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5) GUAI

Era passata una settimana da quel giorno e pioveva ininterrottamente dalla sera prima.

Dal piccolo poggio su cui si trovavano, Saaràn e suo figlio Saryn scrutavano la Steppa cercando di riparare come potevano il volto dal vento freddo.

Nuvole basse e gonfie d'acqua coprivano Ten-gri, ma nella stagione della marcia il Naaxia doveva sapersi orientare con ogni condizione climatica e attendere l'arrivo dell'Orda finché questa non si fosse messa in marcia e lui non venisse individuato.

Quando vi era il bel tempo, si sarebbe fatto trovare facendo segnali luminosi con lo specchietto di Sangun che custodiva nella sacca.

Era stato suo padre a insegnargli come usarlo e ora lui lo stava insegnando a suo figlio:

"Mai mancare all'appuntamento con il Khan" gli raccomandò Ebuken fin dall'inizio "Con ogni condizione climatica, alla mattina dovrai essere da qualche parte, fermo ad attendere il suo arrivo".

Quando invece il sole non c'era come in quella mattinata uggiosa, avrebbe atteso che il carro del Khan fosse abbastanza vicino, poi avrebbe agitato la sciarpa di seta gialla che portava legata al collo, ma in quella mattina fredda e umida, qualcosa non andava come al solito e Saaràn iniziava a preoccuparsi.

Era tardi e l'Urdu ancora non si scorgeva.

Per quanto quel mattino l'alba non si fosse vista, sapeva benissimo che i carri avrebbero dovuto arrivare già da un bel pezzo.

Accanto a lui il Tarpan di Saryn, Bor, un pezzato nero e grigio di tre anni, scalpitò sulla sinistra di Monglik. Era agitato.

Non era ancora abituato a portare il morso d'osso tra i denti e l'immobilità a cui era obbligato gli faceva dolere i muscoli, ma uno sguardo corrucciato del vecchio pezzato del Naaxia fu sufficiente a ricondurlo alla calma.

Saaràn osservò di sbieco il figlio e lo vide serio e compassato.

Da quasi un'ora si manteneva ritto e immobile sulla sella, nonostante il freddo fosse pungente e la pioggia fine e fastidiosa gli bagnasse il volto. Sospirò, annuendo piano. Era fiero di lui.

Da quando aveva deciso di portarlo con sé per insegnargli la difficile arte del Cercatore di Strade, l'aveva seguito ogni mattina senza fiatare, che ci fosse il sole o pioggia.

E anche in quel mattino uggioso e freddo, il ragazzino attendeva paziente e immobile sul suo cavallo come un vero Naaxia doveva saper fare.

Saryn era come il padre, un bambino di poche parole, tuttavia ben poche cose sfuggivano ai suoi occhi grigi, mobili e vigili a ogni movimento nella Steppa.

Anch'egli guardava in lontananza come il genitore e attendeva di scorgere il carro del Khan che ancora non veniva.

Il volto impassibile del ragazzo non lasciava trasparire alcuna emozione.

Rimasero fermi come statue in cima al poggio ad attendere ancora per mezz'ora, ma non accadde nulla.

La pioggia non smetteva di cadere e a Saaràn cominciavano a fare male dorso e anche.

Tutta quella umidità gli aveva inzuppato i vestiti.

La sentiva fin dentro alle ossa e la vecchia ferita alla schiena si faceva sentire.

Quell'immobilità forzata lo stava facendo soffrire in modo atroce e avrebbe voluto tornare indietro, ma al suo fianco Saryn era immobile come un albero e non dava cenno a cedimenti.

Non poteva muoversi prima del figlio, altrimenti cosa avrebbe pensato di lui.

Il tempo passava lento e all'orizzonte non compariva nulla, poi all'improvviso si mosse, puntando un dito avanti a sé:

"Padre!" urlò il ragazzo, indicando un punto lontano nella Steppa. Nonostante la vista acuta, Saaràn faticò a individuare quello che gli stava indicando il figlio.

Strinse gli occhi e gli parve di scorgere qualcosa di piccolo e veloce, ma la distanza era notevole e la vista un poco offuscata dalla pioggia.

I suoi occhi non erano più quelli di una volta, pensò.

Un tempo era lui a far notare le cose a Ebuken, ma questo era accaduto tanto, tanto tempo fa.

Sospirò e guardò meglio.

Laggiù in fondo qualcosa si muoveva rapido, si avvicinava, forse era un cavallo in fuga o un cavaliere lanciato al galoppo.

"Cosa vedi, figlio" chiese al ragazzo.

"Un cavaliere, padre. Dov'è il convoglio? Cosa significa?" gli domandò Saryn tutto d'un fiato, quasi non aspettasse altro per dare sfogo alle sue incertezze.

Saaràn scosse la testa preoccupato.

Non sapeva cosa volesse da lui quell'Un, ma di certo sapeva cosa avrebbe portato con sé: "Guai, ragazzo. Guai".

Si tolse la sciarpa di seta gialla dal collo e iniziò ad agitarla piano, muovendola avanti e indietro fino a quando non notò una leggera deviazione nella marcia del cavallo.

"Ci ha visto, arriva" aggiunse piano, rimettendosi a posto la sciarpa.

Aveva l'animo e lo stomaco in subbuglio.

Non voleva allarmare Saryn, ma una cosa simile era inusuale sotto il Ten-gri.

Qualunque fosse il motivo che aveva spinto l'Orda a tardare all'appuntamento mattutino, non poteva che essere portatore di guai per tutti.

Padre e figlio attesero pazienti e immobili.

Altri venti minuti passarono prima che il cavaliere arrivasse fino a loro e Saaràn ebbe modo di riprendersi dalla sorpresa e studiare attentamente il cavaliere che si avvicinava.

Era da molto che non aveva contatto con i soldati del Khan, però se li ricordava bene e lui non era il tipo d'uomo che dimenticava facilmente i torti subiti.

Erano passati decenni da allora, eppure la ferita alla schiena che uno di loro gli inflisse a tradimento, ancora doleva.

Era un ricordo amaro, spiacevole, offuscato appena dal passare degli anni, ma di certo non poteva essere quello in avvicinamento ad avergliela fatta.

Costui era un giovane presuntuoso, inesperto di come ci si doveva comportare nella Steppa.

Non portava lo scudo tondo sulla schiena, quindi era un Baltai, un soldato semplice, probabilmente appena entrato nello squadrone a cui era stato assegnato.

Era solo, senza un Tarpan al seguito per il ritorno. Saaràn grugnì.

Quel soldato era maldestro nel condurre il cavallo e ingenuo fino al ridicolo a farlo correre in quella maniera.

Il Tarpan che cavalcava ansimava ricoperto di schiuma bianca: quel cavaliere l'aveva spinto quasi al limite per giungere fino a lì, non curandosi minimamente della salute dell'animale.

Quel soldato aveva fretta ed era uno sciocco.

Chi lo aveva inviato nella Steppa gli doveva aver detto di fare in fretta ed egli, senza riflettere, l'aveva preso alla lettera.

Doveva essere un motivo grave che aveva condotto quel ragazzo fino a Saaràn.

In trentasette anni in cui era il Naaxia non era mai successo, quindi, non sapendo cosa altro fare, attese pazientemente e scrutò le mosse del cavaliere.

Il soldato seguitò a spronare il cavallo come se fosse inseguito da un branco di lupi affamati.

Non accennò a rallentare nemmeno quando fu a pochi passi da Saaràn e dal figlio.

S'inerpicò sul poggio su cui i due si trovavano come una furia.

Quando fu ad appena un paio di balzi da loro, il giovane guerriero strattonò le redini del Tarpan e lo fece fermare di colpo.

Ora che era abbastanza vicino, Saaràn vide che sul cappello portava appeso un dente di Cinghiale colorato di rosso.

Era un Konghirato, appartenente al Clan del Cinghiale Rosso.

Avrà avuto quattro o cinque anni più di Saryn, comunque non più di sedici o diciassette anni.

Non aveva ferite o cicatrici evidenti, quindi fino ad allora aveva combattuto poco.

D'altronde era plausibile.

Da quasi dieci anni non vi erano state più scorrerie importanti e costui era cresciuto nell'Orda senza dover lottare in una vera battaglia.

Al massimo aveva partecipato a un Kavryn-an, la Grande Caccia di Primavera.

Sulle guance non portava traccia di scarificazioni, per cui quella era la sua prima missione importante e non vedeva l'ora che terminasse.

Era trafelato, soffiava forte, si vedeva che aveva fretta di andarsene.

Sul volto portava scolpito il disprezzo che gli avevano insegnato a portare verso Saaràn e per il ragazzino al suo fianco.

"Naaxia, vieni!" ordinò con voce aspra e dura, quando gli fu arrivato davanti.

Senza attendere risposta fece voltare il Tarpan ansimante e ripartì ancora al galoppo, ma dopo qualche falcata si fermò indispettito.

Saaràn e Saryn erano rimasti immobili al loro posto.

"Naaxia, vieni!" ripeté concitato.

Era furente, tanto rosso in volto da far temere che da un momento all'altro potesse esplodere dalla rabbia.

Portò una mano alla sciabola. Minacciò di sguainarla.

Intimorito Saryn accennò a far muovere in avanti Bor, ma Saaràn bloccò il Tarpan del figlio ponendo una mano sul pomolo della sella.

Il volto del Naaxia era impassibile, eppure il ragazzo notò una contrattura nella mascella del padre che gli fece intuire che fosse infuriato come raramente gli era capitato di vederlo prima d'allora e preferì ubbidire.

Riportò Bor al suo posto e non fiatò più.

Il giovane soldato sbottò:"Naaxia, vieni!" ordinò per la terza volta e questa volta Saaràn, senza muoversi dal posto, rispose.

Parlò piano, cortese, scegliendo accuratamente le parole, eppure ognuna di esse aveva dentro di sé qualcosa di affilato come una lama di un coltello passato lento sul collo.

"Se non scendi immediatamente da quel Tarpan e mi dici il tuo nome, ti giuro che ti squarterò come un vecchio montone e getterò i pezzi ai lupi in modo che di te non rimanga più nulla".

Il giovane guerriero sgranò gli occhi, indignato da tanta impudenza.

Non era preparato a essere trattato in quel modo dall'uomo più insignificante di tutta l'Orda.

Gli avevano ordinato di andarlo a prendere, non di farsi umiliare.

"Nessuno ti ha detto che qui sono IO il Signore della Steppa?" aggiunse trattenendo a stento la rabbia Saaràn.

Il giovane guerriero deglutì: no, nessuno glielo aveva detto.

Si guardò attorno.

Nessuno poteva dirgli cosa fare, doveva decidere da solo: tornare indietro senza il Naaxia e farsi mozzare la testa perché aveva disubbidito, oppure fare come Saaràn aveva detto.

Per un po' mosse avanti e indietro il Tarpan senza sapere cosa fare.

Era agitato, combattuto tra l'andare e il restare, poi all'improvviso smontò veloce.

Come tutti gli Un, iniziava già ad avere le gambe arcuate e camminava a fatica. Dondolava, spostando il peso del corpo da una parte all'altra.

Tenendo il cavallo per le briglie, andò davanti a Monglik.

Si tenne a due passi di distanza, disgustato all'idea di avvicinarsi troppo a quel cavallo brutto e spelacchiato.

Fece per aprire bocca, ma Saaràn non era ancora soddisfatto.

"Vieni avanti" disse e il giovane deglutì ancora.

Sospirando a fondo prima di farlo, fece due passi avanti e si trovò il muso di Monglik davanti alla faccia.

Con un leggero colpo di tacco al fianco dell'animale, Saaràn fece fare un colpo di tosse al suo cavallo che alitò in faccia al militare.

Il giovane Un impallidì, chiuse gli occhi, ma non si mosse.

Saaràn ora era soddisfatto, l'aveva umiliato abbastanza.

Saryn sempre immobile al suo fianco, fece il possibile per non scoppiare a ridere.

"Fai pure un passo indietro e dimmi il tuo nome, adesso" gli fece ancora Saaràn e quello obbedì al volo.

"Il mio nome è Omnod, Naaxia. Figlio di Noogon mod" gli disse senza abbassare lo sguardo.

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