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4) OSCURE PRESENZE


La sera scese sull'accampamento dei fuggiaschi come un nero velo di terrore, spingendo gli ultimi raggi del sole verso la notte.

Saaràn, prima che divenisse troppo buio per poterlo fare, si voltò a guardarlo.

Posto al riparo dal vento, appoggiato a una sporgenza rocciosa, un fuoco di legna resinosa scoppiettava a poca distanza dal carro messo di traverso all'entrata della piccola gola in cui avevano trovato rifugio, dove egli si trovava di guardia, assieme alla moglie, a Uleg e a Omnod.

Al di sopra del focolare, sospeso a un rozzo traliccio di rami intrecciati, un grosso pezzo di carne di cavallo sfrigolava, scolando il grasso nelle braci ardenti.

Gerel e Saryn, affascinati da quelle fiamme così vivide e luminose, vi badavano attentamente girando la carne arrostita con uno stecco di legno, tanto che nell'aria già si spandeva un gradevole profumo di cibo.

Attratto da quell'odore invitante, ogni tanto anche il lupo a essi vicino, benché legato alla slitta, sollevava a fatica la testa dalla coperta su cui era adagiato ed emetteva un verso simile a un gemito.

La figlia, quando lo udiva uggiolare, si voltava a dare un'occhiata alla slitta posata in terra a poca distanza dal focolare e controllava che non si muovesse troppo o che non si slegasse, perché in quel caso avrebbe dovuto chiamare subito il padre.

Gerel aveva preso molto seriamente il compito affidatole dal genitore.

Dopo che le aveva trattenuto il dito della mano tra i denti, nemmeno lei si fidava più del tutto di quell'animale, però, al contrario del fratello Saryn, il quale non badava assolutamente alla belva legata alle sue spalle, ne era attratta.

A dire il vero lo era sempre stata, da sempre, fin dalla nascita.

I lupi le piacevano, l'attiravano, ne stimolavano la curiosità a volerne sapere sempre di più, ma non aveva mai avuto l'opportunità di averne uno tutto suo da poterlo osservare ogni volta che ne avesse voglia.

Fino ad allora ne aveva avvistati soltanto da lontano, ne aveva trovato le tracce nella pianura, o ne aveva viste le pelli stese ad asciugare.

Ora invece aveva questa possibilità e non voleva perdere l'occasione unica che le si era presentata.

Per quanto la ferocia che scorgeva nello sguardo della belva selvatica l'intimorisse e la respingesse, al tempo stesso era affascinata dal mistero che circondava quella razza di animali così potenti e pericolosi, unica in tutta la Steppa a saper competere in forza con gli uomini.

Era la curiosità del bambino che sapeva di un rischio, lo temeva, eppure non riusciva a non esserne intrigato, oppure era qualcosa di più?

Non lo sapeva.

Nondimeno, per quanto volesse restarne lontana, per quanto volesse non darle importanza, di quando in quando lei tornava a guardarlo, attirata da una curiosità che ne travalicava il timore.

Per la sicurezza di tutti il padre aveva deciso di tenerlo legato al traino costruito da Uleg, con tanto di museruola stretta attorno alla bocca.

Benché comprendesse le ragioni del genitore, non di meno a Gerel dispiaceva saperlo stretto dalle funi che gli impedivano di muoversi.

Avrebbe di gran lunga preferito saperlo libero di spostarsi come voleva, però si rendeva anche conto che avrebbe rappresentato un grosso pericolo per tutti.

Quelle fauci, quelle zanne, quelle unghie arcuate e forti, erano armi micidiali da non sottovalutare in nessun modo e lei lo sapeva.

Molte volte aveva visto carcasse di animali ben più grossi di loro, spolpate fino a vederne le ossa biancheggiare al sole e ora il lupo era sveglio, attento ad ogni mossa degli uomini che si spostavano a poca distanza da lui e a tutto quello che lo circondava.

Ogni tanto sollevava stancamente la testa e guardava verso il focolare, ma era debole per il sangue perduto dalla ferita al fianco e per il lungo viaggio sul traino.

Annusava nell'aria l'invitante profumo della carne messa ad arrostire, poi, dopo un attimo, dolorante per lo sforzo sostenuto, riabbassava la testa con un uggiolio sofferente.

Era allora che Gerel si voltava a guardarlo, convinta che l'animale guardasse lei, che la cercasse e la chiamasse a sé.

Era solo un'impressione, certo, però all'inizio ne ebbe paura e lo disse al fratello.

"Secondo te, il lupo mi guarda?" gli domandò, ma Saryn lanciò uno sguardo distratto alla bestia ed esaurì in fretta l'argomento con una rapida scrollata di spalle.

A lui del lupo non interessava granché, erano altre le cose che lo attiravano davanti a quel focolare.

Le fiamme alte e profumate, la carne, gli odori e gli umori che ne sprigionavano, erano tutte cose nuove, da esplorare con attenzione.

Tornò a controllare attentamente che le vampe non lambissero la carne sospesa e la rigirò, proprio come gli aveva fatto vedere il padre.

Era un compito che gli piaceva, quello. Lo affascinava molto di più della bestia legata al traino.

Il fuoco ottenuto dal legno era ben diverso da quello sieroso e puzzolente dello sterco secco a cui era abituato ed era un piacere stargli seduti accanto.

Anche il fumo che emanava da quel braciere era piacevole da annusare, non era acre e soffocante, sapeva d'erba e di pulito.

Inoltre il suo era un animo pratico, lineare, poco incline alle sfumature che invece tanto interessavano alla sorella e dopo un lungo momento silenzioso, diede la risposta che gli pareva più adatta al caso.

"È affamato. È attratto dal profumo della carne, non da te" le rispose noncurante, con una nuova scrollata di spalle.

Lui non amava i lupi, li considerava solo un pericolo da eliminare.

A lui interessava un solo genere di quelle belve assetate di sangue, quelli morti, ammazzati con un tiro di freccia ben assestato da lontano e scuoiati per utilizzarne le pelli.

Era la legge della Steppa, non l'aveva inventata lui, semplicemente l'applicava come gli era stata insegnata da loro padre.

Gerel lo sapeva e non badò alla sua soluzione spiccia.

Saryn era un cacciatore nato ed era normale che ragionasse in quella maniera.

Fosse stato per lui l'avrebbe ucciso, scuoiato e avrebbe appeso la pelle ad asciugare e quindi non era la persona migliore per averne un parere.

Ciononostante, benché non fosse del tutto convinta da quella spiegazione così semplice, Gerel sospirò per l'indifferenza dimostrata dal fratello, però dovette ammettere che forse per quella volta aveva ragione.

Il lupo non cercava lei, ma la carne.

Sbuffò un poco delusa e si voltò ancora a guardare la bestia.

Il padre non le aveva dato il permesso di togliere la museruola, però era ugualmente riuscita ad allentarla abbastanza per dargli da bere e appena fosse stato possibile, gli avrebbe dato da mangiare.

Un nitrito sommesso richiamò l'attenzione della bambina e la fece voltare verso l'altra parete della gola: era Filli.

La Tarpan la fissava tenendosi leggermente discosta dalla mandria di stalloni, al pari degli altri due pezzati che le erano accanto.

La puledra era gelosa delle attenzioni che dava al lupo, eppure non si fidava ad avvicinarsi alla slitta più di così.

Come tutti i Tarpan chiusi nella valletta, restava lontana dal traino e non perdeva di vista il lupo di cui la mandria avvertiva l'odore selvatico e pungente nell'aria.

Sentendosi minacciati dal carnivoro, stringendosi gli uni agli altri per darsi maggiore forza e sicurezza, i cavalli del Khan formavano una massa scura appoggiata alla parete di roccia, solo a tratti illuminata da un guizzo rossastro delle fiamme del focolare.

Solo i tre pezzati ne restavano un po' discosti, rifiutati dai loro stessi simili.

Al contrario dei cavalli, stese in terra tra la mandria e il focolare, le quattro vecchie e magre vacche, placide e indifferenti sia al fuoco, ai timori dei destrieri che al lupo, rimuginavano con lentezza esasperante l'erba mangiata durante il giorno.

Saaràn, colse tutto questo con un solo colpo d'occhio e sorrise amaro mentre l'osservò, con impressa nella mente la triste consapevolezza che avrebbe potuto essere l'ultima volta che poteva farlo.

L'unica soddisfazione che aveva era che almeno Gerel e Saryn parevano non comprendere a fondo il pericolo che tutti quanti loro correvano in quel momento.

Meglio, si disse, meglio così. Sono ancora troppo giovani per questo.

Sospirò stanco. Aveva fame e aveva le palpebre pesanti.

Avrebbe voluto distendersi, dormire e posare in un giaciglio la stanchezza che ormai non distingueva più dal dolore delle ferite.

Invece assieme a Helun, Uleg e Omnod, armati di tutto punto, stavano tutti quanti ritti accanto al carro messo di traverso all'ingresso di roccia e fissavano la Steppa, in attesa che succedesse qualcosa.

Benché al momento non ci fosse nulla da vedere se non un mare d'erba ondeggiante che si perdeva nell'orizzonte via via sempre più scuro, sapeva che quel momento di pace non sarebbe durato a lungo.

Guardò in alto, quella che avevano davanti sarebbe stata una nottata buia, perché il vento era calato e nuvole compatte ricoprivano Ten-gri.

Forse avrebbe piovuto.

Quella notte non ci sarebbe stata la luna a illuminare la Steppa e l'unica luce a disposizione per i fuggiaschi sarebbe stata quella del focolare su cui cuoceva la carne di cavallo.

Era poco, ma era già meglio di niente.

Per una volta tanto il combustibile per il fuoco non era un problema e quello che i ragazzi avevano raccolto sarebbe bastato per buona parte della notte.

Al momento erano in salvo, erba, acqua e cibo non mancavano, tuttavia si erano chiusi con le proprie mani in una trappola dalla quale non avrebbero potuto uscire se non con la benevolenza di Ten-gri e tanta, tanta fortuna.

In fondo non avevano avuto altra scelta se non quella di mettere al sicuro se stessi e la mandria prima che scendesse la sera.

Non poteva permettersi di perdere nella prateria nemmeno uno stallone, esattamente quanto non voleva far correre altri rischi inutili alla sua gente.

L'esistenza di tutti loro era appesa a un esiguo filo che poteva tranciarsi da un momento all'altro e non era saggio chiedere troppo alla fortuna che nei giorni passati lo aveva assistito.

Negli ultimi giorni avevano rischiato il tutto per tutto, avevano rubato i Tarpan, cavalcato all'impazzata, perso Monglik e ora, come se già non bastassero le cose successe in precedenza, quell'ultima scoperta fatta nel pomeriggio, a meno di uno Zai di distanza dalla valletta in cui si trovavano adesso e che li aveva nuovamente messi in allarme.

A ripensarci ora, Saaràn scosse la testa.

Era stato tutto inutile, correre, logorarsi all'inverosimile, non mangiare, bere; inutile, tutto inutile, incomprensibilmente e assurdamente inutile, nonostante tutti gli sforzi fatti.

Non ci voleva proprio; il ritrovamento di quei cadaveri Un nella Steppa era venuto a sconvolgere quella poca pace che pensavano di aver conquistato con la fuga e ora erano daccapo. Anzi, peggio.

Muu-Gol non era più il loro unico problema, dopo quello che avevano trovato nel pomeriggio.

A ben pensarci, la loro situazione era diventata ancora più precaria e delicata di prima e lui non riusciva a darsene pace.

Se da una parte erano finalmente riuniti tutti quanti insieme, dall'altra la gioia della riunione era stata rovinata dalla comparsa di forze di cui nessuno di loro conosceva nulla e che i fuggiaschi al momento potevano soltanto percepire anche senza vederle.

Esse aleggiavano minacciose nella prateria, volteggiando nella sera come ombre scure sopra le macchie di sangue che avevano versato sull'erba calpestata a poca distanza da lì.

La tensione che indovinava negli occhi di chi aveva accanto era palpabile e aumentava man mano che la luce del giorno svaniva dietro le rocce dei monti.

Saaràn, appoggiato al carro, vedeva le ombre della montagna allungarsi fino a congiungersi con quelle della pianura e raramente sentì di temerle come quella sera.

La piana si stendeva davanti a lui fino all'orizzonte con tenui ondulazioni a incresparne appena la superficie, vuota di apparente vita, eppure l'istinto del Naaxia sentiva che era soltanto l'illusoria convinzione che gli occhi volevano avere, per dirsi che tutto andava per il meglio.

Percepiva il pericolo nell'aria, denso e appiccicoso come il sudore freddo che si solidificava sul suo collo, restandogli attaccato addosso e infastidendolo mentre colava umido lungo la schiena.

Era una sensazione grave e minacciosa, appena celata dietro a una indifferenza posticcia e una sicurezza che dentro di sé non sentiva per nulla di avere.

Se non altro al suo fianco c'era Helun e di questo ringraziava Ten-gri.

Le sorrise, prima che diventasse troppo buio perché lo scorgesse.

Dopo essere stati lontani per due giorni, a malapena avevano potuto scambiarsi un abbraccio e poche parole concitate.

Avrebbe voluto dedicarle tutto il tempo di cui disponeva per ascoltare le avventure che aveva dovuto affrontare con il carro, invece, dopo essersi ritrovati, le cose erano precipitate troppo in fretta per poterlo fare.

In altre condizioni lui e la moglie avrebbero vegliato e parlato tutta la notte insieme, tuttavia Ten-gri aveva deciso diversamente.

Nel riandare ai momenti che erano seguiti al suo avvistamento alla guida del carro, a Saaràn gli si inumidirono gli occhi.

"Bentornato" gli disse lei quando se lo vide comparire davanti all'improvviso, quasi fosse ritornato da una battuta di caccia ai conigli invece che da una missione pericolosa e mortale.

All'inizio gli uomini che erano con lui rimasero stupiti nel vedere di come procedesse veloce il carro che conduceva e con quanta scioltezza la donna lo facesse muovere e svoltare a piacimento.

Quando poi la giovane Un fece fermare gli animali al traino con un unico, leggerissimo tocco di redini e Tarpan e bovini si arrestarono all'unisono senza reagire, rimasero ammutoliti nel vederlo frenare senza incertezze e sobbalzi.

Scambiandosi sguardi colmi di stupore, il giovane Scengun e il Taiciuto dovettero ammettere che l'idea del Naaxia aveva funzionato.

Il traino misto era possibile.

Saaràn osservò colmo di orgoglio Helun; era merito suo se l'idea si era trasformata in realtà.

Uleg annuì fiero del lavoro che aveva svolto sulle cinghie e persino l'incredulo Omnod dovette ammettere che quella del Naaxia era stata una buona idea, ma come a tutte le cose, ben presto ci fecero l'abitudine.

A ripensare a quanta fortuna avevano avuto in quelle ore passate separati, Saaràn decise che non voleva più che le cose fossero lasciate al caso.

Da quel momento avrebbero sempre viaggiato assieme e ognuno avrebbe avuto il suo posto, una mansione e l'ordine tassativo di riferire ogni novità a tutti quanti. Nulla e nessuno doveva essere più lasciato indietro. Mai più.

Forse stava invecchiando, però mai come in quel momento si rese conto di quanto fosse importante per lui quella giovane donna che aveva al fianco.

Aveva avuto paura di averla persa per sempre, invece erano ancora insieme.

Quando Helun, vedendoseli arrivare incontro, con un sospiro di sollievo nel vederli tutti salvi fermò il carro, lui le andò accanto e le sfiorò appena il viso con le dita.

"Sono lieto di vedere che i paramenti di Uleg abbiano resistito" le fece guardandola negli occhi umidi, dicendo la prima cosa che gli venne in mente, indicando i Tarpan attaccati al carro.

Lei annuì: "Sì, hanno tenuto bene" gli rispose dopo un momento.

Erano parole di cortesia, non vere, dette per non cedere alle emozioni che ambedue provavano in quel momento e che soltanto chi avesse vissuto insieme una vita intera di solitudine avrebbe potuto comprendere, ma fu quello che si dissero con i battiti del cuore accelerato che contava.

Entrambi sapevano che erano ben altre le parole che avrebbero voluto dirsi in quegli attimi, ma il tempo premeva, la vita di tutti dipendeva da un riparo che ancora non avevano e da un nemico che non tutti ancora conoscevano.

Mancavano alcune ore prima della sera e non c'era tempo da perdere.

I Monti erano vicini e non potevano fermarsi proprio adesso, però prima di rimettersi in cammino, Saaràn volle che tutti sapessero dell'uomo di ferro e di quello che soltanto alcuni di essi avevano visto.

Si asciugò gli occhi con il dorso della manica, chiamò accanto a sé Gerel e le mise una mano sulla spalla.

"Ascoltate bene..." disse quando fu sicuro di avere l'attenzione di tutti.

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