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Capitolo 6

Per lei. Tutto per lei.

OLTRE L'ETERNITÀ

Giovanni

«Pinze!» ordinai ad un collega spostando la testa dagli oculari. L'infermiera mi allungò l'oggetto sbagliato e lo fissai innervosito. «Ti ho chiesto le "pinze"! Tu guarda che cosa mi hai dato. Questo è un intervento al cervello!» gettai a terra l'oggetto con stizza e intorno a me regnò il gelo. Nessuno fiatò. «E tu» mi rivolsi all'altro medico: «stai a guardare e non la correggi?» Ripresi ad osservare, traendo un sospiro dietro l'altro. La loro indifferenza mi mandò in bestia. La giornata non era cominciata col piede giusto e, poco dopo, mi rifugiai in giardino ma con una nuvola di malumore che mi stava sempre alle costole.

Chinai il capo a terra, pensando a ciò che avessi fatto ieri. Avevo lasciato la bruna senza spiegazioni, ero uscito di casa senza nemmeno scrivere un biglietto. Una parte di me lo avrebbe voluto e mi sentii frustrato di non averlo fatto. Contemplai l'unica foto che le avevo scattato sull'isola e la voce di Gianma mi sorprese da dietro, così lo misi via.

«È davvero un incanto» Prese posto e mi allungò il caffè, preso dal distributore. «Mi è venuto un colpo la prima volta che l'ho vista» Rimasi in silenzio, ruotando la testa altrove e allora proseguì: «Non c'è bisogno nemmeno che te lo dica, Gio. È una brava ragazza. Non è una di quelle che frequenti. Non devi giocare con i suoi sentimenti.»

Lo sapevo e probabilmente per questo ero stato inquieto in sala operatoria e per il resto della giornata. «Abbiamo fatto l'amore» ammisi e Gianmarco tossì energicamente sul punto di strozzarsi con il caffè.
Avvertii il suo sguardo inebetito addosso e portai la mano sulla faccia. Invece di recriminare il mio comportamento idiota nei confronti di Federica, non proferì una sola parola.

[...]

Smanettai sulla tastiera del portatile con in sottofondo una musica classica, che non mi disturbasse e mi aiutasse a rilassarmi un po'. All'improvviso udii suonare il campanello, ma non stavo aspettando visite. Distolsi lo sguardo dallo schermo e mi recai all'ingresso, aprendo la porta. Mi trovai davanti la direttrice sanitaria, Ciancio.

«Sorpresaaa!» Esclamò alzando la bottiglia di vino.

«Angela... Accomodati.»

Non se lo fece ripetere due volte ed entrò.

«Mi hai detto che stasera avresti lavorato al tuo articolo e... così ho pensato di venire a farti compagnia.»

Raccolsi la bottiglia che mi porse. «Preferisco tenermi sveglio con un caffè, ma grazie. Vado a prenderti un bicchiere, intanto siediti» le feci segno al divano.

«Con molto piacere». Mi allontanai e afferrai il telefonino sul tavolo per scrivere un veloce messaggio WhatsApp alla mia segretaria, sperando che a quest'ora visualizzasse. "Vale, inventa un'emergenza!! Qualunque cosa ti venga in mente, per favore".

Dovevo togliermi da quell'impiccio il prima possibile, non mi andava di passare l'intera serata con la Ciancio, visti i fini.

«Hai una casa bellissima...»

«Ti ringrazio»

Presi dalla credenza un bicchiere e poi un cavatappi dal cassetto e mi diressi da lei, riempiendolo.

«Se non sbaglio, non abbiamo ancora festeggiato la tua presidenza» Le porsi il calice e io invece mi sarei accontentato del caffè. Preferivo rimanere sobrio in certi casi. «Brindiamo alla nuova carica prestigiosa e anche alla tua nomina del consiglio di amministrazione.»

«Non è ancora ufficiale» puntualizzai e feci tintinnare la tazza col bicchiere, rivolgendole un sorriso tirato. A quel punto, il mio cellulare squillò e mi salvò indirettamente da una situazione disagevole. Mi scusai e risposi. «Dimmi, Vale» Si inventò che una mia paziente era arrivata al pronto soccorso con una fortissima emicrania e che avesse perso conoscenza. Era stata geniale. Spostai gli occhi su Angela, che aggrottò la fronte. «Vado subito in ospedale. Ci vorrà un quarto d'ora. Avvisa tu» Così riattaccai, molto soddisfatto delle doti di Valentina Turchetto. «Come avrai capito, è un'emergenza. Sono spiacente» Mi alzai in fretta per raccattare il portatile e afferrai anche la giacca. «Festeggeremo un'altra volta. Tu fa' pure con calma. Purtroppo devo correre in ospedale»

«È la vita di ogni medico. E si sa che non ci sia medico più dedito al lavoro di un chirurgo.»

«Grazie della visita. Sei sempre molto gentile.»

«Solo con te, dottor Rinaldi.»

Le augurai la buonanotte e scappai a prendere le chiavi per uscire da quell'appartamento. Stava rischiando di diventare una trappola. Arrivai quindi in ospedale a notte fonda, dirigendomi verso le scale, quando una voce femminile mi fece fermare su qualche scalino.

«Vale?» Discesi le scalinate per raggiungerla. «Che cosa ci fai qui?»

«Ho appena accompagnato mia madre al pronto soccorso. Ha avuto un piccolo malore. Lei va nel suo studio?»

«È il posto più tranquillo in cui lavorare. Grazie per la chiamata. Mi hai salvato.»

Di rimando, un piccolo sorriso le curvò le labbra. Aveva immaginato da quel messaggio, da chi stessi scappando ed era stato fondamentale il suo intervento, altrimenti non sapevo quale altra scusa accampare. «Non c'è problema» Ci salutammo e potei raggiungere con sollievo il mio ufficio e - a quanto pare - ci avrei pure dovuto dormire, perché tornare a casa mia era fuori discussione.

Federica

Il filo dei miei pensieri fu brutalmente interrotto dalla porta che Angelina spalancò di botto, facendomi girare di scatto in quella direzione.

«Che succede?» chiesi, quando balzò sul mio letto e si sdraiò al mio fianco, per poi abbracciarmi.

«Non ho sonno, Fe...»

«Perchè?»

«Sono emozionata, capisci? Sto per andare in America e la cosa anche se fa un bel po' di paura, mi gasa tantissimo!» Mi accarezzò il braccio e il mio sguardo si soffermò sul soffitto. «Vedrai... Resterò nel campus per il primo semestre, poi affitterò una casa e arriverai anche tu. Sono sicura che sarà bellissimo! Mi cercherò subito un lavoretto part-time» le accarezzai distrattamente il braccio e poggiai il mento contro i suoi capelli. «Ma tu invece non dovrai più spaccarti la schiena e potrai goderti la vita. Voglio che ti riposi e la smetta di faticare notte e giorno. Te lo meriti, sorellina. I tuoi sacrifici verranno ripagati.»

«Mi piace quello che faccio. Non preoccuparti. È tutto a posto.»

Nina si strinse di più al mio petto, come quando era bambina e cercava conforto dopo aver fatto un brutto sogno.

«Ah, il mio angelo, Fe'. Non ti lamenti mai. Ti voglio bene...»

Presi un sospiro. «Anch'io. Tantissimo

La felicità di Angelina aveva la priorità su ogni cosa e se avesse realizzato i suoi sogni in quella città lontana, sarei stata felice.

[...]

Entrai nell'appartamento di Giovanni per il turno di pulizie quella mattina, ma quando aprii la porta restai immobile sulla soglia a guardare una donna mora spuntare dal corridoio.
Mi salutò con un ampio sorriso sulle labbra e contraccambiai, per non essere scortese.

Si avvicinò camminando su dei tacchi vertiginosi e sfoggiando una vanità al quadrato. «Gio è in ospedale. Me ne vado anch'io. C'è molto disordine. Sai, ieri sera abbiamo esagerato un pochino...» La squadrai dall'alto in basso e mi spostai di lato per farla passare. Sembrava che mi avesse voluto sbattere in faccia ogni frase. Si rivoltò con un sorriso smagliante: «Ho saputo dell'isola. Gio è sempre il solito. Gli piace scherzare. Ciao, tesoro. Buona giornata.»

Quando tolse definitivamente il disturbo, chiusi la porta con un pensiero martellante nel cervello. Appoggiai le chiavi di riserva da qualche parte e mi diressi in camera da letto. In effetti, il letto era stato appena rifatto e tra l'altro sulla coperta giaceva un attraente intimo femminile di colore rosa.

Camminai fin lì e raccolsi il biglietto in bella mostra.
Lessi quelle righe: "questa sarà la prossima sorpresa" e lo buttai, adirata. Uscii da lì, con troppe emozioni a cui non riuscivo a tenere a bada: rabbia mista a dolore e percorrendo il corridoio dovetti aggrapparmi al muro un paio di volte, per non crollare.
Mi ero bruciata e le lacrime mi scivolarono a fiotti sulle gote. Non mi era rimasto neanche un briciolo di dignità, mi aveva preso tutto, perfino il cuore, e lo aveva schiacciato. Non volevo stare lì a pulire i resti di quella vergogna disumana, si poteva pure cercare un'altra domestica e lasciarmi in pace una volta. Mi aveva fatto soffrire abbastanza. Non mi interessava della donna che gli aveva scaldato le lenzuola e poteva andarsene al diavolo.

[...]

«Io non ci posso credere! Questo è davvero troppo. Ma chi si crede di essere per trattarti come un giocattolino? Si è messo immediatamente con un'altra. Ti ha solo usata!» brontolò Alessia - ricordandomi quanto fossi stata stupida a credere nella buona fede di quell'uomo - mentre toglievo i vestiti dall'armadio per lanciargli sul letto. «Insomma non si è reso conto che così ti avrebbe ferita. Disgraziato.»

Mi inginocchiai per aprire anche i casetti in basso.

«La vuoi piantare? Che ti aspettavi? Che si sarebbe innamorato di una sempliciotta come me? Una cameriera senza arte né parte? Lui è un uomo importante»

«Pazzesco! Nemmeno adesso ti arrabbi e lo mandi a cagare! Tu ti tieni sempre tutto dentro, ecco perché sei così!» mi rimproverò e la guardai dritto in faccia.

«Così, come?» Si azzittì in un istante, non muovendo un muscolo. «Eh? Rispondi, Alessia!» Tentò di aprir bocca senza risultati, il gatto le aveva mangiato la lingua o non aveva il fegato di dirmi che la colpa era tutta mia. Poi piegai la t-shirt, osservando la rossa di sfuggita, e mi sedetti sul letto, buttandola alla rinfusa in valigia.

«Senti, perché non partiamo insieme? Noi due non facciamo altro che lavorare, ce la meritiamo una bella vacanza. Senti, proporrei di andare a Barcellona. Per una volta diremo "ecco, ci possiamo rilassare", con del sano movimento e nessun tipo di stress. È quello che ti serve.»

Posai gli ultimi indumenti e alzai le mani. «Sì, okay. Non sarà così male cambiare aria. Tu prepara la valigia, io vado a ritirare il bucato e dopo ce ne andiamo.»

«Brava Fedina, lasciati tutto alle spalle» concordò.

Mi alzai per uscire, sentendola borbottare in dialetto napoletano, riguardo Giovanni, ma era un argomento chiuso, quindi non intendevo parlarne ancora. Era un estraneo per me.

Giovanni

«Ciao Gio» Mi salutò la mora intenta a risalire le scale e staccai gli occhi dal telefonino. «So che hai avuto un intervento durato sei ore, è andato tutto bene?»

«L'operazione è riuscita. I parametri vitali sono stabili. Ora vado a riposarmi. Mi dispiace per ieri.»

«Devo confessarti che ho dormito da te. Sono crollata sul letto. Sai, è arrivata la tua domestica e le ho detto di pulire e mettere in ordine tutto.» Assunsi un'espressione seria e la direttrice guardò oltre le mie spalle, rispondendo a qualcuno che stava arrivando, e riportò la completa attenzione sul sottoscritto. «Mi sono fermata a parlare con lei. È una ragazza dolce...»

Mi oltrepassò e schiusi a malapena le labbra, mentre un sospetto si faceva strada nel cervello. Se Angela aveva incontrato Federica nel mio appartamento e avevano parlato, non osavo immaginare cosa le avesse fatto credere.

Corsi verso le scalinate, indossando al contempo la giacca, mandando a far benedire il pisolino e Gianmarco mi chiese dove stessi andando, dato che stavo correndo, come se dovessi impedire una catastrofe.

«Quale vita devi salvare, Giova'?» Per la prima volta, non era quella di un paziente qualunque.

«La mia!» gli urlai di rimando.

In taxi, chiesi alla mia segretaria di mandarmi l'indirizzo di casa di Federica tramite Whatsapp, doveva per forza conoscerlo visto che l'aveva assunta lei. Dopo un po', me lo mandò, e non impiegai molto ad arrivare in un palazzo non troppo grande. Salii fino al piano che mi era stato indicato in portineria e, a quel punto, una porta sulla sinistra si aprì di colpo. La ragazza rossiccia sulla soglia mi squadrò con sorpresa e mi avvicinai. «Ah... Buongiorno. Federica... abita qui?» Si limitò a mugugnare in risposta. «Sono Giovanni Rinaldi.» Non riuscendo a dire alcunché, si spostò di lato per farmi passare. Fu così che uscii in un cortiletto e la vidi, — voltata di spalle, impegnata a togliere i panni.

Avanzai. «È permesso?» Sentendomi, si girò di scatto, e buttò l'indumento in un cesto.

So che stava pensando che fossi un farabutto che l'aveva presa in giro, ma non era così. E volevo dimostrarglielo altrimenti non mi sarei sognato di venire...

«Come hai potuto—»

«Federica» la interruppi impedendole di finire la frase.
«Per favore, ora lascia parlare prima me. Vorrei provare a spiegarti tutto con calma, ti prego» Vedendola disponibile all'ascolto, continuai. «Questa cosa che c'è tra di noi... non riesco nemmeno a definirla. Ma qualunque cosa sia, mi fa una paura enorme.»

«Ascolta, fra noi —» provò a dire ma alzai il palmo per interromperla. Avevo trovato il coraggio e non intendevo negare a me stesso questo sentimento.

«Non ho finito. Non so più che cosa pensare, ok? La mia mente è svuotata... — appoggiai direttamente la mano lì sul petto e osservò quel gesto — ma il mio cuore — poi rialzò lo sguardo puntandolo sul mio viso — il mio cuore invece non ha alcun dubbio. Vuole te. Solo te. Non posso controllarlo. Ora però mi serve del tempo perché per me è un sentimento-»

«È impossibile.» sentenziò.

«Se è per Angela, è arrivata all'improvviso ma sono andato via. Mi ha aspettato fino al mattino mentre operavo in ospedale. Poi poco fa mi ha detto di averti vista. —  chinò gli occhi. «Credimi, è la pura verità.»

«Sì, lo so... Ti credo, però...» La tristezza invase i suoi occhi, li colmò di lacrime e biascicò. «Però, non chiedermi tempo... perché non posso dartelo.»

Cercò di superarmi e tentai di bloccarla, in qualche modo, prendendole le braccia. «Ascolta... È una situazione complicata anche per me!»
Si ritrasse bruscamente, sollevando le mani in alto e portò la mano contro la bocca. Era come se volesse mettere distanza tra di noi... e non capivo nulla. Lo sguardo d'un tratto diventò vacuo e non incrociò più il mio: «Fede...»

Si riscosse e poi continuò.
«Ti avevo chiesto un parere su un referto. Hai detto che è un tumore quasi inaccessibile e che se si provasse ad intervenire» Fece una breve pausa, le lacrime le inondarono gli occhi. «Potrebbero esserci gravi complicanze. La paziente potrebbe restare paralizzata o attaccata ad un respiratore. Non ci sono speranze. Ormai la sua aspettativa di vita è di pochi mesi» Si lasciò sfuggire un altro singhiozzo e deglutì.

Ricordavo quel caso, sì. Mi aveva dato il referto affinché lo analizzassi e le dessi una mia opinione professionale.

«Hai detto ch'è una tua amica».

Abbassò lo sguardo e le lacrime continuarono a scenderle imperterrite. «Non è così...» sibilò per poi scuotere il capo sollevandolo un'altra volta. «Sono io»

Insinuai le mani fra i capelli, maladendomi in tutte le lingue di questo mondo che sapessi e mi mancò la terra sotto i piedi.
Mi allontanai leggermente per assorbire quella doccia fredda, che mi era precipitata addosso. Portai le mani alla testa e, in un attimo, le certezze vennero spazzate via e crollò tutto, come un castello di carte. Passai la mano sulla nuca e tirai un pesante respiro. Non sapevo cosa ci fosse di peggio... le parole lapidarie di Federica o quello che sarebbe accaduto, in seguito. «Mi illudevo che forse tu... avresti potuto...»

«Calmati, per favore. Domani faremo una Tac in ospedale» la bruna invece indietreggiò tenendo in alto le mani. «E poi mi consulterò con i colleghi per capire come procedere. Non devi aver paura. Sistemeremo tutto.»

«Mia sorella sta per partire.»

«Di che stai parlando?»

«Non voglio che sappia della mia malattia altrimenti rinuncerà!»

«Vuoi smetterla di pensare sempre e solo agli altri? È la tua vita quella in gioco, devi pensare a curarti e stare bene.»

«Ora seguirò il consiglio del medico, partirò insieme ad Alessia e vivrò al massimo i miei ultimi giorni» Portai le mani ai fianchi distogliendo lo sguardo, disapprovando la sua scelta. «È meglio così! Ogni tuo tentativo per salvarmi non servirebbe a niente — incrociai il suo sguardo affranto — lo sai anche tu, Gio. Causerebbe altra sofferenza alle persone a cui voglio bene e io non posso permetterlo.»

«Ma almeno lascia che ci provi»

«Non avrebbe alcun senso.»

Come poteva non avere alcun senso? Come poteva chiedermi di rimanere fermo a guardarla mentre la malattia la distruggeva? Sarei venuto meno al mio giuramento e ai miei principi, come medico.

«No, non è vero»

«Lascia stare» esclamò e dopodiché mi superò rientrando dentro. A quel punto, feci un altro respiro, stropicciandomi la faccia. Non poteva davvero desiderare di morire senza prima aver fatto almeno un tentativo per cambiare le cose.

La raggiunsi nella camera, vedendola indaffarata a chiudere la valigia. Le agguantai il braccio, costringendola a sollevarsi.

«Ti ho incontrata troppo tardi, Federica. Ma non mi arrendo. Non posso sopportare di perderti.» Mi fissò intensamente, non dicendo nulla, e stavolta ero io... quello che si stava sforzando di non piangere. Feci aderire totalmente i nostri corpi e le strinsi le braccia attorno alla schiena. «Nessuno ti porterà via da me, ok? È una promessa» Posizionò la testa nell'incavo della mia spalla e appoggiai il mento sulla sua. Quell'abbraccio avrei voluto farlo durare in eterno, così da dimenticare per un istante la terribile tragedia che si era abbattuta su di noi. Ci staccammo e le afferrai la mano. «Vieni con me».

«Dove?»

«Partiamo subito.»

«Che cosa?»

«Non volevi andare via? Capri ti è piaciuta tanto. Ti ci riporto»

Mi fece bloccare. «E scusa? Tutti i tuoi impegni in ospedale?»

«Tu mi hai insegnato che il lavoro non è tutto e qualche volta è meglio staccare la spina. Cos'è? Hai cambiato idea?» Le feci increspare un sorriso. «Ecco, vedi! Anch'io so godermi la vita. Su, andiamo» La trascinai fuori, senza sentir ragioni.

«Devo prendere la valigia...»

«Compreremo tutto là» ribattei. Non volevo perdere altro tempo prezioso con quelle sciocchezze. Volevo semplicemente spenderlo nella maniera migliore, stando con lei, e allontanando da noi quello spettro di sofferenza. Ne avevamo entrambi bisogno.

[...]

Tornammo in quella bella isola nel mar Tirreno e trascorremmo parecchi momenti divertenti e fu bello vederla spensierata mentre giocava a dama con il sottoscritto, riuscendo a non farmi vincere mai.

Guardai la splendida ragazza seduta di fronte a me, divertirsi e prendermi in giro per le scarse doti ludiche con un ampio sorriso sulle labbra... e non riuscii a distaccarmici. Raccontò alcuni aneddoti della sua infanzia e scoppiò a ridere con le mani sulla faccia, adagiandosi allo schienale della sedia e coinvolse anche me. Poi andammo a passeggiare, raggiungendo una parte abbastanza alta, dove la città appariva una cartolina meravigliosa. Al suo fianco sembrava speciale anche il cielo che si stava tingendo di rosso fuoco e il sole che stava sparendo all'orizzonte. Mentre eravamo in altri giri di ispezione, ci sorprese una pioggia torrenziale, tipica del periodo estivo e riuscimmo a trovare un riparo provvisorio sotto la grondaia di un ristorantino lungo il sentiero. Li avvisai che ci stavamo riparando e non ebbero problemi a farci rimanere. Poi mi voltai verso Federica, che aveva alzato a mezz'aria il braccio, per raccogliere quelle gocce di pioggia che cadevano senza sosta dal cielo. Inspirò con il naso a pieni polmoni e dopodiché aprì gli occhi.

«Lo senti questo profumo?»

«Con tutti i miei sensi.»

Era terra bagnata e aleggiava nell'aria. Più che fissare quello spettacolo naturale, il mio sguardo era focalizzato sulla ragazza di cui ero innamorato. Era la prima volta che stavo sperimentando cosa significasse amare qualcuno e avere una paura bestiale di perderla.

«Promettimi una cosa. Promettimi che ti farà sempre pensare a me».

La osservai a lungo, un tempo incommensurabile, come se stessi scattando una fotografia per custodirla nella memoria. «Te lo giuro, piccolina» posai poi le mani ai lati del volto, insinuandole nei suoi capelli fradici. Adagiò la sua fronte alla mia e sospirò flebilmente. «Non lo dimenticherò mai.» Le afferrai un'altra volta la faccia per darle un bacio sulle labbra, assaporando quel sapore delicato mischiato alle lacrime. «Mai e poi mai, Fe'.» Lasciai baci ovunque, sulla guancia, sul naso e infine sulla fronte, mentre mi stringeva i polsi con delicatezza.
Era impensabile perdere la ragazza che mi aveva fatto riscoprire quanto fosse bella la vita e quanto poco significato avesse avuto prima di incontrarla. Con lei ero stato me stesso sempre, in ogni occasione e perfino al galà quando eravamo completamente sconosciuti. La tenni stretta a me per un po', non volevo lasciarla per il timore di vederla sparire.

«Dai, andiamo!»

Si staccò e mi prese per mano, trascinandomi allo scoperto, per essere investiti dalla pioggia. Iniziò a roteare su se stessa, — urlando al cielo — e mi lasciai andare anch'io, facendo lo stesso. Mi sentivo libero e, soprattutto, felice. Non mi importava dei vestiti che si erano incollati come una seconda pelle, volevo solo vivere quell'attimo. Mi fiondai contro di lei e la sollevai per farla girare come una trottola. La sua risata genuina riecheggiò nelle mie orecchie e la rimisi poi a terra, avvicinando le nostre fronti.

Se avessi avuto il potere di bloccare il tempo, lo avrei fatto immediatamente. Restare lì a giocare sotto l'acquazzone, come due bambini, e baciarci con passione, era la visione perfetta di un sogno che però purtroppo non era destinato a continuare...

[...]

Non riuscii a chiudere occhio per tutta la notte e avevo visto l'alba sorgere accovacciato accanto alla finestra della nostra stanza. Troppi pensieri e — tanta, tantissima paura — mi impediva di starmene in quella bolla di felicità, senza farla esplodere. Fede stava dormendo profondamente, aveva avuto anche qualche linea di febbre, per essere rimasta troppo tempo sotto l'acquazzone. All'improvviso si ridestò e mi alzai per sedermi sul bordo.

«Fede!»

«Che c'è?» chiese stropicciandosi gli occhi e muovendosi lentamente fra le lenzuola.

«Ho trovato un metodo per operarti.»

«Vorrei che non parlassi della malattia, per favore»

«Funzionerà. Vedrai.» insistei determinato a non cambiare argomento. Si tirò a sedere per appoggiarsi alla testiera. «Ho ripetuto mentalmente ogni minimo passaggio dell'intervento migliaia di volte, ormai lo conosco a memoria. Ce la posso fare, lo sento. Finora non è mai stato tentato — mi ascoltò con attenzione — ma io sono fiducioso. Penso che non ci saranno problemi.» Si portò la mano sulla fronte e tirò indietro i capelli, riflettendo: «Lascia che ci provi. Finché non si finisce il match, si possono sempre tirare altri pugni e provare a vincere...» Le presi le mani. «Ti prego. Combatti insieme a me»

Non disse nulla, ma conoscendomi non avrei cambiato idea nemmeno se mi avesse supplicato per l'ennesima volta di lasciar stare.
Ora sapeva che ero determinato ad andare fino in fondo e lottare per la sua sopravvivenza...

[...]

Gianma non prese affatto bene la mia decisione, dopo che avevo dichiarato apertamente che solo un pazzo avrebbe tentato di operare con così poche speranze.

«Ma che sei impazzito, Gio?! Tu sei completamente fuori di senno! Totalmente! Che ti ha trasmesso questo sentimento, il morbo della stupidità

«Ho ideato un piano innovativo e lo sperimenterò qui.» Volsi lo sguardo al moro. «Abbiamo già avuto casi difficili e ce la siamo sempre cavata bene.»

«Sì, però, mai così difficili.»

«Ma se non intervengo, lei...» alzai il tono della voce di un'ottava e mi bloccai fronteggiando l'espressione seria del ragazzo alto. «La paziente morirà»

«Probabilmente morirà lo stesso!»

«Sì, lo so» risposi con le mani ai fianchi.

«La percentuale di sopravvivenza è meno del dieci per cento! È troppo bassa»

«È sufficiente per giustificare un intervento, altrimenti l'alternativa è la morte certa!» sbottai, facendogli affievolire quel "ma" di protesta in bocca e mi spostai direttamente dall'altra parte della sala, dove davanti a me vi erano le lastre di quel caso.

«Amico....» riprese raggiungendomi alle spalle. «Ascolta, anche se superasse l'intervento, una volta in terapia intensiva lei rischierebbe di non risvegliarsi più e dovremo per forza collegarla al respiratore. Se la ami, non sfidare la sorte.» Abbassai lo sguardo torturandomi il labbro inferiore e mordendolo più e più volte fino a sentire un sapore ferroso in bocca. «L'ospedale dovrebbe coprire tutte le spese e credi che la Ciancio ti darà il suo consenso? Te lo dico io: non lo farà.»

«Ho ricevuto un dono: il mio talento come medico...» dichiarai per poi voltarmi verso di lui. «Metterò in pratica tutto quello che so per salvarla.»

«Non puoi farcela, cazzo! Non vedi che adesso sei fuori di te e hai il cervello annebbiato! E comunque il consiglio non approverà...»

«Occupati dell'anestesia che...»

«Te lo puoi scordare. Non ti permetterò di rovinarti con le tue stesse mani!» mi abbaiò addosso per poi fare l'atto di andarsene mentre avevo lo sguardo perso nel vuoto. «Certo, sei un chirurgo eccezionale, il grande Giovanni Rinaldi! Però... non sei Dio».

Dopo abbandonò la saletta, lasciandomi impalato sul posto.

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