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Don't cry

Avviso: ritorno alla tristezza infinita.♥️


Anna si toccò la guancia e poi guardò l'acqua salata sulle dita, come se quelle non fossero le sue lacrime.

Era appena uscita dalla segreteria e aveva iniziato a singhiozzare e piangere in silenzio senza ragione.

Nell'altra mano teneva il modulo per l'iscrizione al corso pre-universitario, volendo fare richiesta alla facoltà di letteratura nell'università di Charlottetown.

Ancora confusa dal suo stesso comportamento e il profondo malore nel petto, si diresse in bagno, cercando di fermarsi senza successo.

Cosa era successo?

Era entrata, aveva chiesto il modulo, aveva sentito l'impiegata parlare al telefono con Bash per inoltrare la richiesta di Gilbert alla Toronto University e poi aveva preso il suo modulo.

Perché stava così male? Perché si sentiva come se il cuore le si fosse spezzato di nuovo? Perché quel dolore?
Non riusciva a comprendere il suo stesso corpo, le sue stesse emozioni.

A volte avrebbe voluto avere un manuale per sapere come interpretare i suoi stessi comportamenti.

Lasciò che le lacrime scivolassero implacabili sulle sue guance costellate di lentiggini, mentre il trucco si scioglieva penosamente.

Forse era lo stress, come capita a Ruby prima dei test finali.

"Anna! Sei qui?" Chiese la melodiosa voce di Diana, entrando nel bagno.
"Si..." Mormorò l'amica, sperando che la corvina non sentisse il dolore che provava.
"Oddio! Che è successo? Stai bene?!" Scattò preoccupata l'altra, precipitandosi alla sua porta.
"No...ma non so perché..." Ammise la rossa tra i singhiozzi.
"In che senso non lo sai?" Domandò confusa la ragazza.
"Non lo so! Sento questo struggente, lancinante, estenuante dolore che mi riempie gli occhi di lacrime e mi scalda il petto per la rabbia, ma non so a cosa sia dovuto." Raccontò Anna.
"Oddio...hai saputo di Gilbert? So che avremmo dovuto dirtelo subito, ma lui non era ancora sicuro e non volevamo farti soffrire per niente..." Cercò di scusarsi Diana, mortificata.
"Gilbert?! Che c'entra lui? Se ne sta per andare!" Replicò lei, piangendo di più.
"Appunto...lui se ne andrà." Ripetè la corvina in un sussurro, dispiaciuta per il dolore inconsapevole della migliore amica.
"Oh! Diana! Che mi succede?" La supplicò Anna in un tono così disperato che l'altra raggelò, sentendola crollare a terra contro la porta.
"Mi spiace...mi spiace così tanto..." continuò a mormorare la corvina, inerme.

La rossa si prese la testa tra le mani, rovinando le trecce alla francese, mentre continuava a singhiozzare inconsolabile, sentendosi sole come poche volte le era successo.

Si sentiva come quando la signora Hammond l'aveva portata all'orfanotrofio, che non la voleva perché sovraffollato.

Si sentiva come quando uno dei suoi genitori affidatari le assestava uno schiaffo o peggio.

Si sentiva come quando gli altri bambini la isolavano o bullizzavano.

Si sentiva inesorabilmente sola, non amabile, impotente e indesiderata.

Il dolore era così profondo che non percepiva più ciò che accadeva intorno a lei, quindi non si rese conto che Diana se ne era andata e tantomeno che fosse tornata con Gilbert, nella speranza che potesse consolarla.

"Anna!" La chiamò, bloccando i suoi singhiozzi.

La rossa fece fatica a credere che fosse veramente la sua voce e non sapeva se dopo aver saputo della sua presenza stava meglio o peggio.
Sentiva solo le lacrime sgorgare silenziose.

"Anna, ti prego, aprici...possiamo aiutarti...possiamo parlare e capire che è successo." Cercò di invitarla lui cautamente.

Ma lei era bloccata, con gli occhi fissi sulla porta di quel grigio triste, mentre tutto il colpo le faceva male.

"Anna, per favore, aprimi." Ripeté lui vanamente.

"Anna! Scusa, ma ti prego, apri! Mi stai spaventando!" La supplicò Diana.

La rossa si asciugò più che poté le lacrime e aprì piano la porta del bagno, lasciando che i due la vedessero la sua afflizione.

"Cristo, mi dispiace tantissimo..." Mormorò lui, inginocchiandosi al suo fianco e accarezzandole il viso.

Lei lo osservò con la stessa espressione di un randagio bastonato, rotta nell'anima, mentre lui pensava a come rimettere insieme i pezzi della ragazza che amava.

"Chi è stato? Come è successo?" Domandò Gilbert, con voce tremante.

In quel momento era in pena per lei, ma appena avrebbe varcato la soglia della porta sapeva che sarebbe stato capace di uccidere qualcuno.

Lei non emise alcun suono, facendo vagare lo sguardo fino a Diana e poi il pavimento.

Era debole, esausta e sentiva solo una grande apatia, una vecchia voragine nel petto riaprirsi e che stavolta non sapeva se sarebbe stata in grado di riempirla con qualcosa di diverso dalla sofferenza.

La sua storia ferita provocata dall'abbandono era stata riaperta come il funesto vaso di Pandora.

"Anna, dì qualcosa..." Sussurrò il ricciolo, stringendola al suo petto, ma lei non era più capace di parlare, ne di opporsi.

"Abbiamo distrutto Anna..." Esalò Diana, mentre le lacrime rigavano anche il suo viso.
"No, lei è forte, si rialzerà! La conosciamo! Che cosa le ha fatto questo?" Insistette il ricciolo.

La corvina non aveva il coraggio di parlare, ma quando la mano della migliore amica strinse un lembo della maglietta di lui, non ce ne fu più bisogno.

Tutta la sua attenzione tornò a focalizzarsi su di lei, che teneva una mano davanti alla bocca e l'altra catturava il tessuto grigio in un pugno stretto.

Quando l'aveva stretta, era stata travolta nuovamente dalla gioia e dal dolore.

Aveva capito perché stava così: sarebbe stata lasciata, ancora e da lui.

La consapevolezza la trafisse lancinante e alleviò sue pene contemporaneamente.

Non poteva perderlo, non di nuovo, non definitivamente, non dopo Cole.

Ma sapeva che lui si meritava di vivere la sua vita, come sapeva che andare a studiare a Toronto era la scelta giusta per il ragazzo...ma non sopportava l'idea di non averlo più attorno, di non sfidarlo più e di non vedere più il suo viso in giro.

Era giunta a un bivio: tenerselo stretto fino a che sarebbe partito o tagliare i ponti subito.

Forse, se non fosse stato lui, avrebbe atteso l'inevitabile al suo fianco, ma Anna sentiva che ogni secondo vicino a lui era un secondo in cui il suo cuore avrebbe potuto cedere e pregarlo di restare, mettendolo in una brutta situazione.

Avrebbe anche voluto abbracciarlo per Dio solo sa quanto tempo, piangendo fino a finire l'acqua in corpo, ma non poteva.

Lui l'avrebbe lasciata e lei doveva avere la forza di accettarlo e fare la cosa giusta per entrambi.

Svuotata di ogni energia o emozione, guardò un'ultima volta la sua stessa mano sulla maglietta del ricciolo, poi il suo viso preoccupato.

Di staccò dal suo corpo e si alzò tremante, ignorando il fatto che lui cercasse di aiutarla, dirigendosi verso l'esterno.

"Anna! Che fai?! Di qualcosa!" La pregò Diana.

La rossa la guardò dispiaciuta, davvero incapace di aprire bocca, ma prese le chiavi e le fece tentennare piano, continuando a camminare.

"Andiamo in infermeria, invece. Tu non stai bene." Replicò autoritario il ragazzo.

Lei avrebbe voluto sorridere e intenerirsi per la sua preoccupazione, ma lo ignorò e si disfò le trecce, guardandosi allo specchio per cercare di darsi un senso.

Coperto il viso, uscì dal bagno e si trascinò fino al suo armadietto, malgrado le proteste degli amici.

Il ricciolo, stufo e preoccupato, si parò davanti a lei, impedendole di avanzare tra i corridoi.
Non avrebbe voluto usare le maniere forti, ma lei lo stava rendendo necessario, quindi le prese la borsa, passandola alla corvina, per poter caricare di peso la rossa sulla sua spalla.

"Mettimi giù!"scattò lei di riflesso.
"Noi andiamo in infermeria." Asserì Gilbert, non ammettendo repliche e avanzando fino alla stanzetta.

Appoggiò la ragazza a terra, spingendola fino a farla sedere sul lettino, sotto lo sguardo confuso dell'infermiera scolastica.

"Che succede Gil?" Domandò la donna, riconoscendo il ragazzo che a volte le dava una mano.
"È stata male, ma non ne vuole parlare. Una specie di attacco d'ansia. Ha del succo? Servirebbe anche una dispensa per mandarla a casa." Disse il ragazzo.
"Certo, preparo la giustifica." Rispose la donna uscendo.

"Parlami" le ordinò quando rimasero soli.
"Non devi più preoccuparti per me. D'ora in poi puoi considerarmi un'estranea." Asserì la ragazza, sentendo una fitta al cuore per ogni parola pronunciata.
"Quindi ho fatto qualcosa di sbagliato...che cosa?" Domandò.
"Ignorami e io ignorerò te." Replicò la ragazza.
"Quindi vuoi ignorami per quello che ho fatto...di solito quando mi ignori ho sbagliato in buona fede...ma perché reagire così male per qualcosa che ho fatto io?" Chiese.
"Non voglio più avere a che fare con te." Dichiarò lei.
"Quindi non mi odi, ciò significa che sai che era una cosa fatta in buona fede. Posso andare avanti così anche tutto il giorno." Dedusse lui, avvertendola.
"Lasciami andare a casa." Mormorò lei stancamente.
"Non finché non mi dici perché hai pianto." Disse il ricciolo.
"Non posso, non voglio." Ammise lei.
"Vuoi davvero fare questo gioco? So benissimo che se ti lasciassi andare adesso tu riusciresti a evitare la questione in eterno. Io ho bisogno di sapere." Chiarì Gilbert, estremamente serio.
"Basta, tanto quell'eterno sarà solo sette mesi. Voglio andarmene." Replicò Anna.
"Toronto..." Sussurrò il ragazzo distendendo il viso in un'espressione consapevole e sorpresa.
"Cosa centra?" Domandò lei falsamente.
"Hai saputo che l'ho presa in considerazione, ma perché stare così male? Pensi che me ne voglia andare e non tornare mai più? Credi che ti stia abbandonando... però perché vuoi ignorarmi? Perché non arrabbiarti piuttosto? Perché volermi ignorare?" Domandò lui a raffica, mentre lei sentiva di nuovo le lacrime tentare di annebbiarle la vista.
"Smettila! Ora basta!" Esclamò lei, stringendo i pugni.
"No, Anna! Se io non capisco, non posso spiegarti e se non posso spiegarti, tu perdi la fiducia in me. Ora dimmi che ti passa per quella meravigliosa testolina, ti prego!" Replicò lui, prendendole dolcemente il viso e poggiando la fronte contro la sua.
"Non voglio soffrire e non voglio fermarti...ma so che se adesso non ti allontanassi, finirei con il chiederti di restare e rovinerei tutto. Mi spiace, ma Avonlea è la mia meta e voi avete una vita così lunga per trovare un posto in cui essere felici." Ammise lei, mentre le lacrime rigavano nuovamente il suo viso e la voce si affievoliva.
"Io tornerò sempre ad Avonlea, da Bash, da te, da Charlie e da Diana. Non ti abbandonerei mai, ok? Mai! Te lo giuro Anna. Capisco che tu non te la senta di andare così lontano da casa, ma anche se io lo farò, tornerò sempre sull'isola. Non sentirti in colpa per volermi dire di restare e non soffrire. Non ci sarò qualche mese all'anno, ma verrò qui per le vacanze e appena avrò finito l'università." Cercò di rassicurarla lui, accarezzandola.
"No...ti farai un'altra vita lì e sarà la cosa giusta...diventerà quella casa tua e noi saremo il tuo passato. Ci saluteremo quando capiterai da queste parti e poi continueremo a camminare, mentre tu cercherai di riconoscere la figura familiare che avrai appena incrociato.
Ma tu devi farlo e crescere ed essere felice, mentre io devo imparare ad accettare che non potremo restare così per sempre." Disse la ragazza cercando di non farsi interrompere dai singhiozzi.
"Non esiste realtà in cui io possa dimenticarti, Anna Shirley-Cuthbert. Non dubitarne mai e non dubitare mai di me." Affermò lui, baciandole la fronte.

Gli si spezzava il cuore a sapere che lei potesse credere il loro rapporto così debole, che non capisse quanto lui l'amasse e che non glielo potesse dire, specialmente dopo ciò che era emerso.

Anna si asciugò le lacrime e lo guardò qualche secondo, prima di slanciarsi in un abbraccio.

"Ti voglio bene, Gil." Sussurrò lei contro la sua maglietta, preoccupata che potesse sentirla.
"Te ne voglio anch'io, Carotina." Ricambiò lui intenerito e le baciò i capelli.

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