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40) LA SLITTA


Il cuore di Saaràn prese a battere all'impazzata come se volesse esplodergli nel petto.

Fino ad allora la sua vita da Naaxia era trascorsa piatta e noiosa.

Un giorno dopo l'altro scorreva sempre uguale, senza la necessità di prendere decisioni come quelle, ora invece doveva risolvere problemi ai quali non era abituato.

Eppure, sebbene non avesse desiderato tutto quello che gli era successo negli ultimi giorni, era arrivata l'ora di agire.

Rendendosi conto che da qualche parte doveva ben iniziare, si guardò attorno.

Il Taiciuto e lo Scengun erano accanto al lupo.

Osservavano l'animale e ne commentavano tra loro a bassa voce stazza e dimensione.

Non capiva cosa dicessero i due uomini, ma al momento era certo che si fidavano di lui e lo seguivano ciecamente.

Fino ad allora li aveva guidati bene e la fortuna era sempre stata dalla sua parte, ma, lo sapeva bene, la fortuna non durava per sempre e doveva essere aiutata.

Se voleva mantenere quel forte controllo che sentiva di avere su quei due, non doveva dargli l'impressione di non sapere come fare a risolvere i problemi.

Le genti della Steppa seguivano e volevano un padrone forte, non uno indeciso.

Vedendo a terra i rami e le cortecce che Omnod aveva portato con sé, Saaràn si rammentò di quella proposta che gli aveva fatto Uleg.

Com'è che l'aveva chiamata, slitta, forse?

Si slacciò delicatamente dall'abbraccio dei figli e chiamò entrambi gli uomini.

Per primo si rivolse al Taiciuto.

"Uleg, dobbiamo andare" fece stancamente, indicandogli l'animale steso sotto la coperta "Il lupo lo portiamo con noi. Mi avevi parlato di qualcosa che il tuo popolo usava per trasportare i feriti, vero?".

L'anziano servo assentì con il capo.

"Sì, padrone. Una slitta" confermò, e negli occhi del Nonun vide la medesima luce piena di rispetto che illuminava lo sguardo del più giovane Scengun.

Dopo quello che aveva visto, anche lui non avrebbe esitato a obbedire al Naaxia. Saaràn grugnì, compiaciuto.

"Preparala, allora" aggiunse "Noi ci occuperemo del resto. Quando avrai fatto, ci allontaneremo subito di qua e ci dirigeremo verso i monti".

Il Taiciuto si inchinò e si allontanò.

Poi rivolto a Omnod, Saaràn proseguì.

"Prendi un Tarpan nella valletta e sellalo per Saryn!" gli disse perentorio.

Si rese conto di essere stato troppo brusco nei confronti del soldato, ma per quanto facesse affidamento sulla sua lealtà, non si fidava ancora appieno del giovane Un.

Inoltre, benché il giovane Scengun non avesse colpe in quello che era successo a Monglik, la sua presenza seguitava a infastidirlo.

Gli ricordava troppo da vicino quello che invece voleva scordare.

La freccia che aveva estratto dal lupo e che ancora stringeva in pugno era stata scoccata da un soldato Un, proprio come lo era lui.

Anche se i colori che il dardo portava sul piumaggio non erano quelli della sua Tribù, egli era un soldato del Khan, vestiva come gli Hanbakai di Muu-Gol e il solo vedere quella divisa, provocava a Saaràn spiacevoli sensazioni.

Il fatto che appartenesse alla Tribù dei Konghirati non era abbastanza.

Non ora che il dolore era ancora troppo fresco, perlomeno.

Solo perché appeso al cappello il giovane portava un dente di cinghiale anziché una coda di cane, per lui questo al momento non era abbastanza. Era la divisa che indossava a infastidirlo e nonostante facesse il possibile per accettarla, faceva fatica a sopportarne anche solo la vista.

Sebbene un poco abbattuto per le parole rudi ricevute dal Naaxia, comunque Omnod assentì e si mise all'opera.

"Padre, vado con lui?" gli domandò Saryn pieno d'entusiasmo e lui assecondò la richiesta del figlio, vedendolo poi correre via per raggiungere il soldato.

Senza perdere altro tempo, avvilito per come era stato trattato, l'Un slacciò la sella appesa al cavallo del Taiciuto e assieme al giovinetto che non smetteva di fargli domande, si allontanò per raggiungere la mandria.

Sentendoli arrivare, i Tarpan nella valletta si voltarono a guardare i due umani che si avvicinavano verso di loro.

Anche Saaràn li osservò andare via insieme e vide che Saryn si rivolgeva con fiducia allo Scengun.

Grugnì, non sapendo se questa fosse una cosa buona o meno.

"E io, Aab, cosa faccio io?" fece a sua volta Gerel, tirando per la manica la pesante casacca del padre, distraendolo così da quei pensieri.

Nonostante tutto, quegli occhi entusiasti gli riscaldarono il cuore e le sorrise.

"Tu mi darai una mano a preparare il lupo" affermò deciso e vide che lo sguardo della bambina s'illuminò dalla gioia, sebbene poi una sfumatura di paura glielo offuscò rapidamente, velandolo di timore.

D'istinto Gerel si prese nella mano il dito ammaccato dai denti del lupo e lo massaggiò delicatamente.

Saaràn annuì.

Comprendeva il suo stato d'animo ed era un bene che quell'esperienza le avesse lasciato addosso un po' di paura verso quella belva.

Non era facile nemmeno per lui pensare a quello che poteva accadere, se invece di aprire le fauci, quell'animale avesse deciso di serrarle di colpo attorno alla sua mano.

Rabbrividì al solo pensiero.

"Fai bene a temerlo" le disse appoggiandole una mano sulla spalla "Ricorda, Gerel: rispetta, se vuoi rispetto. Anche da un lupo".

Osservandolo attentamente, la bambina annuì a sua volta e Saaràn vide che si voltava a guardare furtiva Omnod allontanarsi con il fratello.

Anche lei era attratta da quel giovane, oppure, in seguito alla violenza che aveva subito da soldati vestiti come lui, forse lo temeva? Non capiva.

La fronte gli si aggrottò involontariamente.

Entrambi i suoi figli provavano una sorta di attrazione verso quel giovane e non capiva se per loro fosse un bene o un male.

Aveva forse fatto qualcosa di sbagliato?

Aveva forse detto a sua figlia qualcosa di sconveniente senza accorgersene?

Dopo quello che Gerel e Helun avevano subito dai soldati del Khan, non sapeva bene cosa dire e cosa fare con la bambina.

Era incerto su cosa potesse essere bene o cosa potesse essere male per lei.

Mai come in quel momento avrebbe voluto che anche la moglie fosse con loro, ma lei era molto lontana e certamente era angosciata per il destino di tutti quanti.

Forse, e fece il possibile per respingere il pensiero di quella possibilità, ella stessa era in pericolo.

Sospirò forte e dovette ammettere a se stesso che Helun gli mancava anche più di Monglik.

Dovevano partire in fretta e raggiungerla il prima possibile.

"Andiamo" sussurrò delicatamente ancora a Gerel, battendole la mano sulla schiena "Andiamo a vedere cosa combina Uleg, vuoi?".

La bimba assentì. Non dovettero spostarsi di molto.

A pochi passi da loro e accanto all'animale steso a terra, il Taiciuto stava legando saldamente i rami di betulla che Omnod aveva tagliato nel boschetto per preparare la slitta.

Con una rapidità dettata da una pratica antica, il Nonun lavorava veloce e tranquillo sistemando a forma di V rovesciata due di essi, lunghi e flessibili abbastanza da reggere al peso che avrebbero dovuto sopportare.

Con il coltello ne incideva la corteccia e la strappava in lunghe strisce sottili, che poi usava come legacci.

Con il pugnale segnò e spaccò per la lunghezza altri pezzi di legno più piccoli e ne legò le due metà ottenute di traverso ai longheroni, in modo da farne una base robusta e resistente.

Infine infilò altri rami più piccoli, flessibili e morbidi, e li intrecciava facendoli passare tra i longheroni e i traversi a breve distanza gli uni dagli altri, per uniformarne il piano.

Legava e incastrava rami e ramoscelli tra di loro con la velocità di un fulmine, serrandoli poi tutti quanti con nodi stretti e robusti.

Quando ebbe finito di montarla, sollevandola dalla parte dove i longheroni si univano, si appoggiò alla struttura e la fece flettere sotto il suo peso: era robusta, elastica e resistente, proprio come la voleva lui.

Annuì soddisfatto, quando la trascinò verso il suo cavallo.

I due longheroni uniti, lunghi almeno cinque o sei Tese, li mise appoggiati sul davanti dell'alta sella del suo Tarpan.

Un'ansa nel pomolo di legno accolse alla perfezione i due legni e con poche mosse il Taiciuto li legò a essa con cinghie di cuoio.

Li assicurò saldamente, in modo che non potessero scivolare, lasciando al tempo stesso agevole il movimento al cavaliere per salire e scendere dal cavallo. Saaràn non avrebbe mai immaginato che una sella potesse essere utilizzata in quel modo e ne rimase affascinato.

Sentendosi osservato dal Naaxia, il servitore gli sorrise.

Gli piaceva portare qualche conoscenza del suo popolo a vantaggio del padrone e lo faceva volentieri.

Con lui non era come con gli altri Un, con il Naaxia poteva tranquillamente dire quello che pensava, senza il timore di punizioni dure e violente.

Quando Omnod e Saryn tornarono con uno dei piccoli cavalli dei soldati del Khan già sellato e pronto a partire, Uleg, terminato di fissare l'ultimo legaccio, si rivolse a Saaràn, orgoglioso del suo lavoro:

"Sono pronto" gli disse "Se è quello che desideri, possiamo spostare l'animale sulla slitta" aggiunse con una punta di preoccupazione.

Saaràn non gli fece caso.

Anche per lui tutto quello che stavano facendo era pericoloso e assurdo, ma lo faceva perché glielo aveva chiesto la sua Signora e tanto gli bastava.

Scoprì l'animale che pareva dormire, stese per bene la coperta e poi ne afferrò saldamente un lembo, poi si fermò. Gli era venuta un'idea.

"Uleg" disse all'anziano servitore, ancora fermo accanto a lui "Possiamo metterla alla sella di Filli?" con un gesto indicò la slitta appena finita.

Il Taiciuto parve sorpreso. Soppesò la domanda, osservò la cavallina di Gerel e la sella Un che montava.

Dopo un poco, perplesso, annuì.

"Non è adatta come le nostre, ma con qualche nodo in più, credo che si possa fare".

"Presto, allora" fece ancora e lasciò andare la coperta.

"Tu, tienila ferma" aggiunse parlando alla figlia.

Assecondandolo, Gerel prese la cavalla per le briglie e la tranquillizzò.

Arrivò anche Omnod ad aiutarli e lavorando assieme, in pochi minuti smontarono e rimontarono le cinghie legandole alla sella di Filli.

La Tarpan, inquieta e allarmata da quello che le accadeva attorno, li lasciò fare agitando avanti e indietro occhi e orecchie, ma la mano familiare della bambina la tranquillizzò per tutto il tempo accarezzandole il muso.

Una volta legati i pali della slitta alla sella Un, Uleg, assentì:"Dovrebbe andare" fece provando ancora una volta la solidità dei nodi che aveva fatto "Non starà ferma come sulla mia sella, ma dovrebbe funzionare senza troppi problemi".

Saaràn disse a Gerel di saltare in groppa.

Per aiutarla a salire Uleg le sostenne la gamba e le diede lo slancio necessario per superare l'ingombro dei pali.

La bambina si sedette agevolmente e Saaràn la guardò con orgoglio.

Ogni volta che la vedeva a cavallo, gli pareva più grande della volta precedente.

Cresce troppo velocemente, pensò con una stretta al petto.

Presto sarebbe diventata donna e l'avrebbe perduta.

"Tu e la tua cavalla porterete il lupo sulla slitta" le disse, dissimulando il groppo in gola battendole un colpo sulla gamba "Resterete indietro per non infastidire la mandria degli stalloni" la bambina sorrise e acconsentì contenta.

Poi Saaràn andò accanto al lupo.

Il respiro era profondo, la palpebra abbassata come sempre e pareva dormisse, ma era certo che lo stesse tenendo d'occhio.

Per rispetto alla Sua Signora avrebbe fatto il possibile per salvare la vita a quella belva, ma da quel momento in avanti non avrebbe più corso rischi inutili, né per sé e tanto meno per la sua gente.

Per maggiore sicurezza di tutti con un laccio legò la bocca dell'animale e strinse deciso, in modo che non potesse aprire la bocca se non per respirare.

Sentì Uleg grugnire il suo assenso quando passò il primo giro attorno il muso e Omnod annuire silenziosamente quando avvolse un secondo giro di cuoio attorno a quelle mascelle micidiali.

Saryn rimase al suo fianco osservando ogni sua mossa e gli appoggiò una mano sulla spalla.

Non disse una parola, ma Saaràn vide chiaramente che anche lui approvava. Il figlio maggiore non aveva mai amato troppo i lupi.

Non sarebbe stato lui a dargli problemi con quell'animale, ne era certo.

Semmai ne avrebbe avuti da Gerel e il dubbio gli venne quando incrociò lo sguardo della figlia nel momento che ebbe terminato di stringere l'ultimo nodo.

Sebbene quella belva l'avesse aggredita e per poco non le avesse staccato un dito, pareva dispiaciuta di vederla legare.

Saaràn sarebbe stato pronto a scommettere che Gerel avrebbe preferito vedere il lupo libero, ma era una bambina intelligente e sapeva che non poteva essere fatto diversamente.

Quando poi tutto fu pronto, Saaràn riprese un angolo della coperta intrisa di sangue e invitò Uleg, Saryn e Omnod a fare altrettanto con gli altri tre. Insieme sollevarono e spostarono il lupo sulla slitta con un unico movimento fluido.

L'animale non si ribellò, non reagì al dolore, li lasciò fare, emettendo soltanto un debole guaito quando lo sollevarono da terra e lo appoggiarono delicatamente sulle frasche.

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