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Jane's words

Gilbert era partito, di nuovo.

La tranquillità che scuoteva la scuola in sua assenza era come uno di quei silenzi piatti e vuoti.

Già, il ricciolo lasciava il vuoto, come una macchia di inchiostro sul foglio in cui è dipinto il mondo agli occhi di Anna.

Non che tutta la classe fosse apatica al senso di noia che si propagava senza la frizzante tensione tra la rossa e il moro.

Quanta monotonia quando i due non stuzzicavano vicevolmente la vivacità delle loro anime.

Ma il giovane aveva avuto l'opportunità incredibile di seguire il medico di Charlottetown in alcuni viaggi e incontri di lavoro...non poteva certo sottrarsi alla possibilità di vedere personalmente la facoltà di medicina.
Anna stessa ne sarebbe rimasta delusa se lo avesse fatto, malgrado detestasse voltarsi verso il lato maschile della classe e non vedere il sorriso gentile di Cole o gli occhi indagatori di Gilbert.

Quanta nostalgia le si insinuava nel cuore durante quelle mattine, ma cercava di non pensare al suo pericoloso e irresponsabile amore, quello che aveva elargito già fin troppo, quello che avrebbe significato consegnare una parte del suo cuore che era ancora intatta e che aveva troppa paura perché fosse messa a rischio.

La teoria di Diana sul cuore di Anna era ormai sicurezza nella sua mente.

Vi aveva riflettuto fin troppo per non esserne sicura ed era l'unica a poter affrontare ogni ragionevole dubbio senza essere sconfitta come un cavaliere negligente.

Anna non poteva non amare Gilbert in un modo diverso da quello in cui amava i suoi amici o la sua famiglia. Lui, invece, se ne era innamorato presto, forse subito, inoltre aveva avuto abbastanza esperienza con quel sentimento per sapere che reprimerlo fa soffrire e che è meglio goderselo,rischiando ogni lacrima.
Lui si permetteva di osservarla, con quella curiosità impertinente e il sorriso intenerito.
Così maledettamente penetrante e assorto.
Troppo affascinante ed innamorato per potergli resistere, a meno che non si decida di nascondere il proprio cuore in una fortezza, piena di guardie e demoni, in un angolo sconosciuto della propria anima.
Chissà se Anna sapeva dove si trovasse il suo cuore, chissà come resistesse a qualcosa di talmente forte.

Gilbert Blythe sapeva che quando chiese ad Anna se aveva draghi da combattere uno c'era, solo non si aspettava che il drago fosse la sua paura radicata e profonda, qualcosa più grande di entrambi, così presente e forte nella vita di lei da non lasciarla pensare liberamente, come se fosse stata incatenata da se stessa, da ogni ricordo negativo.
A volte si chiedeva se ci sarebbe riuscito, a liberarla, a conquistare il suo cuore, ma altre volte i suoi pensieri ricadevano sulla possibilità che fosse troppo fragile per l'amore, che avrebbe potuto consumarla e romperla, senza che lui potesse rimettere insieme i pezzi.

Com'era possibile desiderare l'amore e poi non accettare i sentimenti che si provano, pur avendo già trovato quello vero?

Gilbert avrebbe voluto avere il consiglio di qualcuno, di un saggio, oppure conoscere abbastanza bene i libri da poter citare un autore, come faceva la rossa nei momenti di difficoltà.
Lei avrebbe ripercorso tutte le sue amate letture, incise nella sua memoria, e avrebbe trovato il passaggio perfetto per quella situazione, magari facendosi anche venire qualche idea geniale.

Avrebbe voluto essere brillante come lei, che era capace di essere la sua stessa luce anche nei momenti più oscuri.

Eppure da quando era giunta ad Avonlea aveva imparato a trovare la luce negli altri, lasciando trapelare la fragilità che aveva accantonato negli anni.
Forse era questa la ragione per la quale le loro parole sembravano più efficaci di quelle udite nell'orfanotrofio.

Non essere sola l'aveva messa in condizione di contare sugli altri per non soffrire.

Eppure il moltiplicarsi dei giorni di assenza del giovane la facevano stare male, non potendo non domandarsi se sarebbe scappato di nuovo da Avonlea, come aveva fatto alla morte di suo padre.
Lei, al tempo, lo aveva appoggiato e capito, ma non sapeva se questa volta lo avrebbe fatto.
Non giungevano notizie o lettere, facendo trattenere il fiato alla classe ogni mattina, giorno dopo giorno.

Ma lui non apriva la porta, mai.
Non si sedeva al suo banco, mai.
Non corrucciava il viso leggendo un libro, mai.

Perfino l'insegnante iniziava a preoccuparsi, trattenendo a stento una smorfia ogni qualvolta si voltava verso il banco di Gilbert.

L'apice del l'attesa fu toccato dopo un mese dalla sua partenza senza ritorno.

Quella mattina la signorina Stacy porse una fatidica domanda a tutti gli alunni:"qualcuno di voi ha notizie del signor Blythe?"
Il silenzio scese tetro sulla classe angosciata.
Per quanto ne sapessero, lui poteva anche essere morto o malato, perfino partito per l'Europa senza garanzie di ritorno.

Anna non ci poteva, anzi, non ci voleva credere: partire e tornare, per poi abbandonare tutto un'altra volta.
Avrebbe voluto urlargli contro, dargli uno schiaffo e poi non parlarci per il resto della sua vita.
Un mese senza notizie...era davvero troppo, perfino per un ottuso come Gilbert Blythe.

Ma nonostante la rabbia speranzosa della ragazza dai capelli rossi, l'attesa si prolungò di un ulteriore settimana.

Anna entrò il lunedì mattina, con lo sguardo basso e le labbra serrate.
Mise le sue cose sul banco e prendendo nuovamente tutto il suo coraggio alzò gli occhi sul lato dei ragazzi, senza vedere il sorriso di Cole o gli occhi di Gilbert.
Deglutì rumorosamente e si voltò verso uno dei libri presi da casa, in attesa che Diana e Ruby arrivassero a scuola.
A ogni cigolio della porta lei si voltava in cerca delle sue amiche, fino a che riuscì a captare il sorriso entusiasta di Diana e lo spostamento aureo dei capelli di Ruby.
Salutò le due e si sedettero accanto e davanti lei, così che avessero potuto parlare dei dettagli per la ricostruzione del club di scrittura fantastica.
Qualche attimo dopo, però, il vociare della classe si spense velocemente, mentre tutti si voltarono alle mie spalle.
Nella foga della curiosità Anna li imitò e vide anche lei il soggetto delle loro attenzioni.
Era un ragazzo alto, dal fisico asciutto calzato sa abiti larghi e pesanti. Aveva la pelle abbastanza pallida, qualche leggerissima lentiggine, i tratti virili addolciti dal suo carattere quasi sempre positivo.
Iridi e capelli erano scuri, i secondi arricciolati e aggrovigliati giocosamente, sempre in disordine.
Guardava la ragazza con le labbra sottili stese in un sorriso e il viso corrugato in un espressione attenta.
Il suo solito sguardo innamorato, così affascinante da far sciogliere i cuori delle ragazze come il ghiaccio in primavera.
Gilbert era tornato, prepotentemente a sorpresa, lasciando che tutti espirassero quel sollievo che avevano tanto tenuto in sospeso.
"Ciao ragazzi..."Disse a voce alta, perlustrando la classe con lo sguardo.

Ad Anna salì nuovamente un'ira incontrollabile.
Cinque settimane! Cinque che sarebbero dovute essere una! Senza notizie! Senza garanzie!
Tutta quella logorante preoccupazione...e lui si era limitato a dire "ciao ragazzi."

Anna strinse denti e pugni, girandosi per dedicarsi alla lezione che sarebbe iniziata di lì a poco, mentre tutti gli studenti si affrettavano a salutare il ricciolo.

La giornata scolastica fu più lenta del solito, tra la rabbia per il ragazzo, i suoi continui sguardi e i tentativi di avvicinarsi a lei.
Ma era troppo arrabbiata, davvero troppo.
Poteva essere morto, ammalato, derubato, rapito...qualsiasi cosa.

Anna era così esausta per quella giornata che scappò dalla classe appena suonò l'ultima campanella.
Salutò a stento i compagni prima di correre verso Green Gables, passando per il solito bosco.

"Anna!" Una voce la chiamò durante la sua maratona, ma riconoscendola aveva preferito ignorarla e andare più veloce che avesse potuto; eppure la voce si fece sempre più vicina.
"Carotina! Ti prego! Rallenta!" Supplicò infine, afferrandole il polso.
Lei si voltò lentamente e severamente, con un'espressione di assoluta rabbia e delusione in volto.
"Non chiamarmi, non parlarmi, non guardarmi! Doveva essere una settimana! Una! Sei sparito per cinque settimane! Senza neanche degnarti di mandare una lettera!" Sfuriò lei, decorando il tutto con un sonoro schiaffo sul suo viso.
"Anna..." Sussurrò lui.
"Non puoi fare così! Non saremo la tua famiglia, ma abbiamo il diritto di sapere se sei morto! Cinque settimane, Gilbert! Hai la minima idea della preoccupazione che avevamo? Hai idea di quante volte ho dovuto mentire a Ruby dicendole che ero sicura che stessi bene, che saresti tornato, che avevi solo poco tempo libero? Quante volte ho spergiurato che fossi felice per placare le sue lacrime! Come hai potuto? Come hai potuto non mandarci niente?! Pensi che non siamo già abbastanza preoccupati per Cole? Ogni mattina mi mancava il respiro a non vedervi nei vostri banchi! Vi sembro forse un indovina? Vi sembra forse che io possa vedere attraverso lo spazio e il tempo per sapere se preoccuparmi o no?" Urlò con tutta la sua rabbia, mentre le lacrime iniziavano a rigarle il viso e la gola le bruciava.
"Sono mortificato..." Mormorò con lo sguardo basso.
"Pensavo che ci avessi abbandonato, come ha fatto lui..." Ammise con una voce tanto disgustata che faceva fatica a credere fosse sua.
"Non era quella l'intenzione, ma siamo stati chiamati per prenderci cura di un gruppo di soldati appena rimpatriati. Era un occasione unica...ho scritto a Bash che l'esperienza si sarebbe prolungata, ma lui è abituato a compagni che fanno lunghi viaggi per lavoro, non si è preoccupato più di tanto, non per un mese..." Spiegò il ragazzo.
"Giustificati con la classe, non con me." Replicò voltandosi e continuando a camminare, stavolta autorevole e calma, non agitata e infuriata.
Le lacrime ancora le rigavano il viso silenziosamente, ma il mondo sembrava ovattato dai suoi sentimenti.

Il giorno seguente Gilbert tornò in classe e parlò con tutti eccetto Anna, che non si curava di nascondere la sua rabbia per allontanarlo.
Nessuno l'aveva mai vista così e il ricciolo non si sarebbe mai immaginato una reazione del genere: era talmente preoccupata e spaventata da arrabbiarsi.
Lei si sentiva accecata da quella rabbia, che bloccava la sua voglia di abbracciarlo e controllare personalmente che stesse bene.

Quando la signora Stacy entrò in classe, anch'ella sollevata dal ritorno del giovane, le lezioni cominciarono, così Anna prese il suo libro di testo.
Fu sorpresa quando lo aprì, trovandovi dentro una lettera.
Era indirizzata a lei, da parte di Gilbert.
Si voltò verso di lui, che la guardava speranzoso, senza la parvenza di un sorriso, solo con l'attesa della sua reazione all'oggetto.
La rossa ripose la lettera tra le sue cose, decidendo che l'avrebbe letta in un secondo momento e ignorando la voglia di strapparla davanti agli occhi di lui.
Grazie alla bravura della signorina Stacy le lezioni passarono relativamente veloci, malgrado ogni volta che Gilbert e Anna rispondevano contemporaneamente e correttamente a una domanda lei doveva trattenere le lacrime o ignorare le strette al cuore.

Arrivata l'ora di pranzo, Anna decise di allontanarsi un po' dalla scuola con la lettera, sedendosi su un tronco all'inizio del boschetto.

Cara Anna,
Non se sia corretto scriverti, ma volevo raccontarti come sta procedendo la mia esperienza, nella fede che tu apprezzerai le vicende che si sono svolte qui.
Il dottore è sempre molto gentile con me e ha una pazienza infinita anche quando sbaglio.
Dovresti conoscerlo, racconta sempre moltissime storie interessanti che ti incanterebbero.
Ha vissuto molto e curato ferite o malattie di tutti i generi!
Appena giunti in città ci siamo presi cura di una nobildonna proveniente dalla Francia, sposata con un generale dell'esercito.
La donna ha superato la sua malattia egregiamente, dopo solo qualche giorno di pomate e medicine.
Notando, quindi, la bravura del dottore, il sergente ci ha proposto di andare ad aiutare i medici di un'ospedale militare a qualche ora da lì.
Così eccomi qui, in questa specie di caserma.
Dal mio arrivo sto vedendo ferite di ogni genere: da taglio, colpi di piastola, amputazioni...perfino il morso di un serpente.
Mi è stato anche possibile vedere gli orribili effetti della guerra su alcuni soldati: la paranoia, il bisogno di alcool, il mutismo e i deliri.
Questo non te lo meriteresti di vederlo.
A volte mi chiedo come vadano le cose a casa, vorrei che mi scrivessi anche tu una lettera, ma non sapresti dove spedirla, ovviamente.
Mi mancate molto, mi mancano la scuola ed Avonlea.
Spero di tornare presto, anche al dottore manca Charlottetown.
Al mio ritorno ti racconterò tutto con più dettagli.
Con affetto,
Gilbert Blythe.

La lettera era datata il lunedì di due settimane prima e anche se sarebbe potuta essere un falso, Anna dovette cercare di trattenere le lacrime.
"L'ho scritta una sera dopo uno dei miei turni, ma sarebbe stato poco opportuno mandartela. Lì se si inviava una lettera a una ragazza si sottintendeva un fidanzamento e volevo evitare pettegolezzi.
Mi spiace non avervi scritto e provocato un mese di preoccupazione, la prossima volta non mi curerò del vociare degli sconosciuti e terrò informata sia te che la signorina Stacy." Disse la voce del ricciolo, mostrandosi sul sentiero.
"Anche solo la signorina Stacy va bene, basta che non sparisci come hai fatto recentemente. Non dovrebbe essere troppo impegnativo." Replicò lei, ancora dura.
Lui tirò un sospiro, notando la persistente presenza del rancore di Anna.
Non pensava di averla fatta infuriare così tanto.
"Lo sai, in quella città c'era una libreria enorme, con molti libri provenienti dall'Europa.
Ci ho comprato molti testi sui farmaci, l'anatomia e la medicina in generale...molto istruttivi, ma sono stato attratto anche dal reparto romanzi e ho trovato qualcosa che credo apprezzeresti molto" raccontò lui, porgendole un libro molti spesso e dalla copertina semplice, ma elegante.
"Orgoglio o pregiudizio, di Jane Austen...è enorme, ti sarà costato una fortuna!" Esclamò lei.
"Non molto e poi l'ho già letto: lo adorerai" Replicò lui, mentendo sul costo del libro, che effettivamente era stato dispendioso come uno dei suoi libri di medicina.
Anna lo prese tra le mani e ne accarezzò la copertina.
"È un tentativo per corrompere la mia rabbia?" Chiese.
"No, la lettera è per corrompere la tua rabbia, il libro è perché mi andava di prenderlo." Ribatté lui.
"Sei un idiota." Asserì lei, poggiando il libro e alzandosi per abbracciare il ragazzo.
Lui la strinse a se e si sentì a casa, come quando era un bambino e i suoi fratelli si prendevano cura di lui.
"Stai bene? Hai contratto qualche malattia? Il viaggio era faticoso? Hai dormito abbastanza?" Domandò Anna, ancora stretta a lui, senza potersi trattenere.
"Si, no, no e si. Va tutto bene." Rispose lui, sciogliendo il contatto e sorridendole.
"Non dirlo con quell'aria annoiata, ero preoccupata sul serio." Sbuffò lei, facendolo ridere, mentre recuperava il libro e glielo consegnava per tornare a scuola insieme alla ragazza.

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