𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 10
Roxanne
Vago senza meta per le strade di Long Beach, non riuscendo a smettere di pensare alla scena a cui ho dovuto assistere.
Il mio disgusto in realtà non proviene dal porno in diretta di cui sono stata spettatrice, bensì dalla promessa infranta da Jace, fatta quando avevamo quindici anni, in cui giuravamo di non scopare nelle nostre stanze data l'abitudine che avevamo di dormire insieme.
Sorrido amaramente, e pensare che questo "accordo" partì da lui ai tempi, che stronzo bastardo.
Accendo una sigaretta e afferro il telefono, chiamando l'unico contatto che in questo momento può aiutarmi ad alleviare la tensione e a farmi fuggire, almeno per un po', da questa schifosa realtà.
«Hey Rox, qual buon vento», aspiro il fumo dalle labbra e rispondo ad Ander freddamente, «dieci minuti e sono da te»; stacco la chiamata e mi affretto a raggiungere casa sua.
Scendo dall'auto e mi avvio verso l'appartamento di Ander, notandolo attendermi vicino all'uscio di casa con solo dei boxer che gli fasciano il pacco.
«Rox, come mai qui a quest'ora della notte? Cos'è, hai fatto un sogno erotico su di me che ti ha portato a chiamarmi e a correre qui?», sghignazza.
Mi avvicino a lui, spingendolo in casa e sussurrandogli, «rendiamo reale questo sogno, che ne dici?».
Nemmeno il tempo di ricevere una sua risposta che mi avvento sulle sue labbra con foga e disperazione, iniziando a spogliarmi.
Lui, intuendo le mie intenzioni, mi solleva dalle natiche facendo allacciare le mie gambe attorno al suo bacino; dirigendosi così verso la sua camera da letto.
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Le prime luci del mattino mi infastidiscono, tanto da farmi svegliare.
Mi alzo dal letto, togliendomi il braccio di Ander da dosso.
Prendo i miei slip e li infilo, faccio altrettanto con il vestito e con i tacchi.
Mi approprio di uno spinello già chiuso posto sul suo comodino e, schioccandogli un bacio sulla fronte, mi affretto ad uscire.
Bella che fatta, mi avvio verso casa ma, neanche il tempo di inserire le chiavi nella toppa, che la porta si apre all'improvviso facendomi cadere come un pero in avanti.
Inizio a ridere come una cogliona, fino a quando non mi sento afferrare per le braccia da quello stronzo di mio fratello.
«Dove cazzo sei stata stanotte?!», mi scosto dal suo tocco guardandolo indifferente, «dovrebbero essere affari tuoi?».
Rido istericamente e lo spintono incazzata, «tu che cazzo hai fatto ieri? Te ne ho fatto un problema su ciò che ho visto? Su te che scopavi quella troia nella TUA fottutissima stanza?!».
Mi allontano bruscamente da lui e continuo sprezzante, «sai, non sei l'unico ad avere bisogni. Come tu hai soddisfatto i tuoi, io ho soddisfatto i miei, almeno ho avuto la decenza di non infrangere ciò che avevi promesso tempo fa alla tua cara sorellina».
Mi affretto a salire le scale ma, prima di arrivare in cima ad esse, mi volto verso di lui.
«E pensare che il mio intento era quello di mettere una pietra sopra a ciò che era successo alla festa e perché no, dormire insieme, come d'altronde abbiamo sempre fatto».
Una lacrima riga il mio volto, «che stupida che sono stata, giustamente, eri troppo impegnato a soddisfare le tue necessità e quelle della cagna in calore, tanto da fregartene della mia presenza. Non preoccuparti caro fratello, la cosa sarà più che ricambiata. Che cadano i muri a forza delle scopate che potrò fare finalmente nella mia fottuta stanza».
Corro verso la mia camera e chiudo violentemente la porta, accasciandomi su di essa e prendendomi il viso tra le mani.
Fanculo a Jace, fanculo alla sua promessa e fanculo a quel cazzo di bacio.
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