•Atto III•
[ Nero ]
Quando Ignifero riuscì, nonostante l'acuto dolore, ad aprire gli occhi ignorando la testa che girava e il pulsare che sentiva nelle orecchie le sue pupille si strinsero a causa dell'impossibilità di quello che stava vedendo.
Quelle pareti bianche, prive di scanalature, macchie o qualsiasi altra cosa, quel fastidiosi odore chimico segno dell'ambiente sterile in cui era, la posizione forzata e la stretta esercitata sui suoi atti a finché si muovesse non gli erano nuove, affatto.
La sensazione della percezione delle ferite fresche sulla pelle, la respirazione forzata pensata affinché non morisse, l'infinità di cavi delle più svariate dimensioni e dei più svariati colori collegati al suo petto e alle sue braccia con la funzione di far fluire nel suo corpo sostanze di vario genere.
Lui sapeva bene dove si trovava, conosceva quel posto meglio di quanto conoscesse il suo stesso corpo, ricordava con precisione ogni piccolo dettaglio, ogni giorno infinito e il sentirsi perso, perso davvero.
Non come quando era intrappolato in quel nero assoluto, quel abbiamo che prometteva di donargli riposo, di annullare ogni suo pensiero, ogni sua sofferenza e il suo turbamento quasi senza fine.
Il suo cuore gli martellava nel petto veloce come mai lo aveva fatto, i suoi occhi erano spalancati e dimenava senza sosta i polsi e le caviglie cercando senza buoni esiti di liberarsi dalle costruzioni che lo stavano tenendo fermo.
No, no, no, no, non di nuovo, non una volta ancora si ripeteva nella testa avendo perso quella fredda compostezza che lo caratterizzava, quella sua strana caratteristica che aveva tanto incuriosito Mefisto.
Si ripeteva che non era reale perché era certo di essersene andato, di aversi lasciato tutto alle spalle e di aver allontanato da se quelle persone e quegli avvenimenti ma non solo perché sapeva che sarebbe successo di nuovo.
Strinse i denti ringhiando come un animale in gabbia perché lo era e conosceva i tempi e tutto quello che succedeva fra quelle pallide mura dall'aspetto innocente, ne conosceva i segreti più profondi e i dettagli più rilevanti che nessuno mai era stato in grado di notare.
Lui era unico, questo gli era sempre stato ripetuto dalla viscida voce di quegli uomini che conducevano esperimenti torturando il suo corpo, che lo avevano fatto per ben più di sedici anni, lui era speciale ed era l'unico rimasto in vita dai bambini che furono in origine presi per gli esperimenti.
Ma era troppo tardi perché potesse liberarsi, lo capì quando sentì il suono della porta che si depressurizzava per poi essere aperta, lo capì quando sentì il familiare suono dei passi lenti ma conosciuti come conosceva il suo stesso respiro.
«Oh, oh guarda si è svegliato prima del solito e sembra quasi più interessante del solito » ghignò uno di loro con voce disgustosa tale come la sensazione delle sue mani che scivolavano con lentezza e lussuria sulla sua pelle perfettamente per profanare il suo corpo ancora una volta.
Quando venne penetrato senza pudore, preparazione o gentilezza si limitò a stringere i pugni tanto forte da far penetrare le unghie nella carne e far sgorgare del sangue rosso, quel rosso vivo che gli ricordava tutto l'odio che aveva provato.
Gli occhi si incupirono, le labbra si serrarono, la mascella si contrasse, la vena nel suo collo cominciò a pulsare in una tacita minaccia, i suoi muscoli si fecero tesi rivelando la sua forma fisica perfetta nonostante gli abusi e le ferite che lo avrebbero fatto soffrire a qualsiasi movimento, tanto ormai non sentiva più niente per la verità.
Il respiro era regolare nonostante fosse pesante e tirato come lo sbuffo di un drago infuriato, le corde vocali vibrarono facendo uscire dalle profondità della sua gola un ringhio selvaggio e feroce fin troppo simile al ruggito maestoso di un grande leone dalla folta chioma.
Con qualche strattone violento si liberò dalle cinghie in cuoio che lo rendevano disponibile ad essere seviziato e non si curò della sua pelle divenuta viola o del sangue scaturito dai tagli provocati dalla violenza impetuosa con la quale si era liberato.
Si voltò lentamente, a dire il vero ogni suo movimento era lento e snervante, quasi fosse stato uno dei leggendari predatori che spingeva le proprie prede ferie in un angolo e le faceva impaurire così tanto prima di sbranarle che la paura rimaneva impressa nei loro occhi appassito persino quando la loro carcassa era in decomposizione.
Non disse neppure mezza parola mentre percorreva lentamente il pavimento gelido lasciando che la pianta dei suoi piedi assaporasse la sensazione di poter sfiorare il suolo dopo tanto, di essere libero di camminare e fare quello che voleva.
Quando ormai il gruppo di uomini, terrorizzati ed imploranti, fu spinto con le spalle alla fredda parete bianca, una fra le quattro, il loro tremore si palesò così come il terrore si dipinse nei loro sguardi e sui loro volti incapaci di celare le loro emozioni, quasi già avessero saputo cosa li avrebbe attesi.
Le sue mani percorse dalle vene pulsanti affermarono il collo di uno di loro, più precisamente quello che lo violentava ogni volta che ne aveva la possibilità e con ogni stupida scusa che gli pareva buona, strinse la presa così forte che l'uomo crollò a terra privo di vita senza neppure riuscire a sbattere le ciglia.
Gli altri non furono fortunati come lo fu lui, nessuno dei tanti membri di quella viscida e orribile organizzazione lo fu poiché Ignifero era furente, quello fu il più grande errore che commisero, farlo arrabbiare.
Quando il moro uscì dall'edificio sotterraneo la cui entrata era nascosta nel cuore di un vecchio bosco quasi impossibile da trovare e raggiungere non c'era centimetro del suo corpo che era visibile in quel momento ad essere salvo dal caldo sangue delle sue vittime.
Quando quel ricordo pieno di rancore, dolore, odio, indignazione, ribrezzo, paura ed in sicurezza giunse al termine, non appena sfumò facendolo tornare in se e facendolo tornare a vedere notò che le sue mani erano sporche di un rosso vermiglio.
Vide cosa queste stavano stringendo con forza, appena si rese conto di stra strangolando qualcuno senza neppure volerlo mollò la presa sentendo l'altro tossire, fu allora che abbassò lo sguardo e notò Mefisto.
Egli aveva assunto la sua forma demoniaca ma da quello che le gemme spente e prive di luce di Ignifero poterono notare, non era servito a molto contro la sua follia omicida, ma il fatto che non fosse morto, dovette riconsicerlo, era davvero sorprendente data la forza che aveva applicato.
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