
I
Il sottobosco era immerso in una quiete accogliente: solo lievi frinii e ronzii intermittenti interrompevano il silenzio, quando la donna emerse dalle ombre. Avvolta in un mantello scuro e con il capo protetto da un largo cappuccio, muoveva un piede dopo l'altro, con una lentezza che a un occhio esterno sarebbe apparsa fin troppo misurata. Ogni passo era equidistante dall'altro, mai qualche centimetro in più o in meno, come se per lei fosse stato necessario mantenere quella perfezione calcolata - tanto che, quando si trovava davanti qualche pietra o ramo caduto, faceva in modo di deviare traiettoria o, nel secondo caso, alzava una mano nell'aria e questi venivano scagliati via o inghiottiti dal terreno.
La notte era tranquilla e profumata, una leggera brezza a scuotere le foglie degli alberi. Pochi raggi di luce lunare riuscivano a oltrepassare il tetto verde sopra alla sua testa, rischiarando a tratti il suo tragitto. Nessuno, a parte lei e gli animali del bosco, sembrava frequentare questo luogo, così magico e dimenticato. Così pieno di ricordi che la donna avrebbe preferito poter cancellare, ma che nessuno aveva il potere di estirpare da lei. Nulla, se non le braccia dell'Antica Madre.
A una cinquantina di metri da dove si trovava, le grandi foglie scure si aprivano, lasciando intravedere il lago dalle acque limpidissime dove lei e l'amore della sua vita avevano passato ore indimenticabili.
Se fosse stata più sensibile, probabilmente nell'accostarvisi sarebbe scoppiata in lacrime.
Rimase lì in piedi, per svariati minuti, scrutando l'acqua con i suoi occhi affilati, nascosti sotto alle ombre del cappuccio. Annusando l'aria le sembrava di poter ancora sentire il suo profumo, quello che l'aveva attratta la prima volta che si erano incontrate, e che l'aveva sempre mandata in visibilio, così delicato e avvolgente. I mortali erano creature così particolari.
Senza emettere un respiro, la donna sollevò le braccia e con grazia slacciò il fiocco che legava il mantello. Questo cadde a terra, schiacciando alcuni dei fiori dai petali bianchi che pendevano oltre il bordo del laghetto. Lei non se ne curò. Dopotutto, ogni cosa doveva morire, prima o poi.
Non appena fu libera, la donna trattenne un brivido, avvolta ora solo da una sottoveste color perla e semi trasparente che le copriva a malapena il tronco, lasciandole gambe e braccia scoperte. Una lunga chioma bionda le scendeva fino ai fianchi, bloccata da due fermacapelli impreziositi da zaffiri e quattro grossi rubini. Le orecchie dietro cui erano trattenuti i capelli erano appuntite e ingioiellate da anelli di fattura preziosa.
Per molto non fece niente, limitandosi a guardare il lago come avesse potuto dare risposta alle domande che la tormentavano. Ma a esse non c'era soluzione, se non quella fornita dalle labbra della stessa persona che era stata capace di distruggere il suo cuore immortale in poche, semplici mosse.
Alla fine riconosceva che non era nemmeno colpa sua, non del tutto almeno. Non l'aveva fatto di proposito, a spaventarsi e fuggire: in quanto mortale la sua mente era debole, le paure più forti rispetto a quelle che avrebbe potuto provare un essere fatato. E dopotutto, come poteva biasimare il terrore per il mondo in cui lei viveva? Niente era sicuro e tutto tentava di ucciderti. Era comprensibile, la reazione che aveva avuto.
Nonostante questo, però, non poteva perdonare la sua scelta.
Né poteva conviverci, perché il dolore per quel tradimento era troppo forte.
Scappare sarebbe potuto bastare, tentare di distruggerla usando i suoi doni, i suoi segreti, ma no. Lei non era così. Non era arrabbiata e non voleva ferirla.
Naria non si mosse, nel momento in cui le lacrime iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Non si accasciò a terra come avrebbe voluto, non si coprì il volto per nascondere alla notte la sua sofferenza, le emozioni e i sentimenti tanto umani che avevano infettato il suo cuore; sarebbe stato inutile, l'Antica Madre lo avrebbe saputo comunque. E in ogni caso non aveva senso, perché almeno lei l'avrebbe accolta comunque, di qualunque cosa fosse fatto il suo cuore. L'avrebbe accettata.
Perciò lasciò che le gocce del suo dolore scorressero sulle sue guance d'avorio e che cadessero sul terreno, dove - nei punti in cui bagnarono l'erba - crebbero dei fiori dai delicati petali neri. Neri come era il vuoto che adesso la stava inghiottendo dall'interno.
Naria si girò lentamente, sempre con quella grazia volontaria, la stessa che la stava sfibrando - perché tanto, ormai, a chi importava più che fosse perfetta? - ma che non riusciva a scrollarsi di dosso. Non era colpa sua, era nata così, era vissuta così, e le vecchie abitudini sono dure a morire.
Una volta che ebbe dato le spalle al laghetto, Naria aprì le palpebre, inspirando dal naso fino a che i suoi polmoni non iniziarono a dolere. Trattenere i singhiozzi si stava facendo sempre più difficile, ma sarebbe caduta la Corte d'Estate prima che si abbandonasse a quegli impulsi non suoi. Anche questa era colpa del suo amore, ma Naria perdonava le azioni involontarie.
I suoi occhi dorati si fissarono sul tragitto che aveva fatto per arrivare fin lì, sulle foglie che poco più avanti sembravano fungere da ingresso fra il sottobosco oscuro e il lago rischiarato, due mondi separati. Come lo erano loro due, pensò la fata.
Alzando il mento inclinò indietro la testa e soffiò nella brezza gentile, unendo il suo respiro profumato di gelsomino all'odore del bosco e della notte. Era il suo regalo al mondo, un saluto che sperava non sarebbe andato dimenticato ma che avrebbe viaggiato in lungo e in largo, trascinato dal vento.
Sollevò le braccia, stringendo la mano sinistra attorno alla pergamena sigillata, e facendo un passo indietro si lasciò cadere in acqua, la quale sostenne il suo peso. Naria rimase lì a galleggiare, osservando con occhi lucidi il fascino del cielo stellato. Le stelle splendevano così forti, quella notte, belle nella loro freddezza. Prima o poi sarebbero morte anche loro.
Portando di nuovo in alto il braccio sinistro, la donna aprì il palmo e chiamò a sé la brezza. Questa divenne più forte, ma comunque calda, e con lentezza afferrò la lettera, portandola sempre più in alto e verso il cielo. Naria le diede l'ordine di consegnarla alla persona per cui le sue lacrime erano state versate e il vento eseguì i suoi ordini. Nel giro di pochi istanti, sia la brezza che la pergamena erano svaniti dalla sua vista.
La donna accennò un sorriso triste, che le fece scendere altre lacrime.
«Re mai Drena» sussurrò alla notte. Al mio Amore. «Possa l'Antica Madre perdonarci.»
Dopodiché inspirò a fondo e le acque cristalline iniziarono a sopraffarla. La sensazione che provò fu di estrema leggerezza; finalmente il peso che l'aveva schiacciata per settimane si era tramutato in niente se non un leggero puntino, qualcosa di sempre più distante da lei. L'acqua era sempre più calda più scendeva in profondità, fino a diventare bollente, ma lei preferiva così.
Ormai non vedeva più né il bosco né il cielo, solo una distesa piena di bollicine sopra di lei, più nera ogni secondo che passava, e nelle sue orecchie il richiamo dell'Antica Madre, pronta ad accoglierla fra le sue braccia per sempre, un luogo dove sarebbe stata amata e mai più tradita.
E sperò, con un ultimo sorriso, mentre l'acqua iniziava a entrarle nei polmoni, che la sua lettera avrebbe raggiunto presto Ofelia, che lei l'avrebbe letta e che avrebbe capito cosa le sue azioni avevano comportato, che ogni scelta compiuta non cambia solo il proprio destino, ma anche quello degli altri. E soprattutto che avrebbe compreso di aver commesso un errore e che avrebbe imparato, quando avrebbe trovato qualcun altro da amare, a non ripetere più gli stessi passi. Che non c'è colpa, nell'essere nati assassini.
Magari l'Antica Madre sarebbe stata comprensiva con lei, dopotutto la sua amata era sempre stata una grande devota e aveva sempre temuto la morte. Magari la dea avrebbe deciso di essere, per una volta, magnanima, e perdonarla per aver tradito Naria e averle tolto tutto. Come detto, i mortali erano deboli, questo lo sapevano tutti.
La fata non aveva idea di cosa sarebbe successo d'ora in poi, dopotutto il mondo dei vivi non era più un suo problema.
Alla fine aveva trovato la pace.
E forse, prima o poi, si sarebbero di nuovo incontrate.
Te drena, Ofelia. Buona fortuna.
Sopra le acque del laghetto, la brezza tornò a soffiare nelle ombre del sottobosco, questa volta completamente deserto.
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