41) ATTACCO AL RECINTO
Riprendendosi poco alla volta dallo sgomento, Saaràn vide il piccolo gruppo di Togril dirigersi di corsa verso il villaggio.
Quattro di loro portavano come potevano la barella con il compagno morto sopra, mentre gli altri, armati di picconi e asce, li proteggevano tenendosi il più lontano possibile dalle crepe nel terreno da cui fuoriusciva il denso fumo giallo.
Notando solo allora che anche loro erano troppo vicini a una di esse, un terrore folle che da quella fessura potesse emergere da un momento all'altro un'altra creatura come quella uscita nel campo, lo obbligò a reagire.
Il primo pensiero corse ai suoi cavalli, ricoverati più avanti, nella piccola valle secondaria.
"Andiamo, presto, al recinto!" ordinò al Taiciuto e diede un colpo di tallone al vecchio Tarpan che montava.
In men che non si dica si ritrovò a correre a perdifiato, seguito da presso dai due lupi e da Uleg.
Al galoppo i due si diressero verso l'imbocco della valle dei Cavalli e la risalirono senza mai fermarsi fino a quando arrivarono nei pressi del recinto dove erano custoditi i Tarpan.
Appena li vide agitarsi dietro la palizzata, Saaràn si rese subito conto che anche lì qualcosa non andava.
I piccoli cavallini della Steppa nitrivano, scalciavano, s'impennavano disperati correndo avanti e indietro lungo la staccionata in legno, come se all'interno del recinto ci fosse qualcosa che li terrorizzava.
"Oh, no!" urlò, disperato. Temeva di sapere di cosa si trattava.
Attorno al recinto vi erano già alcuni Togril di guardia.
Da lontano vedeva che si arrampicavano sulla palizzata che lo circondava, indicando l'interno dello steccato.
Urlavano, si agitavano, erano concitati.
Avevano con sé forconi e vanghe, tuttavia restavano all'esterno, a guardare.
Si scambiavano grida l'un l'altro, erano agitati, pieni di stupore.
Incapaci di reagire.
Disperati, non sapevano cos'altro fare se non lanciare pietre e chiamare in soccorso altri stallieri che giungevano sul posto portando asce e picche per il fieno strette in pugno.
Arrivavano da tutte le parti, ma nessuno di essi osava oltrepassare la staccionata in legno ed entrare all'interno.
Saaràn udì urlare più volte: "Zűin... Zűin..." e venne assalito dal terrore.
La medesima parola di prima!
I peggiori timori che l'avevano spinto a correre si avveravano.
Non sapeva ancora cosa significasse, però sapeva a cosa si riferiva e questo tanto bastava per capire che i suoi Tarpan erano in pericolo.
Con un timore crescente per la sorte dei suoi cavalli, spinse il Tarpan al massimo.
Quando lui e Uleg arrivarono nei pressi della staccionata, smontarono al volo e si diressero di corsa al recinto.
Quando si lanciò giù dalla sella la schiena gli diede una fitta lancinante, ma non era il momento di fermarsi a pensarci.
Stringendo forte tra le dita la palizzata, entrambi videro con orrore che a una trentina di passi, più o meno in mezzo alla zona recintata, vi era una crepa nel terreno da cui fuoriusciva del fumo denso e giallo.
Da essa, scivolando nell'erba come un enorme serpente nero, si allungava un'altra creatura come quella che aveva aggredito i Togril: una lunga liana rugosa che si muoveva sul terreno come fosse viva.
Il mostro si stendeva verso i Tarpan puntandogli l'aculeo contro, ma quelli correvano via mantenendosi lontani.
Al momento erano in salvo, ma per quanto ancora?
Per quanto la cosa tendesse al massimo le sue fibre, la distanza era troppa perché potesse raggiungerli, eppure la creatura non demordeva.
Si dimenava, si agitava, irritata si ritirava un poco indietro, per poi tendersi ancora fino allo spasimo verso le prede.
Attorno a lui gli stallieri urlavano: "Zűin!...Zűin!".
Quindi sapevano che cosa era!
Allora perché non facevano nulla, per Ten-gri!
"Zűin!" mormorò anch'egli, stringendo forte i denti.
Si sentiva svuotato di energie e forze. Impotente.
Come tutti assisteva alla scena senza sapere cosa fare.
Era disperato, fuori di sé dalla rabbia e dallo stupore: quelli erano i suoi cavalli e per un Un i cavalli era tutto, la vita, la ricchezza, la famiglia. Erano suoi, erano dei suoi figli, se li erano guadagnati lottando duramente e Ten-gri non poteva portarglieli via, ora che li avevano ottenuti mettendo a rischio la vita.
Non era giusto.
Con il cuore in gola si arrampicò sulla staccionata.
Vedeva quella cosa nera agitarsi verso i suoi cavalli e dentro di sé provava soltanto disperazione.
Era affranto, ferito dal non sapere cosa fare, ma a un certo punto qualcosa scattò nel suo cervello e lo fece infuriare.
Una collera improvvisa s'impossessò di lui.
"No!" urlò a squarciagola.
Venne colto da uno sdegno incontrollabile verso tutto quello che voleva portargli via quei cavalli.
Dopo una vita intera di stenti, non poteva più accettarlo.
Concentrò la sua ira su quella cosa nera che strisciava nell'erba.
La vedeva comportarsi da padrona e non poté più accettarlo.
"Maledetta! Quelli sono i miei Tarpan!" ribadì con forza.
I Togril a lui attorno lo guardavano stupiti.
Lo udivano sbraitare, senza comprendere quello che diceva.
Lo videro portarsi una mano alla fascia che portava a vita alla ricerca di un'arma, ma non ne trovò alcuna.
Si allontanarono, intimoriti dalla sua ira.
Saaràn se ne accorse, tuttavia non gliene importò nulla.
Si guardò attorno e strappò di mano a uno stalliere che gli stava accanto la prima cosa che gli capitò a tiro, un'ascia lunga e pesante.
Prima che costui potesse fermarlo, il Naaxia scavalcò la staccionata e si mise a correre verso il centro del recinto, incapace di pensare ad altro che non fosse la salvezza dei propri cavalli.
Khar e Zurvas, presi alla sprovvista come i Togril dalla sua reazione, dopo un attimo d'incertezza e un guaito stizzito, lo seguirono e senza indugi entrarono nel recinto assieme a lui.
Saaràn udì vagamente Uleg urlargli dietro:"Padrone, fermati, dove vai!", ma non ci fece caso.
Oramai era talmente accecato dall'ira che nemmeno sentì la schiena e le gambe dolergli per gli sforzi che li obbligava a fare.
Era tutto concentrato nel disperato tentativo di raggiungere quella cosa il più rapidamente possibile.
Vedendolo, forse riconoscendolo, i Tarpan gli andarono incontro, ma tra lui e loro vi era la cosa.
Con sgomento pensò: "No, fermi, cosa fate!".
Quando si rese conto che i suoi cavalli stavano correndo verso quella cosa immonda, il cuore gli diede un sussulto in petto.
Poi invece comprese il colpo di fortuna che aveva avuto.
Andandole incontro, i Tarpan ne attirarono l'attenzione dandogli l'opportunità di raggiungerla non visto da dietro.
Attirata dal movimento improvviso della mandria, la creatura non si accorse di Saaràn e quando questi, trattenendo il fiato per non respirare il fumo denso giallo che la circondava, con un secco colpo d'ascia le recise in profondità la corteccia, non poté reagire in tempo.
Prima che la cosa potesse voltarsi verso di lui, l'Un la colpì una seconda volta, raggiungendone l'interno gelatinoso nel punto esatto dove la liana fuoriusciva dal terreno.
Immediatamente un sibilo acutissimo rimbalzò tra le pareti della valle e uno schizzo di sostanza verdastra investì in pieno il volto dell'uomo.
I due lupi si aggiravano attorno a lui, ringhiando le zanne in attesa del momento giusto per saltare addosso alla strana creatura che si divincolava in mezzo al fumo.
Resa folle dallo strazio improvviso che l'aveva colta impreparata, la cosa chiamata Zűin si rizzò in aria puntando minacciosa l'aculeo verso il punto da cui le proveniva il dolore.
Individuato il pericolo nell'uomo che le stava accanto fece per abbassarsi violenta, ma Saaràn fu più svelto di lei e con un terzo colpo ne recise a fondo la polpa, togliendole la forza di restare sospesa in alto.
Non più sorretta alla base, la liana cadde a terra con un tonfo sordo, senz'altra forza se non quella per sollevare la punta dell'aculeo, giusto in tempo per vedere l'Un che con un ultimo colpo d'ascia, tra schizzi di gelatina verde e pezzi di corteccia, la recideva del tutto.
In quel momento Khar e Zurvas le si avventarono contro e la morsicarono con tutta la forza che avevano, lacerandone la pelle e strappando brandelli di sostanza fibrosa a più non posso.
Nel medesimo istante, sopraggiungendo trafelato con una picca da fieno stretta tra le mani, Uleg il Taiciuto con un urlo bestiale arrivò a dare manforte al padrone.
Si lanciò addosso alla mostruosa liana con tutte le sue forze e con un colpo deciso infilzò nel terreno l'aculeo, rendendolo inoffensivo.
Subito dopo arrivarono anche gli stallieri Togril.
Armati di picche erano ansiosi di colpire quella strana cosa che li aveva terrorizzati.
Scaricarono tutta la tensione accumulata nei lunghi momenti d'impotenza, con una furia incontenibile.
Aggredirono con tutto con quello che avevano a disposizione la liana che nell'agonia ancora scivolava nell'erba alla ricerca di un'impossibile salvezza.
Lo ridussero in poltiglia, rovesciandole addosso tutta la paura che avevano accumulato sulla staccionata non sapendo cosa fare.
Ora invece lo sapevano.
Grazie a Saaràn e al folle coraggio che aveva dimostrato nel sorprenderla in quel modo, ora sapevano come affrontarla.
Ridotta a una melma putrida la creatura, i Togril acclamarono l'Un andandogli attorno, complimentandosi con lui, sorridendogli e dandogli forti pacche sulla schiena.
Erano ammirati dal coraggio che aveva dimostrato.
Saaràn, invece, era sbigottito.
Perso, attonito, si guardava attorno disorientato.
Aveva veramente fatto, quello che pensava di aver fatto?
Riprendendosi piano piano dal furore che l'aveva colto all'improvviso, percepì solo da lontano le acclamazioni che lo circondavano.
Gli parevano lontani suoni che giungevano da altri luoghi, ovattati e smorzati.
Faticava a credere a quello che aveva appena fatto.
Pensò ai figli, alla moglie, al rischio che aveva appena corso.
L'unica cosa che avvertiva forte e chiaro era il folle rimbalzare del suo cuore nel costato, nella gola e nelle orecchie.
La paura prendeva il sopravvento sulla rabbia e gli tagliava le gambe.
Il fiato corto, per poco non lo soffocava.
Ancora faticava a riprendersi dopo lo sforzo, eppure si scoprì che era felice.
Aveva saputo lottare per tenersi quello che riteneva suo.
Stancamente sorrise.
Con in mano la pesante ascia che aveva usato per abbattere quella cosa, risalì piano quello che restava del suo corpo dondolando sulle gambe.
La liana nera giaceva oramai inerte, stesa nell'erba.
Arrivato dove Uleg l'aveva infissa saldamente nel terreno con la picca da fieno, con un colpo secco recise l'aculeo che vi era sulla punta e lo afferrò in mano.
Quando lo raccolse stringendolo in pugno e lo sollevò in alto, i Togril emisero un'ovazione di giubilo, eppure lui, tanto fu il disgusto che provò in quel momento, nemmeno se ne accorse.
L'unica cosa che percepì quando strinse nel pugno quel pungiglione, fu un bruciore che si trasmise alla mano, quasi fosse fatto di fuoco.
Quel coso era pesante, duro, scuro come la notte; la superficie tagliente era resa scabra da piccoli artigli rivolti all'indietro.
Erano come tanti arpioni affilati e appena vennero a contatto con la pelle, gliela incisero con tanti piccoli tagli.
Ognuno di essi bruciava come se dentro la cute fossero entrate delle fiamme.
Saaràn avvertiva una forza potente e vibrante uscire da quell'aculeo.
La percepiva pericolosa, benché oramai il mostro a cui era attaccata fosse inerte.
Quell'essere comparso dalle profondità della terra, ancora adesso era pericoloso.
Anche da morto seguitava a ferire.
Ne provò disgusto, repulsione e dolore insieme e fece per lanciarlo via, poi ci ripensò.
Decise che sarebbe stato meglio portarlo alla Sua Signora.
Certamente lei avrebbe saputo molto meglio di lui cosa farne.
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