9) PREMONIZIONI
"Da qualche tempo pensieri strani disturbano il mio riposo" riprese a dire Kutula "Nel sonno mi svegliano di soprassalto, esco dalla Yurta e vedo solo Ten-gri. Ovunque l'Azzurro dell'Eterno Cielo. La prateria, l'erba, l'Urdu, tutto svanito. Solo... io e il Ten-gri".
Benché fosse stupito, Saaràn annuì.
"Temo sia giunto il tempo della Signora, amico mio. Ricordi?" fece Kutula sottovoce, andandogli vicino quasi volesse essere certo che nessun altro udisse le sue parole.
Vedendo Saaràn sorpreso, il Khan tornò a sedersi sulla sedia d'avorio e oro; stupito, sollevò un sopracciglio dal disappunto.
Era contrariato, si vedeva, ma ugualmente attese che l'altro ricordasse.
D'altronde erano passati quarant'anni dagli avvenimenti a cui si riferiva e nel frattempo molte cose erano scomparse dalla memoria del mondo e degli uomini.
Lui stesso, preso dal suo compito di Khan, se ne era pressoché dimenticato fino alla comparsa delle visioni, perciò diede tempo a Saaràn di ritornare a quei momenti lontani.
Ma il Naaxia tra sé e sé sorrise, non ebbe bisogno di sforzarsi.
Non si era dimenticato, era commosso.
La sorpresa gli era venuta non per mancanza di memoria, piuttosto per lo stupore che fosse Kutula a ricordare quei giorni lontani: non era da lui provare sentimenti.
Invece, appena chiuse gli occhi, Saaràn rivide due bambini cavalcare veloci su piccoli Tarpan.
Era quasi sera, il sole tramontava, un pericolo mortale li inseguiva.
Avevano nuovamente disubbidito al divieto di vedersi e ora nella Steppa correvano per salvare la loro vita.
Uno era il figlio del Naaxia, l'altro il rampollo di una delle più nobili famiglie dell'Orda.
Nonostante fosse vietato, erano amici da sempre.
Mai due opposti si attrassero e compensarono i difetti l'un dell'altro come loro due, ma Ten-gri aveva deciso diversamente.
I due Anda dovevano essere separati in tutto, per classe, per ceto, per destino.
Eppure Saaràn e Kutula, testardi, appena potevano scappavano, si incontravano nella Steppa e cavalcavano insieme.
Spesso lo facevano per gioco, ma quel giorno vennero intercettati dalla pattuglia di una tribù rivale: costoro non erano Un e nemmeno Gin, non ricordava il nome di quella tribù e nemmeno di quei luoghi, ma poco importava.
Gli uni erano ormai morti e gli altri distanti centinaia di Zai alle loro spalle, però ricordava bene la paura provata nell'essere braccati da quei guerrieri e la folle fuga attraverso la pianura per la vita.
Rivide i cavalieri che li stringevano da presso, li circondavano, da lì a breve avrebbero scoccato le frecce e per i ragazzi sarebbe stata la fine.
Poi una buca nel terreno, il Tarpan di Kutula inciampò e cadde.
Nella Steppa un Un senza cavallo è un uomo morto. Lo sapevano entrambi.
Saaràn si fermò, doveva decidere in fretta: avrebbe potuto abbandonarlo, correre via e salvarsi, oppure dividere la fortuna con lui. Scelse di restare.
La salvezza dell'uno sarebbe stata la salvezza dell'altro, in caso contrario sarebbe venuta la fine per entrambi.
Corse verso Kutula, lo tirò in piedi e l'obbligò a riprendersi.
Sanguinava, nella caduta si era ferito, una brutta ferita gli squarciava la guancia sinistra, attraversandola per intero dall'alto verso il basso.
Nonostante fossero impauriti si prepararono a vendere cara la pelle, tuttavia i coltelli nelle loro mani erano piccoli in confronto ai ferri lunghi e curvi dei cavalieri.
Si misero schiena contro schiena. Erano circondati, non potevano scappare, non potevano difendersi, erano persi.
Kutula fece per conficcarsi il coltello nella gola: era un nobile Un, aveva tutto, ricchezza, onore, prestigio, preferiva morire piuttosto che farsi catturare.
Saaràn invece non era nobile, non era niente, era solo il figlio del Naaxia, la vita era l'unica cosa che avesse, quella e il tempo per viverla.
Lo fermò giusto in tempo. Non sapeva nemmeno lui perché l'avesse fatto, il loro destino era segnato e la fine di una lama affilata sarebbe stata più pietosa di quella che gli avrebbero riservato quegli uomini.
Ma il Ten-gri era sopra di loro, tutto era al di sotto del Ten-gri e per l'uomo saggio disposto a crederci, ogni cosa vi poteva accadere.
Saaràn ci credeva, fermamente.
Si toccò la fronte in segno di rispetto:
la vita è un caso, la morte una scelta
dicevano gli Un.
All'improvviso comparvero dal nulla dei lupi. Molti lupi, un branco intero. Erano tanti, tantissimi, parevano non finire mai di uscire da dietro un piccolo poggio.
Con violenza inaudita aggredirono i cavalieri che circondavano i due ragazzi, ne spaventarono i Tarpan, li disarcionarono tutti e una volta rovinati in terra, li aggredirono senza pietà.
Fu questione di pochi minuti di furia folle, poi del valore di quegli uomini rimasero solamente dei cavalli che tentavano di fuggire, le armi e i loro corpi inermi, sparsi attorno ai due ragazzi che senza parole si guardavano l'un l'altro terrorizzati.
I loro nemici giacevano immobili nell'erba, ma i lupi erano attorno e li circondavano.
Da un momento all'altro Saaràn e Kutula si aspettavano di essere aggrediti a loro volta da quelle belve, invece, quando il branco ebbe finito con l'ultimo degli assalitori, se ne andarono senza degnare di uno sguardo i due ragazzi.
Attorno a essi, il silenzio cadde nella Steppa.
Solo vento, erba a perdita d'occhio e il soffio del silenzio ad agitarla.
Era tardi, il sole tramontava. Erano di nuovo soli. Vivi, ancora vivi.
Ansimavano increduli per essere ancora vivi.
Ancora non credevano a quello che avevano visto, eppure quello non fu che l'inizio.
Nemmeno avevano ancora trovato la forza di dire una sola parola, che il branco di lupi spuntò nuovamente da dietro il piccolo poggio: comparvero come fantasmi, in silenzio, a testa bassa, avvicinandosi ringhiando.
Erano ancora in tanti, velocemente scesero e li circondarono di nuovo.
I due ragazzi si strinsero un'altra volta schiena contro schiena tendendo i pugnali, ma i lupi formarono un cerchio attorno a loro e si sdraiarono a terra: mostrarono i denti ringhiando minacciosi, eppure scodinzolavano, tenendo le orecchie basse.
Non parevano volerli aggredire. Kutula e Saaràn si guardarono stupiti. Incapaci di comprendere quello che stava accadendo rimasero sulla difensiva decisi a vendere a caro prezzo la pelle, quando da oltre il poggio videro comparire un altro lupo, dal pelo azzurro come il Ten-gri.
Il cuore di entrambi balzò nei petti davanti a quella comparsa.
Era una femmina, azzurra dalle orecchie alla coda.
Increduli, a bocca spalancata dalla sorpresa, incapaci di dire una sola parola, lentamente abbassarono le armi.
Entrambi sapevano a quale prodigio stavano assistendo: Bortecino, il Lupo Azzurro, l'animale sacro del Khan degli Un, era comparsa davanti a loro.
La lupa scese lenta dal poggio e quando arrivò nei pressi dei suoi simili, quelli si spostarono per lasciarla passare.
Giunta davanti ai ragazzi si rizzò sulle gambe posteriori e si trasformò: nella penombra serale, davanti a loro comparve una donna giovane, alta più di loro, coperta da una tunica azzurra lunga fino ai piedi, dai lunghi capelli biondi avvolti alla vita e dagli occhi azzurro chiaro, limpidi e sorridenti come Ten-gri.
Benché molto diversa dalle donne Un, era bella e portava con sé un intenso sentore di linfa:
"Salute, valorosi Un. Sono la Signora dei Monti d'Oro e ho bisogno di voi" disse a entrambi, sussurrando appena.
Una voce dolce e gentile li avvolse e Saaràn ne fu subito conquistato.
Fu in quei pochi, primi attimi che, senza rendersene conto, nel suo profondo intimo le promise eterna fedeltà.
Sorrise, nel rammentare ancora quei momenti magici e il Khan se ne rese conto.
"Ricordi, ora?" gli fece Kutula, che non aveva mai smesso di osservarlo.
Saaràn aprì gli occhi. Annuì.
"Come potrei dimenticare".
"Allora ricorderai anche cosa disse".
Saaràn annuì ancora: "Disse che aveva bisogno di noi per condurre l'Orda, tu come Khan e io per indicarti la strada".
"Esatto, ma verso cosa?" lo incalzò Kutula.
"Verso Ovest. Seguiamo la Steppa per salvare l'Orda" rispose Saaràn, scrollando le spalle come fosse la cosa più ovvia del mondo "Fuggiamo dai Gin, prima che essi possano raggiungerci e distruggerci" aggiunse abbassando per un momento gli occhi.
Il Khan, generalmente molto attento, parve non accorgersene.
Era serio e pensieroso.
Kutula approvò, poi si fece corrucciato, come se cercasse di ricordare le parole esatte che udì tanti anni prima:
"Non foste i primi a partire" disse a memoria "Dopo di voi non rimasero Un a Dai-Sescen. Ricordi?" gli fece incalzante.
"Anche questo disse la Signora" aggiunse "Vi guiderò a casa e alla fine della Steppa, io sarò là ad attendervi".
Kutula si fermò pensieroso. Dopo un po' riprese:
"Alla fine della Steppa..." ripeté "Ti sei mai chiesto cosa volesse dire?".
Saaràn scosse lentamente la testa.
"Neanche io" replicò Kutula "Però da qualche notte un dubbio mi tormenta: se la Signora quella sera non mentì, alle nostre spalle, verso Est, la Steppa è bloccata dai Gin. Se così fosse, la fine della Steppa, intendo, sarebbe davanti a noi?".
"Ma non è possibile, lo sai!" esclamò Saaràn colto di sorpresa "Il Ten-gri è infinito!".
"Esatto, amico mio, il Ten-gri" fece il Khan sfiorandosi la fronte in segno di rispetto "Il Ten-gri è infinito, ma forse non altrettanto la Steppa. Secondo me i sogni vogliono dirmi qualcosa. Temo che andando avanti, presto o tardi ci rimarrà solo il Ten-gri".
Saaràn non rispose, ma si fece dubbioso.
Kutula se ne accorse:
"Non mi credi?" gli domandò, stringendo le palpebre così forte che divennero appena una fessura imperscrutabile.
Saaràn scosse la testa:"No, non è quello. Penso a una cosa che mi disse una volta la Signora".
"Perché?" esclamò incuriosito Kutula "L'hai vista ancora?" aggiunse sorpreso e indispettito. Saaràn sorrise.
"Sì, e ogni volta fu una gioia per gli occhi e per la mente" rispose sinceramente.
Poi Kutula si fece più vicino e parlò nuovamente sottovoce.
"Bene, e cosa ti disse?" chiese incuriosito il Khan.
Sembrava sorpreso nell'apprendere che qualcosa fosse successo nei pressi dell'Urdu senza che lui lo sapesse.
Sorpreso, eppure compiaciuto.
Una complicità a lungo dimenticata si riformava sotto i loro occhi, quasi che il tempo non fosse mai passato.
"Disse che lei veniva da un luogo lontano, al di là della Steppa. Mi parlò di una foresta. Sul momento non ci feci caso, ma ora... Non saprei. Ho sempre pensato che la mia tomba sarebbe stata calpestata dall'Orda".
"Anch'io" concordò Kutula corrucciato "Ma... se così non fosse?".
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