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Capitolo 2: Echi del passato


La mattina successiva arrivò troppo presto, portando con sé una pioggia sottile che rendeva l'aria pesante e appiccicosa. Yukari fissava il soffitto del suo dormitorio, ascoltando il ticchettio delle gocce contro la finestra.

La caviglia le pulsava leggermente, un promemoria della sessione extra della sera precedente. Il suo telefono vibrò sul comodino.

«Non pensare nemmeno di saltare l'allenamento,» il messaggio di Haruka era accompagnato da una serie di emoji minacciose.

«Non lo farei mai,» rispose, anche se l'idea l'aveva sfiorata.

Mentre si preparava, i ricordi dell'anno precedente si insinuarono nella sua mente come la pioggia che filtrava attraverso il tetto danneggiato della loro palestra. Il torneo nazionale, l'eccitazione, il salto, il crack.

Il silenzio assordante che era seguito.

Un tuono in lontananza la riportò al presente. Si guardò allo specchio, sistemando la divisa della Shiratorizawa. "Non oggi," si disse. "Non permetterò ai fantasmi di vincere oggi."

La mensa era insolitamente affollata per quell'ora del mattino, gli studenti che cercavano riparo dalla pioggia prima delle lezioni. Yukari individuò immediatamente il tavolo della squadra di pallavolo maschile - era difficile non notare Tendō che gesticolava animatamente mentre raccontava qualcosa.
«Oh, Saito-chan!»la sua voce risuonò attraverso la mensa quando la vide. «Stavamo giusto parlando di te!»

Shirabu, seduto di fronte a Tendō, sembrò improvvisamente molto interessato al suo riso.

Yukari esitò per un momento, il vassoio stretto tra le mani. Haruka non era ancora arrivata e tutti gli altri tavoli erano occupati. Con un sospiro rassegnato, si avvicinò al tavolo della squadra maschile.

«Siediti, siediti!» Tendō fece spazio accanto a sé, proprio di fronte a Shirabu.
«Stavo giusto raccontando della tua schiacciata di ieri sera. Quella che ha fatto quasi piangere il nostro piccolo Goshiki dall'emozione.»

«Non ho pianto!» protestò Goshiki dal fondo del tavolo, le guance rosse.

Shirabu alzò finalmente lo sguardo dal suo riso.
«Tendo-san stava esagerando ogni singolo dettaglio, come al solito.»
«Oh? Quindi non è vero che hai detto che la sua tecnica era impressionante?» Tendō sorrise maliziosamente.

«Ho detto che non era completamente sbagliata,» corresse Shirabu, il tono gelido. «C'è una differenza.»

«Una differenza enorme,» concordò Yukari, iniziando a mangiare. «Come quella tra il tuo ego e le tue effettive capacità.»

Semi, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, si strozzò con il suo tè. Tendō battè le mani deliziato.«Oh, mi piace questa dinamica! È come guardare un match di tennis, ma con insulti passivo-aggressivi invece della palla.»

Shirabu posò le bacchette con fin troppa cura. «Almeno io non cerco di compensare le mie insicurezze con l'aggressività.»

Il tavolo piombò nel silenzio. Yukari sentì il sangue gelarsi nelle vene. «Scusa?»
«Mi hai sentito.»
«Uh oh,» mormorò Tendō, gli occhi che si spostavano da uno all'altro come se stesse guardando un film particolarmente avvincente.

Prima che Yukari potesse rispondere, una voce familiare la interruppe.
«Mi sono persa qualcosa di interessante?»
Haruka si sedette accanto a lei, il suo sorriso troppo innocente per essere sincero.

«Niente di che,» rispose Yukari, senza staccare gli occhi da Shirabu. «Solo il nostro brillante alzatore che dimostra quanto sia bravo a fare supposizioni su cose che non capisce.»

«Non c'è molto da capire,» replicò lui, la voce bassa, ma tagliente. «È abbastanza evidente per chi sa osservare.»

Un altro tuono, più vicino questa volta, fece tremare le finestre della mensa. La pioggia si era intensificata, creando una colonna sonora perfetta per la tensione al tavolo.

«Sai cosa osservo io, Shirabu-kun?» intervenne Haruka, la sua voce allegra in netto contrasto con l'atmosfera tesa. «Qualcuno che passa fin troppo tempo a guardare qualcosa che sostiene di non sopportare.»

Shirabu si irrigidì impercettibilmente, mentre Tendō emise un fischio basso di apprezzamento.

«Haruka...» avvertì Yukari, ma la sua amica non aveva finito.

«No, sul serio. Ieri durante l'allenamento, ho contato. Almeno quindici volte hai "casualmente" guardato nella nostra direzione. E non stavi osservando la tecnica.»

«Stavo valutando i potenziali disturbi al nostro allenamento,» ribatté Shirabu, ma le sue orecchie avevano assunto una sfumatura rosata.

«Oh, quindi è questo che chiami "valutare"?» Yukari ritrovò la voce, un sorriso tagliente sulle labbra. «Interessante. Io lo chiamerei "essere ossessionati".»

«L'unica cosa ossessionante qui è il tuo evidente problema con l'autorità e il controllo.»

«Dice quello che deve avere l'ultima parola su tutto.»

«Dice quella che non sa accettare una critica costruttiva.»
«Ah sì, perché i tuoi commenti passivo-aggressivi sono così "costruttivi".»

Tendō si sporse verso Semi. «È come guardare uno di quei drama che piacciono tanto a mia sorella,» sussurrò, fin troppo forte.

«Tendo-san,» dissero Yukari e Shirabu all'unisono, per poi guardarsi male. Un lampo illuminò la mensa, seguito immediatamente da un tuono assordante. Le luci tremolarono per un istante.

«Oh, fantastico,» mormorò Haruka, guardando fuori dalla finestra. «Sembra che oggi saremo tutti costretti a restare molto tempo insieme nella palestra.»

«Meraviglioso,» commentò Shirabu, alzandosi. «Se volete scusarmi, ho delle lezioni da seguire. Preferisco ascoltare una conferenza di due ore sulla letteratura classica piuttosto che...» si interruppe, lanciando uno sguardo eloquente a Yukari.

«Completa la frase,» lo sfidò lei. Per un momento, sembrò che stesse per farlo. Invece, si limitò a scuotere la testa e si allontanò, lasciando il suo vassoio quasi intatto.

«Sai,» disse Tendō pensieroso, «per uno che sostiene di non essere interessato, ha appena saltato il suo pasto preferito.»

Yukari guardò il vassoio abbandonato, poi la figura di Shirabu che scompariva oltre le porte della mensa. Qualcosa nel suo stomaco si contorse, e non era per la colazione.

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Le lezioni della mattina passarono in una nebbia di formule matematiche e caratteri kanji, ma la mente di Yukari continuava a tornare alla scena della mensa. C'era qualcosa nel modo in cui Shirabu l'aveva guardata prima di andarsene - non solo irritazione, ma qualcos'altro che non riusciva a decifrare. La pioggia continuava a cadere incessante, trasformando i corridoi in un labirinto di ombrelli gocciolanti e studenti fradici. Durante il cambio dell'ora, Yukari si fermò davanti a una finestra, osservando le pozze che si formavano nel cortile.

«Non è da te essere così distratta,» la voce di Haruka la fece sussultare.

«Non sono distratta,» mentì, aprendo il libro di storia. «Sto studiando.»
«Mmh,» Haruka si appoggiò al davanzale. «È per questo che stai tenendo il libro al contrario?»

Yukari imprecò sottovoce, girando il volume. «Non è quello che pensi.»«Oh? E cosa penso esattamente?»
«Che sia turbata per quello che è successo a colazione. Non lo sono.»«Certo,» Haruka annuì solennemente. «È per questo che hai passato le ultime due ore a torturare quella povera matita.»

Yukari abbassò lo sguardo sulla sua matita, quasi consumata dalle sue dita nervose. La posò con un sospiro esasperato.
«È solo che...» si interruppe, cercando le parole giuste. «Chi si crede di essere? Prima mi critica, poi mi ignora, poi fa osservazioni sul mio infortunio come se...»

Un gruppo di studenti passò accanto a loro, costringendola ad abbassare la voce. Tra loro, Yukari riconobbe la figura familiare di Shirabu, apparentemente assorto in una conversazione con un compagno di classe. Per un istante, i loro sguardi si incrociarono attraverso il corridoio affollato. Questa volta, fu lei a distogliere lo sguardo per prima.

«Sai cosa penso?» disse Haruka, dopo che il gruppo si fu allontanato. «Penso che vi diate fastidio a vicenda perché vi riconoscete troppo l'uno nell'altra.»«Non dire assurdità.»
«Oh? Entrambi perfezionisti, entrambi con qualcosa da dimostrare, entrambi terrorizzati dall'idea di non essere abbastanza...»

«Ho lezione,» la interruppe Yukari bruscamente, raccogliendo i suoi libri. «E non sono terrorizzata da niente.»

Mentre si allontanava, sentì distintamente Haruka mormorare: «Certo, e io sono la regina del Giappone.»

Le ultime ore di lezione scivolarono via mentre il temporale infuriava fuori. Yukari osservava le gocce di pioggia scorrere sul vetro, ogni tuono un promemoria del tempo che passava inesorabile verso l'allenamento pomeridiano. Passando davanti alla classe 2-1, incontrarono Shirabu. C'era qualcosa di diverso nel suo portamento oggi - una tensione nelle spalle che tradiva il suo apparente distacco.

I loro sguardi si incrociarono per un momento, e Yukari sentì quella familiare stretta allo stomaco che non aveva niente a che fare con l'ansia pre-allenamento.

«Saito,» disse lui, la voce controllata.«Shirabu,» rispose lei, cercando di imitare la sua compostezza.

Tendō, che li osservava poco distante, per una volta sembrò percepire la delicatezza del momento e si limitò a un cenno silenzioso. Haruka sfiorò leggermente il braccio di Yukari, un gesto di supporto discreto.

Il corridoio sembrava più stretto del solito, l'aria pesante non solo per l'umidità del temporale. Yukari poteva sentire il peso degli occhi di Shirabu su di lei, lo stesso peso che aveva sentito durante l'allenamento del giorno prima. C'era qualcosa di non detto che fluttuava tra loro, qualcosa che nessuno dei due sembrava pronto ad affrontare.«Dovremmo andare,» disse infine Yukari, la voce appena sopra un sussurro. «L'allenatrice ci aspetta.»

Shirabu annuì, un movimento quasi impercettibile. Per un istante, sembrò sul punto di dire qualcosa, ma si limitò a stringere la tracolla della sua borsa e ad avviarsi verso la palestra.

La pioggia continuava a battere contro le finestre, creando una colonna sonora malinconica per il loro silenzioso tragitto verso l'allenamento.

La palestra sembrava più grande e vuota del solito quando arrivarono. L'eco della pioggia sul tetto metallico creava una risonanza quasi ipnotica, mentre le luci fluorescenti proiettavano ombre lunghe sul pavimento lucido. Yukari si diresse verso gli spogliatoi, sentendo il familiare nodo di tensione formarsi tra le scapole. Mentre si cambiava, poteva sentire le altre ragazze parlare sommessamente, le loro voci mescolate al rumore della pioggia.

«Stai bene?» chiese Haruka, osservandola mentre si allacciava le scarpe con movimenti misurati.
«Sì,» rispose automaticamente Yukari, poi si corresse: «No. Non lo so.»

Si alzò, testando il peso sulla caviglia. Il dolore era lì, sempre presente, ma gestibile. Lo sentiva da poco prima che riprendessero le lezioni a scuola, dopo aver passato le settimane precedenti ad allenarsi senza sosta.

Quando rientrarono in palestra, la squadra maschile stava già completando il riscaldamento. Shirabu era in un angolo, le mani che si muovevano in quella familiar sequenza di alzate contro il muro che Yukari aveva osservato il giorno prima. C'era qualcosa di quasi ipnotico nella precisione dei suoi movimenti, una dedizione che riconosceva fin troppo bene.

La coach Aihara radunò entrambe le squadre al centro del campo.
«Con questo tempo, dobbiamo essere particolarmente attenti ai nostri movimenti,» annunciò.
«L'umidità rende il pavimento più insidioso.»

Yukari sentì lo sguardo di Shirabu su di sé a quelle parole, ma non si voltò. Non poteva permettersi distrazioni, non oggi.

«Inizieremo con esercizi di ricezione misti,» continuò la coach. «Voglio vedere come vi adattate a stili di gioco diversi.»

Il cuore di Yukari accelerò leggermente. Esercizi misti significava lavorare con entrambe le squadre. Significava, inevitabilmente, dover interagire con Shirabu. Mentre si disponevano nelle posizioni assegnate, la pioggia aumentò d'intensità, il suo battere ritmico sul tetto come un countdown verso qualcosa di inevitabile.

L'allenamento iniziò con una tensione palpabile nell'aria. Le squadre si mescolarono, creando una coreografia involontaria di maglie bianche e viola che si muovevano sul campo come in una danza studiata. Yukari si concentrò sulla sua respirazione, cercando di ignorare la presenza di Shirabu a pochi metri da lei.

La palla viaggiava da una parte all'altra della rete, ogni ricezione un test di controllo e precisione.

«Saito, sei tu!» chiamò la coach. Il tempo sembrò rallentare mentre la palla si dirigeva verso di lei. Si mosse d'istinto, il corpo che ricordava movimenti praticati migliaia di volte.

La ricezione fu pulita, precisa, ma quando atterrò sentì una fitta familiare alla caviglia.

«Bene,» commentò la coach, «ma stai caricando troppo sul lato destro.»

Prima che potesse rispondere, la voce di Shirabu si inserì nel silenzio: «Sta compensando per evitare il dolore.»Non c'era cattiveria nel suo tono, solo una constatazione clinica che in qualche modo faceva più male di qualsiasi critica.

«Non sto compensando,» rispose Yukari, la voce tesa. «Sto adattando la mia tecnica.»

«È la stessa cosa,» disse lui, gli occhi fissi su di lei con un'intensità che la fece quasi indietreggiare. «E lo sai.»

La palestra sembrò restringersi intorno a loro. Il rumore della pioggia sul tetto si fece più forte, o forse era solo il sangue che le pulsava nelle orecchie.

«Saito, Shirabu,» intervenne la coach Aihara, «voglio vedervi lavorare insieme nella prossima rotazione. Vediamo se riuscite a trasformare questa... tensione in qualcosa di produttivo.»

Yukari sentì il respiro bloccarsi per un istante. Lavorare con Shirabu significava fidarsi delle sue alzate, significava permettergli di vedere ancora più chiaramente le sue debolezze.

La prima alzata di Shirabu arrivò perfetta, calibrata con una precisione quasi irritante. Era più bassa di quanto Yukari fosse abituata, ma in qualche modo sembrava studiata apposta per il suo salto attuale, per la sua condizione.

Colpì la palla con più forza del necessario, mandando il pallone fuori campo.

«Troppa potenza, troppo poco controllo,» commentò Shirabu, ma il suo tono era diverso dal solito - più professionale che critico.
«Concentrati sul punto di impatto invece che sulla forza.»

Yukari si morse il labbro, trattenendo una risposta tagliente. Aveva ragione, e questo la infastidiva più di qualsiasi altra cosa.

La seconda alzata arrivò, identica alla prima. Questa volta, Yukari si costrinse a concentrarsi sul timing, sul punto esatto dove la palla incontrava la sua mano. Il suono della schiacciata riecheggiò nella palestra, pulito e soddisfacente.

«Meglio,» disse semplicemente Shirabu.

Continuarono così, in un ritmo silenzioso interrotto solo dal rumore della pioggia e delle loro respirazioni. Con ogni alzata, Yukari sentiva qualcosa cambiare - non solo nella sua tecnica, ma nella dinamica tra loro.

Era come se stessero conducendo una conversazione senza parole, attraverso il linguaggio della pallavolo. Fu durante la decima alzata che successe. Nel momento del salto, la sua caviglia cedette leggermente.

Non abbastanza da farla cadere, ma sufficiente perché il suo timing si sconvolgesse. Si aspettava che la palla la superasse, invece...L'alzata di Shirabu si adattò al suo movimento, modificandosi in una frazione di secondo. La palla la raggiunse esattamente dove poteva colpirla, compensando il suo errore senza evidenziarlo.

Atterrò, il cuore che batteva forte nel petto. Si voltò verso Shirabu, trovandolo già che la guardava con un'espressione indecifrabile.

«Come hai...?» iniziò.
«Un alzatore deve essere in grado di leggere i suoi attaccanti,» rispose lui, distogliendo lo sguardo. «Anche quelli temporanei.»

C'era qualcosa di non detto in quelle parole, qualcosa che fece stringere lo stomaco di Yukari in un modo del tutto nuovo.

Il resto dell'allenamento proseguì con una tensione palpabile. Ogni alzata di Shirabu era tecnicamente perfetta, quasi irritantemente così, come se volesse dimostrare qualcosa. Yukari rispondeva con schiacciate sempre più aggressive, trasformando ogni scambio in una silenziosa battaglia di volontà.

La pioggia fuori si era trasformata in un temporale vero e proprio, i lampi illuminavano occasionalmente la palestra attraverso i lucernari. Durante una pausa, mentre tutti si dissetavano, Yukari notò Shirabu consultare degli appunti con un'espressione critica.

«È fastidioso, vero?» mormorò Haruka, comparendo al suo fianco.«Cosa?»
«Il modo in cui analizza ogni singolo movimento. Come se stesse cercando ogni possibile errore.»

Yukari strinse la bottiglia d'acqua. «È solo il suo modo di compensare.»

«Compensare cosa?»
«Il fatto che non sia un genio naturale,» rispose Yukari, con più veleno di quanto intendesse.
«Si aggrappa alla tecnica perché è tutto ciò che ha.»

Un tuono particolarmente forte fece tremare le finestre della palestra. Le luci tremolarono per un istante, poi si spensero completamente. Nel buio improvviso, illuminato solo dai lampi occasionali, Yukari sentì più che vedere il movimento di qualcuno che si avvicinava.

«Perfetto,» la voce di Shirabu era tagliente nell'oscurità.
«Immagino che questo significhi la fine dell'allenamento.»

«Preoccupato di non poter controllare ogni singolo movimento?» replicò lei.

«Preoccupato che qualcuno possa farsi male per imprudenza,» rispose lui secco. «Ma immagino che per te il rischio sia preferibile all'ammettere i propri limiti.»

Un lampo illuminò brevemente la palestra, rivelando i loro volti tesi e le mascelle serrate.

Nel buio, le voci degli allenatori cercavano di mantenere l'ordine.«Restate dove siete!» la voce della coach Aihara risuonò chiara. «Washijo-sensei, può controllare il quadro elettrico?»

«Saito,» la voce di Shirabu era ancora vicina, troppo vicina. «Spostati dal centro del campo.»

«Non ho bisogno dei tuoi...»
Un altro tuono la interruppe, seguito da un lampo che illuminò brevemente la palestra. In quel momento di luce, Yukari vide qualcosa che la irritò profondamente: l'espressione di Shirabu non era di preoccupazione, ma di fredda analisi. Come se lei fosse un problema da risolvere.

«Sempre a dover controllare tutto, vero?» disse, facendo un passo deliberato in avanti invece che indietro.«Sempre a dover dimostrare qualcosa,» replicò lui, la voce bassa, ma tagliente.

Le luci tornarono all'improvviso, abbaglianti. Yukari si rese conto di quanto fossero vicini solo quando dovette fare un passo indietro, battendo le palpebre per adattarsi alla luminosità.

«L'allenamento è finito per oggi,» annunciò Washijo-sensei, la sua figura autoritaria che non ammetteva discussioni. «Con questo tempo, non ha senso continuare.»

Mentre tutti si dirigevano verso gli spogliatoi, Yukari sentì lo sguardo di Shirabu sulla schiena. Si voltò di scatto.

«Qualche altra analisi da fare?» chiese, la voce carica di sarcasmo.
«Molte,» rispose lui, sostenendo il suo sguardo. «Ma dubito che saresti disposta ad ascoltarle.»

«Come fai ad essere così...» si interruppe, cercando la parola giusta.

«Preciso? Metodico? Realista?»

«Insopportabile.»

Un angolo della bocca di Shirabu si sollevò in quello che poteva essere un ghigno o un sorriso amaro.

«Anni di pratica. Come il tuo essere testarda fino all'autodistruzione.»
Si fissarono per un lungo momento, il rumore della pioggia che sembrava amplificare il silenzio tra loro.

«Yukari,» chiamò Haruka dalla porta degli spogliatoi. «Andiamo.»

Mentre si allontanava, Yukari sentì la voce di Shirabu, appena udibile sopra il temporale: «Domani. Stessa ora. E questa volta, cerca di non sprecare le mie alzate.»

Non si voltò, ma strinse i pugni mentre entrava nello spogliatoio. La sua voce le risuonava ancora nelle orecchie, un promemoria di tutto ciò che doveva ancora dimostrare.

Il temporale si era leggermente attenuato quando uscirono dalla palestra, ma la pioggia continuava a cadere costante. Yukari si fermò sotto la tettoia, osservando le pozzanghere che riflettevano le luci del campus.

«Non dire niente,» avvertì Haruka, che stava aprendo l'ombrello.
«Non stavo per dire niente.»
«Certo che no. Stavi solo pensando così forte che potevo quasi sentire le rotelle del tuo cervello girare.»

Yukari sospirò, aggiustandosi la borsa sulla spalla. Dall'altra parte del cortile, vide il team maschile uscire dalla palestra. Shirabu camminava leggermente in disparte, il colletto della giacca alzato contro la pioggia.

Anche da quella distanza, poteva vedere la rigidità nelle sue spalle, la stessa tensione che sentiva nelle proprie.
«Sai qual è il problema con voi due?» disse Haruka, seguendo il suo sguardo.«Non c'è nessun 'noi due'.»
«Il problema è che siete entrambi troppo bravi a vedere i difetti degli altri e troppo ciechi davanti ai vostri.»

Yukari distolse lo sguardo dalla figura che si allontanava nella pioggia. «Non è vero.»
«No?» Haruka alzò un sopracciglio. «Allora perché non riesci a smettere di pensare alle sue parole?»
«Perché sono irritanti.»
«Perché sono vere.»

Il silenzio che seguì fu interrotto solo dal battere della pioggia sull'ombrello. In lontananza, un ultimo tuono sembrava segnare la fine di quella lunga giornata.

«Andiamo,» disse finalmente Yukari, facendo un passo nella pioggia. «Domani sarà un'altra giornata intensa, e ho intenzione di dimostrare a quel presuntuoso che si sbaglia su di me.»
«Certo,» mormorò Haruka, seguendola.
«Perché questo è esattamente il punto che lui stava cercando di fare.»

Mentre camminavano verso i dormitori, Yukari ripensò alle alzate di Shirabu, a come si fossero adattate perfettamente ai suoi movimenti attuali, non a quelli che aveva prima dell'infortunio. Come se lui avesse visto non solo chi era stata, ma chi era ora. E questo, più di qualsiasi altra cosa, la faceva infuriare.

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