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45) TORMENTO


La breve estate di quelle regioni montuose era passata.

Da qualche giorno, lungo i ripidi fianchi dei Monti d'Oro, sugli alberi le foglie assumevano via via i caldi colori autunnali che precedevano la loro caduta e la stagione fredda.

Il tiepido vento che soffiava a Togriluudyn scompigliava appena i capelli a Saaràn e sapeva di fogliame umido e di terra bagnata.

Per chi come lui era abituato a viaggiare nella landa gelida e ventosa della Steppa, il passare delle stagioni sugli alberi era uno spettacolo raro ed egli l'ammirò estasiato, ringraziando Ten-gri per aver fatto agli uomini un dono così grande.

L'osservò per qualche istante in silenzio, poi sospirò, annoiato dalla calma che lo circondava.

Zűin era scomparso da sei mesi.

Da quando lui e Frassinella inseguirono quella belva assetata di sangue fin nel Mondo dei Semplici, del figlio di Gioturna non v'era stata più traccia alcuna.

Dal momento che raggiunsero e colpirono quell'essere disgustoso con la Scintilla di Vita, l'esplosione di luce che scaturì dal Pugnale di Sangun fu così improvvisa e violenta, che colse Zűin completamente impreparato e l'ustionò in modo orribile, tanto da renderlo irriconoscibile a chiunque lo guardasse scappare.

Dopo che Saaràn ebbe trovato il coraggio di riaprire gli occhi, anche alla folle velocità a cui egli e la Sua Signora viaggiavano passando da una radice all'altra, attorno a sé vide soltanto brandelli di Gin pendere ovunque guardasse.

L'avevano fatto a pezzi.

Pensò di aver finalmente finito una volta per tutte con quella creatura, invece udì Frassinella urlargli: "Laggiù, guarda!" e sporgendosi per guardare oltre la Yaonai, vide che una parte di quella belva ancora fuggiva.

Un po' seccato nel saperlo ancora vivo, gridò a sua volta: "Facciamola finita! Andiamo a prenderlo!" e le serrò più forte la mano.

Un attimo dopo l'inseguimento riprese con maggior accanimento di prima.

La preda era vicina, il risultato certo. Non poteva sfuggirgli proprio adesso!

Ormai sia lui che la donna pregustavano già la vittoria, ma all'ultimo momento Zűin, o ciò che di esso restava, benché perdesse pezzi ad ogni movimento, disorientato, ferito, rallentato dall'accecante luce che l'aveva da poco colpito, all'improvviso scartò e riuscì a sfuggire alle cacciatrici inoltrandosi negli abissi più scuri, dove nemmeno le Yaonai potevano seguirlo.

Deturpato, fumante, ferito in modo grave, nonostante le donne della Foresta lo circondassero da tutti i lati, quella belva in un battito d'ali si dileguò, infilandosi in uno scuro anfratto che conduceva al di fuori di quel mondo che lo respingeva con tutte le sue forze e fuggì.

Fremente di rabbia, Frassinella, quando ormai era certa di averlo preso, se lo vide scappare dalle dita.

Con un gesto di stizza si fermò sul ciglio dello stretto passaggio in cui Zűin si era inoltrato e lo lasciò andare.

Come tutte le Yaonai della Foresta, la Sua Signora detestava l'oscurità degli abissi e non se la sentiva di proseguire oltre.

Gli erano addosso, tuttavia quel mostro fu fortunato e riuscì a far perdere le sue tracce.

Benché delusi dal vederselo sfuggire di mano proprio quando ormai erano certi di tenerlo in pugno, Frassinella, le Yaonai e Saaràn stesso, dovettero tornarsene indietro con in bocca l'amara e spiacevole sensazione di aver lasciato a metà un lavoro che invece speravano di terminare in quella occasione.

Nonostante ciò, al loro arrivo a Togriluudyn, vennero accolti come eroi.

Tutti, sia uomini che Yaonai.

Frassinella ridivenne Bortecino e circondata dai lupi del suo branco camminò al fianco del suo protetto in mezzo a quello che rimaneva degli Un.

Nei loro occhi Saaràn vide soltanto timore e soggezione.

Il Khűrch Bolokhgűi, l'Intoccabile, era tornato vincitore.

Dopo un'impresa memorabile come quella, la sua posizione come Gran Khan si consolidò a tal punto che non venne più messa in discussione da nessuno.

Venne riconosciuto come Condottiero delle Genti, ma per lui e per la Sua Signora, quel risultato così eccezionale per altri, in parte fu una delusione.

Essi sapevano che Zűin avrebbe potuto fare ritorno in qualunque momento e da allora vissero in attesa, con il fiato sospeso.

Tuttavia i giorni passarono senza che di quel mostro si sapesse più nulla.

Quell'essere brutale pareva essersi dileguato definitivamente, inoltrandosi nelle profondità degli abissi, dove il buio era più intenso.

Da quel giorno, dall'alba al tramonto le Yaonai controllavano ogni angolo del Mondo dei Semplici, ciononostante, ovunque esse arrivassero, di lui non c'era alcun segno.

In nessuna parte dell'immensa distesa sotterranea della prateria, se ne avvertiva la presenza.

Sotto la volta celeste di Ten-gri pareva essere tornata la pace, tuttavia Saaràn non riusciva a sentirsi tranquillo.

Non per Zűin, non per gli Un, non per Togriluudyn, ma per se stesso.

Era il Gran Khan, certo, il Khűrch Bolokhgűi, l'Intoccabile, era potente come mai avrebbe potuto desiderare di diventare, eppure non era soddisfatto, perché si annoiava.

Nella valle dei Togril tutti parevano sapere cosa fare della propria giornata, eccetto lui.

A parte i momenti in cui andava a trovare Kutula per vedere come avanzavano i lavori del villaggio Un lungo il torrente, girovagava per Togriluudyn con Khar e Zurvas alle calcagna, senza null'altro da fare se non osservare gli altri lavorare.

Egli era il Gran Khan della Steppa, ma all'interno del forte questo non contava granché.

Era come se ovunque andasse, non vi fosse posto per lui.

Erano tutti troppo occupati per badargli.

Dopo la piena che pose fine alla minaccia dell'Orda Un, con il passare dei giorni per i Togril la vita riprese a scorrere lenta e pacifica come sempre, riparandosi dietro le possenti mura del Castello di Pietra.

Il morbo che Zűin vi introdusse in primavera colpendo a morte il giovane Muu Atzai, con il passare delle settimane perse vigore e i contagi diminuirono.

Alla fine scomparve del tutto, lasciandosi però alle spalle una tale scia di dolore e morti, che difficilmente una disgrazia simile avrebbe potuto essere dimenticata tanto presto.

Ben poche furono le famiglie della valle che passarono indenni attraverso quella bufera di morte.

Interi quartieri del villaggio di Tosgon rimasero del tutto disabitati e in tutti gli altri, gli occupanti delle case diminuirono drasticamente di numero.

Quando l'epidemia giunse al termine, lungo il paese dei Togril non vi furono più strade intasate di persone che andavano e venivano indaffarate.

Le voci che tra la folla richiedevano strada trainandosi dietro muli carichi di merce, rimasero solo un triste ricordo del passato.

Nel giro di poche settimane, quasi la metà degli abitanti di Togriluudyn perì a causa delle complicazioni che quell'infezione provocò nei loro organismi incapaci di difendersi e lasciò un vuoto difficile da colmare per i decenni a venire.

Solo grazie all'instancabile prodigarsi di Neko nel tentare nuove cure e alle Yaonai, sempre pronte ad assistere i malati, furono molti coloro che alla fine ce la fecero.

In tanti guarirono, ma nella storia dei Togril la Febbre dei Tre Giorni avrebbe trovato per lunghissimo tempo un posto che difficilmente avrebbe potuto essere sostituito da qualche altro evento che avrebbe potuto dirsi altrettanto grave.

Nemmeno il terribile terremoto che aveva fatto tremare le montagne in quei medesimi giorni, alla fin fine aveva avuto delle conseguenze così nefaste sulla sopravvivenza stessa della gente di quei luoghi.

Ancora per mesi interi le scosse di assestamento fecero tremare la terra, però poco alla volta anch'esse si acquietarono, divennero lievi e poi scomparvero, lasciando dietro di sé soltanto qualche muro sbreccato e poche fessure nei campi, dove lo zoccolo di pietra su cui questi appoggiavano si era spezzato negli abissi della terra.

Attraverso una di queste Zűin poté risalire in superficie, ma anche quelli vennero ben presto riempiti con sassi e rocce, sigillati, spianati e in breve scomparvero dalla vista, come se non fossero mai esistiti.

Di essi non rimase alcuna traccia, se non nella memoria di chi li vide aprirsi davanti ai propri occhi e inorridì, nel vedervi scaturire fuori quel mostro orrendo.

Tuttavia, come sempre accade la vita dovette recuperare il suo corso e riuscì a passare oltre, riprendendo forza proprio dai ricordi che quelle disgrazie portarono con sé.

In poco tempo i Togril dimostrarono quanto fosse forte la loro natura di montanari indomabili.

La diga in cima alle montagne si riempì nuovamente, le sue acque ripresero a scorrere lungo i canali scavati nella roccia e le risaie lungo il fianco della vallata vennero ripristinate.

Le messi seminate in primavera arrivarono a maturazione in estate e il raccolto che ne seguì fu così abbondante, da bastare per almeno un paio d'anni a chi era rimasto in vita.

Ovunque nella valle i magazzini traboccavano di riso.

Quando infine ritornò il tempo dell'aratura, molte risaie tornarono a essere lavorate e risuonarono ancora di canti, ma non tutte quelle di un tempo, perché mancavano le bocche da sfamare.

Dopo il raccolto molti terrazzamenti vennero lasciati vuoti e improduttivi, in attesa che un giorno nuove generazioni di mondine vi affondassero i piedi, intente a estirparne le erbacce.

Niente come la febbre di Zűin poté mettere a rischio la loro sopravvivenza.

Neppure gli Un, alla fin fine, furono così distruttivi come i Togril per lungo tempo temettero.

L'epoca di quei migranti violenti e rissosi volse al termine ben prima di raggiungere Togriluudyn e quando infine vi arrivarono, si dissolsero come nebbia al sole.

L'Orda Azzurra che per secoli terrorizzò la Steppa portando dolore e sofferenza ovunque arrivasse, iniziò a sgretolarsi non appena comprese che il tempo delle scorrerie era finito.

Benché non potessero ancora rendersene conto, già fin da allora gli Un non esistevano più.

Essi stessi decimati prima dalla insensata condotta di Muu-Gol e poi dal medesimo morbo che aveva colpito le popolazioni delle montagne, demoralizzati e sconfitti, i Clan dell'Urdu, dopo essersi resi conto che Saaràn aveva detto loro la verità, nella maggior parte dei casi accettarono di cambiare vita e si sottomisero alla sua autorità.

Ormai tutti i legami che tenevano unite le Sette Tribù si erano sciolti e gli Un-han non contavano più nulla.

Tutte le decisioni inerenti al futuro dei Clan, si prendevano a Togriluudyn e non più nella Yurta Reale.

A decidere ora erano in quattro, Frassinella, Saaràn, Tomor biye e Neko.

Gli Un erano ospiti della magnanimità di chi li aveva sconfitti e dovevano sottostare ai loro voleri.

Quando poi anche le schiere dei Kaidu e dei Konghirati guidati da Ongiroo arrivarono sane e salve in fondo alla valle che conduceva a Togriluudyn, Saaràn e Frassinella, seguendo i consigli di Neko per evitare il diffondersi del contagio anche tra quelle genti, decisero di lasciarli insediare lungo le rive del torrente che vi correva nel mezzo.

Al loro arrivo Kutula in persona andò a riceverli e appena Ongiroo lo vide farsi avanti sul dorso di uno stallone Togril, fu ben lieto di lasciargli il potere.

Scese da cavallo e s'inginocchiò volentieri davanti a lui, posando in terra la sua scimitarra.

Ongiroo era uno sciocco, ma in quel momento, scegliendo Kutula come Khan, le Tribù dei Clan dell'Orso e del Cinghiale che aveva condotto fino a lì, seguirono il suo esempio.

Accettarono di diventare sedentari e iniziarono a coltivare la terra, resa ancor più fertile dal fango lasciato dalla piena.

Tutti parevano soddisfatti, a parte Tomor biye. Solo lui non lo era.

Vedendo arrivare un così grande numero di guerrieri armati, validi e ben organizzati ai piedi di Togriluudyn, il Comandante della piazzaforte non ne fu per nulla contento.

Quando Frassinella e Saaràn gli comunicarono come avessero pensato di risolvere la questione, egli si accigliò e grugnì, ma allorché comprese che il desiderio della Signora dei Togril e del Gran Khan non fu un atto di clemenza, bensì un ponderato calcolo, per quanto malvolentieri, accettò l'idea.

Meglio saperli vicini, piuttosto che liberi di scorrazzare per la Steppa.

Da quel momento, l'intero esteso pianoro serrato tra le montagne che da Dugui Naluu conduceva verso la Steppa, si riempì di mandrie di buoi e di cavalli e i Fugai non fecero fatica a riempire di sterco secco le loro gerle.

Il greto del torrente si popolò di Yurte.

Per non colpire troppo la loro dignità come popolo, gli uomini non vennero del tutto disarmati e le donne poterono coltivare il miglio selvatico come per secoli avevano fatto nelle lande sconfinate della Steppa, ma a parte questo, le cose presero lentamente a cambiare.

La valle che tre secoli prima i Togril abbandonarono prevedendo l'arrivo dell'Orda Azzurra, ora diveniva la nuova dimora di ciò che restava degli Un partiti da Dai-Sescen.

La costante presenza tra le Yurte della Lupa Azzurra, dei suoi lupi e di Saaràn, li manteneva tranquilli, ma da distante anche i Margaash di Togriluudyn li tenevano discretamente d'occhio, affinché tutto scorresse liscio.

I soldati Togril avevano ricevuto un solo ordine da Tomor biye: stare lontani dai nuovi arrivati e farsi vedere il meno possibile attorno alle loro Yurte.

Egli non voleva tafferugli con i nuovi arrivati.

Si era raccomandato con i suoi uomini di sottrarsi da qualunque tensione che si potesse evitare restando lontani dall'accampamento Un.

Il Comandante del Forte avrebbe fatto qualunque cosa affinché non vi fossero più conflitti tra le due etnie.

Avrebbe accettato più di un compromesso purché la vita della valle potesse scorrere tranquilla, però all'occorrenza non si sarebbe fatto scrupolo a usare nuovamente le acque del lago per spazzare via i Clan in un colpo solo, se questi non si fossero comportati bene.

Il Consiglio al completo era presente quando Frassinella propose di dare al soldato pieno mandato di agire come meglio ritenesse per la sicurezza di Togriluudyn.

Saaràn ormai comprendeva abbastanza la lingua di quella gente, da afferrarne al volo il significato chiaro delle parole della Sua Signora.

Inoltre la Yaonai fu quanto mai esplicita.

Qualunque misura egli avesse deciso di adottare, affermò, sarebbe stata ritenuta idonea.

Neko il Curandero, a tal proposito, espresse subito parere favorevole.

Anche Saaràn, quando come Gran Khan dovette esprimere il proprio parere, diede il suo assenso senza battere ciglio e il Togril, nel sentirselo dire, grugnì lieto.

Da quel momento Tomor ebbe carta bianca.

Saaràn nemmeno si pose il dubbio se fosse giusto o meno concedergli quei poteri.

Gli Un se lo erano voluto.

In fondo nemmeno lui si fidava della sua gente e poteva capire i timori dei Togril, perché il pericolo di una rivolta, in effetti esisteva.

Egli conosceva bene i Clan e sapeva che non erano affidabili.

All'apparenza la maggioranza degli Un aveva accettato con sorprendente mitezza quella situazione così differente da ciò a cui erano abituati, tuttavia non a tutti quella nuova vita piaceva.

I primi tempi i litigi tra guerrieri insoddisfatti, furono all'ordine del giorno.

In alcuni di loro la rabbia covò come brace sotto la cenere e la tensione nei Clan aumentò di giorno in giorno.

Saaràn li capiva e comprendeva il loro disagio.

Lo disse agli altri tre del Consiglio.

Sapeva che trattenere gli elementi più turbolenti nella valle non avrebbe portato a nulla di buono.

Così, presenti Tomor, Neko e Frassinella, ne parlò e tutti convennero con lui che sarebbe stato meglio lasciar andare via gli scontenti prima che fosse troppo tardi.

Deliberarono all'unanimità che quando a qualcuno quell'esistenza troppo tranquilla e monotona divenisse insopportabile ancor più della morte stessa, se lo desiderava gli sarebbe stato permesso di partire e di andarsene, portando con sé cavalli, viveri e armi a sufficienza per poter sopravvivere nella Steppa.

Anche subito se lo avesse desiderato e nessuno, Margaash,Togril o Yaonai, lo avrebbe ostacolato.

Fu così che alcuni Clan delle Tribù Merchite, Keraite, Iterai, Obor e Hanbakai, le ultime ad aggiungersi all'Orda Azzurra partita tanto tempo prima da Dai-Sescen, decisero di riprendere la via della pianura, portando con sé i propri carri, le proprie mandrie e i cavalli, indispensabili per gli spostamenti e la sopravvivenza nella pianura.

Tuttavia partirono separati, allontanandosi gli uni dagli altri.

Si avventurarono in quella landa infinita senza che nessuno di essi avesse una meta precisa verso cui dirigersi.

Erano pochi, disorganizzati e disuniti.

Non erano più un'Orda e nemmeno avrebbero avuto la forza di riunirne un'altra sotto un unico vessillo.

Non vi era più nulla che li tenesse insieme come un tempo.

Non vi era più un Khan a guidarli.

Il disprezzo, la paura, non c'era più niente a trattenerli uniti.

Il Naaxia, Sangun il traditore, la fuga da Dai-Sescen, nulla di tutto questo esisteva più. Nemmeno i Gin li impaurivano più.

Tutto era cambiato e quegli uomini tornarono a essere nomadi come i loro padri.

Il loro mondo era scomparso, ma essi, benché sapessero che non sarebbe potuto tornare indietro, avrebbero fatto il possibile per mantenerlo in vita ancora per un po'.

Avrebbero vissuto come un tempo, perdendosi nell'immensità della pianura, colmi di ricordi e di nostalgia, però liberi di condurre l'esistenza che desideravano.

Non avendo più un Naaxia e un Khan a guidarli, quei Clan non sapevano dove dirigersi, ma in fondo non era quello che importava a quella gente e Saaràn li lasciò partire, sapendo che ovunque essi andassero, se avesse voluto poteva trovarli in qualunque momento.

In fondo, ora, egli era il Gran Khan delle Praterie e il suo dominio su quelle terre non aveva limiti.

Era il Khűrch Bolokhgűi, l'Intoccabile.

Sogghignò, al pensiero di ciò che era diventato, ammirando lo spettacolo dei fianchi colorati dei Monti d'Oro.

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