Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

4) RITORNO A CASA (Prima parte)


Accorgendosi che il braccio della Yaonai era ferito, Saaràn slacciò la fusciacca di seta gialla che portava al collo e l'avvolse delicatamente attorno al muscolo squarciato di Frassinella.

Zűin le aveva inferto un colpo violento, che le aveva lacerato i tessuti molli e arrivava in profondità fino all'osso.

Con quel poco di medicina che sapeva, il Naaxia capì subito che era un miracolo se l'arto non si era rotto in seguito all'urto e che la ferita avrebbe dovuto essere ricucita, ma purtroppo non aveva il necessario con sé.

Non aveva né ago, né tendini di animale per serrarne i lembi e in quella terra ricoperta di cenere non sapeva neppure dove li avrebbe potuti trovare.

Pazienza, per il momento avrebbe tentato di fermare l'emorragia, poi avrebbe pensato sul da farsi.

La pelle della donna era diversa dalla sua, fredda, molliccia, cedeva sotto le sue dita, eppure ora non ne provava più timore.

Nemmeno lo preoccupava impiastricciarsi le dita con quella sostanza gelatinosa che fuoriusciva senza posa dalla pelle lacerata.

La Sua Signora aveva bisogno di cure e lui non si sarebbe tirato indietro, avrebbe fatto ogni cosa in suo potere per aiutarla.

La linfa sgorgava dalla ferita a fiotti, pulsando da un'arteria recisa ad ogni spinta del cuore, tuttavia la Yaonai non se ne curava.

Non era nemmeno agitata. Era tranquilla, lo lasciava fare.

Lei sapeva che per quanto la ferita apparisse grave agli occhi di un uomo, una lacerazione come quella poteva essere mortale per un umano, ma non per una del suo popolo.

Da lì a poco le cellule del proprio corpo avrebbero iniziato a rimarginarsi.

Solidificandosi a una velocità cento volte maggiore rispetto a quella di un uomo, prima che fosse giunta la notte la lacerazione nei tessuti si sarebbe saldata da sola, nondimeno lo lasciò fare, quasi sbalordita da quel ribaltamento dei ruoli.

Credeva di essere lei a doversi prendere cura dell'uomo, invece, appena giunta nella sua terra d'origine, era avvenuto il contrario.

Era lui, il mite Saaràn, a curarla.

"Mia Signora, quella... Cosa... Zűin... Gioturna... ti ha fatto questo mentre fuggivamo da lei?" le domandò mentre avvolgeva piano attorno al muscolo il tessuto che si inzuppava rapidamente di liquido verde.

La Yaonai non gli rispose subito.

Lo fissò stupita, facendo appena un rapido cenno con il capo.

L'osservò attentamente mentre si affannava nel tentativo di contenere la fuoriuscita di sangue linfatico.

L'umano faticava, temeva di non riuscire ad aiutarla, eppure era lì, trepidante, faceva il possibile per riuscirci con quello che aveva a disposizione.

Era preoccupato per lei, per la sua salute, tentava di fermare come poteva la perdita di linfa, tuttavia, per quanto si prodigasse a tamponarla con le dita e con la stoffa della fusciacca, l'emorragia tardava a rallentare.

Goccia a goccia, il denso fluido verdastro che scorreva nelle vene della sua gente, scivolava lungo il braccio della donna e la fuoriuscita non accennava a diminuire.

Saaràn, che lei un giorno vide nascere in una misera Yurta spersa nella Steppa, ora, divenuto uomo, era teso e temeva per la sua vita.

Era talmente angustiato per la sua sorte da apparire così pallido e concentrato, che alla Yaonai sfuggì un involontario sorriso benevolo nel vederlo prodigarsi con tale accanimento per lei.

Come passa veloce il tempo per gli uomini, pensò.

Ricordò il tempo in cui il padre Ebuken gli presentò Saaràn per benedirlo. Era la prima volta che lo vedeva.

Sospirò con un po' di nostalgia.

Era in fasce, allora, ora era quasi vecchio.

Quegli anni erano passati come un soffio per lui, quasi fossero stati una notte senza luna.

Provò tenerezza per la brevità della loro vita.

Erano come mosche che nascevano al mattino per seccare alla sera, dopo essersi posati nel mezzogiorno sul suo braccio.

Eppure, nonostante questo, Saaràn perdeva tempo a curare la ferita a lei, che in confronto al poco che gli restava da vivere, di tempo ne aveva già vissuto fin troppo e molto gliene restava ancora.

Uomini, che mistero.

Per quanto li conosceva, in un modo o nell'altro riuscivano sempre a stupirla.

Tuttavia, non erano ancora al sicuro.

Sebbene le facesse piacere che il Naaxia si prendesse cura del suo braccio in quel modo, Frassinella sapeva che pericoli ben più reali di quella ferita incombevano sulle loro vite, tuttavia, in quel momento, non se la sentì di deludere Saaràn e di fermarlo.

Sperando di fare la scelta giusta per entrambi, per quanto non fosse per nulla tranquilla nel restare ferma in quel luogo, con un sospiro indulgente diede ancora un poco di tempo all'uomo per riuscire nella sua impresa.

Con tutti i sensi tesi al massimo, la Yaonai si guardò attorno alla ricerca di pericoli che avrebbero potuto celarsi ovunque.

Aveva già sottovalutato una volta Gioturna e non intendeva farlo di nuovo.

In quella zona tutto le diceva che erano in pericolo, la polvere, l'odore di zolfo, l'aleggiante odore di morte che ricopriva ogni cosa, la fortissima sensazione di distruzione che aveva colpito la sua Foresta.

La sua Casa, il suo passato.

Ovunque vedeva soltanto rovina, crollo, distruzione.

Il mondo che Frassinella aveva conosciuto era crollato e lui pareva non rendersene conto.

La curava. Ingenuo, non sapeva.

Quasi con clemenza osservò gli ostinati sforzi di Saaràn nel tentativo di fermarle l'emorragia e ne provò compassione.

Come avrebbe potuto spiegare a quell'uomo ciò che significava per lei essere giunta ancora nelle terre che un tempo furono delle Yaonai?

Come avrebbe potuto descrivergli ciò che questo luogo un tempo fu, senza spaventarlo?

Sebbene vedere come il vulcano avesse ridotto il luogo in cui cinquecento anni prima lei nacque le provocasse uno strazio infinito, non poteva permettersi di lasciarsi andare alla disperazione.

Doveva restare attenta, vigile e pronta a reagire, cauta ad ogni minima variazione nel terreno, perché da lì sotto Gioturna poteva giungere in qualunque momento.

Il pericolo era reale.

Sospirò, al pensiero di quanto tempo aveva passato a inseguire e controllare quella creatura infernale.

Tutto il tempo del suo esilio passato lontana da casa, eppure, a quanto pareva, tutto il suo impegno era stato inutile.

Lei era tornata. Gioturna era tornata.

Come un cerchio che inizia e finisce nel medesimo punto, il Male alla fine era tornato esattamente da dove era partito, portandosi dietro la Yaonai errante che l'aveva inseguita ovunque fosse andata.

Molti anni erano trascorsi da quando Frassinella dovette andarsene da quelle terre.

Tre secoli del tempo degli uomini. Trecento anni.

Era giovane allora, poco più che ragazzina lasciò tutto questo.

Aveva appena duecento anni, quando dovette abbandonare le ceneri della sua amata Scheggia per ordine di Salice Splendente, la Grande Madre di tutte le Yaonai.

Per suo volere, venne sradicata dal suo passato.

Fu lei, la Grande Madre, ad allontanarla dalle Sorelle, dal suo mondo, dalla sua intera esistenza, per affidarle quella missione che al principio non voleva e nemmeno capì. Inseguire Gioturna.

All'inizio lo considerò un sopruso, un'ingiusta punizione per lei che era stata l'innocente vittima della crudeltà di un uomo.

Salice Splendente la inviò a Est, all'estremo limite delle Steppe.

Un posto remoto, sconosciuto, dove la terra terminava nell'acqua del Mare Oceano, lontana da tutto, dal mondo, dalla sua vita.

Trecento anni.

Erano trecento lunghissimi anni che Frassinella era partita da quei boschi e non faceva ritorno nella Foresta delle Yaonai.

Mancava da così tanto tempo da quei luoghi, che a stento se li ricordava. Eppure, ora come allora, rivederli ancora, le provocavano il medesimo dolore e la medesima ansia che provò in quel momento lontano in cui li dovette lasciare. Il medesimo strazio.

Il ricordo di Salice splendente nel giorno in cui le parlò, ritornò chiaro e nitido alla sua mente e il cuore le diede un sussulto.

Come avrebbe potuto dimenticarsi di Salice Splendente, che avendo preso in marito un uomo del Nord, un Varego, Aldaberon della Famiglia delle Farfalle, generò Flot di Yasoda?

Dolori relegati in fondo alla memoria per secoli, tornarono a galla e si impadronirono di lei.

Ricordò, come fosse allora.

Quanto soffrì quando la Grande Madre le disse che doveva partire, allontanandosi dalla famiglia e dalla Foresta in cui era cresciuta.

Quanto soffrì all'idea di lasciarsi tutto alle spalle.

I suoi lamenti risuonarono per giorni interi nella foresta, simili a lunghi e disperati ululati.

Dal dolore credette di morire.

Ciononostante, ora, a distanza di secoli da quel momento di cui oramai pochi conservano ancora la memoria, Frassinella doveva ammettere che fu un bene andarsene, perché in quel periodo lontano, la sua vita in quella foresta era stata distrutta.

Oramai da tempo aveva compreso che non fu colpa di Salice Splendente se perse ogni cosa.

Dopo il rogo che distrusse la sua amata Scheggia, in quei lontani momenti che ne seguirono la fine, non ebbe più ragione alcuna per sopravvivere.

In un colpo solo Frassinella aveva perduto tutto quello che di caro aveva al mondo per colpa del figlio della Grande Madre, Flot, il maledetto mezzo Yaonai.

Salice Splendente, sua madre, benché non avesse potuto far nulla per impedire l'atto infame compiuto dal figlio, si sentì responsabile dell'orribile gesto che costui ordì a danno di Frassinella e volle aiutarla a sopravvivere.

Che possa esserne maledetto il ricordo, ancora adolescente, il giovane mezzo sangue s'invaghì della ragazza.

La voleva ad ogni costo, la inseguiva, la cercava, le giurava amore eterno, ma non era amore il suo, no, la desiderava soltanto, per gioco, per sfizio, per un malato desiderio di possesso.

Flot l'Infame non sapeva amare che se stesso.

Forte della tradizione Yaonai e stanca dell'insistenza del ragazzo, Frassinella rifiutò i suoi doni e lo respinse.

Lo beffeggiò per il suo comportamento puerile.

Quando l'allontanò rise di lui, l'umiliò, ferendolo nell'orgoglio.

Quello di Flot era un sentimento acerbo, colmo di desiderio, insano, di quelli che paiono eterni fino a quando un nuovo interesse non compare all'orizzonte.

Tutte le donne della foresta sapevano che gli uomini del Nord erano vanesi, vuoti, superficiali, incostanti; pericolosi a loro modo se non tenuti a distanza, ma di memoria breve e facili alla rinuncia se respinti con decisione.

Da millenni le Yaonai li conoscevano e da altrettanto tempo li tenevano d'occhio nascondendosi nel folto del bosco quando li vedevano apparire.

Anche Salice Splendente, convinta al pari delle altre che tutto sarebbe svanito nel nulla, lasciò correre le terribili minacce che il figlio Flot, vedendosi respinto da Frassinella, fece alla giovane.

Tuttavia il figlio della Grande Madre non era come tutti gli altri Vareghi che le donne pianta della Foresta Scura avevano conosciuto in passato e ben presto se ne sarebbero rese conto.

Il giovane non dimenticò, non si rassegnò come sarebbe stato giusto fare, cercò vendetta e la trovò, sapendo esattamente dove colpire.

Astuto, perverso e senza scrupoli come era, quando si rese conto che non avrebbe potuto averla, deluso, deriso da tutte le donne della Foresta, Flot decise di punire Frassinella nel peggiore dei modi, privandola della ragione stessa per cui le Yaonai vivevano.

Incapace di accettare la sconfitta, fece ricorso alla violenza del fuoco.

Fece ciò che per le donne della foresta era impossibile anche soltanto pensare: diede alle fiamme la Scheggia di Frassinella, l'albero di cui Lei era l'Anima ed egli il Cuore, l'altra sua metà.

Flot diede bruciò il Frassino con cui ella nacque e visse per quasi due secoli, condividendo assieme seme, linfa e vita.

Ogni Yaonai aveva la propria Scheggia e le due parti crescevano e vivevano indissolubilmente unite per tutto il tempo delle loro millenarie esistenze.

Due metà della medesima vita, quella che l'una soffriva, allo stesso modo l'altra pativa sulla propria pelle.

Piante e Yaonai si perdevano l'una nell'altra e si prendevano cura l'una dell'altra per il bene di entrambe, come fossero una cosa sola.

Frassinella e la sua Scheggia vivevano in una simbiosi perfetta di armonia, amore e rispetto ed erano felici nel loro piccolo mondo.

A quell'epoca, nel suo essere una Yaonai, Frassinella era poco più che una bambina che si avviava a divenire donna e quando Flot diede alle fiamme la sua Scheggia, patì sulle proprie carni le medesime pene dell'albero incendiato.

Quando si accorse di quello che stava accadendo alla propria pianta tentò di raggiungerla, di salvarla dal fuoco, di spegnerla o perire assieme a essa, ma il dolore che le fiamme provocarono al Frassino, si rifletterono nelle sue terminazioni nervose in modo così violento, così totale, da bloccarla all'istante.

Lo strazio provato era troppo.

Colta da spasmi violentissimi, crollò a terra prima poterlo raggiungere.

Senza poter far più nulla per salvarlo, lo vide ardere.

Tra le lacrime, impotente mentre egli bruciava, anche Frassinella si contorse tra le foglie.

Si rotolò in terra, consumò poco a poco, nel vento vide disperdersi il suo amico e come cenere vide scomparire nel cielo il proprio futuro.

Fu tremendo per lei.

Dopo, per lunghi giorni rimase inerme, stesa nel luogo dell'incendio a custodire le ceneri ancora calde.

Credette d'impazzire.

Perdere la propria Scheggia, per una Yaonai significava perdere metà di se stessa, della sua vita, della sua realtà, voleva dire restare al mondo senza quello per cui esse nascevano, crescevano ed esistevano.

Prendersi cura della foresta era prendersi cura di se stesse.

Raramente una Yaonai sopravviveva alla perdita della propria metà divenuta albero e Flot lo sapeva.

Sapeva dove colpire e lo fece nel modo più doloroso possibile.

In fondo era quello ciò che egli desiderava, che Frassinella soffrisse, che morisse, se non per le ferite riportate negli spasmi, per la malinconia e il rimorso di averlo rifiutato, ma lei seppe reagire.

La giovane imparò a odiare e resse il colpo.

La collera che provò dopo quei primi dolorosissimi momenti fu tale, che la salvò.

Arrivò a odiare qualunque cosa le ricordasse il passato.

Flot, colui che l'aveva privata di tutto.

Quanto livore provò in quei momenti verso quel ragazzo.

Era vuota, sofferente nel corpo, distrutta nell'animo, tuttavia era talmente colma di sdegno da essere ancora in piedi.

Aveva barcollato, ma non era crollata.

Albero senza più radici, nave senza più vela, senza più una rotta o uno scopo nella vita, Frassinella, dopo aver perduto la propria Scheggia, desiderava soltanto vendicarsi.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro