Take care of me
Avviso: sono 3250 parole, se non volete sorbirvi questo papiro, non c'è problema. Stavolta ho un po' esagerato, per di più potrebbe toccare la sensibilità di qualcuno, ho deciso di scoprire lati oscuri della vita di Anna prima di Avonlea.
Anna entrò in classe con lo sguardo basso e le labbra increspate con forza.
Fece un paio di passi, prima di alzare lo sguardo e vedere il banco vuoto.
Rilassò i muscoli della bocca, corrugando quelli della fronte.
Fino a quel martedì, Gilbert Blythe era venuto a scuola con il raffreddore, ma poi iniziarono le assenze, per tre giorni.
Nessuno era andato a trovarlo e non avevano notizie.
"Avrà da fare in fattoria, non ha chi lo aiuta." Aveva ipotizzato Diana, senza convincerla.
"È eccezionale, di sicuro sta bene!" Diceva con aria sognante l'ingenua Ruby.
"Anna." La richiamò la signorina Stacy, notando che l'attenzione dedicata al libro era piuttosto esigua.
"Si?" Chiese lei.
"Potresti avvicinarti un momento? Voi andate avanti a leggere. Prego Ruby." La incitò dolcemente.
Anna si alzò e diresse alla cattedra, cercando di fare meno rumore possibile.
"Ho notato che il signor Blythe è assente da qualche giorno. Considerando i suoi desideri lavorativi credo sia opportuno che non resti troppo indietro. Potresti scrivere una lista degli argomenti affrontati? Prima di andare ti consegnerò il materiale di cui necessita, così gli potrai portare tutto." Disse la donna.
"Non credo sia opportuno...penso che dovrebbe scegliere qualcuno a cui Gilbert sia più affine." Replicò la ragazza.
"Lo so, ma potrebbe avere qualche domanda e voi siete i miei alunni più diligenti. Per un dialogo accademico sei la scelta migliore." Rispose la donna, facendo l'occhiolino alla ragazza.
Una volta congedata, Anna tornò al suo posto e prese carta e penna per stilare una lista del lavoro svolto.
Annotò accuratamente tutti gli argomenti, sfruttando il suo preciso quaderno degli appunti e aggiungendo qualche particolare se necessario.
In breve finì il suo compito e lo ripose nel quaderno, per poi riprendere il libro di testo.
"Quindi oggi andrai da Gilbert?" Chiese Diana emozionata.
"Solo a scopo puramente accademico...ma state tranquille: vi riporterò le sue condizioni." Le rassicurò.
"Oh, povero Gilbert...starà così male.." piagnucolò Ruby.
"Non stare in pena, Ruby. Bash e Mary si prendono cura di lui. Probabilmente sta meglio di noi tre messe insieme: quell'uomo cucina divinamente." Ridacchiò la rossa.
"Però non è abituato ai malori che può causare la vita sull'isola..." Replicò Diana.
"Andiamo ragazze, è Gilbert, gli avrà già fatto una lista o una lezione su come comportarsi con una febbre invernale e poi Mary non è così sprovveduta." Si oppose Anna.
Loro annuirono incerte e le tre conclusero il pranzo, dividendosi il pandolce ai fichi di Anna, la crostatina di Ruby e i biscotti di Diana.
Quel pomeriggio Anna si fece consegnare una pila di libri dalla signorina Stacy e si incamminò verso la fattoria dei Blythe.
Il tratto di strada da compiere passava per il bosco e lei rimase incantata nel guardarsi attorno, notando le immense capacità artistiche di Dio.
Lui doveva avere un'immaginazione invidiabile, infinita, tanto da poter pensare e creare qualcosa la cui bellezza estasiava i cuori delle sue creature.
Era necessaria un'immaginazione sublime per inventare una storia come quella del mondo, in un luogo bellissimo, con infiniti eroi e infiniti antagonisti, per un equilibrio perfetto e precario, sempre sul punto di evolversi con incredibili colpi di scena.
Come aveva, poi, immaginato l'amore? Come poteva aver immaginato un sentimento così forte e magico da poter cambiare le persone, scaldare i cuori e spingere gli individui a compiere gli atti più nobili, rischiando lacrime e vite.
Ogni pensiero sembrava incatenarsi e accompagnarla fino alla destinazione.
A pensarci bene, come aveva inventato qualcosa di tanto affascinante quanto la mente.
Tanto complessa da diventare incomprensibile perfino per lo stesso proprietario.
Alla fine, impegnata com'era a rimuginare, aveva raggiunto la fattoria e si era seduta ai piedi di un albero per riflettere meglio su come Dio avesse immaginato tutto il mondo e la favola umana, o sul perché avesse dato anche all'umanità l'immaginazione, la qualità che li distingueva dagli altri animali.
Che li avesse usati come mediatori per modellare la sua creazione nel tempo? Per avere qualcosa di interessante da leggere nel tempo libero? O per deliziarsi con l'arte?
Sarebbe potuto essere visto come un mecenate, pagante in fantasia e abilità?
E se così fosse, aveva forse qualche aspettativa su Anna, considerato quanta fantasia le avesse donato.
Al termine del suo soliloquio ebbe i brividi, pensando a un'ipotesi che avrebbe implicato un destino intrecciato a un piano esorbitantemente più grande di lei.
Posò gli occhi abbattuti sulla pila di libri, accarezzandone la copertina e quando si riscosse ricordò la richiesta della professoressa e la salute di Gilbert.
Si affrettò ad alzarsi e corse verso la porta della casa, iniziando a bussare ritmicamente.
Dopo un lungo lasso di tempo, fu proprio il ricciolo ad aprirle, guardandola con aria sorpresa ed esausta.
"Gilbert! Stai uno schifo!" Esclamò lei, davvero sorpresa e accigliata.
Era incredibilmente pallido, con orribili occhiaie violacee, le labbra lacerate dal freddo e bianche.
Sembrava più magro del solito e faticava a stare in piedi.
Perfino i capelli sembravano essersi ammosciati.
"Anna, che ci fai qui?" Chiese con voce nasale, stupito di vederla lì.
"Ti ho portato i libri. Dov'è Bash? E Mary? Il fuoco è acceso?" Chiese lei, non sentendo tepore dall'interno della casa.
"Bash e Mary sono a Charlottetown per una settimana, cercano di vendere la casa di Mary.
Mi sono ammalato dopo che sono partiti e non ho voluto scomodarli. Grazie per i libri." Rispose con la voce affaticata, come se non riuscisse a respirare.
"Sei un vero sconsiderato!" Sbuffò la rossa alterata, superandolo ed entrando in casa.
"Che stai facendo?" Chiese lui.
"Controllo che non muori per un raffreddore. Va a sdraiarti. Ravvivo il fuoco e ti cucino qualcosa. Sembri denutrito. E guardando questa casa direi che darò anche una sistemata.
Non ti affaticare, dopo ti preparo un po' di vapore per quel naso chiuso. Sempre che tu non abbia già finito i fazzoletti. Forza, vai di sopra, devo accompagnarti?" Ordinò la ragazza, perdendo la dolcezza a cui lui era abituato.
Non l'aveva mai vista con questa determinazione, come se fosse una madre a cui hanno disubbidito, ma che lavora in attesa di poter arrabbiarsi.
"Non c'è bisogno che resti, so cavarmela da solo. Non voglio disturbarti." Disse lui.
Lei scoppiò a ridere, come se avesse sentito la migliore delle battute.
"Sei uno straccio. Hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Forza, sali, non obbligarmi a trattarti come uno dei piccoli Hammond." Replicò lei, appendendo i vestiti e dirigendosi in cucina.
"Non sono un bambino, ho vissuto praticamente da solo per anni." Sbuffò lui.
"Si sono visti i risultati...a quanto pare non sei ancora pronto. Se potevo gestire otto bambini, credi davvero che non possa gestire un ragazzo testardo con la febbre?" Lo sfidò lei.
Lui ingaggiò una gara di sguardi con lei per qualche secondo, poi si arrese, ammettendo la stanchezza.
Sospirò e iniziò a salire le scale tossendo.
Anna uscì di casa e andò a prendere la legna tagliata sul retro, sbrigandosi a ravvivare il fuoco, così che si infondesse più tepore nella casa.
Passò poi al riordinare la cucina, piena di piatti mezzi lavati e fazzoletti usati, che mise a mollo con acqua calda e una scaglia di sapone.
Preparò velocemente una zuppa di verdure e un panno con l'acqua fredda.
Salì le scale portando un vassoio con l'acqua, un po' del pane avanzatole a pranzo e la zuppa.
"Gilbert?" Lo chiamò per capire in che stanza andare.
Lui fece un verso che sarebbe dovuto essere un "si" malriuscito.
Entrò nella camera, che sembrava essere chiusa da una settimana per la puzza che c'era dentro.
"Appena guarirai, prometti di lavarti e lavare integralmente la stanza." Si lamentò, poggiando il vassoio sulla sedia di legno accanto al letto in cui lui era sdraiato.
"Certo, mamma." Borbottò lui girandosi verso di lei con un sorrisetto beffardo.
"Almeno significa che stai guarendo." Alzò gli occhi al cielo lei.
"Non ho fame." Disse lui, guardando la zuppa.
"Però mangerai." Replicò Anna.
"Sto bene, mi fa solo un po' male la testa."obbiettò lui.
Lei si sporse e gli baciò la fronte, che scottava.
"Hai la febbre, e anche molta." Asserì seria, mettendogli il panno fresco dove lo aveva baciato poco prima, lasciandolo senza parole.
Anna, troppo assorta dal suo ruolo momentaneo, non fece caso a quello che aveva appena fatto.
Quando si prendeva cura di qualcuno chiudeva le emozioni in un cassetto e si induriva.
Le veniva in mente la sua vecchia vita, che la rendeva inespressiva, a tratti apatica.
Gilbert se ne accorse subito, sembrava non essere più lei.
Era distante, calma e determinata. Si muoveva con destrezza, senza lasciare trapelare pensieri o emozioni dal suo viso, che di solito era un libro aperto.
Come se non fosse abbastanza, continuava a guardare furtivamente la porta, come sull'attenti.
"Tutto bene?" Le chiese, mentre lei gli porgeva il piatto con la zuppa.
Lei fece un sorriso tirato, come a volerlo tranquillizzare.
"Certo, ora mangia, prima che si freddi...va tutto a meraviglia, ok?" Disse incoraggiante.
Lui annì incerto, prendendo un bel respiro e iniziando a mangiare la buonissima zuppa mentre lei usciva.
Camminò lungo il corridoio con un groppo in gola, ricordando i giorni dagli Hammond.
I gemelli si ammalarono di raffreddore, durante l'inverno molto rigido.
La signora Hammond le aveva ordinato di occuparsene personalmente, perché non poteva sopportare i figli lagnanti.
Una sera stava prendendosi cura dei piccoli, che russavano e tossicchiavano nel sonno.
Sentì la porta sbattere e dei passi pesanti nel corridoio, finché anche quella della stanza non si spalancò, facendo vedere la figura goffa, grossa è grottesca del signor Hammond, che portava con se una folata di vento dall'odore pungente di alcol.
"Cos'è tutto questo casino? Falli smettere! Non riesco a dormire." Si lamentò, pur essendo appena arrivato.
Uno dei bambini, Kyle, si svegliò, spaventato dai toni del padre e strinse debolmente la mano di Anna, ancora stretta alla sua.
"Ha-hanno la febbre...ci vorranno un po' di giorni perché guariscano totalmente e smettano di far rumore la notte." Disse la rossa sommessamente.
L'uomo emise un verso bestiale, molto simile a un ringhio e si avvicinò a lei, prendendola per il viso e stringendola fino a farle male.
"Avresti dovuto tenerli d'occhio meglio. Sei troppo stupida anche per curare dei bambini. Sei stupida per qualsiasi cosa, ringrazia mia moglie o saresti già per strada. Non dovresti nemmeno essere viva." Sibilò buttandole addosso il suo alito fastidiosamente alcolico, prima di darle uno schiaffo così forte da lasciarle il segno della mano e farla sbattere contro il muro.
Rimase rannicchiata a terra, mentre lui le diede un ultimo, violento e potente calcio, come se fosse una carcassa di animale.
Soddisfatto di essersi sfogato, riuscì dalla stanza e Anna si alzò per andare dal bambino che la guardava spaventato.
Gli fece un debole sorriso, non volendo mostrare il suo dolore e lo rassicurò, ripetendo che sarebbe andato tutto bene, anche se le lacrime avevano iniziato a solcarle il viso.
Ripresa dal ricordo doloroso, si asciugò la guancia bagnata da una lacrima silenziosa e iniziò a far bollire l'acqua sul fuoco, per preparare un po' di vapore a Gilbert, così che liberasse il naso.
Mentre l'acqua si scaldava, lavò i piatti, lì sistemò e riordinò la cucina, che riversava in uno stato piuttosto pietoso.
Ravvivò il fuoco e iniziò a esaminare i vestiti abbandonati sul divano.
Profumavano, ma erano spiegazziati, quindi probabilmente non li avevano sistemati dopo averli stesi.
Iniziò a piegare il piegabile e accantonò i vestiti da stirare.
Quando l'acqua stava finalmente bollendo, ci mise il sale grosso e iniziò a cercare qualche olio lenitivo o erba medicinale, senza successo.
Non volendo rinunciare alle speranze, corse al piano superiore ed entrò piano nella camera del ragazzo, che aveva abbandonato il piatto vuoto sul vassoio e si era sdraiato.
"Ehi, Gilbert, dormi?" Chiese lei piano.
"No, mi porti un libro?" Domandò a sua volta.
"Certo...tu hai qualcosa tipo erbe medicinali per il vapore?" Tentò speranzosa.
"Di sotto c'è una borsa scura con JB, la uso quando vado dal dottore a Charlottetown. Ci dovrebbe essere un po' di camomilla." Rivelò, facendola sospirare sollevata.
Corse al piano inferiore e trovò la camomilla essiccata, che non esitò a mettere nell'acqua.
Intanto prese i libri scolastici e glieli portò in camera.
"Grazie" Mormorò lui, alzandosi in settone un po' a fatica.
"Figurati, tra poco ti chiamo per il vapore...dopo ti sentirai molto meglio." Gli sorrise.
"Non era necessario che lo facessi...che ti preoccupassi tanto per me..." disse lei, aumentando la presa sul libro.
"Lo era, invece...è stata una mia scelta e mi annoio senza qualcuno da battere..." Replicò lei, mostrandogli un sorriso meno tirato degli altri.
In quella situazione si sentiva rigida, impegnata a cacciare i ricordi in un angolo, ma sollevata che non glielo avesse ordinato nessuno...e che nessuno avrebbe spalancato la porta per ferirla.
Era stata una scelta libera, compiuta da lei.
Dopo quella veloce considerazione, uscì dalla stanza e andò a preparare un panno e dei fazzoletti, mentre il vapore diventava pronto.
"Gilbert! Scendi! Ce la fai?" Urlò dal fondo delle scale.
"Si!" Rispose a fatica, con un leggero mal di testa per lo sforzo di aver urlato.
Lei lo attese in cucina, dove arrivò arrancando leggermente.
Anna gli sorrise e scostò la sedia dal tavolo per farlo accomodare.
"L'hai già fatto prima?" Chiese per sicurezza.
"Si, una volta. Anche se mia sorelle dovette farlo quasi tutto un inverno quando prese il raffreddore." Raccontò lui.
"La capisco... quando mi rifugiavo nel seminterrato mi veniva sempre il raffreddore...dovevo sgattaiolare in cucina di notte per curarmi un po'." Ridacchiò la ragazza, ricordando la paura e l'adrenalina di quei momenti.
"Perché andavi nel seminterrato se faceva freddo?" Le chiese lui alla sprovvista.
Anna rimase interdetta, non sapendo se rispondere o meno.
Alla fine si riscosse, guardò in basso e mentre lo aiutava a togliersi il maglione pesante, ammise un po' titubante la verità.
"Per leggere: era più...tranquillo." Raccontò cercando di trovare la parola più adatta.
"Non sarebbe stato meglio in biblioteca?" Suggerì divertito.
"Non si può uscire dall'orfanotrofio...a meno che non ti adottino o comprino." Rispose.
"Comprino?" Ripetè interdetto.
"Beh, non è proprio una compravendita, ma una delle altre ragazze lo chiamava così...diceva che eravamo delle bamboline in vendita." Spiegò la rossa.
"È davvero così?" Domandò interdetto.
"No, lavoriamo per non stare all'orfanitrofio. Poi dipende dalla fortuna, i signori Hammond non erano il peggio che si potesse trovare." Disse Anna.
"A che ti riferisci?" Chiese.
"Te lo dico se ti sporgi sulla pentola." Gli sorrise Anna, mentre prendeva in mano il grande panno per coprirlo.
Gilbert eseguì subito e iniziò a respirare il vapore curativo.
"A volte la vita è infame...troppo se nessuno ti protegge. C'era un'altra ragazza orfana nella nostra strada, a volte curavamo i figli delle nostre famiglie insieme.
All'inizio ridevamo, ma col tempo il nostro entusiasmo diminuì. Nel giro di un anno lei non era più la stessa: iniziò a chiedermi perché resistevo agli Hammond, perché continuassi a non dare ascolto alle loro parole, perché non ci abbandonassimo al dolore...al che io le rispondevo che il mondo era troppo bello per lasciarlo...che un giorno sarebbe successo qualcosa di bellissimo e saremmo state bene, che sarebbe stato come una bella storia. Tutte le storie avevano un lieto fine, tranne la sua.
Smise di parlare. Quando eravamo lì da tre anni, qualche mese prima che il signor Hammond morisse, lei venne da me esausta, consumata, in lacrime.
Mi disse che non ne poteva più...l'uomo della casa in cui viveva aveva smesso da due anni di picchiarla, iniziando a ferirla di più. La notte apriva la porta ed entrava...Iniziava a togliersi i pantaloni e per quanto lei si dimenasse, per quando urlasse...nessuno la salvava.
Versò tutte le sue lacrime sul mio vestito e qualche giorno dopo la trovarono in un prato fiorito con un coltello nello stomaco. Credo di averla influenzata un po'...quando mi chiedeva come avrei voluto morire le rispondevo in qualche scenario romantico, bellissimo, come un campo, o una scogliera. Le ho raccontato io la storia di Romeo e Giulietta, me l'aveva raccontata una ragazza più grande all'orfanotrofio quando ero una bambina." Raccontai, fissando la finestra infondo alla stanza.
Gilbert alzò la testa, attirando la mia attenzione.
Mi guardava sbigottito, come se fossi un'aliena, con le labbra serrate in una linea drittissima.
"Almeno è finito in prigione quel mostro?" Chiese cercando di trattenersi.
"No, non finiscono mai in prigione, non per gli orfani. Non ci difende nessuno: siamo soli in un mondo bellissimo, a cui possiamo dare qualcosa, ma senza dimenticarci che lui non restituirà favori." Sospirò lei, concludendo con un sorriso.
"Non è giusto, dovrebbero morire quelli come lui!" Sbottò lui, battendo fortissimo la mano contro il tavolo.
"Gilbert! Calmati! Lei non tornerà in vita e..." le parole le morirono in gola, accorgendosi che stava per rivelare anche di se stessa.
Lui la guardò ancora più sorpreso e arrabbiato.
"E cosa?" Chiese cercando di rimanere calmo per non spaventarla.
"E comunque non dimenticherebbe, starebbe solo male, rivivendo all'infinito quelle notti e col timore che qualcuno entri dalla porta, inoltre non potrebbe sposarsi e affrontare l'intimità con suo marito....era già morta dal dolore." Ammise lei, con voce ferma e sguardo fisso.
Lui sembrò stupito, non riusciva a credere a quello che ascoltavano le sue orecchie.
"Tu hai paura?" Chiese cauto.
"No." Rispose secca lei.
Gilbert avrebbe voluto urlare e arrabbiarsi col mondo intero, distruggerlo spietatamente.
Aveva visto negli occhi di Anna che stesse mentendo e lui era inutile, inerme di fronte a ciò.
"Devi rifare altri minuti sulla pentola." Interruppe lei, perfettamente tranquilla.
"Come fai? Come riesci a rimanere così pacata? Qualcuno ti ha ferita! Vi ha ferite! E nessuno è intervenuto! A me sale una rabbia folle, mentre te non fai altro che dirmi di curarmi." Domandò a denti stretti, con la mascella serrata.
"Se stai male non puoi difenderti, quindi mi prendo cura di te. Studierai e diventerai un uomo straordinario, che insegnerà ai suoi figli come essere straordinari quanto te. Non posso difenderti, ma posso fare in modo che tu riesca a farlo da solo. Per questo sono qui, credo sia il mio ruolo nel mondo, prendermi cura degli alti e proteggerli quel tanto perché imparino a farlo da soli." Spiegò lei, alzandosi e poggiando le mani sulle spalle di Gilbert.
Diede poca importanza al sudore e l'umidità che aveva addosso, iniziando ad accarezzargli la mascella, che si rilassò.
Il ricciolo raggiunse una nuova consapevolezza su Anna: se stai male non puoi difenderti, per questo era sempre felice e in un mondo tutto suo, era la sua arma di difesa.
Questo pensiero, mischiato alla delicatezza del tocco di lei lo fecero innamorare di nuovo, con più forza e intensità.
Allungò il braccio tirandola verso di se, fino ad averla davanti agli occhi, per baciarle la guancia.
"Puoi stare qui anche domani? Ti va di prenderti cura di me?" Domandò.
Anna sorrise e si allontanò.
Lui ricominciò a respirare il vapore e soffiarsi il naso.
Passò il resto del pomeriggio a leggere un libro e quando lei finì di rispondere alle sue domande sulle lezioni e preparargli qualcosa di caldo per cena, uscì di casa, promettendo di passare anche il giorno seguente.
Non sapeva perché avesse raccontato tanto al ragazzo...forse a causa del fatto che fosse diventato orfano, forse per il senso di fiducia che non riusciva a non provare per Gilbert.
Troppo affascinante quel ragazzo per poter capire i propri pensieri in sua presenza.
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