4) HELUN
Saaràn avanzò lento lungo il crinale, seguendo il movimento sinuoso dei fianchi del cavallo quasi fosse una danza.
Giù in basso vide il macilento carro con la Yurta sopra e le poche cose che costituivano tutto quello che la sua famiglia possedeva: quattro vecchie vacche tanto magre da vederne le ossa e tre giovani cavallini Tarpan pezzati, due maschi e una femmina, che sentendoli arrivare si fecero attenti.
Alla vista dei suoi simili, il vecchio pezzato nitrì e scosse la testa.
Quando i cavalli più giovani udirono il richiamo di Monglik gli corsero incontro, scuotendo i fianchi e scalciando l'aria per la contentezza del suo ritorno.
Erano il suo branco ed erano brutti quanto lui se non di più, eppure, o forse proprio per questo, i quattro pezzati erano molto uniti tra loro.
Erano svegli, intelligenti, adattabili a ogni esigenza che si presentasse, pronti a recepire le novità meglio di qualunque altro Tarpan, eppure portavano su di sé il marchio del Naaxia.
Sangun il Traditore possedeva un pezzato e questo li rendeva detestabili alla vista degli Un.
Erano tutti quanti orribili per qualunque altro Un, indegni di vivere e di appartenere a una mandria dell'Orda, tuttavia anche Saaràn sorrise nel vederli gioire in quel modo.
Nel bene o nel male quelli erano i suoi cavalli, gli unici che avrebbe mai potuto possedere e per quanto fossero considerati poco più che rifiuti, era affezionato a ognuno di essi.
In fondo quei quadrupedi dal manto screziato erano come lui, degli inutili scarti da gettare via.
Se erano ancora vivi, era perché Ten-gri gli aveva concesso di raccattarli nella Steppa prima che fosse troppo tardi.
Pur di liberarsene, i proprietari abbandonavano i puledri appena nati nella prateria, preferendo perdere prestigio e posizione all'interno del Clan, piuttosto che avere nelle loro mandrie il disonore del Naaxia.
Così, durante le sue girovagazioni nella Steppa Saaràn li trovò uno alla volta prima dei lupi e li portò all'accampamento.
Due li donò ai figli, uno a testa, l'altro lo tenne per sé, pensando a quando Monglik non ce l'avrebbe più fatta a camminare per tutto il giorno nella prateria.
Sapeva che prima o poi sarebbe successo e mentre scendeva la china, per quanto il solo pensiero gli facesse male, ci pensò.
Chiuse per un attimo gli occhi: quello sarebbe stato un brutto giorno, si disse, ma preferì allontanare da sé quei pensieri nefasti e ritornare con l'attenzione a qualcos'altro di più reale.
Per essere un buon Naaxia bisognava essere sempre vigili ed essere pronti a cogliere il minimo segnale di pericolo, ovunque esso potesse presentarsi.
Nella Steppa non ci si poteva permettere troppe distrazioni, perciò, con un rapido colpo d'occhio, Saaran valutò i dintorni osservando ogni particolare.
Le vacche seguitavano a mangiare tranquille e dalla vecchia Yurta rivestita di feltro sgualcito usciva un filo di fumo bianco.
Attorno al carro non c'era nessuno.
La sua famiglia doveva essere dentro per la colazione e la stanga appoggiata a terra puntava ancora verso la Stella del Mattino, la stella più luminosa del firmamento: presto sarebbe scomparsa dall'orizzonte, ma lui avrebbe saputo la direzione giusta da seguire.
Annuì soddisfatto. Non vedeva pericoli in giro.
Cavallo e cavaliere erano giunti a metà del declivio, quando Saaràn vide una donna uscire dalla Yurta.
Era Helun che lo salutava.
Sua moglie lo aveva sentito arrivare ed era andata ad attenderlo.
Era molto più giovane di Saaràn.
Robusta e in buona salute, gli sorrideva indirizzandogli un timido cenno con la mano.
Non eccessivamente alta, la donna vestiva una pesante casacca di cotone spesso e portava pantaloni di cuoio come Saaràn.
Aveva lunghi capelli neri raccolti a crocchia a cui portava legata una penna di Falcone bianco, il Clan a cui era appartenuta alla nascita.
La pelle olivastra e gli occhi sottili, scuri come il carbone e indecifrabili, erano quelli tipici della gente delle pianure.
I suoi lineamenti erano segnati dalla dura vita della Steppa, ma il sorriso ampio e sincero che sfoderava quando vedeva arrivare il suo uomo, le illuminava il volto.
Era bella quando sorrideva e Saaràn, nonostante i tanti anni passati insieme, ancora non si capacitava di quanta fortuna avesse avuto a incontrarla.
Pure Helun era uno scarto dell'Orda ed egli la scovò per caso un mattino nella Steppa, proprio come i puledri pezzati.
Molti anni erano passati da quel giorno, venticinque per l'esattezza.
Allora lui aveva venticinque anni e lei due.
Proprio come ora, Helun portava una penna di Falcone cucita al vestito. Era una Merchita ed era sola, abbandonata dalla famiglia.
Saaràn l'aveva trovata nella Steppa che appena sapeva camminare, ma era lenta, zoppa.
Avanzava a stento appoggiandosi a un bastone più alto di lei.
Spesso gli capitava di trovare ossa di bambini abbandonati dall'Orda, tuttavia quella volta Ten-gri fu benigno con tutti e due e lo fece arrivare in tempo a soccorrere quella bambina.
Helun era nata con la gamba sinistra più corta dell'altra e zoppicava vistosamente.
Visto il grave difetto fisico, non sapendo cosa farsene, la famiglia abbandonò nella prateria la bambina lasciandola alla clemenza dei lupi.
Ma la bimba fu più tenace del previsto e quando un branco la trovò e la circondò, preso il bastone non si diede per vinta e lottò.
Li tenne lontani con la forza della disperazione, colpì, urlò fino a quando Saaràn l'udì e la portò in salvo in groppa a Monglik.
Dal momento che la sollevò da terra senza fatica e se la pose davanti come un fagotto, i due non si separarono più.
Saaràn era solo oramai da troppi anni e l'accolse nella sua Yurta.
L'allevò, la curò come una sorella, le fece da padre e da madre.
In breve tempo per lei Saaràn divenne tutta la sua famiglia, per lui, invece, quella bambina storpia fu la salvezza, la ragione per tornare ancora al carro alla sera.
Si salvarono a vicenda, lei dalla morte certa e lui dall'inedia e dalla follia.
Passarono gli anni e Helun crebbe.
Quando la ragazza raggiunse i quindici anni, Saaràn le domandò se volesse sposarlo e lei disse di sì, nonostante si rendesse conto dell'enorme differenza d'età che li divideva.
Lui di anni ne aveva trentotto e non aveva da offrirle che una vecchia Yurta su di un carro macilento, un Tarpan bolso, Monglik, due vacche vecchie e magre e poco altro, eppure l'aveva accolta quando era stata in pericolo e le voleva bene.
In realtà nessuno dei due si chiese se ci sarebbe stata un'altra possibilità oltre a quella, quindi entrambi l'afferrarono al volo come fosse un dono prezioso caduto dal cielo e se lo tennero ben stretto.
Erano due cani randagi che Ten-gri aveva riunito perché non si perdessero ancora e in quella terra sconfinata nessuno avrebbe offerto di meglio tanto all'uno, quanto all'altra.
Così si unirono e si rispettarono.
Nel tempo ebbero tre figli.
Il primogenito Saryn, Fiore di Maggio, nacque l'anno seguente alla loro unione.
Venne al mondo in primavera, sotto un Maggiociondolo in fiore e aveva gli occhi grigi del padre e i lineamenti della madre.
Due anni dopo la nascita di Saryn, venne al mondo Gerel, Luce degli Occhi e appena la prese in braccio, nel vederla e stringerla a sé ancora sporca di sangue, Saaràn pianse di gioia.
La neonata pareva un miracolo, un piccolo miracolo inaspettato.
La bambina non assomigliava affatto ai genitori, era chiara di capelli, con gli occhi azzurri e con quel vago sentore di linfa che emanava dal suo corpicino, portava su di sé i colori della Signora di Saaràn.
Fu Helun a darle il nome Luce degli Occhi, perché, disse al marito, "fu in grado di far sorridere i tuoi occhi".
A Saaràn piacque subito quel nome.
Lui gliene fu grato e l'accettò, anche se tenne per sé il motivo della profonda commozione che aveva provato nel vederla.
Quegli occhi così strani per una bambina Un, azzurri come Ten-gri, erano come quelli della Signora dei Monti D'Oro.
Sebbene non amasse mentire alla moglie, lei non poteva sapere che quella bimba portava su di sé il segno della Signora e questo per Saaràn fu come una benedizione.
Conservò per sé il segreto, ma da quel giorno ricominciò a sorridere.
Sorrideva poco il Naaxia prima della nascita della figlia, eppure dopo quell'evento dal sapore miracoloso, imparò a farlo ancora.
E quando alla sera si ritrovava assieme alla moglie e i figli, in quella misera Yurta sperduta nella Steppa infinita, si sentiva ricco, più del Khan in persona.
Poi, dopo un paio di anni dalla nascita di Gerel, Helun e Saaràn ebbero un altro maschio, ma sopravvisse soltanto per poco tempo.
Era debole, fragile, non era adatto per la Steppa, così preferì tornarsene indietro.
Dopo la nascita pianse per due giorni interi, poi smise di respirare e si lasciò morire.
Se fosse vissuto l'avrebbero chiamato Khus, Betulla, invece tornò al Ten-gri.
Nacque nel periodo in cui le foglie delle betulle diventavano gialle e venne alla luce al riparo di una di quelle piante.
Sotto quella stessa pianta venne seppellito quando morì.
Ancora ora, quando in autunno Saaràn incontrava una betulla sulla sua strada, rivolgeva una preghiera a Ten-gri, perché lo tenesse al caldo d'inverno e ogni giorno non gli facesse mai mancare latte fermentato e pane di miglio.
Ora Saryn e Gerel avevano undici e nove anni, erano sani e crescevano velocemente.
Riconoscendo Helun, Saaràn rispose al saluto della moglie.
Andavano d'accordo, si volevano bene o forse soltanto si rispettavano. Comunque fosse, sia per l'uno che per l'altra quello che era il massimo che avrebbero mai potuto avere e lo condividevano volentieri assieme ai loro figli.
Strinse leggermente le ginocchia attorno al cavallo e Monglik aumentò l'andatura: ambedue ora avevano fretta di arrivare.
Arrivato nei pressi del carro, Saaràn si mise la sacca sulla spalla, si appese alla scala a pioli.
Lasciato libero il cavallo di pascolare, salì rapido i gradini, ma arrivato sul duro assito del pianale, come sempre gli sfuggì una smorfia di dolore al doversi reggere in piedi.
Le caviglie, le ginocchia, le anche, tutto gli doleva quando scendeva da cavallo e camminava spostando il peso del corpo dall'una all'altra gamba, dondolandosi come un'oca.
Lei era senza il bastone e l'attese accanto alla porta, appoggiandosi allo stipite sbilenco.
Quando la raggiunse, Saaràn le sfiorò il volto con un dito ed entrarono insieme chiudendosi alle spalle la porta sgangherata che, benché un poco storta, cigolò rimbalzando.
Dentro, inginocchiati sopra spessi tappeti di lana sgualcita, accanto al focolare dove bruciava dello sterco essiccato, nell'ambiente fumoso e acre della Yurta, c'erano un ragazzo e una fanciulla.
Vestivano come i genitori, indossando casacche di cotone spesso e pantaloni di cuoio.
Lui aveva i lineamenti della madre e gli occhi grigi del padre, lei una bellezza diversa, unica fra gli Un, capelli chiarissimi e occhi azzurri come Ten-gri.
Entrambi bevevano assorti il loro latte fermentato, masticando lenti del gommoso pane di miglio.
Quando li vide, a Saaràn gli si inumidirono gli occhi.
Gli capitava sempre quando tornava a casa e come sempre si disse che era colpa del fumo, ma oramai non ci credeva più.
Andò a sedersi accanto al focolare con Helun, prese la coppa di latte fermentato che gli porse e strappò un grosso boccone di pane di miglio, sorridendo ai figli.
Lo masticò a lungo, lento e soddisfatto. Quel pane era del giorno prima, molle e gommoso, ma a lui pareva buonissimo.
Pensò a quanto fosse felice in quel momento e nemmeno gli parve vero che tutto questo facesse parte della sua vita.
Guardò Gerel e Saryn.
Lei aveva ancora i lineamenti da bimba, eppure Saaràn si accorgeva che di giorno in giorno cambiavano impercettibilmente, trasformandola sempre più in una ragazza giovane e forte.
Poi fissò Saryn e si disse che era arrivato il momento di iniziare a condurlo con sé.
Un giorno il ragazzo sarebbe diventato il nono Naaxia e avrebbe dovuto insegnargli a trovare la strada nella Steppa, se voleva che imparasse a fare bene il suo lavoro.
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