Di carne e di ossa
Di carne e di ossa
11.Capitolo
Il buio era tutto ciò che lo circondava. Il freddo vento, era tutto ciò che mascherava i brividi di terrore che gli ricoprivano il corpo
Nero era il cielo, cosi come nera era anche la terra su cui camminava.
Nessun rumore si poteva udire, tranne il silenzio assordante che rimbombava come un'ombra invisibile nelle sue orecchie.
Ma lui non aveva paura della quiete che sembrava assediarlo.
In fondo il silenzio altro non è che il modo più facile per farci ragionare.
Un'arma a doppio taglio, secondo alcuni. Può ferire o può guarire, tutto dipende da come viene interpretato.
Anche l'artista migliore, per dare un significato logico alla sua opera d'arte, cerca di comunicare qualcosa che le parole non saprebbero neanche esprimere.
Anche lo scrittore più preparato, cerca di raccontare con il silenzio, quello che con il rumore diverrebbe soltanto confusione.
Ciò che spaventava quello che ormai si poteva definire - più che bambino - il ragazzo sopravvissuto, era il nero intenso che si poteva osservare da qualsiasi angolazione.
Si trovava in una stanza, o almeno credeva di trovarsi in una stanza, di cui non si poteva osservare nessun colore.
Era lui, in mezzo al nulla. Al vuoto più assoluto.
Ma tutto quello era strano, tutto ciò che c'era intorno a lui era strano.
Di colpo - nel buio della stanza - si iniziarono a vedere delle lievi luci arancioni, prodotte dal fuoco delle torce attaccate alle pareti umide, e in quel momento, iniziò anche a sentire freddo.
Un freddo gelido. Un freddo che tutto esprimeva eccetto sicurezza.
Il silenzio venne spazzato via dai passi pesanti e veloci di più persone che si muovevano quasi in sincronia.
Venne spazzato via dalle urla agghiaccianti.
Urla che li gelarono il sangue nelle vene, che per qualche secondo li tolsero il respiro, che lo spinsero a guardarsi attorno disorientato, alla ricerca di quel suono acuto che gli aveva stretto lo stomaco in una morsa pesante.
Cosa stava succedendo? Pensò.
E le grida continuarono, e divennero sempre più forti, più spaventose.
Il rumore dei passi veloci non si sentiva più, mentre la luce delle torce gli faceva notare la stanza grande e circolare nella quale si trovava, e metteva in vista le pareti di pietra, rigide e fredde.
Quando le urla ebbero fine, però, i passi ripresero, e davanti a lui apparvero delle persone vestite completamente di nero.
Come il nero che fino a poco prima lo circondava.
Non sapeva dire quante persone fossero. Ma in automatico la sua mano si mosse fino alla tasca destra dei suoi pantaloni, dove teneva - ormai per abitudine - la sua bacchetta.
La prese, cercando di lanciare uno stupeficium. Ma nulla uscì dalla sua bacchetta.
Nessuna luce, nessun incantesimo.
Ritentò, ma la sua magia sembrava come bloccata. Anzi, lui era bloccato.
Solo in quel momento si era reso conto che alle sue spalle c'erano due di quelli uomini vestiti di nero.
Solo in quel momento, mentre si voltava verso di loro, notò che il viso di questi era privo di occhi, o di bocca e di naso; era completamente nero.
Fece dei passi indietro, voltandosi velocemente verso le altre persone.
E in quel momento, mentre terrorizzato si guardava attorno, la sentì.
Sentì quella magia oscura che non sentiva più da tempo invadere ogni suo senso. La stessa magia che a sua insaputa si stava nutrendo di lui, prosciugando ogni sua forza, e rendendolo fragile di fronte al male che lo accerchiava.
«Harry Potter...-mormorò piano qualcuno-che piacevole sorpresa.. rivederti».
La voce debole, ma che manteneva quello stesso tono autoritario che alla tenera età di undici anni aveva sentito per la prima volta.
Non vide quell'uomo dall'aspetto del tutto particolare, e non comune. Dalla carnagione più bianca di un teschio, dagli occhi grandi e di colore rosso sangue. Dal naso piatto come quello di un serpente, distinguendosi solo attraverso due fessure per narici.
Non vide il corpo slanciato, non troppo alto, e senza la presenza di peli o capelli. Non vide la sua lingua biforcuta, come quella del rettile che il suo aspetto voleva raffigurare.
Non vide la figura di Lord Voldemort.
Ma... la sua voce la udì forte e chiaro.
«Ho aspettato questo giorno, Harry Potter...-continuò dire-..per quelli che mi sono sembrati anni. E invece, sono passati solo pochi mesi»la sua voce si ruppe in una risata amara, priva di qualsiasi divertimento.
«Spesso mi è capitato di pensare al modo più crudele per vendicarmi, per vendicare la mia morte. Ma per il momento, Harry Potter, ti farò vivere con il continuò pensiero di una nuova battaglia, per poi-si fermò per qualche secondo-nel momento in cui meno te lo aspetti, sconfiggerti e far rimanere di te solo un mucchio di inutile polvere».
In quel preciso momento, tre cose accaddero contemporaneamente.
Le torce si spensero, facendo ricadere la stanza nel buio più totale.
Gli uomini vestiti di nero si allontanarono, e le urla agghiaccianti ripresero.
La voce di Voldemort, cosi come la sua magia oscura, sparì.
Intanto Harry Potter cadde a terra, mentre la sua mano con una velocità impressionante, si poggiava sulla famosa cicatrice a forma di saetta sulla sua fronte, e un dolore allucinante lo invadeva, rendendo di fuoco ogni suo muscolo, rendendo il nulla ogni suo osso.
E il dolore... quello stesso dolore che ormai non provava da tempo, sembrò divorarlo, mentre lentamente si nutriva di lui.
Infondo, siamo fatti di carne e di ossa.
E in quel preciso momento, lui, era fatto del vuoto più assoluto, mentre la voce li moriva in gola, e il suo corpo si dissolveva nel nero intenso della stanza.
«Harry! Harry cazzo!»urlò Ronald Weasley, scuotendo il suo migliore amico - che in quel momento aveva il viso madido di sudore - per le spalle.
Si era svegliato pochi minuti prima, quando il suo stesso sonno era stato interrotto dalle grida di disperazione del giovane mago. Accanto a lui c'erano Neville Paciock, Seamus Finnigan e Dean Thomas.
Sugli sguardi dei quattro Grifondoro si poteva leggera paura, preoccupazione, rabbia... mentre Harry Potter si agitava nel letto, con gli occhi ancora chiusi, e la voce di Voldemort incisa nelle orecchie.
«Harry!»esclamarono Ron e Neville quasi in sincronia.
Si guardarono per qualche secondo, per poi concentrare la loro attenzione su Seamus, il quale stava indicando il Grifondoro steso nel letto, che in quel momento riprendendosi da quello che altro non si poteva definire se non un orrendo incubo, stava aprendo gli occhi.
Harry Potter aveva gli occhi verde chiaro, dello stesso colore della giada.
Aveva sempre amato i suoi occhi, ritenendoli la cosa più bella del suo aspetto. L'unica cosa che in qualche modo lo legava alla madre.
"Sei identico a tuo padre. Tranne gli occhi... quelli sono gli occhi di tua madre" gli dicevano tutti coloro che avevano avuto la possibilità di conoscere James e Lily Potter.
In quel momento, però, gli occhi di Harry erano rossi.
Rossi di ira, di odio.
Rossi di vendetta.
Si guardò attorno, il corpo ancora scosso dai fremiti violenti che fino a poco prima lo avevano invaso.
Lo aveva risentito. Nel suo sogno tormentato aveva risentito la voce della bestia, del mostro.
I suoi occhi si puntarono in quelli dell'amico, che dalla sua postazione lo guardava con un'unica domanda espressa sul volto tirato dal nervosismo.
Avvolte capita, quando si ha un rapporto stretto con una persona, che un solo sguardo valga più di mille parole.
Gli occhi delle persone, come spesso si è sentito dire sono lo specchio dell'anima.
In quel momento, lo specchio di Harry Potter rifletteva l'immagine di un ragazzo distrutto dal ricordo. Combattuto tra il male e il bene. Combattuto tra l'essere il bambino sopravvissuto, e l'essere un ragazzo invaso dal dolore.
Perché in fondo il dolore cos'è? E' una bomba ad orologeria, che con il suo tic-tac tic-tac continuo, è solo pronta a scoppiare da un momento all'altro, lasciando intorno a sé il nulla più assoluto.
La distruzione più letale.
«Stai bene?»gli chiese a voce alta Ron, dimenticandosi degli altri tre Grifondoro, che ancora li guardavano confusi.
«Devo... devo parlare con Silente»ansimò in risposta, la voce debole.
Si alzò dal letto, e senza dare segno di aver notato i quattro paia di occhi che lo guardavano come se fosse uscito fuori di testa, scese le scale del dormitorio e raggiunse la Sala Comune.
Non gli importava se erano le quattro di mattina, o se gli altri lo fissavano come se fosse un qualche spettacolo da circo. Loro non avevano visto quello che aveva visto lui.
Loro non avevano sentito quello che aveva sentito lui.
La Sala Comune era ampia, circolare e accogliente, arredata con poltroncine, pouf e tavolini bassi. Drappi, arazzi e tappeti color rosso e oro tappezzavano la stanza illuminata - nonostante l'ora - dalla luce calda che fuoriusciva dall'alto e grande camino di marmo.
Tuttavia, eccetto il calore emanato dal camino ancora acceso, la Sala era fredda e vuota.
Harry Potter proseguì dritto, verso il ritratto della Signora Grassa, mentre Weasley, Paciock, Finnigan e Thomas lo seguivano a distanza di qualche metro.
«Harry...»tentò invano di dire il rosso, ma non ebbe il tempo di dare un senso compiuto alla frase che stava pronunciando che l'amico era già uscito dalla Sala Comune.
Poteva seguirlo, certo, ma avvolte si arriva soltanto a quel punto in cui l'unica cosa di cui si ha bisogno per sfogarsi è la solitudine.
Ronald Billius Weasley, conosceva il suo migliore amico, e sapeva che in quel momento lui non aveva bisogno di un confidente, ma necessitava soltanto della presenza di quello che per anni era stato il suo mentore.
Per questo motivo senza dire nulla risalì le scale per i dormitori, subito seguito dagli altri suoi compagni di casa. I quali senza far sfuggire un solo commento dalle loro labbra, tornarono a letto, sotto il caldo accogliente delle coperte, mentre silenziosamente pensavano e speravano che proprio come l'ultima volta tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Harry Potter camminava attento, con la bacchetta protesa verso l'alto, la quale sotto l'incantesimo lumos produceva una fievole luce azzurra.
Non sapeva se a quell'ora della notte, o meglio del mattino, Silente fosse nel suo ufficio. Ma si decise ad andare a controllare, perché oltre il suo ufficio non sapeva dove altro cercarlo, e in quel momento lui aveva l'urgenza di parlare con il preside.
Quel sogno che aveva appena fatto, era diverso da quelli che aveva fatto in precedenza.
Era più forte.
Le urla, i passi, le figure vestite di nero, le torce che si accendevano quasi in sincronia illuminando le pareti umide della stanza li tornarono alla mente come dei piccoli flashback.
La voce di Voldemort, quel "Ma per il momento, Harry Potter, ti farò vivere con il continuò pensiero di una nuova battaglia, per poi, nel momento in cui meno te lo aspetti, sconfiggerti e far rimanere di te solo un mucchio di inutile polvere".
Quelle parole li avevano provocato un brivido lungo la schiena, mentre il dolore, lentamente si disperdeva nel suo corpo, facendo ardere del fuoco più incandescente la cicatrice a forma di saetta che da sempre li dipingeva la fronte, rendendolo a gli occhi di tutto il mondo magico un eroe.
Un eroe fatto di carne e di ossa, di desiderio.
Desiderio che in quel momento altro non era se non odio puro.
Raggiunse il secondo piano nel giro di qualche minuto, pronunciando la famosa parola d'ordine quando si trovò di fronte ai due imponenti e massicci Gargoyles di pietra che facevano da guardiani all'ufficio del preside.
Quando si trovò davanti alla grande porta, però, qualcosa lo fermò.
All'interno dell'ufficio si sentivano delle voci. Riconobbe subito quella autoritaria di Silente, seguita da quella di Matthews Browning, l'auror che insieme a Piton avrebbe insegnato difesa contro le arti oscure.
Si avvicinò alla porta, e spinto dalla curiosità poggiò un orecchio su uno dei due battenti, cercando di capire qualcosa.
«La situazione sta peggiorando...»stava dicendo il vecchio mago.
E vista l'ora tarda alla quale avevano deciso di riunirsi - pensò Harry - la situazione era peggiorata.
Era passata un'altra settimana da quando il marchio oscuro, con il suo verde incandescente aveva ripreso ad illuminare i cieli del mondo magico.
Pian piano gli studenti si stavano riprendendo dallo spavento che per giorni gli aveva invasi, nonostante la paura rimanesse intrappolata nei loro corpi.
«Dobbiamo fare qualcosa-aggiunse l'auror-se Voldemort torna in vita non sarà facile come l'ultima volta sconfiggerlo».
«Non si possono riportare in vita le persone che hanno oltrepassato il velo. Una loro rinascita comporterebbe dei rischi»si intromise una terza voce, più debole rispetto le altre due.
Il velo? si domandò Harry Potter, ma poi la sua attenzione si concentrò su quella nuova voce. L'aveva già sentita, ma dove?
«Hanno riportato in vita Bellatrix Lestrange! Siamo già a rischio!»alzò i toni Matthews Browning.
«Non intendo questo-rispose la voce sconosciuta-per riportare in vita una persona c'è bisogno di un incantesimo della magia oscura più pura e potente. La rinascita di una persona sta a significare la morte di un'altra, nessuno torna in vita se in cambio la morte non riceve nulla»si affrettò a spiegare.
Dopo quella rivelazione Harry Potter udì solo il silenzio più assoluto.
Quello che aveva appena scoperto voleva dire solo una cosa...
«Jacob Mackenzie è stato ucciso per riportare in vita qualcuno»mormorò talmente piano il nuovo professore di magia contro le arti oscure che Harry fece fatica a sentirlo.
«C'è un sigillo. Viene chiamato il Magicae Sigillum, il suo compito è quello di racchiudere al suo interno le anime delle...».
«Vittime sacrificali-concluse Silente-miei cari, mi piacerebbe portare a termine questa conversazione, ma temo che dovremmo rimandarla. Harry, entra pure».
Quando Harry Potter si sentì chiamare, il suo cuore aumentò i suoi battiti.
Tuttavia entrò nell'ufficio, mentre tre paia di occhi si puntavano sulla sua figura.
Nello stesso momento in cui oltrepassò la porta della grande stanza, capì anche di chi era quella terza voce.
Davanti al professor Browning, c'era quella stessa ragazza che qualche settimana prima lo aveva fermato per il corridoio del Castello.
Proprio come se la ricordava. La ragazza aveva la carnagione chiara, i capelli lunghi e di un biondo lucente.
Una degli esseri umani di sesso femminile più bella che avesse mai visto.
«Matthews, Ada...»disse il vecchio mago, intimandoli di lasciarli soli.
Mentre il professore si allontanò lanciando uno sguardo di rassicurazione al ragazzo, la demone sparì senza dire o fare nulla.
Quando nell'ufficio rimasero soltanto Harry e Silente, quest'ultimo non aspettò molto prima di chiedere al ragazzo quale fosse il motivo che lo avesse spinto a raggiungerlo alle quattro - ormai passate - del mattino.
«L'ho sognato...»sussurrò Harry.
E bastò quel tono di insicurezza che sentì nella sua voce, quel tono intinto negli abissi dei ricordi, che li fecero capire senza altre spiegazioni a chi si riferiva.
***
Quando quella mattina gli studenti scesero in Sala Grande per quello che era il primo pasto della giornata, c'era qualcosa di diverso.
La prima a notarlo fu Hermione Jean Granger, che oltrepassando la soglia dell'enorme porta insieme al suo ormai ex-ragazzo, sentì nell'aria qualcosa che non sentiva da tempo.
Il secondo a notare il cambiamento fu Ronald Weasley, il quale era ancora preoccupato per l'amico, che non si faceva vedere da quando qualche ora prima era uscito dalla Sala Comune per raggiungere Silente.
Il terzo, e non meno importante degli altri, invece, fu Draco Lucius Malfoy, che seduto al tavolo dei Serpeverde fissava la Grifondoro, sentendo nascere lo strano desiderio di averla accanto.
Quella mattina, infatti, il sospettoso gelo che per settimane aveva invaso il Castello - costringendo gli studenti a ripararsi all'interno di maglioni due misure più grandi rispetto a quelli che erano soliti indossare - era stato sostituito da uno strano ma piacevole calore.
Hermione raggiunse le sue pettegole compagne di casa, ascoltandole mentre stilavano una lista dei ragazzi più belli della scuola.
Ai primi tre posti - per nulla sorpresa - c'erano Draco Maloy, Theodore Nott e Blaise Zabini, seguiti da Anthony Goldstein, l'immancabile Harry Potter, e per qualche strano motivo il tenero Neville Paciock.
In realtà in quelli anni il Grifondoro era cambiato tanto.
Trasformandosi dal timido, impacciato e goffo bambino di undici anni. Al bello e dolce ragazzo di diciassette anni.
La Granger rimase ancora un po' all'ascolto, rimando sorpresa per certi termini che usarono le ragazze.
«Secondo me il più figo è Draco-disse Lavanda-lo avete visto da quando lascia i capelli al naturale? Mi verrebbe voglia di strapparglieli e...».
«Abbiamo capito Lav, te lo faresti»la interruppe Calì Patil, prima che l'amica potesse entrare nei particolari.
E chi non se lo farebbe?Pensarono invece il resto delle ragazze, a eccezione di Hermione.
In effetti la Grifondoro aveva la mente occupata, mentre il ricordo di quando una settimana prima aveva fermato il giovane Serpeverde per chiederli cosa avesse e lui le aveva risposto con:«Non te ne deve fottere» le si smaterializzava nella psiche con una velocità e una crudeltà quasi disarmante.
Inoltre, sentire i commenti della sue compagne, le fece provare una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Sensazione che la costrinse ad alzarsi e ad allontanarsi.
«La Granger sembra nervosa...»rifletté a voce alta Blaise Zabini al tavolo dei Serpeverde, attirando l'attenzione di Draco Malfoy.
Quest'ultimo non rispose, ma osservò la figura della ragazza - con la quale ormai non parlava da sette giorni - che usciva dalla Sala Grande.
«Come siamo messi con la scommessa?»chiese ancora il moro, rivolto all'amico.
La scommessa.
Ormai quella scommessa sembrava non avere più un significato. Forse non lo aveva mai avuto, un significato.
-E cosi tu saresti migliore di me, e di tutta la comitiva di serpi che mi porto dietro-le aveva detto quel giorno, sghignazzando -sei sicura che in quella comitiva di serpi non vorresti esserci anche tu? Sai stare sempre al mio fianco-e aveva indicato tutte le ragazze Serpeverdi presenti nella stanza, che a quelle parole erano impallidite -cedere al mio fascino-aveva detto ancora lanciando una breve occhiata al suo fisico, mentre la grifondoro iniziava a ridere di gusto, di quelle assurdità appena dette. -Ti propongo una sfida, Granger... se cederai al mio fascino, dovrai accettare quello che sei, una sporca, inutile mezzosangue, se non cederai farò qualcosa che un Malfoy non ha mai fatto, ti chiederò scusa-aveva detto infine Draco sicuro di sé. Ed Hermione, dopo un po', con altrettanto sicurezza aveva risposto-accetto la tua sfida, Malfoy-, e gli aveva liberati tutti e sette dall'incantesimo.
«Draco?»lo richiamò Zabini, ma questo non gli stava dando più retta, si era alzato e si era allontanato, lasciando l'amico da solo e con un espressione confusa dipinta sul volto.
Quando Draco Lucius Malfoy uscì dalla Sala Grande, non sapeva dove andare, dove cercarla.
Ma poi si fermò a riflettere, e se in quei mesi aveva conosciuto almeno un minimo la Grifondoro, c'era solo un posto in cui lei era potuta andare.
Raggiunse la Torre di Astronomia quasi di corsa, non sapeva perché ma era sicuro che lei si trovasse là.
E infatti, quando aprì la porta la Grifondoro seppur girata di spalle, era davanti a lui, mentre osservava il cielo privo di stelle, ma illuminato dai timidi raggi del Sole.
Si avvicinò piano, e si posizionò di fianco a lei. Intanto che la osservava capì che non stava guardando il cielo, ma che stava fissando lo stesso punto in cui più di una settimana prima era apparso il Marchio Oscuro, e un altro ricordo legato alla maledetta notte di Halloween gli tornò alla mente.
La gonna ampia del vestito le metteva in risalto le splendide curve del suo corpo.
I capelli gli ricadevano in soffici onde lungo il corpetto, le ciocche davanti, erano tirate in dietro e tenute ferme da dei ferretti.
Le labbra carnose e all'apparenza soffici, erano illuminate da un sottile strato di lucida labbra.
Le ciglia erano state allungate, rendendo gli occhi ancora più grandi di quanto non fossero in realtà.
Le guance erano arrossate, e a contrasto con gli occhi dorati, questi brillavano. Era stupenda.
«Sai Granger...-disse dopo un po' di tempo in cui rimasero in silenzio-tu mi piaci».
-pensierosa?- aveva domandato una voce che aveva imparato a conoscere.
Quando si era girata i dubbi su chi fosse quella persona erano stati chiariti.
Draco Malfoy se ne stava davanti a lei, una sigaretta stretta tra le labbra, mentre la guardava , con una spalla poggiata alla parete, e le gambe incrociate.
Hermione non aveva risposto.
Si era girata e aveva continuato a osservare dritta davanti a se.
-cose hai perso la lingua?-l'aveva stuzzicata il biondo, avvicinandosi.
-perché non ti fai un po' gli affari tuoi-aveva risposto lei, infastidita.
La Grifondoro, che fino a quel momento non aveva dato segno di averlo visto si voltò nella sua direzione.
Hermione si sentiva studiata, sotto osservazione. Draco non le staccava gli occhi di dosso, facendole salire il sangue alle guance.
Tu mi piaci. Aveva appena detto, ma che significava?
«Ci sono momenti in cui ti trovo insopportabile-continuò a dire-sei la so-tutto-io di Hogwarts infondo... ma mi piaci. Sei coraggiosa».
La mora annuì, in silenzio.
«Non saremo mai amici, Granger. Cosi come non ci sarà mai nulla tra di noi. Ma non farti abbattere dal dolore, perché io ho visto la leonessa che c'è in te. Sei stata tu stessa a mostrarmela...»concluse.
Ma un giorno si sarebbe messo a ridere quando avrebbe ripensato a quel: "Non saremo mai amici, Granger. Cosi come non ci sarà mai nulla tra di noi." Non sarebbero mai stati amici, questo era vero. Ma tra di loro sarebbe nato qualcosa di talmente forte da far rimanere entrambi senza respiro.
Hermione non disse nulla in risposta. Ma rifletté su quelle parole.
Era salita lassù per i commenti delle sue compagne, per la strana sensazione che stava iniziando a sentire alla bocca dello stomaco.
Ma poi, quando aveva raggiunto la torre, i suoi occhi si erano puntati sul cielo chiaro, che qualche giorno prima era stato illuminato da uno dei simboli - se non il simbolo - più brutti dell'intero mondo magico.
E osservando il cielo, si era resa conto che giorno dopo giorno la situazione stava peggiorando. Rendendo la vita delle persone difficile e pericolosa.
E i ricordi l'avevano invasa facendola cadere nel buio più assoluto, fin quando la serpe non l'aveva riportata al presenta, allontanandola - almeno momentaneamente - dal passato.
«Forse è meglio andare...»mormorò, quando il silenzio divenne pesante.
-Andiamo?-aveva chiesto anche quella sera. Draco aveva annuito, prendendo la scopa e facendole segno di salire. Lei lo aveva guardato, con il terrore dipinto negli occhi. -Non dirmi che hai paura, Granger- aveva detto lui, senza guardarla.
Il Serpeverde la seguì verso la porta, e insieme scesero le scale, pochi centimetri a dividerli.
Quando raggiunsero il quadro della Signora Grassa, si fissarono negli occhi, non sapendo cosa dire.
Hermione stava per parlare, quando la Signora Grassa si spostò di lato, facendo passare Ronald Weasley.
«Herm-disse quest'ultimo, osservando l'amica-stavo cercando giusto te!».
Il tono di voce sembrava allarmato.
«E'successo qualcosa?»domandò la ragazza, spaventata.
Ron non rispose subito, troppo concentrato a puntare il suo sguardo su Draco.
«Harry-sussurrò infine, dopo un po'-il preside ci vuole vedere nel suo ufficio. Vuole vedere anche a te, Malfoy»sputò tra i denti.
Hermione pero' non gli stava dando più retta, la mente si era come bloccata quando aveva sentito il nome del suo migliore amico.
Cos'era successo?
E Draco intanto la osserva. Osservava la sua reazione, e quando la vide sul punto di lasciarsi andare si avvicinò a lei, e le strinse la mano, per farle capire che non era sola. Che lui era con lei.
Proprio come la notte di Halloween.
Draco l'aveva guardata ma non aveva ascoltato nulla di quello che aveva appena detto, al contrario, si era avvicinato sempre di più ad Hermione, prendendole la mano, come per tranquillizzarla, per farle capire che lei non era da sola e che lui l'avrebbe protetta, quel gesto, però, non era passato inosservato.
E anche in quel momento, c'era qualcuno che li osservava.
Ron guardava le loro mani incrociate, proprio come stava facendo Hermione.
Quest'ultima, però, quando la mano del Serpeverde aveva toccato la sua si era sentita bene.
E in quel momento, fregandosene di quello che poteva pensare il suo amico o chiunque altro gli avesse potuti vedere, ricambiò la stretta del ragazzo.
Ron avrebbe voluto saltarli addosso, colpire Malfoy... ma era successo qualcosa ad Harry, e lasciando da parte la rabbia si allontanò, subito seguito da Hermione e Draco.
Mano nella mano.
***
Scusateee il ritardo!! Spero che comunque il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere 😉. Ho voluto dedicare uno spazio soltanto ad Harry, il quale sogna Voldemort, anche se più di un sogno è una visione, e inoltre scopre qualcosa riguardo il "velo"e il magicae sigillum. Inoltre l'ultima parte l'ho voluta concentrare su Draco ed Hermione, che anche se non se ne rendono conto - o meglio non lo vogliono ammettere - iniziano ad avvicinarsi sempre di più.
Volevo ringraziare tutte le persone che leggono, votano e commentano questa fanfiction.💓
La storia ha superato le 22 mila visualizzazioni, e il merito è solo vostro. Un bacio😘😘❤️
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro