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42) L'ACULEO


Lavorando di pala e piccone assieme ai Togril all'interno del recinto dei cavalli, Saaràn e Uleg colmarono la fenditura nel terreno con pietre, sassi e terra.

I resti di quella cosa immonda che uscì all'improvviso dal sottosuolo, si sciolsero velocemente a contatto con l'aria e scomparvero da soli, assorbiti dal terreno.

Della creatura che così tanto aveva turbato animali e uomini non rimaneva che l'aculeo che Saaràn aveva reciso con la scure e per maggior sicurezza di tutti aveva portato fuori del recinto.

La sua sola presenza agitava troppo i Tarpan, facendoli scappare folli di paura.

La mandria seguitò a correre avanti e indietro per il recinto anche dopo che l'ebbe allontanato, ancora troppo terrorizzata per lasciarsi avvicinare da chiunque.

I cavalli si tenevano lontani sia dagli uomini che dalla spaccatura nel terreno da cui fuoriusciva il fumo maleodorante, eppure non erano gli unici a essere rimasti terrorizzati da quello che era successo.

Una paura nemmeno troppo velata rimaneva impressa negli occhi di tutti e non abbandonò mai definitivamente i pensieri di ognuno di coloro che avevano assistito alla comparsa di quella cosa immonda.

Togril, Un, Taiciuti, tutti quanti indistintamente, rimasero taciturni e cupi fin quando anche soltanto una piccola parte della crepa apertasi nel terreno in seguito al terremoto rimase ancora da tappare.

Quel nome, Zűin!, rimbombava nella mente di chiunque avesse visto quella cosa orrenda sollevarsi in aria.

In ognuno di essi il timore di vedere spuntare dal nulla un'altra mostruosa creatura portata in superficie da quel fetido fumo giallo che toglieva il respiro, rimase inciso nella mente per tutto il tempo che gettarono sassi e terra dentro alla crepa.

Fu un lavoro pesante, estenuante tanto per il corpo che per il morale.

La crepa risultò essere più profonda di quello che gli uomini avessero pensato all'inizio.

Ad un certo punto ebbero l'impressione che ogni loro sforzo fosse inutile e di non riuscire a giungere a nulla.

Per quante cose vi gettassero dentro, queste scomparivano nel buio, inghiottite dalla voragine fumosa che pareva sprofondare in basso senza fine.

Gli ci volle quasi un'ora d'intenso lavoro prima di giungere a vedere che lentamente essa si colmava, lanciandovi dentro pietre sempre più grosse a tapparla e poi con terra a coprirle, fino a tapparla del tutto.

Fu una lotta sfibrante, a denti stretti, respirando male, tossendo e sputando. Serrati costantemente tra una morsa d'insicurezza per la lentezza con cui ottenevano dei risultati e la voglia di fuggire lontani dall'asfissiante fumo giallo che ne usciva a sbuffi, uomini e donne lavorarono fianco a fianco.

Per ogni soffio improvviso di quel fumo malefico, per ogni sua improvvisa pausa nella risalita dalle profondità della terra, i Togril immaginavano di veder spuntare dalle tenebre un altro aculeo, pronto a ghermirli e portarli via con sé.

Eppure continuarono a lottare.

Fino alla fine, non smisero mai di credere che, assieme, ce l'avrebbero fatta.

Solamente quando anche l'ultima zolla erbosa venne rimessa al proprio posto e del fumo denso e puzzolente che ammorbava l'aria fino a poco tempo prima non rimase che un vago sentore, essi poterono tornare a respirare liberamente.

Solo allora, sentendosi abbastanza al sicuro, uomini e donne parvero tranquillizzarsi e riprendere colorito in volto.

Una volta terminato il faticoso lavoro di sterro, anche i Tarpan presenti nel recinto smisero di agitarsi.

Non avvertendo più nell'aria il fetore morboso del fumo, la mandria si tranquillizzò abbastanza da essere accostata senza timore dagli stallieri.

Saaràn ne fu contento, visto che fino ad allora gli era stato impossibile riuscirci.

Aiutato dai Togril li avvicinò con cautela, li controllò tutti, poi ne scelse due, adatti per lo scopo.

Con l'aiuto di Uleg li separò dagli altri, gli mise la cavezza e li fece uscire dal recinto.

Uno l'avrebbe tenuto per sé e l'altro, un bel corsiero bruno, giovane e robusto, l'avrebbe donato a Nuuts per risarcirlo del tempo che aveva dedicato ai due Monglik.

Il Tarpan del fabbro era vecchio e benché fosse ancora vigoroso, il Taiciuto tra breve ne avrebbe avuto bisogno di uno nuovo.

"Credi che lo accetterà?" domandò a Uleg e dopo un momento il Nonun gli fece un cenno d'assenso.

"Credo di sì, se glielo porterai di persona".

Saaràn annuì, avrebbe fatto così, in fondo il fabbro se l'era meritato.

Quale momento migliore di questo per iniziare a sdebitarsi con lui, se non donandogliene uno.

Inoltre con quel gesto sperava di rabbonirlo un poco nei suoi confronti e di farsi perdonare per gli errori che aveva commesso, perché sapeva di aver oltremodo sbagliato verso i suoi Tarpan e si vergognava per come si era comportato.

Una volta ultimato di controllare la mandria, i due cavalieri si apprestarono a tornare indietro.

Si stava facendo tardi e la strada del ritorno era ancora lunga.

Poco prima della partenza, Saaràn andò a ricuperare l'aculeo che aveva lasciato in disparte, un poco discosto dalla staccionata.

Quando lo rivide spuntare nell'erba, imbrattato di linfa rappresa e fango, provò una ripugnanza tale verso quell'oggetto da sentire i brividi corrergli lungo la schiena.

Fosse stato per lui l'avrebbe gettato nel fuoco e l'avrebbe distrutto subito, ma benché provasse ribrezzo nel pensare di doverlo toccare ancora, doveva portarlo a vedere alla Signora.

L'afferrò con cautela, proteggendosi la mano con un panno spesso.

Non voleva tagliarsi di nuovo.

I tagli sul palmo che si era procurato la prima volta che l'aveva stretto in pugno, non smettevano di irritargli la pelle.

Erano arrossati, infiammati sui bordi e bruciavano persino più adesso, di quando se li era fatti.

L'avvoltolò con cura dentro il panno e lo mise in una delle bisacce del cavallo di Nuuts, ma appena l'anziano Tarpan ne avvertì la presenza addosso, nitrì e mostrò subito di esserne infastidito.

Saaràn dovette ammansirlo prima che si calmasse abbastanza da essere montato.

Una volta in sella, vide che mancava poco al tramonto e comprese che era ora di tornare da Frassinella.

"Uleg, dobbiamo andare" fece al Taiciuto e dopo poco erano in marcia.

Lui avrebbe portato i due Tarpan che aveva preso nel recinto e Uleg gli altri.

Lungo la via del ritorno, sia l'uno che l'altro parlarono poco.

Anche il Nonun era più taciturno del solito.

Troppe cose erano successe in quella giornata, per aver voglia di parlare.

Inoltre quel pungiglione li preoccupava.

La sua sola presenza irritava gli animali, rendendoli pronti a scattare per un nonnulla.

Avvertivano qualcosa nell'aria che si spandeva tutto attorno come un effluvio che non lasciava immune nessuno.

Erano eccitabili, nervosi e s'imbizzarrivano per ogni minima cosa venisse ad agitarli.

Quando i due cavalieri passarono nella zona delle nuove risaie, per quanto poterono si tennero lontani dalle crepe da cui fuoriusciva l'acre fumo giallo.

Le fessure nel terreno seguitavano a sputarlo fuori dal sottosuolo, ammorbando l'aria dell'intera valle.

Quando si avvicinarono al punto dell'aggressione, videro che anche i resti di quella cosa mostruosa che i contadini avevano massacrato nel campo erano scomparsi.

Si erano prosciugati al vento e al sole, proprio come quella che Saaràn aveva abbattuto nel recinto dei cavalli.

A parte loro due, in giro non vi era nessuno.

Il luogo era completamente deserto.

Un silenzio di morte aleggiava sulla valle e metteva i brividi.

I Togril non avevano ancora fatto ritorno al lavoro, dopo l'incidente avvenuto a uno di essi.

Saaràn pensò che si fossero rintanati tutti a Tosgon e in quel momento li invidiò.

Anche lui avrebbe voluto andarsene in fretta, essere con la sua famiglia, al sicuro.

Quando poi arrivarono a Tosgon, Saaràn e il servo trovarono il villaggio Togril in fermento.

Lo attraversarono lentamente.

Dalle parole che Uleg riuscì ad afferrare qui e là al volo, comprese che i Togril parlavano quasi solamente di quello che era successo nei campi.

Il povero disgraziato che era stato ucciso si chiamava Muu Atzai, aveva vent'anni, una moglie, due figli piccoli e un terzo in arrivo.

I suoi compagni avevano portato il cadavere su al Castello di Pietra.

Ormai la notizia dell'aggressione si era sparsa per l'intero abitato.

Ovunque si udiva mormorare un solo nome, Zűin!

L'atmosfera nel villaggio era cupa, tesa, resa ancora più angosciante dalle continue scosse del terreno che non volevano saperne di smettere di farlo tremare.

Passando accanto a una casa i due udirono il pianto sommesso di una donna, forse la moglie del morto.

Davanti alla porta d'ingresso vi era un piccolo capannello di persone, parenti, amici, vicini, ammutoliti davanti alle tragedie che dalla mattina si susseguivano una dopo l'altra.

I Togril li guardarono passare.

Nei loro occhi smarriti, Saaràn lesse la stessa domanda che stava tormentando la sua mente da un po': Cosa stava succedendo?

Superato il villaggio, il Naaxia e il servo si inerpicarono lungo la strada che portava al Castello di Pietra.

Incrociarono molti Togril che tornavano alle loro case dopo aver avuto udienza dalla Yaonai.

Da ognuno di loro Uleg afferrò pezzi di discorsi che tradusse a Saaràn.

Tutte quante si riferivano all'incidente avvenuto nei campi qualche ora prima.

Quello che era successo al giovane Atzai aveva sconvolto la popolazione della valle ancor più del terremoto.

Dopo non molto Saaràn e Uleg arrivarono abbastanza in alto da essere avvistati da Helun. Si salutarono da distante.

La donna era preoccupata e li aspettava lungo la strada.

Accanto a lei vi erano anche Saryn, Gerel e Omnod.

Era dal mattino che la donna non aveva più notizie ed era in ansia.

Da ore li attendeva, con in volto impresso il timore che la situazione fosse veramente grave.

Come tutti gli abitanti della valle aveva visto i contadini portare una barella coperta da una pezza di stoffa gettata malamente sopra.

Quegli uomini non si fermavano a dare spiegazioni e s'incitavano l'un l'altro a fare in fretta, quasi correndo lungo la salita.

Tuttavia Helun non ebbe bisogno di molte parole per comprendere che quei Togril trasportavano un morto.

In vita sua aveva incontrato abbastanza cadaveri da capire subito cosa vi fosse su quella barella e che qualcosa di molto grave era accaduto giù nella piana.

Non sapendo ancora nulla della creatura comparsa nella risaia, la donna credette fosse qualcosa collegato al terremoto, un crollo, un cedimento, un'imprudenza di troppo, alle volte un incidente, una disgrazia accadeva in fretta.

Non sapeva, immaginava soltanto e l'immaginazione stimola cattivi pensieri.

Aveva visto Tuulain e Burjgar, le due Togril che avevano aiutato, smettere di lavorare agli argini quando videro arrivare la barella.

Le due mondine scambiarono parole affrettate con i contadini che passavano troppo di fretta.

Utilizzando quelle poche parole in Murlag che Omnod conosceva, il giovane provò a domandare alle ragazze cosa fosse successo, ma l'Un comprese poco: "Uno di loro è morto ammazzato. Mi pare si chiamasse Atzai" le riferì.

Sempre più allarmata Helun disse a Gerel e Saryn di rimettersi i calzari, invitò Omnod a fare in fretta, poi facendosi aiutare scese un gradino alla volta verso la strada.

La scala era ripida, stretta, pericolosa per lei e forse aveva fatto male ad arrampicarsi là sopra con la sua gamba zoppa, ma rapidamente la condusse in basso.

Nelle risaie, tutti avevano smesso di lavorare.

Quando Saaràn li raggiunse lungo la strada, Helun vide subito che i due uomini erano sconvolti.

Il marito le porse le redini del suo Tarpan, il Taiciuto diede agli altri le loro.

Nessuno parlò mentre risalirono in groppa.

Ripartirono subito per fare ritorno verso il Castello di Pietra.

Omnod si voltò un paio di volte a guardare Burjgar mentre si allontanavano e anche Gerel e Saryn salutarono le due ragazze sventolando in aria le mani, ma per quanto fossero felici per la bella giornata passata nei campi, dall'aria cupa del padre anche i due bambini compresero che non era il caso di scherzare e tacquero, imitando il silenzio degli adulti.

Quando il piccolo gruppo di Un raggiunse la piazza d'armi sotto al Castello di Pietra, mancava poco al tramonto.

Saaràn si diresse verso la stalla e gli altri lo seguirono.

Prima di andare dalla Signora voleva fare visita ai suoi due cavalli e non mancava molto al sopraggiungere del tramonto.

Quando il Nuuts il fabbro li udì arrivare, gli andò incontro.

Era preoccupato per il suo vecchio cavallo e non vedeva l'ora che ritornasse per essere certo che non gli fosse successo nulla di male.

Uscì all'esterno proprio quando Saaràn smontava.

Appena lo scorse, l'Un salutò il Taiciuto e gli restituì il quadrupede, ringraziandolo in Murlag.

"Te lo restituisco, Oi".

Quando lo prese, Nuuts mugugnò qualcosa nella sua lingua.

Nel corpulento fabbro il volto truce del mattino si era fatto ansioso e preoccupato.

Controllò le gambe del vecchio Tarpan, i garretti, il morso, le gengive, il sottopancia, quando poi vide che tutto era a posto, si tranquillizzò un poco.

Vide che Khőgshin, questo era il nome del suo Tarpan, era agitato, pronto a scartare per un nonnulla, ma non ci fece molto caso.

Lo erano tutti in quel giorno maledetto.

Nella mattinata anche lui aveva udito un urlo provenire dalla pianura e da qualche tempo voci di strane creature apparse dal nulla, si facevano sempre più frequenti via via che le ore del giorno passavano.

Poi quel gruppo di contadini arrivati con la barella, il giovane Atzai morto, le poche notizie certe al riguardo di quello che era successo, giù nella valle...

Dopo il terremoto, ci volevano ancora queste voci.

Ce n'era abbastanza per rendere nervoso e sospettoso chiunque avesse un po' di buon senso.

Vedendolo più tranquillo, l'Un gli si avvicinò.

"Oi, uomo dei cavalli" gli fece Saaràn in Murlag, porgendogli le redini del Tarpan "Questo per te. Per tuo lavoro e per perdonare me.

Sorpreso Nuuts prese le redini del giovane cavallo che il Naaxia gli porgeva. Non se l'aspettava.

Era quasi imbarazzato da quel gesto di generosità, ma dopo un veloce sguardo scambiato con Uleg, acconsentì a riceverlo.

Accennando appena un gesto di ringraziamento, il fabbro fece cenno a Saaràn di seguirlo: "Vieni a vedere".

Voltandosi, il Taiciuto abbozzò con un grugnito soddisfatto.

Seguendolo all'interno Saaràn ebbe l'istinto di dirigersi verso il vecchio pezzato, ma Nuuts lo fermò.

"No. Prima qui" gli disse, indicandogli la strada.

Lo condusse nel suo antro.

Dopo la giornata passata all'aria aperta, trovarsi ancora al chiuso diede a Saaràn un senso d'oppressione che faticò a reprimere, eppure si fece forza e seguì l'uomo che lo precedeva.

L'odore del ferro ristagnava sospeso nell'aria della caverna e gli irritava le narici.

Era troppo forte, addirittura acre, ma fece finta di non badarci ed entrò nella fucina.

La forgia era quasi spenta e gli attrezzi in disuso erano lasciati sull'incudine per il giorno dopo.

Il fumo era fuoriuscito quasi del tutto dalla spaccatura nella roccia e l'ambiente non era più così caldo come al mattino.

Appena dentro, Saaràn venne accolto dallo sbuffo soddisfatto del giovane Monglik e questo lo sollevò un poco.

Il Tarpan era ancora legato, però dalla mattina sembrava rinato.

Nuuts aveva terminato di sistemargli gli zoccoli, rivestendoli con speciali ferri sagomati su misura per ognuno di essi.

Adesso aveva i garretti luccicanti e poteva muoversi senza dolore.

Qualcuno l'aveva spazzolato, non teneva più la zampa anteriore sollevata e portava la testa alta.

Pareva essere il primo a stupirsi del rumore che facevano i suoi nuovi zoccoli.

Ogni volta che si muoveva sul pavimento in pietra della stanza del fabbro, li sbatteva sulla roccia ripetutamente, quasi volesse rendersi conto che fossero proprio loro a fare quel suono.

Andandogli incontro, l'uomo gli diede una pacca sulla schiena e il cavallo ricambiò con uno sbuffo.

"L'hai salvato" fece commosso al fabbro "Un giorno te ne sarò grato".

Il Taiciuto, troppo affaticato per aver voglia di perdersi in smancerie inutili, annuì poco convinto.

Era stata una giornata troppo faticosa, per averne voglia.

Troppo lunga e faticosa.

"Oi, certo!" disse stanco.

Poi, sempre in Murlag e accarezzando il nuovo Tarpan che il Naaxia gli aveva donato, "Ora vai, va. Vai dal tuo pezzato. È tutto il giorno che ti aspetta" gli disse indicandogli la strada.

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