Capitolo 5
Per lei. Tutto per lei.
OLTRE L'ETERNITÀ
Giovanni
La verità era stata svelata da Federica ma era giusto così. Dopotutto il nostro accordo valeva solo per due ore al ricevimento... ma sentivo che non era più lo stesso.
«Domani stesso manderò la proposta al consiglio di amministrazione. Sono sicuro che non ci sarà nessun ostacolo» Allungò la mano per sigillare l'accordo: «Soddisfatto?»
Gliela strinsi. «Ne sono felice.»
«Mai quanto me.» Rise. «Quando la nomina sarà ufficiale festeggeremo con una bella cena. Sarà grandioso» Bevvi un sorso di caffè caldo. «Ora, se non ti spiace, sarà meglio che raggiunga mia moglie».
«Io resto un po' qui.» asserii.
Si alzò, augurandomi la buonanotte e annuii con la tazza stretta fra le mani. «Ah... Un'altra cosa» Sentii la sua voce alle spalle e mi girai. «Trovo che quella ragazza... oltre ad essere splendida, sia anche adorabile» Abbassai un po' lo sguardo. «Sta' attento, Giovanni. L'amore è infido»
Continuando a sghignazzare di non so cosa in realtà, si dileguò dal giardino lasciandomi con un mucchio di pensieri confusi nella mente. Dovevo ammettere che avesse ragione sul conto della bruna. Restai seduto vicino a quel tavolo, tirando un sospiro, e intrecciai le dita. Il mattino successivo, — come previsto — facemmo ritorno a Milano con un volo mattutino e fu abbastanza tranquillo anche per Federica. Uscimmo dall'areoporto, consapevoli che si fosse trattata di una parentesi. L'autista corse a togliermi di mano la valigia per metterla in auto. «Fil, ti accompagnerà dove vuoi. Non farti problemi. Io vado in ospedale con Christian»
Si bloccò. «Sì, va bene. Verrò da lei domattina» Acconsentii con un cenno della testa. Ovviamente era la mia domestica, quindi doveva svolgere il lavoro. «Però se ha bisogno di qualcosa, mi lasci un biglietto dei suoi. Anche se... la scrittura non sempre è comprensibile, lo ammetto» Annuii ancora e fece un sospiro. «Molte grazie per questi giorni. È stato bello. Mi sono divertita.»
Stava per darmi le spalle.
«No, grazie a te» Mi sorrise. «Buona giornata.»
«Anche a lei.»
Fece qualche passo per raggiungere l'Uber e la chiamai a gran voce. Non sapevo esattamente per quale motivo volessi ancora trattenerla. «Quindi, non andrai a casa mia oggi, no?»
Parlai a vanvera, dato che aggrottò la fronte.
«No. Devo andarci domani.»
«Giusto.»
«Comunque, se preferisce, adesso faccio un salto da me, mi cambio, preparo da mangiare per mia sorella e dopo posso andare nel suo appartamento, anche se non occorre. Non c'è stato manco per dormire»
Avrei voluto schiaffeggiarmi la fronte, ero un cretino. Era palese che non servisse che facesse le pulizie se non c'ero stato.
«No, infatti. Immagino che sarà tutto pulito visto che io non c'ero» Provai a ridere per sdrammatizzare e mi sentivo così terribilmente ridicolo. «Lo chiedevo solo per verificare. Ci vediamo, eh. Ti saluto»
Mi diressi verso l'altro taxi dove mi stavano aspettando e intanto sbuffai, perché avevo fatto una figura del cavolo con Federica.
Ma che mi era preso?
[...]
«Ecco il suo pranzo, dottore» Esordì Valentina, portando il vassoio direttamente nel mio ufficio dato che avevo del lavoro arretrato da dover terminare. Era stato bello viaggiare, camminare per tutta l'isola, ma ora dovevo tornare alla routine di sempre. Mi alzai dalla sedia girevole, prendendo il panino in carta stagnola e le lasciai il cellulare dicendole di non voler essere disturbato. Mi ritagliai un momento di svago, mettendomi seduto sulla panchina immerso nella natura e i suoi profumi. Un po' mi ricordava lei...
"No. Giovanni, basta, ti stai un po' troppo fossilizzando su di lei e la conosci da due giorni."
Dovevo eliminare e resettare. Diedi un altro morso al panino.
«Ma guarda un po' chi c'è?! Non avrei mai immaginato di vederti seduto su una panchina a mangiare un panino, come un comune mortale...» mi stuzzicò Gianma, prendendo posto.
«Volevo stare solo»
«E posso capirti. L'intero ospedale non vede l'ora di farti mille domande sul tuo weekend romantico. — smisi di bere il latte e lo guardai - Complimenti! Sono veramente fiero di te! Non è da tutti fuggire su un'isola con la cameriera...» smise di ridere come un povero scemo: «Ooh, sarà meglio che mantenga le distanze, mi sembri un po' nervosetto.» Continuai a masticare il boccone e a guardarlo con la coda dell'occhio. «Non preoccuparti. Non ho aperto bocca, qui nessuno sa chi è, tranquillo. È la donna del mistero. Tanto bella da aver fatto girare la testa a molti...» Avevo lo sguardo perso altrove e lui fischiò per ottenere la mia attenzione un'altra volta. «Che ti prende? Come mai te ne stai zitto a fissare il panorama con quell'espressione da pesce lesso?»
«Non mi succede niente, Gianma.»
«Non me la dai a bere, piccolo. Si vede subito che sei diverso» dichiarò mentre nel frattempo mordevo il panino. «Uuuh... Tu sei innamorato.» Più che una domanda parve un'affermazione. Ne era talmente convinto.
«Piantala. Non è così.»
«Non la pianto finché non mi dici perché hai quella faccia e te ne stai qui ad ammirare la natura. È come se tu fossi nel mondo dei Balocchi e non te ne accorgi.»
Mi alzai. Purtroppo la mia tranquillità era stata rovinata da un tale Pretelli in vena di stupidaggini.
«Volevo prendermi una pausa, tutto qua. Non sono più libero di farlo o devo chiedere il permesso a te?»
«Non ti scaldare, Giova'. Ho toccato un tasto dolente?»
Mi bloccai a pochi passi. «Gianma?»
«Che c'è?» domando smorzando la sua risata.
«Che sarei se non fossi un medico?»
Me l'ero sempre chiesto. Era una curiosità che volevo togliermi.
Mi osservò con serietà e fece ok con le dita. «Un rompiscatole coi fiocchi!» esclamò per poi riprendere a ridere.
La mia pausa era finita e rientrai. All'ingresso notai una donna al banco accettazioni, che parlava col bambino promettendogli di comprare un bel giocattolo. Era il piccolo paziente che avevamo dimesso e mi faceva piacere, così mi avvicinai.
«Bene, bene. Ciao, piccoletto. Torni a casa?» Gli accarezzai la testa e la madre disse che era guarito completamente da quel brutto male e mi abbassai alla sua altezza. «Hai sopportato le cure con molto coraggio. Ci vediamo alla visita di controllo. Fino ad allora, prendi tutte le medicine e non stancarti troppo. Obbedirai sempre alla mamma?» Fece sì e insinuai la mano tra i suoi capelli. «Quando torni, troverai una sorpresina per te. Vedo che hai la maglietta di SpiderMan. Forse, nel mio ufficio c'è il suo costume» Aaron allargò le braccia e me le buttò attorno al collo. Lo lasciai andare con la sua mamma e sicuramente dopo quella battaglia gli sarebbe aspettata la vita, quella vera, che ad ogni bambino dovrebbe essere concessa. Si sarebbe buttato quella sofferenza alle spalle e finalmente non avrebbe avuto a che fare con le chemio. Era quello che mi auguravo, ogni volta.
Federica
Seminare un tipetto come Alessia Argenziano non era un'impresa semplice, dato che mi correva dietro per tutti i posti della casa cercando di scoprire qualcosa in più dei due giorni in cui — a detta sua — pensava fossi stata rapita e spedita chissà dove.
Mi fiondai in giardino e anche lì mi seguì senza remore.
«Eddai, forza! Dimmi che cos'è successo! Voglio tutti i dettagli. Mi hai mandato quel messaggio e poi sei sparita nel nulla! Pensavo di chiamare "Chi l'ha visto".» Mi fece mollare le piante di cui mi stavo occupando per non starla a sentire e mi spintonò verso il tavolo. «Lascia perdere le piante e vatti a se-de-re!»
«Uffa, come sei insistente...»
«Ti vuoi decidere a raccontarmi?» mi accomodai e assunse una faccia maliziosa. «Ah... Lasciami indovinare. Scommetto che si è perdutamente innamorato di te.» Si mise seduta dall'altra parte.
«Mi ha appena chiesto di sposarlo» Le mostrai l'anellino, che indossavo e lei sobbalzò.
«Come, come?! Cosa?» Portai la mano alle labbra per non scoppiare a ridere per la sua faccia, aveva gli occhi fuori dalle orbite. «Ti ha già dato un anello!» Mi diede un buffetto sul braccio. «Incredibile, mattacchiona! Ti sono bastati due giorni!» Ridacchiai e si coprì la bocca. «Pazzesco... Diventerai la moglie di un dottore, amo'! Ma ci pensi? Pensa a come saranno contenti i parenti giù a Caserta!»
«Oh, è stato meraviglioso, una proposta da favola...» appoggiai la faccia sul palmo della mano. «Mi ha guardato e io ho guardato lui. Ad un certo punto, ha detto: "non posso vivere senza di te. Che ne dici di dirmi il tuo nome?"»
Mi mollò la mano infastidita mentre mi guardai l'anello al dito ridacchiando.
«Ci sono cascata, che stronza! Sei proprio una brava attrice. Meriterebbe l'Oscar, signori e signore. Pensavo davvero che ti avesse chiesto di sposarlo.»
«Non essere ingenua. Non mi vede nemmeno.» Mi alzai in piedi per tornare alle piante.
«Cosa? Ma sei fuori, amo'? E dove la trova una come te? Se non gli piaci perché ti ha portata con sé?»
«Il suo capo ci ha trascinato sul suo jet e poco dopo eravamo già a Capri. Il dottore non ha potuto farci niente. Eravamo in trappola.»
«Il suo capo ha un jet?» domandò incredula.
«Ah, quello non è niente. Potrebbe comprare l'Italia intera e non soltanto Capri».
«Però! Cavolo, ma quanti soldi ha? E- E poi cos'è successo?»
«Abbiamo dormito lì.» minimizzai abbassandomi per prendere la scopa, mentre il suo sguardo mi seguiva. «Siamo arrivati la mattina presto e poi siamo andati a riposarci. Questo è tutto.» Iniziai a spazzare un po' il cortile.
«E dividavate la stanza?»
Aveva uno sguardo ammiccante e la fissai con un sopracciglio alzato. «Che? Ma che importanza vuoi che abbia? Tra noi non è successo niente, te lo assicuro»
«Ah... Credevo che tra di voi ci fosse stata elettricità... ed è evidente che tu gli piaci altrimenti perché ti... ti avrebbe invitato a quel ricevimento?»
«Solo per scoraggiare quelle che gli corrono dietro. Lui mi ha usato per allontanarle.» ripresi a spazzare abbassando lo sguardo. «Ma» Alzai lo sguardo. «È stato molto bello.» La rossiccia inclinò lo sguardo, sussurrando un "uhm", sembrava che stesse insinuando sulla base di quanto avessi detto. «Ho avuto l'opportunità di viaggiare su un aereo. Mi piacerebbe rifarlo.»
«E... il referto?» La domanda mi fece fermare e riportò una ventata di tensione. «L'ha visto?»
Drizzai la schiena. «Me ne ha parlato. Ma purtroppo non ha detto niente di nuovo.»
Le urla spropositate di Angelina interruppero il discorso spinoso. Era appena rientrata in casa e già aveva creato scompiglio, buttando a terra lo zaino e uscendo come un razzo.
«Fede! Fede!»
«Che è successo?» Mi avvicinai un po' titubante.
«Sono stata ammessa!»
Gridai anch'io e l'abbracciai iniziando a saltellare felice.
Portai le mani in faccia, sprizzando gioia da ogni poro. «Non ci posso credere! È meraviglioso, tesoro! Sei felice?»
«Tantissimo!» esclamò al settimo cielo e si gettò di nuovo nelle mie braccia. «Mi hanno presa! Vado negli Stati Uniti!»
Niente avrebbe potuto cancellare quel momento fantastico di Nina. Lo meritava, ma non perché fosse la mia amata sorellina. Si era impegnata con tutta sé stessa per studiare a fondo e finalmente aveva raggiunto il traguardo.
Ero stra orgogliosa di lei.
[...]
«Dov'è Nina?» domandò Ale mentre sistemavo gli aghi sulla maglietta. Ne stavo approfittando perché mia sorella non era nei paraggi e lo volevo finire per tempo, prima che partisse.
«A festeggiare con gli amici. Che ne pensi? Sarà finita prima che parta?»
Accarezzò il tessuto.
«È meravigliosa. Ma sì, vedrai, faremo in tempo.»
Presi un respiro fugace e posai la mano sulla coperta, che stavo confezionando. «Lei adorava questa maglietta...» Ormai non le stava più, era diventata piccola, e aveva l'immagine di Puffetta stampata sopra. «Ce l'aveva sempre addosso. Non se la toglieva nemmeno per andare a letto. Non si riusciva a convincerla.»
Feci il labbruccio ripensando ai momenti della nostra infanzia quandp la mamma e il papà erano ancora vivi ed eravamo una famiglia felice.
«Quando hai intenzione di dirglielo? Devi farlo. Se aspetti troppo, non ti perdonerà.»
Posai la forbice. «Voglio che presenti il suo progetto. Manca solo una settimana.» Alessia stette in silenzio per qualche secondo. «Se gliene parlassi adesso avrei la sensazione di rubarle il futuro. Non posso farlo. La sua felicità ha la priorità.» ripresi a tagliare con attenzione. «È meglio rimandare».
Il cellulare vibrò una chiamata e Alessia allungò il collo per vedere il mittente sullo schermo.
«È il tuo dottore! Rispondi! Rispondi!» mi incalzò mentre le intimavo di fare silenzio.
«Mi dica, dottore.»
«Ah, Fede, scusa l'orario. Ho messo le tue erbette nella pentola a pressione. Quanto devo lasciarle? Non trovo le istruzioni.»
«Perché le ha cotte? Avrei potuto farlo io domani mattina. Non c'era alcuna fretta.»
«Domani?» ripeté. «Ah, è vero! Tu verrai domani. Sai è... che il frigorifero è vuoto, così ho pensato che potevo farle bollire e mangiarle per cena, magari con un po' di limone.»
«E mi dica, da quanto tempo stanno cuocendo?»
«Ehm, venti minuti» mi comunicò e feci un verso. Alessia non capì e continuò a mimare con la bocca un "che succede?". «Ma la pentola a pressione fa uno strano rumore...»
«Deve stare attento. Senta, innanzitutto, mi dica quanta acqua c'ha messo»
«Due dita...» ipotizzò. «E se esplodesse?»
«Esca dalla cucina» ordinai.
«Cosa hai detto?»
Poi si sentì dalla cornetta un boato talmente forte che per poco non rovesciai la sedia, tappandomi la bocca.
«Cos'ha fatto?» chiese Alessia gesticolando con le mani.
«Dottore! Sta bene?» Ma non sentivo più niente dalla parte opposta e cominciai a spaventarmi. «Dottore! Risponda! Sta bene?»
«Si, benone. Sono tutto intero.»
Portai la mano al petto, il cuore mi era schizzato in gola.
«Oh, che spavento. Mi sono presa una paura. È tutto apposto?»
«Sono sano e salvo» affermò. «Ma non si può dire lo stesso della cucina. Sembra che ci sia stato un bombardamento.»
«Meglio che vengo io. Non può farcela a pulire da solo»
«Mando subito il mio autista a prenderti»
Accettai anche se quello era uno straordinario e agganciai.
«Che disastro. Mettiamola via. Non voglio che Angelina la veda e si rovini la sorpresa»
Alessia non aveva capito granché dell'accaduto, mentre raccoglievo la coperta alla svelta.
«E così vai a pulirgli la cucina?»
«La finisci di insinuare sempre! La pentola a pressione è esplosa, l'hai sentito?»
«Ah, che razza d'imbranato» Poi si alzò e mi spinse via, dicendo che ci avrebbe pensato lei a togliere tutto di mezzo e di andare a farmi bella. «Non è il caso di far aspettare il tuo dottore... Avanti.» Ammiccò strizzando l'occhio.
Era incredibile e le diedi retta, tanto a breve sarebbe arrivato il suo autista personale.
[...]
Mezz'ora dopo mi ritrovai davanti alla porta del dottore e mi aprì la porta.
«Accomodati».
«Salve, dottore» risposi oltrepassando la soglia, pronta per mettermi all'opera.
«Mi dispiace molto averti disturbata a quest'ora»
«Non si preoccupi. Fa parte del mio lavoro»
Mi scortò verso la cucina. Sembrava essere passato un uragano e le erbe erano rimaste impiastricciate ovunque.
«Ecco... questo è il disastro che ho combinato. Come chef non sono un granché». Mi misi subito all'opera, posando la borsa da qualche parte e corsi nel disimpegno. «Allora, dottoressa Andreani, pensa che la mia cucina sopravvivrà?»
«Spero di sì...»
Tornai munita di tutto l'occorrente e mi tolse il secchio dalle mani, anche se non ce n'era bisogno.
«Ma no...»
«Non protestare. Se puliamo in due, finiremo prima.» Appoggiò il secchio sul ripiano e — visto l'insistenza — cedetti. «Adesso...» Si guardò attorno per capire effettivamente da dove partire. Era sporco ovunque.
«Dunque, sì, cominciamo con questa. Tenga» gli porsi della carta: «Dobbiamo togliere queste erbe immangiabili.»
«Immangiabili?»
«Esatto. Sono tutte bruciacchiate, ormai sono andate.» Ridacchiai.
«Ma comunque sono riuscito a cuocerle e nella pentola ce ne sono ancora. Non è tutto da buttare» affermò per poi indicare il soffitto con il dito. «Be', tranne quelle che sono lassù. Quelle non le darei manco al mio cane. A tal proposito, potrei vincere il premio "massaia dell'anno." Che ne pensi?» Ridacchiai.
Aveva uno spiccato senso dell'umorismo.
«Lì ce ne sono ancora parecchie. Pulisca bene» gli indicai un punto del ripiano.
«Di questo passo, diventerò una casalinga perfetta» commentò e le trascinò verso di me.
Per poco non rovesciai una tazzina e gli chiesi scusa, ridendo. I nostri visi si ritrovarono ad un millimetro di distanza mentre stava raccogliendo i residui.
«Sono migliorato?»
«Sì, dai. Bene, va molto meglio». Mi superò per prendere dell'altra carta e così feci anch'io, chiedendogli educatamente il permesso, afferrando la pirofila.
«Ah, ci penso io. Non disturbarti» disse venendomi incontro e ci scontrammo, ritrovandoci a una minima distanza. Ormai stava diventando quasi un'abitudine fissarlo in quelle iridi verdi ed essere attraversata da uno strano brivido all'altezza della schiena o del petto. Mi scostai dal moro per riporre la pirofila nel lavabo.
«Ecco fatto... Occupiamoci di questo disastro»
Continuai a riordinare, ma d'un tratto m'immobilizzai sentendomi osservata da Giovanni. Sembrava che volesse scandagliare la mia anima, non sapevo esattamente cosa significasse e abbassai gli occhi. Forse non voleva dire nulla e stavo travisando.
Erano solo stupide paranoie. Mi agguantò il polso, invitandomi silenziosamente a ruotare il busto nella sua direzione.
Ci fu uno scambio di sguardi silenziosi, parole non dette e, a disagio, distolsi lo sguardo.
Serrai gli occhi e tirai un sospiro. Lo sentii più vicino a me, portò le mani ai lati del mio viso e mi sfiorò la punta del naso. Poi, — occhi negli occhi, — le sue labbra si impressero sulle mie e le assaporò, per un tempo che credetti infinito.
Ogni cosa relativa alla pulizia era diventata superflua e non riuscivo a distaccarmi. Era come se lo bramassi quel contatto, il mio corpo reagì di conseguenza e diventò di fuoco, ad ogni carezza. Ricambiai il bacio, lasciando cadere nel vuoto ogni incertezza e ogni paura, benché non sapessi a cosa sarei andata incontro. Ma quel sapore mi fece sentire viva. Si separò per spostarmi i capelli dalla scapola e mi baciò sul collo, provocando nello stomaco un maremoto di sensazioni. Approfondì il bacio e con la mano posata sulla nuca mi fece indietreggiare verso il corridoio e fino in camera da letto.
Mi spogliò, — non solo dei vestiti — gli consegnai la mia anima su un piatto d'argento e assaporai intensamente il momento tra quelle lenzuola, nel suo letto.
Quando tornai ad riaprire gli occhi, la luce di nuovo giorno penetrava dalla tenda.
Mi girai lentamente a pancia su, scoprendo che non era stato un sogno partorito dalla mia coscienza, ma una realtà talmente vivida da sentire ancora le sue carezze passionali sul mio corpo. Guardai la piazza opposta, ma era vuota. Di lui non c'era traccia.
Mi misi seduta sul materasso e la realtà mi si abbatté addosso, come un treno lanciato alla massima velocità.
«Giovanni...»
Ma non ebbi risposta.
Mi alzai per andare in cucina, rimasta com'era stata lasciata, e una lacrima mi cadde lungo la guancia, quando realizzai il grandissimo pasticcio che avevo combinato.
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