𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 32
Roxanne
3 giorni dopo
Vuota.
Mi sveglio, non è nel suo letto.
Cerco di trovare la minima voglia di essere produttiva, seguendo le lezioni e dandomi da fare con lo studio per gli esami che si avvicinano.
Di lui nessuna notizia.
Non ho testa per uscire, per quanto Beth e i ragazzi si siano fatti sentire spesso chiedendomi anche di vederci per un semplice caffè.
Niente. Non sento nulla.
Si fa sera, ceno e ritorno a letto.
Lui nemmeno rientra più a dormire.
Finisco così a girarmi e rigirarmi tra le lenzuola, ogni notte ormai, pensando al suo atteggiamento, al motivo per cui si sia potuto comportare così.
Come può rinnegare ciò che ha espresso sapendo in che situazione ci troviamo?
Non siamo due amici che decidono di frequentarsi.
Perché rischiare così tanto per poi scappare come un deficiente?
Una strana fantasia di due ragazzini viziati.
Frustrata mi tiro i capelli, reprimendo un urlo di disperazione per ciò che sto passando.
Non può finire così, soprattutto non sapendo davvero cosa c'è sotto a questa sua decisione.
E se Victoria c'entrasse qualcosa?
5 giorni dopo
Stamattina mi sono svegliata più determinata che mai.
Ieri per l'ennesima volta non c'è stato modo di vedere né lui né tantomeno la gallina, ma oggi, essendoci la partita di basket, Jace dovrà esserci per forza.
È il capitano della squadra, ci sono le semifinali e di sicuro non è il giorno migliore per prendersi le ferie.
Ce la farò.
Dopo essermi lavata, mi preparo in fretta, indossando una semplice gonna nera a pieghe con un top bianco; il tutto abbinato con le mie inseparabili Converse nere.
Scendo in cucina, prendo una brioche al volo, chiavi della macchina e parto verso il college.
Lo troverò e gli parlerò, costi quel che costi.
Parcheggio nel cortile dirigendomi verso il muretto adiacente l'entrata, è lì che di solito ci incontriamo tutti prima di entrare.
«Buongiorno» mi rivolgo ai ragazzi sorridendogli, «oggi sei raggiante tigre, sarà che hai affiancato qualcosa al caffè?», dice Ryan mimando uno spinello tra le sue mani e facendo un tiro.
Rido per la sua battuta, mi manca passare del tempo con i miei amici e mio fratello, odio ciò che sono diventata per colpa di un sentimento che non dovrebbe lontanamente appartenermi, soprattutto sapendo verso chi è rivolto.
Devo assolutamente trovarlo. Se non parlo con lui non posso andare avanti, lo devo a me stessa.
«È tutto naturale, non invidiarmi! Hai sentito Jace? Ricorda che oggi c'è la semifinale?»
Prendo una sigaretta dal pacchetto accendendola, di lui ancora nessuna traccia, «ieri sera l'ho chiamato, è stato fuori con Victoria a casa di sua madre, ma ha anche detto che rientrerà prima della partita pronto a spaccare i culi a quelli della Oxford University», ride Ryan ripensando alle parole di mio fratello.
Allora è per questo che era sparito, doveva render serie le cose con la stronza e l'Alpha Stronza della madre.
Patetico. Fottutamente patetico.
Noto con stupore di aver finito già la sigaretta, sono davvero così incazzata?!
«Entriamo va', se non fa come ha detto stasera la pagherà cara. Dillo a tutti gli altri giocatori Ry, la peggior vendetta che potete escogitare gli dovrà esser servita».
Afferro la mano di Beth ridendo malignamente mentre ci incamminiamo verso l'entrata, salutandoci tra noi e dividendoci tra le rispettive aule.
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Rientrata a casa, mi preparo per la partita.
Più psicologicamente che altro.
Faccio una doccia, legando i capelli in uno chignon veloce che poi trasformerò in una coda alta, non ho proprio voglia di perder tempo a rilavarli.
Esco dal bagno in accappatoio dirigendomi così verso l'armadio per scegliere cosa indossare.
Opto per un leggins sportivo ed una canotta della Nike, porto sicuramente con me una felpa nel caso facesse freddo in serata e indosso un paio di stivaletti neri con le borchie.
Sono così in anticipo che ho la possibilità di attuare il mio piano: trovare Jace.
Entro in palestra diretta verso gli spogliatoi, di sicuro sará lí con il resto della squadra.
Apro la porta impavida, fregandomene se oltre di essa incontri culi all'aria e addominali al vento.
«chiunque ci sia in questa stanza deve uscire, ora».
Mi guardo intorno posando il mio sguardo su di lui.
Finalmente.
Per un attimo la mia corazza vacilla guardando il suo viso, maledicendo come questi pochi giorni a me siano sembrati un'eternità.
«Non lo ripeterò un'altra volta, uscite tutti.
Tutti, tranne Jace Dallas».
Continuiamo a fissarci come se volessimo disintegrarci a vicenda e, i ragazzi che prima ci circondavano, fanno come dico abbandonando lo spogliatoio.
«Hai avuto il tuo momento di gloria quella mattina sparando a razzo un copione inscenato miseramente. Ora dà a me la possibilità di dirti cosa penso e provo, fratello mio».
Mi avvicino al suo corpo, fasciato solo dai pantaloncini della divisa.
Non perdere la lucidità ora, Roxanne.
«Non dici nulla? Hai perso la lingua?».
Poggio due dita sotto il suo mento, sollevandogli il viso, «tanto ormai, dopo giorni che mi ignori, non credo sapresti reggere un vero confronto, vero Jace? Sei solo un debole».
Ormai sono pochi i centimetri che separano le nostre labbra, la tentazione è forte tale da farmi avventare, se potessi, in un attimo su di lui, assaporando così tutta la sua essenza.
Non cederò però. Non se lo merita.
Faccio un passo indietro, distogliendo lo sguardo.
«Sei un debole per avermi lasciata sola, così, senza una spiegazione apparentemente valida. Sei un debole perché sai solo scappare da un sentimento che sappiamo entrambi di provare e ancor più debole perché fingi che non sia così. Puoi anche ripudiare questo sporco amore, ma Jace, quello nei confronti di una sorella cosa cazzo c'entra? I nostri genitori ancora non sono rientrati e tu giustamente cosa fai? Vai a farti il weekend romantico lasciandomi sola senza mai pensare che, essendo fottutamente ricchi, potremmo essere facilmenre bersaglio di qualche furto, come già successe in passato».
Prendo una pausa per raccogliere tutti i miei pensieri e non dargli la soddisfazione di vedermi più afflitta di quanto già appaia.
«Se ti piace essere così, se ti piace continuare a stare zitto, guardandomi di sottecchi e credendoti un duro, mi fai soltanto capire quanto tutto di te è ed è stato una finzione».
Abbasso lo sguardo verso le mie scarpe, ormai andate da quanto le ho utilizzate. Meglio guardare loro che lui.
«Hai ragione, sono un debole. Ho usato l'amore di mia sorella per puro e semplice divertimento. Sono un debole per essermene andato così, di punto in bianco, lasciando sola una stronza grande e vaccinata che sa difendersi e non ha bisogno del fottuto fratello per dormire. Quando capirai e troverai anche tu una persona come Victoria, comprenderai la stronzata che abbiamo fatto. Non è stato niente, era un semplice gioco per me. Bastardo sì, divertente pure. Basta prese per il culo, stranezze e cazzate. Questa è tutta la verità».
Per una frazione di secondo quando i nostri sguardi si intrecciano, noto del dolore trafiggere i suoi occhi, fino a quando spezza il contatto, voltandosi e dandomi le spalle.
«Vattene adesso, non capisci che io, con te, non voglio avere più niente a che fare? Mamma e papá rientrano domani, li ho sentiti ieri. Ho raccontato loro del mio fidanzamento con Victoria, mi vedrai solo a cena al loro ritorno. Oltre quello, puoi starmi alla larga. Non fare più uscite del genere poi, non siamo dodicenni Roxanne, mettitelo in quella fottuta testa».
Scaccio via con la mano una lacrima, «deludente».
Lascio dietro di me lo spogliatoio, lui e tutta la motivazione illusoria che ancora mi era rimasta, consapevole che nulla sarà più come prima.
Lascio la scuola non avendo più voglia di assistere alla partita. Non sopporterei rivederlo, né tantomeno fingere che vada tutto bene.
Che vincano o perdano, l'unica vendetta che ho in riservo per Jace è vedermi usare la sua stessa carta: l'indifferenza.
Scrivo un messaggio a Beth in cui le dico che rientro a casa per un forte mal di testa, ma i miei piani sono tutt'altro che questi.
Ho bisogno di staccare la spina per un po'.
Metto in moto, accendo una una sigaretta e sfreccio via, lontano da ciò che più fa soffrire il mio povero cuore.
'Fanculo a tutto, fanculo a lui.
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