38) MOMENTI CONCITATI
Avanzarono a lungo, in silenzio, seguendo il ritmico battere degli zoccoli dei cavalli sul fondo pietroso e svoltando sempre a sinistra, lungo il percorso che si srotolava attorno al pozzo.
Saaràn, quando lui e i suoi figli arrivarono in vista del termine di Dugui Naluu, stimò che fossero partiti dalla galleria del Castello da non più di mezz'ora e si rese conto di quanto tempo avessero risparmiato a passare da quella parte, piuttosto che rischiare la vita lungo il sentiero che giungeva a valle costeggiando il fianco della montagna.
Al contrario della rampa rischiarata soltanto a tratti dalle fiamme delle torce poste accanto alle svolte, nel salone che si apriva alla base di questa filtrava la luce del giorno e ogni suo punto era abbastanza illuminato da essere visibile.
Vide così, mentre si avvicinavano una svolta dopo l'altra, apparire le corde, le carrucole, le leve, le ruote idrauliche che avrebbero messo in movimento l'enorme masso che occludeva il varco segreto che avrebbe condotto lui e la Yaonai in vista della pianura.
Quando infine giunsero al piano, Chonyn trattenne il possente animale che teneva per le briglie e lo fece rallentare ancora, dirigendosi lento verso il passaggio sbarrato che conduceva all'esterno della montagna.
Approfittando della confusione che regnava nella sala, senza farsi notare la Lupa Azzurra si allontanò dalla testa del piccolo gruppo di cavalieri Un e si spostò velocemente verso una zona più appartata e scura.
Saaràn la vide trotterellare via e senza dire nulla la seguì con la coda dell'occhio mentre si dirigeva verso una parete umida e ricoperta di muschi.
Andava a fare un sopralluogo all'esterno.
"Torna presto e Ten-gri sia con te" pensò tra sé e sé.
Frassinella andava a vedere quando sarebbe stato il momento migliore per mettersi in movimento, tuttavia, quando la vide spiccare inosservata il balzo verso i vegetali che l'avrebbero condotta verso la Steppa, l'Un sospirò, in apprensione.
Sapeva che era necessario andare a controllare come stavano realmente le cose, ma ormai nemmeno più per la Yaonai era del tutto sicuro seguire le strade che la sua gente utilizzava da tempi immemorabili per muoversi da un punto all'altro della pianura.
L'appartenere al Popolo della Foresta non le dava più nessun controllo su Zűin e questo non faceva che aumentare il pericolo che in qualunque momento quell'essere infernale l'attirasse in un agguato mortale e l'aggredisse a tradimento.
Sospirò, per non pensarci troppo. Tanto non poteva farci nulla.
Per distrarsi si voltò a guardare i figli e, benché non gli prestassero attenzione, sorrise.
Almeno loro erano tranquilli, assorti, Saryn concentrato nel tentare di capire l'utilità di tutti quegli ingranaggi, leve e corde che vedeva e Gerel a osservare le persone che si muovevano nella grotta.
Fu lei che si accorse per prima che il genitore li guardava.
Con una veloce manata sul braccio del fratello, attirò anche la sua attenzione sul padre.
Con gli occhi ancora sfavillanti per le meraviglie che stava vedendo, la ragazzina in un mormorio sommesso chiese a Saaràn: "Cosa dobbiamo aspettare, Aab?".
"Presto lo vedrete" gli rispose lui sottovoce "Restate in silenzio e qualunque cosa succeda, restatemi vicino".
Li vide annuire entrambi e inspirando a fondo si voltò, sperando di aver saputo nascondere almeno ai propri figli l'agitazione che sentiva rodergli le viscere.
Non era per niente tranquillo e faticava a stare fermo sulla sella.
Per ottenere il massimo effetto sugli Un sapeva che avrebbero dovuto attendere il ritorno della lupa e rimanere fermi davanti al passaggio sbarrato fino ad allora, eppure non riusciva a mantenersi disteso.
Le cose che avrebbero potuto andare storte erano molte e sapeva che non era possibile prevederle tutte.
Così, per tentare di calmarsi, al pari dei due figli si guardò attorno.
Come all'interno del forte, anche lì in basso vi era un gran movimento di Margaash in tenuta da battaglia e di arciere con le faretre colme di frecce.
I Togril si muovevano rapidi, determinati, con ordine e metodo.
All'arrivo del Naaxia, prima gli uomini corazzati poi un po' arretrate le donne, si disposero ordinatamente su più file dietro e di fianco allo stallone condotto da Chonyn e ai due Tarpan pezzati.
In breve si posizionarono come se dovessero sostenere un attacco.
Udì lo sferragliare dei militari che si accucciavano dietro gli scudi squadrati pronti a colpire dal basso i cavalli.
Anche senza vederli, li immaginò posizionati nello stesso modo di Chonyn la prima volta nella Steppa, raccolti su se stessi come tanti scorpioni affiancati gli uni agli altri, pronti a sferrare un colpo mortale all'occorrenza.
Poi, alle spalle di costoro, avvertì lo scalpiccio leggero delle donne che si disponevano in modo ordinato per coprire con i loro dardi tutta la luce del passaggio ancora chiuso.
Tomor biye non si fidava per nulla degli Un che si avvicinavano a Togriluudyn e aveva insistito molto su questo punto.
-Quel varco deve essere difeso ad ogni costo- aveva detto il Comandante della piazzaforte alla Yaonai -in caso di attacco il varco dovrà essere subito chiuso e chi resterà fuori, dovrà cavarsela da sé-.
Saaràn deglutì.
Era una scelta crudele, ma necessaria e sia Frassinella che lui accettarono di correre il rischio.
Tomor riteneva essenziale per la sicurezza del Castello sacrificare chi restava indietro e Saaràn capiva le sue preoccupazioni.
Nemmeno lui sapeva esattamente come avrebbero reagito i Clan fuggiti da Muu-Gol, quando l'avessero visto.
Come Gran Khan gli mancava ancora il Pugnale Azzurro e il suo potere attuale era basato più sulla sorpresa che sulla reale forza in campo.
Forse quegli uomini avrebbero potuto sottomettersi al suo Anda, però avrebbero anche potuto non accettare Kutula come Khan e in tal caso, se la sete di potere fosse stata più forte della superstizione, lo scontro sarebbe stato inevitabile.
Certamente la presenza di Bortecino li avrebbe intimoriti, tuttavia gli Un non si perdevano in considerazioni futili quando ritenevano una cosa inutile e agivano subito, reagendo nel modo più brutale.
In tal caso quei Togril avrebbero dovuto reggerne l'urto fino a quando il varco non fosse stato chiuso, ben sapendo che in caso contrario pochi di essi avrebbero potuto salvarsi risalendo la rampa fino al forte.
Guardò i volti delle arciere che combattevano a volto scoperto.
Erano tutte giovani e determinate.
Pensò fosse un peccato che dovessero sacrificare la loro giovane vita nella lotta.
Dopo un momento tra quelle donne pronte a battersi scorse Tuulain, la ragazza castana amica della rossa Burjgar e fu lieto di vedere che anche lei era sopravvissuta alla febbre.
Era in prima fila, subito dietro alla barriera di scudi dei Margaash.
Aveva il volto teso, lo sguardo fisso e concentrato davanti a sé come tutte le altre e non badava a lui.
Gli avrebbe fatto piacere salutare anche lei, ma non riuscì mai a incrociarne lo sguardo e dopo un po', attirato da altre cose, lasciò perdere.
Agli argani che controllavano lo spostamento della grossa pietra posta a chiusura del passaggio, vi erano due uomini senza armatura e si concentrò su di quelli.
Saaràn non li conosceva, ma li vide così indaffarati e stanchi andare avanti e indietro a controllare per l'ennesima volta la tensione delle corde e lo stato degli ingranaggi, che non poté trattenersi dal tentare di comprendere quello che facevano.
Dopo un po', afferrate alcune cose che all'inizio gli erano parse misteriose, annuì.
Tutto quanto funzionava grazie allo scorrere dell'acqua.
Scaturendo da condotti che attraversavano la montagna, il liquido scorreva lungo canali scavati nella roccia.
Da questi, deviata da saracinesche mobili verso rogge in legno, l'acqua sarebbe poi stata incanalata verso le grosse ruote idrauliche che avrebbero messo in movimento gli ingranaggi e in seguito determinato l'apertura del varco segreto.
I due civili erano talmente concentrati in quello che facevano, che nemmeno si accorsero di lui che li osservava.
Il loro era un lavoro preciso, attento, non da tutti.
Erano meno giovani dei soldati che avrebbero badato alla sicurezza del varco, ma portavano in volto la medesima paura degli altri.
Sapevano quello che sarebbe successo da lì a poco, eppure non accennavano minimamente ad allontanarsi dal loro posto.
Saaràn rimase affascinato dalla calma compostezza dimostrata da quei civili, nonostante sapessero che un pericolo mortale fosse a pochi passi da loro e a breve avrebbe potuto aggredirli.
Come tutti i Togril presenti in quella sala, anche costoro si muovevano scossi da una sottile vena d'irrequietezza, eppure la controllavano dignitosamente grazie alla rigida disciplina di quel popolo.
Ad un certo punto, distogliendolo dall'osservare quei due, Chonyn diresse il cavallo verso il militare che comandava il drappello a guardia del varco ancora serrato e vi si fermò davanti, a pochi passi dall'uscita.
Saaràn vide che costui era Chadvarlag (Ciadvarlag), il Togril che assieme a lui, Chonyn e Uleg era salito sulle montagne che contornavano Togriluudyn fino a raggiungere la base della Cima Khurts Khutga (Coltello Affilato), dove assieme alla Yaonai aveva effettuato il Taniltsuulakh Yoslol, la Presentazione del Gran Khan a Ten-gri.
Notò con piacere che sulla parte posteriore dell'elmo che costui teneva sotto il braccio, ora vi era una linea bianca.
Doveva essere stato promosso. Un'altra conseguenza del morbo di Zűin.
Il soldato lo riconobbe e lo salutò cordialmente, ma quando fece per dirgli qualcosa, Chadvarlag iniziò a tossire.
Tossì a lungo, in modo convulso, rischiando più volte di soffocare nello sforzo di liberare i polmoni dal catarro che li ostruiva.
Rimasto senza fiato, alla fine il Togril barcollò e Chonyn si affrettò a sorreggerlo.
Il soldato era debilitato e per la debolezza estrema che lo aveva colpito appena si reggeva in piedi, tuttavia scostò la mano del superiore e si rimise ritto da solo.
Dall'aspetto emaciato del volto, dal colorito violaceo delle labbra e dal respiro affannoso di quel giovane, Saaràn intuì come anch'egli si fosse appena ripreso dalla febbre.
Era evidente che non era ancora del tutto guarito, eppure si trovava al suo posto, al comando del suo plotone.
Quell'uomo avrebbe dovuto trovarsi dentro a un letto e non lì, rivestito di ferro dalla testa ai piedi com'era.
Ricambiò volentieri il saluto del soldato e si sentì fiero di poter aiutare quella gente.
Tutti quanti, dal primo all'ultimo, meritavano di essere aiutati.
Per loro e per i suoi figli, in quel momento Saaràn giurò a se stesso che avrebbe fatto tutto il possibile per fermare Zűin, anche a costo di rimetterci la vita.
Dopo qualche tempo, Bortecino fece la sua ricomparsa accanto al ciuffo di muschio e trotterellò fino al suo posto, posizionandosi un passo avanti a Chonyn e a Saaràn.
Era tornata in fretta.
Guardando il Togril negli occhi, la lupa gli fece un cenno con il capo e quello comprese che era ora di farsi da parte.
Il soldato lasciò le redini dello stallone e le affidò a Saaràn, poggiando una mano ferrata sopra le sue.
"Buona fortuna" gli disse in Murlag prima di allontanarsi di un passo e raggiungere Chadvarlag.
La catena di comando si mise all'opera.
Dopo aver indossato l'elmo, agguantato lo scudo e sguainato la spada, Chonyn diede al sottoposto il permesso di procedere all'apertura del varco e il Comandante del drappello diede il segnale per dare il via all'operazione agli inservienti civili, che attendevano nervosi accanto ai macchinari.
Uno di questi tirò delicatamente una leva, una saracinesca si mosse appena e un leggero scroscio d'acqua si riversò verso i cassoni che portavano a una grossa ruota idraulica.
Nel silenzio totale, un fruscìo liquido prese a scivolare.
L'altro ne seguì attento lo scorrere nelle guide in legno e l'accumularsi negli scomparti di raccolta, fino a quando, dopo qualche secondo, con un gemito sommesso il pesante marchingegno si mise in movimento e prese a girare.
Messe in tensione dal suo ruotare, le corde scricchiolarono per lo sforzo, vibrarono, per un momento parvero strapparsi, poi, con un susseguirsi ritmico di combinazioni, movimenti e scatti, la colossale pietra squadrata prese a spostarsi leggermente indietro dalla sua sede originale e poi di lato, scorrendo su guide di metallo senza quasi fare rumore.
Saaràn sentì il cuore battergli forte.
"Ci siamo" mormorò tra sé e sé.
Strinse meglio le mani attorno alle redini dello stallone e impostò i polsi come gli aveva fatto vedere il Togril.
Quando attorno alla lastra di pietra comparve la luce del sole che inondava la valle, si sentì emozionato più di quello che si aspettava.
Si voltò, per guardare come stessero reagendo Saryn e Gerel e più che timorosi li vide incuriositi.
I due ragazzi erano attenti a tutto quello che stava accadendo loro attorno. Con lo stupore stampato in volto e l'aria meravigliata di chi non poteva immaginarsi che qualcosa del genere potesse realmente succedere, attendevano silenziosi.
"Voi due statemi accanto e non fiatate per nessun motivo, d'accordo?" gli disse in Un e quelli annuirono.
Vedere gli archi che i due ragazzi portavano a tracolla gli fece ricordare che lui non era armato e che in caso di necessità non avrebbe potuto difenderli, ma ormai era tardi per recriminare.
Lentamente la lastra davanti a loro scivolò di lato, lasciando il posto alla luce accecante che arrivava dall'esterno.
Per non rimanerne abbagliato Saaràn dovette pararsi gli occhi con il braccio, ma nonostante questo riuscì a scorgere che dall'altra parte, ritta in piedi, con le gambe allargate e i pugni ben piantati sui fianchi, ad attenderlo vi era una figura che ben conosceva e che non faticò a riconoscere come quella del suo Anda.
Nel vederlo, sospirò di sollievo.
"Kutula! Sei salvo!" mormorò ancora tra sé e sé. Ne fu lieto.
Era da quando l'avevano strappato dalle grinfie di Muu-Gol, che non lo vedeva più.
Allora lo aveva lasciato sul suo carro-Yurta in fin di vita e disperava di poterlo rivedere ancora.
Con il passare dei giorni Frassinella lo aveva tenuto al corrente dei suoi miglioramenti, ma solo adesso, nel saperlo in piedi, gli si aprì il cuore di una nuova speranza.
Con lui in forze, sarebbe stato più facile per tutti convincere gli Un.
Anche Bortecino l'aveva riconosciuto, perché la vide avanzare ansiosa di un passo verso l'apertura e scodinzolare verso l'uomo.
Dietro a quella figura indistinta, immerse nella luce accecante del giorno, Saaràn ne scorse altre, che immaginò essere quelle di Ȕnench e dei suoi uomini, disposti a protezione del vecchio Khan.
Però non poteva essere tutto, doveva esserci anche altro, ad attenderlo.
Se la Yaonai aveva dato il via libera all'operazione, era perché aveva ritenuto fosse giunto il momento giusto per mostrarsi ai Clan e là fuori dovevano esserci anche qualche migliaio di Un che si stavano avvicinando e attendevano silenziosi il momento in cui avrebbero visto comparire il Gran Khan preceduto dalla Lupa Azzurra.
Doveva fidarsi di lei, anche se le incognite erano troppe e non essere a conoscenza di tutto quanto lo metteva in agitazione.
Forse essi ignoravano che il nuovo Khan dell'Urdu stava arrivando di corsa, o forse ne erano al corrente.
Non lo sapeva.
Forse essi sapevano che dietro a Muu-Gol, Zűin l'inseguiva, o forse no, non ne erano al corrente.
Non li vedeva, non sapeva cosa pensassero o cosa sapessero quegli uomini, ma essi c'erano, il suo istinto di Naaxia glielo diceva, li percepiva attraverso il respiro come i dubbi che assorbiva nell'aria e gli bloccavano il fiato.
Erano là, si avvicinavano lenti e adesso vedevano la montagna spalancarsi alle spalle di Kutula e dei suoi uomini.
Benché non li vedesse, ne avvertiva la superstizione, gli sguardi attoniti, i gesti scaramantici davanti al prodigio a cui stavano assistendo.
Poteva immaginarne i volti.
Erano increduli, incerti, spaventati dai Monti che li sovrastavano e da Ten-gri che per la prima volta in vita loro vi si nascondeva dietro.
Quegli uomini erano disperatamente agitati, in attesa di certezze che sostituissero quelle che in pochi giorni gli eventi avevano spazzato via implacabili, ma soprattutto, ed era questo a preoccuparlo sopra ogni altra cosa, si aspettavano che fosse lui a dargliele.
Si mise eretto sulla sella e sollevò il mento, cercando di assumere una posizione che potesse impressionarli.
Cercò di essere all'altezza del compito che Ten-gri aveva voluto assegnargli, eppure lui era stato il Naaxia per tutta la vita e faticava a scordarselo.
Chi credeva di essere, il Signore della Steppa?
Ridicolo.
Per quegli uomini era nessuno, contava meno dello sterco di un cavallo.
Si sentì meschino, così rigido su quella sella enorme e vestito nei miseri panni del Naaxia, ciononostante, ricordandosi della dedizione dei due civili accanto ai macchinari, si costrinse a farlo.
Ora toccava a lui mostrarsi degno del compito che gli era stato affidato da Sangun, dalla Yaonai che aveva generato il suo avo, dai suoi figli e da Ten-gri.
Che volesse o meno, ora doveva portare a termine quello che era stato iniziato.
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