Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

Capitolo 7

Per lei. Tutto per lei.

OLTRE L'ETERNITÀ

Federica

«Perchè doveva succedere a te?» fu la domanda che mi rivolse Angelina dopo aver scoperto l'amara verità, che mi ero ostinata a nascondere per mesi. Tenni gli occhi ancorati ai suoi, seduta dalla parte opposta del tavolo - in giardino - e vidi i suoi grandi occhioni inumidirsi. Ecco cosa non avevo mai sopportato: farla stare male e scaricarle addosso quel macigno pesante. Mi sentivo impotente di fronte a quella realtà e abbassai lo sguardo, tirando su con il naso. La castana, dopo qualche secondo di assoluto silenzio, scattò in piedi e avvertendo un lieve pizzicore agli occhi, distolsi velocemente la faccia. «Non dovevi aspettare tanto!» gridò sbattendo le mani sul tavolo.

«Ma... Non ho aspettato, Nina. Ho portato i miei referti... a molti medici.»

«A me non ne hai mai parlato!» esclamò battendo la mano al petto, cercando di capire.

«Tesoro...» Congiunsi le mani a mo' di preghiera avvicinandole alle labbra. Non era stato per egoismo, ma per l'affetto che nutrivo nei suoi confronti. Doveva raggiungere i suoi obiettivi e non dover accollarsi una sorella che stava per morire. Volevo proteggerla. «Vedi, volevo che pensassi al futuro senza preoccuparti... di me»

«Che cosa dici? Senza di te, io non sono niente!» Sbatté leggermente la mano sul tavolo, chinandosi in avanti.

«Credi che non abbia provato a seguire ogni tipo di terapia per guarire? Pensi che non abbia fatto tutto il possibile?»

Angelina arricciò la fronte, stringendo i denti e continuò a strattonare la sedia. «Dovevi fare di più! Dovevi fare di più!» Poi la scaraventò violentemente a terra: «Provare a combattere con tutte le tue forze!» Altri singhiozzi le sfuggirono dalle labbra e voltò le spalle, mentre percepii il vuoto allo stomaco ingigantarsi e le lacrime scesero copiose lungo le guance. Trattenermi mi fu impossibile e alzai gli occhi verso cielo, portando la mano tremante alle labbra. Mia sorella che- adesso- si ritrovava a fare i conti con quello strazio e ogni singulto mi trascinava in una voragine di dolore e disprezzo per me stessa. La ragazzina si avvicinò al tavolo che ci stava separando, sbattendo i palmi. «E adesso cosa succederà? Mi lascerai in questa casa da sola?!» Alzai a rallentatore gli occhi, notando la tristezza dilagare nei suoi. «Come farò senza di te? Non mi rimarrà più nessuno.» Mi ridussi al silenzio, stringendomi nelle spalle. Angelina si allontanò leggermente con le mani portate sulla testa e poi si girò di scatto. «Prima la mamma e poi papà... E ora mi lascerai anche tu...» Tornò a sbattere le mani sul tavolo con stizza ancora e ancora, facendomi tremare il labbro inferiore. «Non ce la faccio a sopportarlo. Non ce la faccio!» Riversò all'esterno tutto il suo dolore, lo sentii arrivarmi come coltellate inflitte al cuore. Non riuscii a guardarla in faccia. «Perché te ne stai lì zitta, dì qualcosa, cazzo!» Proruppe.

Mi inumidii le labbra screpolate e cercai di asciugare le lacrime sfuggite, con il dorso della mano. «Io...»

«Tu, cosa? Cosa, Fede?!» mi incalzò arrabbiata.

«Gio... pensa di potermi operare.»

«E se si sbagliasse? Che cosa succederebbe se l'intervento fallisse e tu morissi?» domandò gesticolando con il braccio e si staccò dal tavolo per tornare dentro senza rivolgermi un solo sguardo, sbattendo ogni porta che si fosse trovata dinanzi, finendo per chiudersi nella sua cameretta, lasciandomi sola e nell'oblio più totale.

[...]

Non avrei mai voluto farla stare male, Nina era la mia sorellina minore e da quando i nostri genitori erano morti in quell'incidente anni prima, avevamo sempre deciso tutto assieme: ci eravamo trasferite qui a Milano per consentirle di frequentare la facoltà di Giurisprudenza e anche perché avevo più possibilità di trovare un lavoro stabile. Ma adesso, sembrava che avesse eretto un muro, dal preciso momento in cui le avevo confessato di essere malata e che la mia unica speranza era un intervento che probabilmente non sapevo come sarebbe andato. Alla fine, - grazie all'aiuto della mia amica Ale- avevo confezionato una coperta bellissima e l'avevo messa in un grosso scatolone.

Avrei voluto dargliela poco prima della partenza, ma quel regalo poteva essere un buon escamotage per farmi aprire la porta e parlarle di nuovo.

Bussai leggermente alla porta, con il pacco tra le mani, ma non ricevetti nessun consenso così entrai lo stesso. Angelina alzò a malapena gli occhi per incrociare il mio sguardo, erano lucidi e rossi per aver pianto troppo, in queste ore. Mi misi al suo fianco e posai lo scatolone sul suo lettino. Le feci cenno di aprire e smettendo di avere quel broncio stampato sulle labbra, lo fece.

«Hai conservato le mie magliette?» domandò accarezzando soprattutto la stampa di Puffetta che spiccava fra le altre.

«Ho messo in un baule quello che amavi di più» Ingoiai per dissolvere quel magone in gola. «Ora sono tutte qui» Guardai la castana che aveva ripreso a singhiozzare e le agguantai delicatamente il mento. «Ti terranno compagnia...»

«Come farò a vivere senza di te?» Si tuffò su di me e le accerchiai la schiena con il mio braccio, avvolgendola totalmente. «Non è giusto. Non doveva andare così. Non hai fatto niente. Non... lo meriti proprio.» Appoggiai il mento sulla fronte della mia sorellina, inumidendo le labbra secche, e guardai verso il soffitto.

Presi un lungo sospiro, chiudendo gli occhi per un po'. «Pensa a quante cose belle ho avuto. La mamma mi cantava la ninna nanna prima di addormentarmi. Papà mi accompagnava sempre a scuola...» continuai con in sottofondo i suoi leggeri singhiozzi. «Ho avuto tanti hobby. Raccoglievo sempre le more da un cespuglio nel giardino della nonna...» la voce mi si incrinò e la castana mi accarezzò la spalla. «Ti ho visto nascere, crescere, fare i primi passi. Ho gioito per i tuoi successi e ti ho cullato sul mio petto per farti aver paura.- l'abbracciai ancora più forte - Ale mi ha fatto fare tante risate. Ho gustato dell'ottimo gelato» Per altri potevano essere delle sciocchezze, ma per qualcuno che sapeva di non avere poi molto tempo erano delle situazioni speciali. «Ho avuto l'amore di un uomo buono e meraviglioso» Chiusi gli occhi, torturandomi il labbro inferiore. «La vita è fatta di piccole e grandi gioie, momenti, che scriviamo nella memoria per custodirli lì. E un giorno può essere eterno... Come questo abbraccio» mormorai l'ultima frase di getto, per poi appoggiare la testa a quella della mia amata sorellina. Abbassai lo sguardo per guardare il suo viso. «Ecco perché non penso che il mio destino sia stato ingiusto - scossi il capo, osservando in alto - semplicemente è qualcosa che doveva accadere e ci rende più forti e con più consapevolezze di quanto sia preziosa la vita.» Poi la feci staccare da me per poter contemplare i suoi occhi scuri e le presi il viso nelle mani. «Lo capirai, un giorno. E quando succederà, scoprirai in te una grande forza.» Le rivolsi un sorriso e nel frattempo mi passò la mano sulla guancia. «Ne sono certa, Nina. Sei più forte di quanto pensi»

Dopodiché le posai un bacio sulla fronte e tornò a seppellire la faccia sul mio petto, mentre mi stesi vicino a lei.

«Ti voglio bene. Voglio solo che stiamo insieme il più possibile sinceramente in questo momento.» confessò con un filo sottile di voce. «Ho paura...»

«Lo faremo, piccolina. Te lo prometto» risposi passandole la mano sulla schiena per poi lasciarci travolgere da quell'abbraccio e poter cancellare i brutti pensieri dalla testa di entrambe e pensare al presente poiché il futuro era solo una grandissima incognita.

Giovanni

Accesi istantaneamente tutte le luci, tramite il telecomando apposito per illuminare il volto della schiera di colleghi che occupavano il tavolo ovale. Avevo spiegato per filo e per segno l'intervento che avrei eseguito a Federica, riscontrando però nei loro visi dubbi e perplessità. Li guardai uno ad uno, aspettando dei riscontri, ma regnò un silenzio tombale. Nessuno osò aprir bocca e così il signor Christian prese la parola per primo.

«Gianma, dimmi, a tuo parere è fattibile?»

Tutta l'attenzione dei membri del consiglio si concentrò sull'anestesista e il suo parere aveva un grande peso. Nel guardarmi, buttò giù un fiotto di saliva e poi esordì.

«La paziente non può tollerare un'anestesia così prolungata. Il metodo del collega sembra buono, ma non è mai stato sperimentato» Poi distolse fulmineo lo sguardo e sentenziò. «Perciò il mio parere è negativo.»

«Ma...» schiarii la voce. «Per lei il rischio è aumentato ad ogni emorragia. Il quattro per cento con la prima e il venticinque con la seconda... sicuramente ne avrà altre. Se non operiamo al più presto, la sua morte sarà inevitabile»

«È una decisione molto complessa. In caso l'intervento non abbia successo, la paziente può restare in stato vegetativo.»

Mi dondolai sui piedi. Nessuno avrebbe avuto il coraggio di rischiare il tutto per tutto per salvare una vita innocente, ma io sì. Ero pronto a mettermi in gioco e non darmi per spacciato.

«Anche il mio parere è contrario.» comunicò la Ciancio con lo sguardo puntato fermamente su di me. «Non permetterò che tu pregiudichi l'ospedale per dei motivi personali.»

Motivi personali? A parlare era una direttrice sanitaria o una donna con l'orgoglio ferito e gelosa di un'altra?

«Mi sta a cuore una vita umana piuttosto che il buon nome di questo ospedale e ho intenzione di andare fino in fondo, finché avrò la possibilità di lottare. È la mia ultima parola, Angela» tagliai corto e senza ascoltare la sua replica - di cui personalmente me ne fregava altamente - abbandonai la sala.

Di fronte a quei monitor, che avevo lì di fronte, abbassai il capo per riflettere sul da farsi. Per anni, avevo studiato per tenere fede al mio giuramento e salvare i pazienti che ogni giorno affidavano a me le loro speranze e la loro intera sopravvivenza.
Non l'avrei lasciata morire senza combattere ancora e se l'unico modo che avevo era quello di andare contro tutto e tutti, allora lo avrei fatto perché la vita di Federica era più importante di qualsiasi parere del consiglio. Così mi venne un'illuminazione e avvisai la mia segretaria di radunare l'equipe per intervenire su una paziente con un'emorragia intracranica, che andava operata stanotte.
Sarebbe stata per una buona causa e poi le scelte erano poche. Non potevo perdere altro tempo a convincere dei muli dietro le loro scrivanie, dall'alto del loro attestato di medici qualificati. Chiamai Federica, dovevo fare la base di ricovero al più presto e non c'era un istante da perdere.

Federica

L'infermiera mi attaccò il lavaggio e dopodiché abbandonò la camera senza dire alcunché. Tirai un profondo sospiro, toccando il braccio dove c'era la flebo e incrociai lo sguardo affranto di mia sorella, rimasta finora in disparte a braccia conserte. Sembrava così spaventata, ma tentava di non di dimostrarlo ad anima viva.

«Nina...» la chiamai sollevando la schiena dal cuscino e mi fece segno di stare zitta con il dito posato sulle labbra, venendo a sedere sul ciglio del letto.

«Ti prego, non dire niente. Questo non è un addio. L'intervento andrà alla grande e ti riprenderai. Potrai tornare alla tua vita, farai un botto di cose e vedrai un sacco di posti. Ce la farai, Fede. Sei molto forte anche tu e so che non ti lascerai andare...» Sostenni i suoi occhi pieni di lacrime ma anche di speranza. «Ne sono certa. Verrai con me in America e non si discute, altrimenti non andrò da nessuna parte.» Allargai un piccolo sorriso per la sua finta aria autoritaria e le gettai le braccia al petto per circondarle le spalle minute e tremanti.

«Promettimi una cosa...»

«Cosa?» chiese tra un singhiozzo e l'altro, per poi guardarmi quando ci fummo separate da quel dolce contatto tra i nostri corpi.

«Devi fare più palestra.»

«No, no...» rispose scuotendo ossessivamente la testa e stavolta si lanciò a capofitto fra le mie braccia, piangendo e ridendo allo stesso tempo. «Che scema...»

«Ma che scema, va'. Devi tenerti in forma con corpo e mente.»

Si staccò, per asciugarsi la faccia con il dorso della mano e poi si lasciò scappare una risata. Alessia osservò accanto alla finestra la scena al sapore agrodolce, trattenendo anche lei il pianto e, ad un certo punto, Gio entrò in camera con la divisa.

«Stanno già predisponendo tutto. Tra pochi minuti verranno a prenderti. Ci siamo quasi.» ci informò con le braccia conserte.

Risposi con un flebile cenno della testa e fissai di scatto la castana. Le accarezzai la guancia, stringendole poi il mento e Alessia si fece avanti toccandole la spalla e la fece rialzare. Quando le due si chiusero la porta alle spalle, tutti i pensieri spaventosi fecero capolino nel mio cervello e quando Giovanni si accomodò vicino a me, mi rifiutai di instaurare un contatto visivo con i suoi occhi verdi.
Q

uando guardai il giovane, che accennò un sorriso giusto per non far trapelare quanta paura stesse provando lui a dover aprire un cranio a metà per estirpare quel male... una lacrima mi rigò la guancia e prontamente ci passò su il pollice per spazzarla vita. Mi tirai a sedere, trovandomi a pochi centimetri dal suo sguardo.
Ci guardammo abbastanza per sondare le nostre iridi.

«La mia anima è in pace. Comunque vada, è quello che doveva accadere. Non ho nessun rimpianto. Voglio che te lo ricordi sempre, dottore. Se dovesse fallire, non devi fartene una colpa.»

«Sì... Ma farò in modo che non sarà così.» mormorò con lo sguardo chino verso il basso.

Passai la lingua sulle labbra per inumidirle. «Grazie. Davvero.» Abbassai anch'io lo sguardo per tirare su con il naso e mi scostò una ciocca di capelli portandola dietro l'orecchio.

«Andrà tutto bene, amore.»

Rialzai gli occhi e mi sorrise con la mano sulla mia guancia. «Dopo la pioggia... Quando sentirai il profumo della terra, pensa a me...» Giovanni abbassò la testa traendo uno sbuffo. «E io ti vedrò dovunque sarò... Me lo prometti?» Annuì, strizzando gli occhi per trattenersi.

«Certo. Ovunque sarò anche io. Io ti seguirò in capo al mondo.» Mi accarezzò la guancia e insinuò la mano tra i capelli fino a raggiungere la nuca per depositarmi un bacio sulle labbra. «Ce la farai... Non ti perderò oggi. Resterai con me e vivremo tanto insieme.» Mi mancò il respiro a causa dei singhiozzi e mi lasciò un altro bacio stavolta sul naso. «Non puoi liberarti di me, Fe.» Tornai a fissare il ragazzo, diventato in modo impetuoso il centro della mia esistenza. «Ti amo, Federica.» Quasi scoppiai a ridere e chinai la testa. «Ti amo tanto. Non ho mai provato niente del genere per nessuna. Sei il mio primo amore e l'ultimo».

«Anch'io... non sai quanto. Mi sono sentita viva solo stando insieme a te» Cercai di imprimere la sua immagine in testa per portarmela dentro. Gio sorrise in risposta e poi mi lasciò un altro bacio sulle labbra prima che qualcuno lo interrompesse bussando alla porta.

«La sala operatoria è pronta, dottore» avvisò l'infermiera dalla soglia e Giovanni annuì, indurendo la mascella. Spostò poi lo sguardo su di me quando la donna andò via e mi riprese il viso tra le mani, facendo unire le nostre fronti. «Combattiamola insieme questa guerra».

Sì, ero pronta a lottare per sopravvivere e avere tempo da trascorrere con le persone a me care. Nina, Alessia, Giovanni...
La barella venne trascinata per i corridoi fino agli ascensori per scendere di sotto e in me cresceva a dismisura l'ansia da prestazione. Era tutto nelle mani di Gio e nella mia resistenza. Angelina mi accompagnò in quel tragitto con gli occhi carichi di preoccupazione, - nonostante le avessi rivolto un sorriso per non farla agitare di più - ma senza risultati.

Lasciò la presa quando dovetti entrare nell'ascensore e allora che sollevai il palmo della mano per salutare le due ragazze rimaste fuori prima che si chiudessero le porte, isolando sia me che Giovanni dall'esterno.

Giovanni

Puntai lo sguardo verso il vetro che mi separava dalla sala operatoria continuando a sfregare energicamente le braccia e i gomiti. La squadra stava preparando la paziente e l'avevano appena anestetizzata. Non restava che cominciare. Sarebbe andata bene, come le avevo promesso.

«C'è davvero un'emorragia intracranica?» chiese Gianmarco e intanto sciacquai sotto il getto d'acqua corrente.

«Cominciamo, Gianma.»

«Ci hai convocato in piena notte con una bugia. Questa procedura non è stata approvata. Anche se l'intervento andrà bene, la commissione disciplinare-»

«Ci vediamo in sala operatoria» lo interruppi, drizzando la schiena e lui apparve contrariato per il mio atteggiamento testardo. Non mi sembrava di avergli chiesto un parere, dopotutto ero io il chirurgo lì. Superai la sua figura immobile per introdurmi in sala operatoria dove era tutto pronto, i valori dei macchinari erano monitorati passo per passo e un mio collega mi fece indossare il camice. Lei era già stesa su quel tavolo, sedata, ricoperta da un telo verde - ad accezione della testa. Diedi il via all'intervento in men che non si dica e chiesi al collega di aspirare il sangue in eccesso. Ad un certo punto, il telefono fisso squillò dalla parte opposta.

Sbuffai, cercando di non perdere la concentrazione. «Rispondi. Metti il vivavoce, forza»

La voce della direttrice sanitaria tuonò: «Gianmarco, c'è davvero un'emorragia intracranica?»

«Ma che piacevole sorpresa.» intervenni al posto del moro.

«Gianmarco, mi hai sentito?! C'è un'emorragia intracranica?»

«No...» rispose quest'ultimo.

Si udì il silenzio dall'altra parte. Poi sbottò. «Pazzesco! È inaccettabile. Il consiglio aveva dato parere contrario. Spero che l'intervento vada per il meglio altrimenti farò in modo che la tua carriera sia finita per sempre!»

«Va bene, me ne assumo la piena responsabilità» dichiarai senza troppi giri di parole, spostandomi dagli oculari. «Riaggancia il telefono, grazie» ordinai. «Forza» incalzai il collega che staccò la telefonata. Discutere con la Ciancio non era una mia preoccupazione adesso, ma piuttosto dovevo raggiungere al più presto l'arteria. Tornai ad occuparmi dell'intervento e chiesi al collega di aspirare. Mi passarono poi il bisturi con cui iniziai a tagliare per scavare più in profondità in quella cavità. Sembrava tutto nella norma, valori vitali compresi. Forse era passata un'ora o forse due, ma il tempo lì sembrava scorrere con una frequenza diversa. Continuai a lavorare ininterrottamente e a causa della posizione rigida mi venne un po' di fastidio al collo, così gettai la testa all'indietro guardando in alto. La stanchezza iniziò a farsi sentire, ma non potevo mollare. «Pinze!» chiesi ad un certo punto. Mentre impugnavo gli strumenti, mi formicarono gli arti, ma cercai di tenerli saldamente tra le dita. Richiusi le palpebre per riposare un pochino la vista e poi tornai a guardare il macchinario. Ero così concentrato che a momenti stavo dimenticando di respirare e le vene del collo mi si gonfiarono. All'improvviso feci un passo indietro e i miei colleghi bardati cercarono di intuire cosa mi fosse preso. Diedi gli strumenti nelle prime mani che mi capitarono sotto tiro e mi fiondai nel corridoio. Tolsi con stizza il guanto scaraventandolo a terra per poi raggiungere i lavandini e aggrapparmi con le mani ai bordi. Dovevo respirare e stare tranquillo, ma c'erano tanti pensieri contrastanti che mi affollavano la mente in quel preciso istante. Non riuscivo a spiegarmi perché stessi eseguendo tutto con assoluta precisione, ma non ci avessi ancora cavato un ragno dal buco. Era da qualche ora che aggiravo senza mai riuscire a prenderlo. Mi sentivo ingabbiato, tormentato da pensieri, da voci assillanti, che mi dicevano che l'intervento nella peggiore delle ipotesi avrebbe ridotto Federica ad uno stato vegetativo... Che se davvero la amavo, dovevo rispettare la decisione dei piani alti e non tentare un'impresa fuori dalle mie capacità. Ma cazzo, era la donna che amavo e con cui volevo vivere il resto della mia vita. Non me ne sarei stato con le mani in mano ad aspettare quel tragico epilogo.

«Ho capito! Ho capito finalmente!» esclamai ad alta voce coprendo la bocca e il naso con la mascherina. Rientrai in sala operatoria. «Ragazzi, ricominciamo dall'inizio. Fatemi vedere la risonanza!» Mi avviai al monitor per osservare bene ogni angolazione di quella lastra e poi mi girai verso i presenti. «È il neuro navigatore la causa del problema! L'angolazione è sbagliata, per questo non riuscivo a raggiungere il tumore. Ora so che posso farcela - guardai Gianmarco - vedrai Gianmarco, andrà tutto alla grande. Cambiate la posizione alla paziente. Utilizzerò un approccio laterale. Avanti, veloci! Non abbiamo un minuto da perdere!» Dovevo darmi un'altra ripulita e uscii fuori, ma il moro mi seguì a ruota, pronto a darmi un altro parere non richiesto.

«Gio, amico mio, devi fermarti prima che la situazione precipiti. Lei non può farcela. Se provochi un'emorragia, si metterà male»

«C'era un problema con il neuro navigatore, era in una posizione scorretta, ma ora è tutto sistemato. In un'ora estirperò il tumore.» Gianmarco emise un altro sbuffo, con le mani posate sui fianchi e lo sorpassai. Tornai in sala operatoria per indossare un secondo camice sterilizzato. Stavolta non mi sarei fermato fin quando non lo avrei trovato.

«La paziente è in posizione, dottore» mi informò l'infermiere.

«Molto bene. Ricominciamo.»

Ripresi di buona lena l'intervento. Questa volta senza intoppi. Chiesi le pinze.
Ordinai di aspirare ancora mentre i miei muscoli del collo si erano irrigiditi per la posizione che avevo assunto da non so quanto tempo o ore. Chiusi gli occhi, inspirando ed espirando, ormai era diventato un loop costante e mi serviva per non avere crolli emotivi o nervosi. Tutto dipendeva dai miei riflessi e doveva essere fatto nel minor tempo possibile. Dovetti di nuovo dare gli strumenti a qualcuno per sgranchire le braccia che ormai erano anchilosate e doloranti.

«Continuiamo»

«Dottore, Gaia e Andrea possono uscire? Hanno terminato il loro turno» Acconsentii, tanto a breve avranno fatto cambio con quelle del turno mattutino, ma la ragazza affermò di voler rimanere, fino alla fine. Ruotai il polso, che doleva un po', e chiesi al mio collega di aspirare.

«Gianmarco! - il ragazzo dovette sforzare gli occhi per guardarmi dato che era stanco morto - l'approccio è corretto. Vedo l'arteria... Benissimo. Questo è un momento cruciale. Ci siamo! Un'emorragia!» tuonai allarmando la squadra che iniziò a movimentarsi. «Gianma, c'è un'emorragia, ma non riesco a vedere l'origine! Aspira qui.-» comandai al collega accanto che però parve distratto. Alcune voci si accavallarono e dovetti alzare la mia per rivolgermi al moro. «Non vedo da dove viene, maledizione! Gianma, abbassa... Abbassa la pressione! Lascia perdere, penso io ad aspirare!» ringhiai, afferrando lo strumento dalle mani dell'altro. «Gianma, allora stai procedendo?»

«Gio, sto facendo del mio meglio.» rispose l'anestesista.

I macchinari trillavano nelle orecchie. «Non vedo l'origine. Aspira. Devo riuscire a fermarla. C'è sangue ovunque...» Dovevo agire e bloccare il sanguinamento prima che fosse troppo tardi e il trillo si arrestò facendomi rilasciare un sospiro di sollievo dalle labbra. Cazzo, c'ero riuscito, la situazione si era stabilizzata. Mi girai, sollevando le mani. «Fermiamoci soltanto un istante e poi ricominciamo».

«Dimentica l'emoraggia, Gio. Il cuore sta cedendo!» sbottò Gianmarco e puntai gli occhi verso il monitor, vedendo la linea cardiaca completamente piatta. «Che cosa hai fatto? Hai toccato un'arteria? Te l'avevo detto che era pericoloso. Perché non mi hai dato retta! Atropina, presto!» Quel trillo continuò senza sosta mentre il mio amico movimentava l'equipe. «Iniettate l'adrenalina ogni cinque minuti! Coraggio, la situazione è grave. Non dobbiamo perdere tempo. Aiutatemi a cambiarle la posizione.» Mi tremò ogni centimetro del corpo ed ebbi la sensazione di collassare su quel pavimento mentre le scoprivano il torace. «Avanti, portate il defibrillatore! Carica. 150! Libera!» il suo corpo inerme sobbalzò al termine della scarica e dovetti uscire fuori di corsa per non svenire. Appoggiai la testa contro quel muro, sentendo il mio amico urlare: «No. Niente da fare. Non va bene. Proviamo con 200!» Le lacrime mi scivolarono a fiotti lungo le guance, tirai giù la mascherina di scatto e precipitai con il sedere a terra con la schiena premuta al muro. «Un'altra carica di duecento» sentii proferire da Gianmarco.

«Non reagisce» affermò l'altro.

Mi sentii morire dentro.
Il cuore batteva così tanto che mi salì sino in gola e poi scese in picchiata nello stomaco quando Gianmarco caricò al massimo il def e continuai a piangere a dirotto, come un bambino.

«Niente da fare.»

«La stiamo perdendo, dottore»

«No, Fede, aiutaci e resta con noi. Facciamo il massaggio cardiaco».

Non riuscii a far altro che piangere e tirare testate una dopo l'altra al muro. Lei stava morendo ed era solo fottutamente colpa mia. Non dovevo essere così egoista nei suoi confronti e rischiare. Ma io la amavo troppo. Mi sfuggì un urlo strozzato e allungai le mani nel vano intento di raggiungerla e poterla stringere fra le braccia. Poter guardare i suoi occhi e bearmi del suo stupendo sorriso che le illuminava il viso. Ma lei, lei era in bilico tra vita e morte.

Gianmarco si stava impegnando per rianimarla e, dopo molti sforzi, il cuore tornò a battere.
E con esso anche il mio. Purtroppo dovetti arrendermi all'evidenza che quel tumore non era operabile e che ormai le restava qualche mese.
Avrei voluto dare una notizia migliore alle due ragazze, che avevano aspettato tutta la notte in sala d'attesa, ma non ce n'erano. Dopo l'arresto cardiaco, si svegliò dopo una settimana e nonostante tutta la buona volontà non riuscii a nascondere a Federica l'esito dell'intervento. Decidemmo di comune accordo di vivere il presente - come mi aveva sempre detto - e di goderci questi momenti insieme fino a che ce ne fosse stata la possibilità.

Angelina aveva cercato di convincere Federica a non farla partire per starle accanto, ma quest'ultima era stata irremovibile: non doveva rinunciare al suo progetto perché lei stava morendo. Io, dal mio canto, avevo comprato la casetta diroccata sulla roccia, a Capri. Avevamo deciso di trasferisci lì e di rimetterla a nuovo. Ero diventato il dottore dell'isola e ormai mi ero lasciato alle spalle la carica del consiglio e anche il grande ospedale di Milano. Ormai la mia vita era lei.

La donna che era diventata mia moglie nell'intermezzo, poiché avevamo deciso di sposarci quando si sarebbe ripresa. Gianmarco e Alessia erano stati i nostri testimoni e subito dopo avevo cominciato la ristrutturazione della nostra splendida casetta, da cui si godeva di una vista meravigliosa. Federica se n'era subito innamorata a prima vista.

Tre mesi dopo, la nostra vita era semplice e genuina. Vivevamo ogni giornata come fosse l'ultima e lavoravo nella clinica del luogo. Ci eravamo ambientati bene.

[...]

«Angelina ti ha fatto sapere a che ora arriva? Così passo a prenderla. Devo andare al mercato. Dimmi se hai bisogno di qualcosa... Pensavo di fare un barbecue» Nel frattempo mi stavo occupando di preparare la colazione e tenere d'occhio il tostapane, affinché non si bruciasse nulla. Grazie alle lezioni della mia insegnante, ero migliorato e non avevo fatto esplodere più nulla. Non ottenni nessuna risposta da mia moglie, ci fu uno strano silenzio in casa. Mi accigliai guardando attraverso le finestre: «Fede?» Recuperai il piatto per mettervi sopra le fette biscottate che avevo farcito con la nutella e la marmellata e uscii in giardino.

Vedendola venirmi incontro, mi bloccai sulla soglia e tirai un sospiro. «Guarda come sono belli!» esclamò mostrandomi i fiori.

Di certo, l'aria satura del mio appartamento in città non gli aveva permesso di sbocciare, ma da quando eravamo venuti qui sull'isola, Federica se n'era presa molto cura fino a farli crescere e diventare bellissimi.

«Mi sa che quanto pare ho parlato da solo. Non hai sentito niente, eh?»

«Perdonami, amore. Ero troppo lontana. Ti sei arrabbiato?»

«Come potrei essere arrabbiato con te, piccolina. Basta che mi chiami amore e ti perdono.»

Mi sorrise di rimando e feci scontrare le nostre bocche. Si passò la mano tra i capelli corti - che aveva voluto lasciare così - e poi puntò lo sguardo sorpreso sulla tavola e la colazione.

«Ooh, devo dire che questo talento me l'hai sempre tenuto nascosto, dottore. Sei diventato un eccellente cuoco»

«Ho avuto una buona insegnante» risposi prendendo posto dall'altra parte e mi versò un po' di caffè. «Comunque, che ne pensi se per l'arrivo di Angelina, organizziamo un  barbecue? È un ottimo modo per celebrare quest'occasione. Non vi vedete da tre mesi...»

«Nina mi ha chiamato ogni giorno. Mi dice che non riesce a stare senza di me.» Rise.

«Chi mai potrebbe vivere senza di te, Federica Andreani? Ti va bene della carne alla griglia per cena?» cambiai discorso.

«Ah, prendo carta e penna così ti faccio una lista» disse per poi correre trafelata dentro casa.

«Ah, Fede, perchè non stai un attimo ferma?» Mi lasciai andare contro lo schienale e la vidi tornare munita di penna e foglio. Si sedette ciò che serviva e glielo tolsi dalle mani: «Ora mangia. La colazione si raffredda. Ordini del medico» Annuì rivolgendomi un sorriso raggiante e addentò la fetta biscottata, spostando di tanto in tanto lo sguardo verso il panorama sullo sfondo: «E mentre vado al mercato, ti riposi un po' sull'amaca. Ok?»

«Va bene, Gio.» Acconsentì e continuammo a mangiare in totale tranquillità.

[...]

Scesi giù, al mercato, e mi fermai alla bancarella per prendere del guanciale, dato che assieme alla carne, voleva anche cucinare la carbonara — il piatto preferito di Angelina, e un po' anche il mio era diventato. L'uomo mi regalò anche delle susine di bosco per Federica, dicendomi che le sarebbero piaciute, e raccolsi le buste ricordando la visita di controllo in ambulatorio. Lo ringraziai e continuai il mio tragitto. Il tempo cambiò velocemente sull'isola e specie in questo periodo, e le nuvole si ammassarono nel cielo. La temperatura si abbassò e iniziò a tirare un po' di vento, finché non iniziò a piovere sempre più forte. Non avevo l'ombrello quindi continuai a camminare, inzuppando i vestiti, con le buste della spesa in mano. I tuoni squarciavano il cielo, rimbombando in ogni angolo, e mi fermai quando mi arrivò alle narici il profumo inconfondibile della terra bagnata. Inspirai a pieni polmoni, pensando a lei. Ripensai a quei momenti, alle volte in cui veniva spesso in ospedale e mi distraeva dal lavoro per propormi un picnic sul prato in giardino... Forse, era in quei momenti, che la giornata prendeva una piega diversa.
Quel profumo appena chiusi gli occhi mi riportò alla festa, al ballo lento, a quel sorriso che poi non ho più rividi più. Percorsi la strada fino a casa, ignaro che sarebbe stato l'ultimo giorno — e l'ultima colazione — che avrei trascorso in sua compagnia. Federica se ne andò per sempre sotto quel diluvio universale, ma quella promessa che le avevo fatto di pensare ogni volta che avrei sentito quel profumo di terra bagnata continuai a mantenerla, fino alla fine.

L'avrei amata...
oltre l'eternità.

FINE

grazie per aver letto e apprezzato questa piccola ma bellissima storia.
Vi ringrazio tanto🖤


Finale

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro