe.
I suoi occhi mi compatiscono per la vita che ho avuto e ora lei vuole aiutarmi, ma perché adesso tutti vogliono aiutarmi? Perché vogliono educarmi? Perché vogliono prendersi cura di me?
Perché ora che non ne ho bisogno?
Non cerchi di capirmi, di scavare nel mio passato o di alleviare le mie sofferenze di tanto tempo fa, perché il mio è un male incurabile che alloggia in un corpo logorato dall'infanzia.
Non ho un cuore sano e ne sono consapevole, ma non significa che prendo male l'abbandono o che lei possa aggiustarmi.
Horace Thomas lo diceva sempre: nessuno ama una brutta bambina con i capelli rossi e sinceramente non mi aspetto che qualcuno lo faccia, ma mia sorella Eliza mi ha insegnato che l'affetto basta a vivere una vita piacevole come quella che ho qui." Raccontò la ragazza, mentre pian piano Gilbert intrecciava le loro mani per infonderle coraggio.
Quando fu il turno del corvino, fu Anna a guardarlo con l'accenno di un sorriso stanco e stringere più forte la sua presa.
"Sono nato podalico, causando delle complicanze nel parto di mia madre.
I miei fratelli e mio padre non mi hanno mai fatto pesare la morte di mia madre, ne fatta una colpa.
Eravamo in quattro.
A sette anni solo tre persone vivevano a casa nostra e io conobbi il significato della parola lutto.
A dieci anni in casa eravamo in due e imparai a pulire, cucinare il minimo indispensabile e prendere il pullman da solo.
A tredici ricominciai a frequentare la chiesa perché Dio mi aveva mandato un segno inequivocabile della sua esistenza.
A quattordici presi la patente della moto, imparai la strada per l'ospedale e imparai a pagare le bollette.
A sedici imparai il significato di emancipazione anticipata e ho conosciuto me stesso in un'altro paese.
A diciassette ho imparato a guidare un auto, con chi essere forte e che non ci si può difendere se non si sta bene.
Sa perché tengo ad Anna? Lei mi ricorda ogni giorno che il mondo è bello e che c'è qualcosa in cui sperare. Lei ha fede nella vita, nelle persone e nella bontà, vedendo la bellezza di un pianeta pieno di individui orribili che mi fanno venire voglia di lasciare tutto. Io voglio la fede che ha Anna, ma l'ho persa tempo fa e mi sembra che lei sia l'ultimo contatto ad essa.
La tratto diversamente? Probabile, ma perché lei se lo merita davvero. Si merita molto più di tutti gli altri qui.
Ci sono poche persone come lei al mondo e vederne anche solo una soffrire mi fa impazzire, perché significa che gli altri non hanno ancora imparato nulla da loro.
Non la faccia arrabbiare, non la deluda, non la ferisca o mi metterò in mezzo, anche se non c'è bisogno." Disse lui, facendo scaldare il petto di Anna e provocandole in groppo in gola.

Davvero pensava cose così belle su di lei? Come aveva potuto trattarlo in quel modo per così tanti anni? Lui non ha mai cercato di scavalcarla o di irritarla, ne l'aveva mai ritenuta inferiore in un qualsiasi modo...lui la voleva proteggere nel modo più dolce e sincero che potesse esserci.

La donna annuì piano, mantenendo il religioso silenzio che le avevano imposto i due.
Non li aveva semplicemente sottovalutati, non li aveva mai minimamente capiti.

Loro erano adulti e si sostenevano silenziosamente come solo poche persone sapevano fare.

Soli e insieme in un tacito accordo stipulato dalle loro anime bisognose dell'ancora che avrebbero potuto essere l'uno per l'altra.

Gilbert si alzò, tenendo ancora la mano di Anna e la incitò a seguirlo fuori.
La ragazza gli sorrise, sistemandosi lo zaino in spalla.
Fecero dei veloci cenni alla dottoressa e andarono fuori, ancora insieme, fino al parcheggio ormai vuoto.

"Vuoi un passaggio? I pullman di Avonlea lasciano molto a desiderare." Propose il ragazzo.
Anna si fermò, facendo arrestare anche la camminata di Gilbert.
Lui si voltò, guardandola confuso e avvicinandosi per capire cosa non andasse, mentre lei lo osservava inespressiva, con solo gli occhi lucidi.
"Ehy, che c'è?" Chiese lui piano.
La rossa continuò a non rispondere e porto la mano libera sulla guancia del giovane, prima di alzarsi sulle punte dei piedi e far sfiorare le loro labbra.
Dopo un paio di carezze caute, il ricciolo di sporse definitivamente, dando inizio al bacio che aveva bramato per cinque anni, mentre la sua mano si spostò sul fianco di lei e senza accorgersene si abbracciarono.
"Ho sbagliato tutto, scusa." Mormorò la ragazza quando si staccarono un po' per respirare.
"Non mi è mai importato..." Sussurrò lui.
"Un giorno potresti...amarmi?" Domandò lei spaventata, chiudendo gli occhi per non incontrare i suoi castani.
"Lo faccio da così tatto tempo che non ricordo quando ho iniziato." Rispose lui ridacchiando piano, prima di baciarla di nuovo.

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