Capitolo 1
Per lei. Tutto per lei.
OLTRE L'ETERNITÀ
Giovanni
Londra, 2022
Per tutta la sala si elevò il clamore degli applausi quando il presidente del congresso internazionale di Neurochirurgia disse il mio nome e quello di altri colleghi. Mi alzai da quella comoda poltrona e stirai le pieghe di una giacca elegante, come da abitudine.
Senza scomporre l'espressione più seria del mio repertorio, salii sul palco stringendo la mano dell'uomo basso dalla barba folta e gli occhiali rotondi. Mi fece cenno di prendere posto al microfono e così feci. Dopodiché lo sguardo si focalizzò sull'intera platea e calò il silenzio.
Schiarii la voce.
«Dato che sono uno dei membri più giovani, è per me un grande onore essere stato scelto come presidente dell'associazione internazionale di Neurochirurgia. Vi posso assicurare che... farò del mio meglio con i miei colleghi — li indicai schierati alle mie spalle — per essere degno di questa enorme responsabilità. Grazie.»
Il discorso sortì l'effetto sperato e tornarono ad applaudire, riempiendo il mio cuore di gioia e orgoglio. Non mi sarei mai aspettato nella piccola carriera di raggiungere questo traguardo. Finito gli impegni di lavoro, il restante lo passai in un pub, intavolai discorsi e feci la conoscenza di una bella ragazza. Non mi piaceva impegnarmi, ciò su cui mi basavo sempre era fare del sesso "senza impegni".
Lasciai alla tipa biondina un biglietto, senza neppure il numero di cellulare, ringraziandola per la bella nottata, ma il mattino successivo un aereo mi riportò a Milano. Presi poi un Uber privato e intento stavo tentando di inviare un'email di posta elettronica.
«Qui a Milano ha piovuto molto. Ma oggi sembra essere tornato il sereno. È fortunato, dottore. Ho saputo che a Londra diluviava...»
Ignorai i discorsi dell'autista, guardando intensamente fuori dal finestrino la strada scorrere. Improvvisamente ricevetti una videochiamata.
«Dimmi»
«Mi scusi se la disturbo, dottor Rinaldi. È per il signor Marco, il paziente con il glioma. Volevo informarla che questa mattina ha avuto una crisi epilettica. Devo sottoporlo ad una Tac?»
«Sì, Joseph. Procedi pure. Comunque io sono già a Milano. Fammi sapere qual è l'esito e allerta subito la terapia intensiva. Devono tenersi pronti.»
«Certo, dottore.»
Agganciai la videochiamata e dopodiché osservai un'altra volta la vista della città. «Qui ha piovuto?» chiesi all'autista che mi guardò dallo specchietto centrale. Una volta, rientrato nel mio appartamento ordinato, avevo tempo solo per posare le valigie in camera da letto cosicché la donna delle pulizie che sarebbe arrivata fra poco... avrebbe potuto fare la lavatrice e mettere a posto quelle cianfrusaglie. Avevo le ore e i minuti contati. Appoggiai al volo le chiavi sul mobiletto all'ingresso, feci una doccia veloce e mi cambiai i vestiti. Non misi nulla sotto i denti e mi apprestai ad uscire. La cosa che più urtava... era fare tardi. L'ascensore — per esempio — mi dava ai nervi per la sua proverbiale lentezza, qualcuno inoltre l'aveva già occupato e non mi restò che prendere le scale.
Mi aspettava una riunione con alcuni colleghi per discutere di un caso, quindi presi un altro taxi, per raggiungere il Policlinico.
[...]
«Intervenendo dal lobo frontale avremo maggiori possibilità di raggiungere sia il primo che il secondo tumore» Con il telecomando accesi tutte le luci contemporanea della sala, osservando i volti di chi occupava il tavolo circolare. «Si tratta di un metodo innovativo, ma lo hanno già sperimentato in più occasioni. Comunque, non posso negare che ci saranno dei rischi. Ecco perché dobbiamo decidere tutti insieme» Esibii un sorriso compiaciuto. «Non vorrei che poi incolpaste solo me?»
«Il paziente è in grado di sopportare l'anestesia. Per me va bene.» prese parola Gianmarco ovvero l'anestesista, controllando il documento tra le sue mani.
Mi fidavo della sua opinione così come tutti, se non opponeva resistenza non lo avrebbe fatto nessuno di quei signori.
«Ci sono poche probabilità che funzioni, ma la sua aspettativa di vita è molto bassa» Guardò in direzione della mora con la frangetta: «Proviamoci» aggiunse.
«Comunichiamolo a lui e ai familiari. Si fidano di te, quindi non credo che si opporranno.» affermò Angela Ciancio, una delle figure più rigide della struttura ma averla dalla mia parte era un punto a mio vantaggio. «Se danno il via libera, predisporremo tutto per il tuo intervento, Rinaldi.» Annuii, facendole una sorta di riverenza e poi la donna spostò gli occhi azzurri verso gli altri. «Passiamo al prossimo caso.»
Mi ritirai così in sordina.
[...]
Uscimmo dall'ascensore e frattanto continuavo a scrutare il mio cellulare. «Gio! Mi stavo già pregustando un giro di tre giorni in barca e in relax con Megan, e invece hai programmato quell'operazione all'ultimo minuto... Che bravo!» Mi rimproverò il moro spilungone e lasciai scivolare il cellulare nella tasca del camice, sorridendogli. «Ah! Fasano era veramente furioso per la tua nomina e gli ho dato dell'ossigeno per farlo rilassare, eh, eh...»
Ridacchiò sporgendosi verso il sottoscritto mentre c'incamminavamo.
«Ti stai divertendo, vero?»
«Grazie a te, nessuno può divertirsi! Non farò manco il giro in barca e dovrò anche spiegarlo a Megan. Non potresti rimandare di qualche giorno l'intervento? Sai Megan mi scuoia vivo se... Oh» si fermò mentre mi carezzavo la nuca. «Ecco la direttrice sanitaria, alias la sergente in gonnella, Ciancio» disse a denti stretti e increspai un sorriso mentre la mora in questione ci veniva incontro.
«Ciao, Giovanni. Non mi sono ancora congratulata con te per la presidenza dell'associazione. Complimenti!»
«Ti ringrazio tanto.»
«Siamo fieri di te. Domani potremo festeggiare al party dell'ospedale. Il signor Roberto sta pensando di renderti omaggio — si sporse, senza staccare gli occhi dai miei — ma non l'hai saputo da me.»
«Nel weekend terrò delle conferenze a Bangkok. A proposito» Mi fermai per controllare l'orario sull'orologio. «Adesso devo andare all'aeroporto. Purtroppo non ci sarò per la festa.»
«Devi partire? Ma tra i tuoi impegni non era segnato.»
«Sostituisco un collega.» Distolsi un secondo lo sguardo. «Credevo ti avessero informata. In ogni caso, tornerò tra tre giorni.»
«Sai, non ti conviene lasciare a questo giovanotto la briglia sciolta...» Gianmarco era sempre pronto a scherzarci su. «Qualche ospedale straniero potrebbe portarcelo via. Facciamo attenzione alla fuga di cervelli.»
«Ma questo è anche un modo per farci conoscere all'estero. Allora, fa buon viaggio. Vorrà dire che festeggeremo la nomina dopo il tuo ritorno.» Rivolse un sorriso caloroso ad entrambi. «Vi saluto!»
«Arrivederci»
Mi scansai per farla passare e anche il mio amico la salutò. Ed ecco che ricominciò con quella storia.
«La Ciancio è un ottimo partito. Se ti mettessi insieme a lei, ti farebbe guadagnare una montagna di soldi. E magari saresti meno acido»
Ci voleva qualcuno più dolce di così. E io non volevo intrecciare legami con nessuna...
[...]
Lasciai l'ospedale in tempo per raggiungere l'aeroporto di Malpensa per prendere il volo internazionale che avevo prenotato e scesi dall'Uber. L'autista scaricò la mia unica valigia e prima di consegnarla, mi augurò un buon viaggio. Stavo quasi per entrare, quando mi squillò il cellulare. Comunicarono che c'era un'emergenza, così mi apprestai a risalire, gettando la valigia sul sedile posteriore.
«All'ospedale, presto!» Esclamai e l'autista rimise in moto. «Vale, devo annullare il viaggio. Chiama Lorenzo e digli che ho un intervento urgente.»
[...]
Mi ritrovai accerchiato da volti coperti da mascherine chirurgiche e luci asettiche, mentre dall'osservatorio qualcuno osservava attentamente l'intervento.
Il fischio dei macchinari, che controllavano le funzioni vitali, erano gli unici rumori presenti in sala operatoria. Man mano che ripulivo la zona da residui tumorali, lo strumentista mi passava gli strumenti. Svuotavo la mente di ogni pensiero futile e mi concentravo al massimo su ciò che stavo eseguendo sul paziente. I minuti non sembravano passare, il tempo sembrava distorto, potevano passare delle ore e l'unica cosa che le scandiva era l'orologio a led. La vita era nelle mie mani.
Federica
La mia routine quotidiana era uguale, come ogni mattina. La sveglia suonava alle sette, mi mettevo in piedi, recuperavo i vestiti dall'armadio e poi dal vecchio baule, lasciato in eredità da mia nonna, avevo nascosto un lavoro che dovevo portare assolutamente a termine entro tre settimane. Dovevo muovermi e cucirlo in fretta, prima che si svegliasse. Tolsi di mezzo la roba, non potendo rischiare di essere scoperta. Successivamente, presi la solita linea per andare in centro e dopo essere scesa, mi recai verso lo stabile che contava circa sei piani, l'appartamento dell'uomo - per cui lavoravo - era all'ultimo. Presi l'ascensore e afferrai le chiavi, scavando nella borsa a tracolla che avevo dietro. Entrando nell'appartamento spazioso si notava quanto non fosse abitato, quell'uomo ci veniva probabilmente solo per schiacciare pisolini nei ritagli di tempo libero. Era tutto sui toni del bianco e del nero, nessun particolare colore spiccava.
Tolsi il vestito e indossai una maglietta bianca e i pantaloni sportivi, erano più comodi.
Presi l'aspirapolvere, stipata nel disimpegno a prendere la polvere, e notai un foglietto spuntare da una cornice.
La calligrafia era veramente illegibile, come qualsiasi medico. Mai che fossero chiari.
Cercai di decifrare in qualche modo. Mi aveva lasciato le istruzioni, sarebbe stato fuori per tre giorni.
"Svuota il bagaglio"
«Fatto.» La valigia era sistemata. I panni sporchi in lavatrice e appoggiai il promemoria sulla penisola per osservare l'unica cosa "colorata", ovvero una bellissima pianta dove si preparavano a sbocciare le primule. Contemplai i boccioli e annusai il buonissimo profumo. «Dei nuovi fiorellini. Lo sapevo che ce l'avresti fatta» Li toccai con la punta delle dita, stando attenta a non rovinarli.
Ero intenta a passare l'aspirapolvere, quando la musica di Spotify si staccò per lasciar posto alla notifica di una chiamata.
Spensi.
«C’è un problema, Fe!»
«Che succede?» domandai a mia sorella, sentendola agitata.
«Non posso entrare in casa. Dev'essere colpa di quell'animale. Scommetto che è stato il proprietario che è tornato per cambiare la serratura. Io ero convinta che gli avessi parlato te.»
«E l'ho fatto, Angi. Ho promesso che avrei pagato fra una settimana.»
«Ma si vede che non si è fidato della tua parola.» sbraitò furente e camminai avanti e indietro, tirandomi all'indietro i capelli. «Io devo finire il progetto per l'università... fare anche una doccia, lavare un po' di vestiti e soprattutto trovare un posto in cui passare la notte. C'ho tanti impegni, cavolo!»
«Perché non vai da Alessia?»
«Non c'è. È andata a Caserta, dai suoi zii. Non te lo ricordi?»
«Ah... sì, il compleanno del cugino...» Portai la mano sulla fronte. «Ultimamente dimentico le cose. Sono un disastro.»
«Be', posso sempre andare a dormire a casa di Nat. Ma tu, come farai?»
«Me la caverò, non preoccuparti per me.» Angelina sbuffò. «Sorellina, perdonami, ti prego. Ti giuro che non capiterà.»
«Sono io che mi dovrei scusare, Fe. È colpa della mia retta universitaria se siamo sempre al verde. Vorrei fare qualcosa...»
«Ssh... Non parlare così. Pensa solo a finire i tuoi studi. Mi occupo io di tutto il resto. Ho promesso che non ci sarebbe mai mancato nulla e così sarà.»
«Ti voglio bene tantissimo, Fe. Sei il mio angelo custode.»
«Anch'io, Angi. Moltissimo.» risposi mandandole un bacio e riattaccò. Ora avevo comunque un problema e cioè: dove avrei pernottato stanotte?
Osservai l'appartamento e mi venne una piccolissima idea in mente. Il dottore non lo avrebbe scoperto, dato che a quest'ora era molto lontano. Era solo una notte dopotutto. Che sarebbe stato?
O questo, oppure dormire in mezzo ad una strada.
Giovanni
Era stata una fregatura sospendere il viaggio, soprattutto per l'invito alla festa, a cui avrei voluto astenermi. La direttrice Ciancio venne nella mia direzione con un sorriso smagliante stampato in faccia.
«Non è colpa mia se non sei partito» esordì alzando le mani in segno di resa.
«Potresti aver fatto anche una delle tue magie».
Ridacchiò. «In ogni caso, non mi dispiace. Così domani potrai venire alla festa»
Già... quella festa a cui avrei fatto volentieri a meno, visto che mi annoiavo terribilmente.
Feci un cenno d'assenso e mi salutò, passandomi accanto. Gianmarco mi stava osservando, vicino ai cartelli indicativi dei reparti, e sicuramente aveva una voglia pazzesca di gossip, come una vecchia comare di paese.
«Non vede proprio l'ora di essere la tua damigella!»
«La finisci di sfottermi e dammi un consiglio. Come mi libero di Angela?»
«Il modo migliore per evitare di offenderla è invitare un'altra donna.» disse mentre entravamo nel mio ufficio.
«Ma chi?»
Appesi il camice sull'appendiabiti e il ragazzo chiuse la porta.
«Asia... è carina.»
«Non me la toglierei più di torno»
«Denise, l'avvocato divorzista?»
«Scordatelo. Ha trenta gatti.»
«Uuuh.» Fece il verso accomodandosi dalla parte opposta della scrivania. «Deve essere fuori di testa. Mhm, chi puoi invitare? Vediamo un pochino. Fammi riflettere...» Accesi il PC intanto e rubò il mappamondo per giocare. «Qualcuna mi verrà in mente. Devo sfogliare la mia agenda mentale. Sono arrugginito.»
«Megan Ria, te la porterai?» cercai di cambiare discorso.
«Ah, Sissi! È perfetta!»
«Vuole un bambino e sicuramente fraintenderebbe.»
Posò l'oggetto. «Eh, mi sa che non ti resta altra scelta, Gio. Devi invitare Angela.» Si alzò in piedi. «Siete una coppia affiata e sono sicuro che potrete aprire un ospedale e mettere al mondo tanti piccoli futuri direttori sanitari. Pensaci. A domani.»
«Sì, col ca...» obiettai trattenendo quella parolaccia con il sorriso falso delle pubblicità, mentre si chiudeva la porta dietro.
Posai il cellulare sul tavolo e sistemai il mappamondo.
Dannato!
Feci ritorno nell'appartamento a notte fonda, dopo che il viaggio era stato brutalmente sospeso. L'autista mi aiutò e lo ringraziai. Allargai il nodo della cravatta e mi recai al cancelletto, spingendolo per entrare.
L'appartamento era immerso nell'oscurità, regnava un gran silenzio e dopo aver trascinato dentro il trolley accesi l'interruttore, illuminando l'ingresso. Chiusi a chiave e lanciai le chiavi nel recipiente. Passando per il corridoio, diretto in camera, qualcosa di insolito mi costrinse a fermarmi.
Accesi la lampada sul mobile e rischiarò una figura femminile, beatamente addormentata sul divano.
Un momento... Da dov'era spuntata sta' qui?
Mi guardai attorno per capire cosa stesse succedendo e mi accovacciai per osservarla.
«Psst... Ehi...» Non c'era una sola cosa fuori posto. «Ci sei?» Provai a sfiorarla ma ritrassi la mano.
"È un'allucinazione, Giovanni. Devi stare calmo, era un'allucinazione dovuta allo stress..."
Aggrottai la fronte e mi rimisi in piedi, cercando il cellulare in tasca. Scattai una foto alla brunetta e andai nella stanza. Mandai un messaggio alla mia segreteria, probabilmente ne sapeva di più del sottoscritto.
"Chi è?" scrissi.
Passeggiai avanti e indietro nell'attesa di ricevere la risposta. Poteva essere stata la stupida bravata di Gianmarco Petrelli, che mi aveva trovato chissà quale tipa, piazzandola in casa, anche se gli avevo esplicitamente detto di farsi i fatti suoi.
Non mi serviva aiuto.
Udii il tintinnio dell'arrivo di un messaggio e fissai la chat.
"La donna delle pulizie. Federica Andreani, assunta quattro mesi fa. C'è qualche problema?"
Problema. Gettai indietro la testa e inspirai profondamente.
A parte mettersi a suo agio, come se fosse casa sua e infilarsi anche uno dei miei pigiami... quello non costituiva un enorme problema. Eh. Oh, cielo. Mi stava facendo uscire pazzo...
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