Capitolo 5: Crepe nel Muro
Il sole non era ancora sorto quando Yukari aprì gli occhi la mattina successiva. Non aveva bisogno della sveglia; il suo corpo sembrava aver memorizzato il nuovo ritmo, anche se ogni muscolo protestava al minimo movimento.
Si sedette sul letto, massaggiandosi delicatamente la caviglia. Ripensò al giorno precedente, a quel momento di sincronizzazione perfetta con Shirabu, a quel suo sorriso involontario. Si era ripromessa di non pensarci, eppure...
Il suo telefono vibrò.
[Numero sconosciuto]: Oggi porto io le bende.
Yukari fissò il messaggio, il cuore che accelerava leggermente. Come aveva avuto il suo numero? E perché si preoccupava delle bende?
[Yukari]: Come hai avuto il mio numero?
[Numero sconosciuto]: Coach Washijo. Ha detto che dobbiamo poter comunicare per gli allenamenti.
[Numero sconosciuto]: Non farti strane idee.
Tipico di Shirabu, pensò. Anche in un messaggio riusciva a sembrare distaccato e irritante.
Eppure, mentre si preparava per uscire, non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di lui bendato, vulnerabile, che cercava di fidarsi dei suoi lanci.
La luce bluastra dell'alba stava appena iniziando a tingere il cielo quando Yukari arrivò alla palestra. Questa volta, Shirabu era già lì, appoggiato al muro con le braccia incrociate. Due bende nere nuove di zecca nella sua mano.
«Sei in ritardo,» disse, senza alzare lo sguardo dal pavimento.
«Sono cinque minuti in anticipo,» ribatté lei, controllando l'orologio.
«Esatto. Ieri eri dieci minuti in anticipo.»
Yukari aprì la bocca per rispondere, ma si fermò. C'era qualcosa di diverso nel suo tono. Non era il solito sarcasmo tagliente. Era più... un'osservazione. Come se avesse notato la sua routine, come se l'avesse studiata.
Il silenzio fu interrotto dall'arrivo di Coach Washijo.«Bene,» disse, aprendo la porta della palestra. «Oggi cambiamo esercizio.»
Entrarono nella palestra vuota. Questa volta, oltre al carrello dei palloni, c'era anche una rete montata.
«Coach?» La voce di Shirabu tradiva una nota di incertezza.
«Oggi,» disse il coach, un luccichio negli occhi che non prometteva nulla di buono, «lavorerete sulla fiducia.»
Yukari sentì lo stomaco contrarsi. La parola "fiducia" sembrava quasi una beffa, considerando la loro storia.
«E come...» iniziò, ma si interruppe quando vide Coach Washijo prese, non due, ma una sola benda dalle mani di Shirabu.
«Uno bendato, uno no,» spiegò Coach Washijo, facendo roteare la benda tra le dita.
«Chi vede dovrà guidare l'altro con la voce. Niente contatto fisico. Solo parole.»
Yukari e Shirabu si scambiarono uno sguardo carico di apprensione. Parole. Proprio loro, che avevano usato le parole come armi fino al giorno prima.
«Saito, tu inizi bendata,» decise il coach. «Shirabu, dovrai guidarla per una serie di alzate.»
«Cosa?» esclamarono all'unisono, per poi guardarsi irritati per l'ennesima coincidenza non voluta.
«Un problema?» chiese il coach, un sopracciglio alzato.
«No, ma...» Yukari esitò. «Come dovrebbe funzionare esattamente?»
«Semplice,» rispose Coach Washijo. «Tu ti muoverai seguendo solo la voce di Shirabu. Lui dovrà descriverti dove si trova la palla, quando saltare, come colpire. Se sbagliate...»
«Cinque giri,» completarono entrambi, questa volta senza guardarsi.
Yukari prese la benda con mani leggermente tremanti. Era una cosa completamente diversa dal giorno prima. Non doveva solo fidarsi dei suoi sensi, doveva fidarsi di lui. Della sua voce. Delle sue indicazioni.
Si legò la benda sugli occhi, sentendosi improvvisamente vulnerabile. Percepì Shirabu muoversi, posizionarsi.
«Pronta?» La sua voce arrivò da qualche parte alla sua destra. Era diversa dal solito. Più bassa, più... attenta?
«No,» rispose onestamente. «Ma tanto non abbiamo scelta, vero?»
Per un momento, le sembrò di sentire un leggero sbuffo divertito da parte sua.
«Tre passi avanti,» iniziò Shirabu, la voce stranamente calma. «Poi due a destra.»
Yukari eseguì, cercando di non pensare a quanto fosse surreale questa situazione. Il pavimento sotto i suoi piedi era l'unica certezza in un mondo di buio totale.
«Stop,» la voce di Shirabu era più vicina ora.
«La palla sta arrivando. Quando dico 'ora', piega le ginocchia e salta. Non pensare, segui solo la mia voce.»
C'era qualcosa di ipnotico nel modo in cui parlava. Non era il suo solito tono sarcastico, ma qualcosa di più professionale, quasi... rassicurante?
«Ora.»
Yukari saltò, le mani protese nel vuoto. La palla le sfiorò appena le dita.
«Troppo presto,» disse Shirabu, ma non c'era critica nella sua voce. Solo analisi.
«Il tuo timing è ancora legato alla vista. Devi ascoltare il suono della palla, non anticipare.»
«È più facile dirlo che farlo,» mormorò lei.
«Lo so,» rispose lui, e c'era qualcosa nella sua voce che la fece sussultare. Comprensione?
«Di nuovo. Questa volta aspetta un battito in più.»
La palla successiva arrivò, e Yukari cercò di concentrarsi solo sulla voce di Shirabu, sul modo in cui le sue parole sembravano disegnare una mappa nell'aria.
«Ora.»
Questa volta, le sue mani trovarono la palla. Non fu un colpo perfetto, ma la sentì attraversare la rete.
«Meglio,» disse Shirabu, e per un momento, solo per un momento, le sembrò di sentire una nota di... orgoglio?
«Ancora,» disse Shirabu, e la sua voce si era spostata leggermente. «Questa volta sarà più veloce. Quattro passi a sinistra, poi segui il suono.»
Yukari si mosse, cercando di orientarsi nel buio. Era strano come la voce di Shirabu fosse diventata improvvisamente il suo punto di riferimento più stabile. La stessa voce che due giorni prima l'aveva ferita con parole taglienti, ora la stava guidando con una pazienza che non gli aveva mai sentito.
«Preparati,» la sua voce si abbassò leggermente. «La palla arriverà più alta. Dovrai saltare di più.»
«Quanto di più?» chiese, sentendo l'ansia montare.
«Fidati di me.»
Quelle tre parole la colpirono come uno schiaffo. Fidarsi di lui? Di Shirabu? L'idea era quasi assurda. Eppure...
«Ora!»
Il suo corpo si mosse prima che il cervello potesse protestare. Il salto fu più alto, più potente. Le sue mani trovarono la palla nel punto esatto dove Shirabu aveva detto che sarebbe stata.
Il suono della schiacciata riecheggiò nella palestra.
«Perfetto,» sussurrò lui, così piano che quasi pensò di averlo immaginato.
Ma non aveva immaginato il leggero tremito nella sua voce. Come se anche lui fosse sorpreso da quanto bene stesse funzionando.
«Di nuovo?» chiese lei, e questa volta non c'era sfida nella sua voce. Solo... curiosità.
«Di nuovo,» confermò lui, e qualcosa nel modo in cui lo disse fece tremare leggermente le mani di Yukari.
«Ma questa volta proveremo qualcosa di diverso.»
Si mosse intorno a lei, i suoi passi che creavano un ritmo sul pavimento della palestra. Yukari si accorse di star trattenendo il respiro, aspettando le sue istruzioni.
«La prossima sarà una combinazione,» disse. «Dovrai fidarti completamente del mio timing.»
«Una combinazione? Bendata?» La sua voce tradì un momento di panico.
«Hai paura, Saito?» chiese lui, ma non c'era il solito veleno nelle sue parole. Sembrava quasi una sfida amichevole.
«No,» rispose lei, raddrizzando le spalle. «È solo che...»
«Che non ti fidi di me,» completò lui.
C'era qualcosa di strano nella sua voce.
«È comprensibile.»
Il silenzio che seguì fu pesante, carico di tutte le parole non dette, di tutti gli insulti che si erano scambiati.
«Fidati della palla,» disse infine lui, più dolcemente. «Se non vuoi fidarti di me, fidati almeno di quella.»
Yukari deglutì, annuendo nel buio.
«Ok.»«Tre passi avanti,» iniziò lui, e la sua voce era tornata professionale, ma con una nota diversa. «Poi segui il ritmo dei miei passi.»
I passi di Shirabu creavano un ritmo ipnotico sul pavimento.
Un, due, tre... Yukari si mosse seguendo quel suono, sentendo il proprio corpo rispondere in modo quasi naturale.
«La palla arriverà in due tempi,» la sua voce era più vicina ora. «Prima finta, poi attacco. Come quando...»
Si interruppe bruscamente, ma Yukari capìesattamente cosa stava per dire. Come quando giocava prima dell'infortunio. La combinazione che era stata la sua specialità.
Il cuore le batteva forte nel petto, ma non era più solo paura.
«Ora!»
Il primo movimento fu fluido, naturale.
La finta.
Sentì l'aria spostarsi intorno a lei, il suono della palla che si avvicinava.
«Aspetta...» la voce di Shirabu era tesa, concentrata. «Aspetta...»
Il secondo «Ora!» arrivò come un sussurro urgente, e Yukari saltò.
Le sue mani trovarono la palla esattamente dove doveva essere, come se Shirabu avesse calcolato ogni millimetro, ogni millisecondo.
Il suono della schiacciata fu diverso questa volta.
Più potente.
Più preciso.
Come prima, il silenzio che seguì fu assordante.
Yukari si strappò la benda dagli occhi, girandosi di scatto verso Shirabu. Lui la stava fissando con un'espressione che non gli aveva mai visto prima.
«Tu...» iniziò lei.
«Lo sapevo,» la interruppe lui, e c'era qualcosa nella sua voce.
«Sapevo che potevi ancora farlo.»
«Non dire una parola,» scattò Yukari, sentendo le lacrime premere contro gli occhi.
Non voleva la sua compassione, non voleva la sua comprensione. Non voleva che lui, tra tutte le persone, fosse testimone di questo momento.
«Non stavo per...» iniziò Shirabu, ma si interruppe. Il suo volto si contrasse in quella che sembrava una lotta interiore.
«Senti, io...»
«Ho detto di non dire una parola!» La voce le tremava. «Non osare usare questo momento per...»
«Per cosa, Saito?» La sua voce si indurì leggermente. «Per dimostrarti che avevo ragione? Che stai ancora scappando?»
«Scappando?» Si voltò verso di lui, la rabbia che tornava familiare e confortante. «Tu non hai la minima idea...»
«So esattamente cosa stai facendo,» la interruppe, facendo un passo verso di lei. «Stai cercando di rovinare questo momento perché hai paura.»
«Io non ho paura di niente!»
«Bugiarda,» disse lui, ma c'era qualcosa di diverso nel suo tono. Non era un'accusa, era quasi... una sfida?
«Hai appena fatto una combinazione perfetta, bendata, fidandoti delle mie indicazioni, e ora stai cercando disperatamente di trasformarlo in un altro litigio.»
Yukari aprì la bocca per ribattere, ma le parole le morirono in gola. Perché aveva ragione. Dannazione, aveva ragione.
«Se avete finito con il vostro momento teatrale,» la voce di Coach Washijo tagliò l'aria come una frusta, facendoli sussultare entrambi, «potremmo tornare all'allenamento.»
Yukari e Shirabu si allontanarono istintivamente l'uno dall'altra, realizzando solo in quel momento quanto si fossero avvicinati durante il loro confronto.
«Mi sembrava di aver specificato 'niente discussioni',» continuò il coach, la sua espressione indecifrabile. «O preferite correre per il resto della mattinata?»
«No, coach,» mormorarono all'unisono.
«Bene,» disse, porgendo la benda a Shirabu. «Allora è il tuo turno.»
Shirabu prese la benda, le sue dita che tremavano leggermente. Per la prima volta, Yukari lo vide esitare.
«Qualche problema, Shirabu?» chiese il coach, un sopracciglio alzato.
«No, signore,» rispose lui, ma il modo in cui stringeva la benda tradiva la sua tensione.
«Saito,» Coach Washijo si voltò verso di lei. «Vediamo se sai essere una guida altrettanto precisa.»
Yukari deglutì. Guidare Shirabu? Lui, che era sempre stato così sicuro di sé, così in controllo? L'idea le dava una strana sensazione allo stomaco.
«A meno che,» aggiunse il coach, con un lampo negli occhi, «non pensi di essere all'altezza del compito?»
«Sono all'altezza,» disse Yukari, cercando di infondere sicurezza nella sua voce.
Osservò Shirabu mentre si legava la benda sugli occhi, notando come le sue mani, solitamente così sicure, tradissero un leggero tremore.
Era strano vederlo così.
L'alzatore perfezionista che ora doveva affidarsi completamente a lei.
«Tre passi avanti,» iniziò, cercando di imitare il tono professionale che lui aveva usato prima. Ma la sua voce suonava diversa, più morbida.
Shirabu eseguì, i suoi movimenti precisi nonostante il buio. Era evidente quanto stesse lottando per mantenere il controllo.
«Adesso...» Yukari esitò.
Come poteva descrivere il movimento che voleva da lui? Come aveva fatto lui a guidarla con tale precisione?
«Saito,» la voce di Shirabu era tesa. «Non... non esitare. Non con me bendato.»
C'era qualcosa di così onesto in quella richiesta che Yukari sentì il cuore stringersi. Lui, che l'aveva sempre criticata, ora le stava chiedendo di essere la sua guida.
«Due passi a destra,» disse con più fermezza. «La palla arriverà alta. Dovrai alzarla come solo tu sai fare.»
Vide le sue spalle rilassarsi leggermente al complimento non voluto.
«Ora!» chiamò Yukari, osservando la palla che si avvicinava.
Le mani di Shirabu trovarono la palla con una precisione quasi innaturale, ma l'alzata era rigida, troppo controllata. Stava cercando di compensare la mancanza della vista con pura tecnica.
«Era troppo tesa,» disse lei, sorprendendosi della propria franchezza. «Stai... stai cercando troppo di controllarla.»
«È quello che faccio,» rispose lui, un'ombra di irritazione nella voce. «Controllo.»
«Lo so,» disse Yukari, e si sorprese di quanto fosse gentile il suo tono. «Ma ora non puoi vedere. Devi sentire.»
Vide la sua mascella contrarsi, lottando visibilmente con l'idea di dover rinunciare al controllo.
«Come...» iniziò lui, poi si interruppe, come se gli costasse chiedere aiuto. «Come hai fatto tu prima?»
Yukari si avvicinò, fermandosi a pochi passi da lui. «Ho smesso di pensare. Ho solo... ascoltato la tua voce.»
Un leggero rossore colorò le guance di Shirabu, visibile anche sotto la benda.
«Di nuovo,» disse lui, la voce appena più morbida. «Guidami.»
«Respira,» disse Yukari, sorprendendosi della dolcezza nella sua voce. «La palla arriverà da sinistra questa volta. Non cercare di controllarla, lascia che ti trovi.»
Vide il petto di Shirabu alzarsi e abbassarsi in un respiro profondo. Le sue mani, sempre così precise e controllate, si rilassarono leggermente.
«Due passi indietro,» continuò lei. «Poi segui il suono della mia voce.»
Era strano, questo nuovo equilibrio tra loro. Come se i ruoli si fossero completamente invertiti: lui, vulnerabile e in cerca di guida; lei, sicura e protettiva.
«Ora!»
Questa volta fu diverso. Le mani di Shirabu incontrarono la palla in un movimento fluido, quasi danzante. L'alzata descrisse un arco perfetto.
«Così,» sussurrò Yukari, quasi senza rendersene conto. «Esattamente così.»
Un piccolo sorriso apparve sulle labbra di Shirabu, così genuino e inaspettato che Yukari sentì qualcosa muoversi nel suo petto.
«Era...» iniziò lui, poi si fermò, come se stesse cercando le parole giuste. «Era diverso.»
«Sì,» confermò lei, e per la prima volta da quando si conoscevano, non c'era traccia di ostilità nella sua voce. Solo una strana, inaspettata comprensione.
«Per oggi può bastare,» disse Coach Washijo, controllando l'orologio. «Domani stessa ora. E...» si fermò, guardandoli entrambi con quello che sembrava quasi divertimento, «fate una doccia. Ne avete bisogno.»
Negli spogliatoi, Yukari si guardò allo specchio e quasi non si riconobbe. I capelli erano un disastro appiccicoso di sudore, il viso arrossato per la fatica, e le occhiaie raccontavano di due ore di allenamento intenso.
Quando raggiunse la mensa, trovò Shirabu già in fila, in condizioni non migliori delle sue. I suoi sempre perfetti capelli color sabbia erano un ammasso umido e spettinato, e la sua solita postura impeccabile era sostituita da spalle curve per la stanchezza.
«Santo cielo!» La voce di Tendou risuonò per tutta la mensa. «Cosa vi è successo? Sembrate dei sopravvissuti a un disastro naturale!»
«Tendou-san...» mormorò Shirabu, ma gli mancava persino l'energia per essere propriamente irritato.
«No, sul serio,» continuò Tendou, avvicinandosi per un'ispezione più accurata. «Kenjirou, non ti ho mai visto così... dishevelded!»
«Non è una parola vera quella,» borbottò Shirabu.
«Oh mio dio, Yukari!» La voce di Mai, una delle sue compagne di squadra, si unì al coro. «Sembri... sembri...»
«Un panda zombie?» suggerì Haruka, comparendo dal nulla con il suo vassoio. «O forse più un koala dopo una settimana di festa?»
«Non è così male,» protestò debolmente Yukari, anche se il suo riflesso nella vetrina del self-service le diceva il contrario.
«Non così male?» Tendou si sporse oltre Shirabu per guardarla meglio. «Hai visto i tuoi capelli? Sembrano un nido di corvi arrabbiati!»
«Tendou-san,» la voce di Semi si unì alla conversazione, «forse dovresti lasciarli mangiare in pace. Sembrano sul punto di crollare.»
«Ma è così divertente!» protestò Tendou. «Guarda, Wakatoshi! Il nostro piccolo Kenjirou ha persino perso la sua espressione da 'sono-migliore-di-tutti-voi'!»
Ushijima si limitò a osservare la scena con la sua solita espressione impassibile. «Sembrano aver fatto un allenamento intenso.»
«Intenso è un eufemismo,» mormorò Shirabu, cercando di tenere dritta la schiena e fallendo miseramente.
«Coach Washijo deve avervi fatto passare l'inferno,» commentò Haruka, spingendo un vassoio extra verso Yukari. «Ti ho preso un doppio riso. Ne hai bisogno.»
«Grazie,» mormorò Yukari, troppo stanca persino per protestare quando Tendou iniziò a imitare la loro camminata barcollante.
«Ehi, Shirabu,» chiamò Semi. «Siediti prima di crollare sul pavimento. Non ho voglia di raccoglierti.»
Shirabu si lasciò cadere sulla sedia più vicina, troppo esausto per preoccuparsi delle apparenze. Yukari, dopo un momento di esitazione, si sedette al tavolo accanto con Haruka.
«Non ho mai visto Shirabu-san con i capelli così,» sussurrò una matricola della squadra maschile al suo compagno. «Sembra quasi... umano.»
«Posso ancora sentirti,» borbottò Shirabu, cercando di mangiare con dignità nonostante le mani gli tremassero per la fatica.
«Oh, guardate!» esclamò Tendou. «Stanno persino mangiando allo stesso ritmo! Coach Washijo deve avervi davvero sincronizzato per bene!»
Sia Yukari che Shirabu gli lanciarono un'occhiataccia, ma l'effetto fu rovinato dal fatto che entrambi avevano le guance piene di riso come criceti.
«Tendou,» la voce calma di Ushijima intervenne, «lascia che magino in pace.»
«Ma Wakatoshi-kun...»
«Hanno bisogno di recuperare le energie per l'allenamento di domani.»
A quelle parole, sia Yukari che Shirabu emisero un gemito di puro terrore.
«Non ricordarmelo,» mormorò Yukari, lasciando cadere la testa sul tavolo.
«Non fare così,» disse Haruka, dandole una pacca sulla schiena.
«Almeno hai del cibo decente. E guarda il lato positivo: non puoi avere un aspetto peggiore di così.»
«Non ne sarei così sicura,» borbottò Yukari, alzando appena la testa per prendere un altro boccone di riso.
«Coach Washijo ha quello sguardo... quello sguardo che promette cose peggiori per domani.»
Dall'altro tavolo, Shirabu emise un suono che poteva essere un accordo o il lamento di un'anima in pena.
«Beh,» disse Semi, osservandoli entrambi con un misto di pietà e divertimento, «almeno state soffrendo insieme.»
Yukari incrociò involontariamente lo sguardo di Shirabu. Per un momento, attraverso la stanchezza e il disagio, ci fu qualcosa... una sorta di comprensione silenziosa. Erano gli unici due a sapere davvero cosa fosse successo in palestra quella mattina.
Poi il momento passò, inghiottito dal vociare della mensa e dalla loro stanchezza.
«Andiamo,» disse Haruka, aiutando Yukari ad alzarsi.
«Purtroppo abbiamo lezione.»
Mentre si trascinava verso l'uscita, Yukari sentì la voce di Coach Washijo riecheggiare nella sua mente: "State imparando qualcosa che va oltre la pallavolo."
Si chiese cosa intendesse esattamente. Ma era troppo stanca per pensarci ora.
Domani sarebbe stato un altro giorno.
Un altro allenamento.
Un'altra opportunità per scoprirlo.
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